Un momento della discussione sulla lingua napoletana in occasione della presentazione di Napolitiamo presso il bellissimo complesso monumentale di Santa Maria la Nova in Napoli del 28/9/25.


Un momento della discussione sulla lingua napoletana in occasione della presentazione di Napolitiamo presso il bellissimo complesso monumentale di Santa Maria la Nova in Napoli del 28/9/25.


Appuntamento con Napolitiamo a domenica 28 settembre, ore 11:30, nella bellissima location del Complesso monumentale di Santa Maria la Nova, nel cuore di Napoli. Una mattinata tutta dedicata alla lingua napoletana.
Dibattito di Maurizio de Giovanni e Angelo Forgione, con intermezzi musicali di Gennaro Pisapia. Introduce gli ospiti il direttore del Complesso monumentale, Giuseppe Reale. Modera Pasquale Giustiniani.
Ingresso libero.

Alla Feltrinelli di Santa Caterina a Chiaia è stato presentato alla presenza di Maurizio de Giovanni, Fabrizio Mandara e Errico Liguori il nuovo libro di Angelo Forgione, giornalista, scrittore, divulgatore della buona cultura.
Il libro è un elogio alla lingua napoletana: la lingua dell’arte, della musica, della poesia, del cinema, del teatro. Troppo spesso declassata a “dialetto”, anche se tra i più conosciuti al mondo, e maggiormente diffusa per la sua espressione vocale, la sonorità e la bellezza del suo popolo che la lega fortemente ad una comunicazione gestuale di forte impatto. Mezzo espressivo e veicolo di alcune forme artistiche di Napoli che nessun’altra città vanta tutte insieme, dalla musica al teatro, dalla poesia al cinema, “Napolitiamo” di Angelo Forgione ne espone l’importanza dividendo la lettura in due parti: una storica e una didattica.
La parte storica analizza con rigore l’evoluzione del napoletano nei secoli, confrontando il percorso linguistico di Napoli e di Firenze. La parte didattica offre un pratico prontuario per apprendere una corretta ortografia napoletana, chiaro e accessibile, pensato per chi desidera imparare a scrivere questa lingua d’arte.
La presenza di Maurizio de Giovanni, autore della prefazione, il suo raccontare di Napoli e della sua lingua, ha rafforzato la necessità di porre un argine al pericolo, evidenziato dall’autore, che il napoletano sta correndo nel nostro presente, rischiando di perdersi nel dimenticatoio di una trasmissione orale che non le fa giustizia. Maurizio De Giovanni ha chiesto a gran voce di istituire una cattedra di lingua Napoletana presso le Università campane che tanta storia serbano nei loro meandri e tanti primati ne annoverano la grandezza.
Gli intermezzi musicali eseguiti con grande maestria dal musicista Fabrizio Mandara, accompagnati dalla bravura interpretativa di Errico Liguori in arte Masaniello hanno allietato il pubblico giunto in libreria, divenuta in una manciata di minuti un’arena in cui fare cultura.
In un’epoca in cui, con l’esplosione della scrittura digitale, ha proliferato una barbara ortografia “faida-te” e un eccesso di libertà nel trascriverla a proprio piacimento. Una discrezionalità licenziosa che sposta una lingua d’arte nel recinto dei semplici dialetti e le fa correre il rischio di perdere il suo prestigio letterario.
Ma il napoletano è undialetto o una lingua? Abbiamo chiesto ad Angelo Forgione. «Chiamiamolo come preferiamo, ché comunque non sbagliamo. Piuttosto, commettiamo errore se lo rendiamo rozzo e se ci vergogniamo di parlarlo, finendo per favorire la cancellazione delle differenze per le quali l’Italia è peculiare. Mi sono impegnato a scrivere questo duplice saggio perché ho profondamente studiato da una parte la storia della lingua napoletana, che racconta quella assai complessa di Napoli, e dall’altra la grammatica napoletana, con particolare attenzione all’ortografia, che vanno comprese se davvero si vuole proteggere il napoletano da un certo declassamento minacciato dall’anarco-scrittura imperversante. Tutto andava fissato in un saggio. Il Napoletano si è fortemente italianizzato dal Novecento in poi, e si è persa la memoria di parole antiche bellissime. Ma il vero problema, oggi, è l’assenza di cura per la scrittura napoletana. Questo mio nuovo saggio deve finire nelle mani di tutti quelli che amano la lingua napoletana e magari hanno anche voglia di scriverla correttamente. Napolitiamo è lo strumento adatto per farlo».
Napolitiamo è il mio sesto libro. Di presentazioni ne ho fatte tante, ormai, dal 13 maggio del 2013 a qui. Ma quella di ieri alla libreria Feltrinelli di Chiaia, nel salotto di Napoli, è stata davvero la più bella e coinvolgente. Lo è stata perché la più napoletana che potessi pensare.
È stato uno spettacolo, non una presentazione. E la protagonista è stata la lingua napoletana, impronta digitale dei napoletani. L’abbiamo onorata con le riflessioni, le recitazioni e le canzoni; tutto al ritmo del battito di cuore dei presenti, tantissimi, attentissimi, partecipi e compiaciuti.
Le lusinghiere parole di Maurizio de Giovanni per il mio lavoro e per questo mio Napolitiamo, da egli definito «opera titanica», ad aggiungere valore alla già significativa e preziosa prefazione e al dibattito su Napoli e il suo logos.
La piacevolissima esecuzione delle canzoni classiche di Fabrizio Mandara, vera rivelazione dell’ultima stagione de La Radiazza di Gianni Simioli, e la bravura scenica di Masaniello (Errico Liguori), con tutto il suo travolgente carisma.
La gradevole conduzione e presenza di Ilaria La Mura.
Napoli, il napoletano e l’identità.
Come l’avevo immaginata e scritta, così questa presentazione-spettacolo si è palesata.



