Angelo Forgione – Mario Mazzoleni da Bergamo, ex fenomeno dell’AIA, tifoso dell’Atalanta e fratello del discusso VAR Paolo Silvio Mazzoleni, interpellato dal Corriere di Bergamo