4 luglio – Cancello ed Arnone (Caserta)
ore 19:00, Villa Comunale
“Napoli tra Sport e Cultura” (rassegna “I Colori dell’Estate”)
9 luglio – Napoli
ore 18:00, Feltrinelli Chiaia (via santa Caterina a Chiaia, 23)
presentazione Napolitiamo
(con Maurizio de Giovanni, Fabrizio Mandara ed Errico Liguori in arte Masaniello)
12 luglio – Quartu Sant’Elena (Cagliari)
ore 18:00, Sala degli Affreschi dell’Ex Convento dei Cappuccini (via Brigata Sassari, 35)
presentazione Napolitiamo

Angelo Forgione – Una vera fatica. È il mio saggio storico-didattico sul napoletano, lingua d’arte di reputazione internazionale, con cui è stata prodotta una vasta tradizione di scrittura colta e sono state espresse alcune forme artistiche di Napoli che nessun’altra città vanta tutte insieme, dalla musica al teatro, dalla poesia al cinema.
Lingua romanza come l’italiano, figlia del latino ma porosa come l’intera cultura partenopea, in cui ne convivono armoniosamente diverse altre. Idioma con una storia legata a specifici fattori politici e culturali che nei secoli hanno esercitato la loro azione in una città che nel periodo della “questione della lingua”, dal Cinquecento all’Ottocento, è stata la più affollata e dinamica d’Italia, con gran divario rispetto al cuore di un volgare, il tosco-fiorentino, che proprio in quei secoli ha fatto più carriera degli altri, divenendo la lingua di tutti gli italiani.
La grande Napoli ha lasciato fare la più piccola Firenze, e ha pure contribuito ad avviarne la spinta linguistica. E però si è presa la sua rivincita continuando a “parlare” al mondo con le sue tante espressioni, non solo artistiche, veicolate dal logos territoriale, che della città partenopea definisce la condizione identitaria più che altrove per continuità di tradizione e per livello di utilizzo.
Il problema della lingua di Napoli di oggi non sta nel preservarne l’uso orale ma nel proteggerne la scrittura dalla proliferazione di un’ortografia “fai-da-te” con la quale una lingua d’arte, regolata dalla radice latina e modellata dai tanti testi colti scritti nei secoli, viene spostata nel recinto dei semplici dialetti, privandola del suo prestigio letterario.
La prefazione di Maurizio de Giovanni rafforza la necessità di porre un argine al pericolo che il napoletano, lingua sotto attacco, sta correndo nel nostro presente.
Due guide in un libro, tra storia e didattica.
La parte storica racconta, ed è frutto di una rigorosa ricostruzione dell’evoluzione nei secoli dell’idioma partenopeo, anche in relazione all’affermazione della lingua italiana, e quindi del percorso linguistico di Napoli rispetto a Firenze.
La parte didattica insegna, ed è un completo prontuario grammatico per l’apprendimento di una ortografia napoletana corretta, a beneficio di coloro che vogliano minimamente padroneggiare la scrittura della bella lingua d’arte con cui Napoli, da secoli, parla al mondo.
Leggiamo. Scopriamo. Impariamo. Napolitiamo! Il presente indicativo della lingua di Napoli.



È stato un 10 maggio davvero indimenticabile a La Feltrinelli di Napoli. Due compagni di altissimo profilo umano a tenere messa al mio fianco, tanti amici affettuosi e insostituibili, tanti lettori appassionati e un’energia speciale che si tagliava a fette.
La mia quinta “prima”, indimenticabile come quella d’esordio di nove anni fa, nello stesso posto e con qualcuno che negli anni non se n’è persa una. Una serata che non dimenticherò mai per le tante emozioni avvertite, qualcuna davvero “oltre”, prolungata fino a notte fonda, quando le tante parole sull’amata Napoli prodotto da me e dai preziosissimi Maurizio De Giovanni e Domenico Sepe erano già consegnate da diverse ore all’archivio della mia, spero, dignitosa storia di scrittore saggista.
Manca una foto, la più importante: quella della platea. Eravate tanti.
Tutto perfetto. Il mio cuore vi dice un solo immenso “grazie!”.
Ph: Adriano Pastore













Il 10 maggio del 1734, alle ore 15.30 circa, Carlo di Borbone giunse a Napoli da Aversa. La città tornò ad essere capitale di un regno autonomo. Il nuovo re smontò da cavallo nella zona di Portacapuana, dove si accomodò su un baldacchino per essere benedetto al canto del Te Deum da alcuni frati. Poi pranzò, si riposò e alle 19 fu accompagnato al Duomo per la benedizione del cardinale Pignatelli ai piedi di San Gennaro, al quale fece omaggio di una preziosa croce di rubini. Compiuta la cerimonia, il sovrano raggiunse a cavallo il suo nuovo alloggio a Palazzo Reale.
NAPOLI CAPITALE
Il 10 maggio del 1987, alle ore 17:47, fu fischiata la fine della partita di calcio Napoli-Fiorentina. Il Napoli divenne Campione d’Italia, ed iniziò la più pazza festa per uno scudetto nella storia del calcio italiano. La città divenne un solo mare azzurro. La maglia azzurra numero 10 si fissò per sempre nel 10 maggio quale numero predestinato a guidare alla vittoria non solo una squadra ma un intero popolo, guidato da suo re, simbolo di una festa che durò per giorni nelle strade della città.
NAPOLI CAMPIONE
Il 10 maggio del 2022, alle ore 18.30, a La Feltrinelli di Napoli, presento “Napoli svelata”, il mio nuovo libro, con Maurizio De Giovanni e Domenico Sepe. Quale data migliore?
NAPOLI SVELATA
evento facebook qui

Angelo Forgione — Con gran giubilo tra i napoletani, i coniugi Mertens di Lovanio hanno data compiutezza alla loro aderenza partenopea assegnando al loro primogenito un nome assai diffuso nella provincia di Napoli, dove è concentrata più della metà dei Ciro nazionali. Come sempre, è la storia antica della Città a spiegare il perché di questa tipicità locale.Si tratta di un nome che riconduce al tempo della Neapolis greco-romana. Già i Greci conoscevano il nome Κυρος (Kyros), dal persiano Kūrush. In quella città piena di opportunità si stabilì una comunità di Alessandrini d’Egitto per fare gran commercio, anche durante l’epoca romana, quando Nerone ne stimolò l’ingrandimento. Quegli africani vivevano nel quartiere Regio Nilensis, dove oggi troneggia l’antichissima statua del dio Nilo. Alcuni si chiamavo Kyr, come anche il martire di Alessandria Abba Kyr, cioè “padre Ciro” in lingua copta, ovvero san Ciro.
Abba Kyr dà il nome ad Aboukir, la località sull’omonima baia egiziana nei pressi di Alessandria, famosa per una sconfitta di Napoleone, dalla quale gli Alessandrini partivano per raggiungere Napoli. Furono loro a edificare anche un tempio in suo onore nei pressi della statua del Nilo. Alcuni di loro, evidentemente, si chiamavano Kyr, come i greci Κυρος e poi i napoletani Ciro.
Le reliquie e i resti di Abba Kyr, morto nel 303 d.C., furono traslati da Alessandria a Roma nel X secolo, e nel Seicento nella chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, la più popolosa città dell’Europa barocca, dove ancora erano presenti molti mercanti Alessandrini, contribuendo a diffondere la devozione verso san Ciro nel popolo napoletano e non solo, visto che il Martire è peraltro patrono di Portici e Nocera Superiore. Le spoglie del Santo alessandrino si trovano tuttora a Napoli.
Dries e Kat potevano far nascere il loro primogenito in Belgio e potevano dargli un nome fiammingo, e invece gli hanno dato la luce a Napoli e un primo nome “partenopeo”. Perché Napoli li ha formati, e loro si sentono ormai per metà napoletani.
Ovunque saranno, da oggi e per sempre, Ciro Romeo, frutto del loro amore shakespeariano, sarà sempre il figlio che hanno voluto, e come l’hanno voluto: napoletano!
Una domanda, a questo punto, la farei: ma Dries Mertens e Signora cosa devono fare più per avere la cittadinanza onoraria napoletana?
Squadra pronta. Da stasera diamo il via a “TERZO TEMPO”, una nuova avventura televisiva. Ore 22 su Tele A.
Streaming: www.teleatv.it
Copertura dgtv: Campania, Lazio, Puglia, Molise, Abruzzo, Marche, Umbria, Basilicata e Calabria.
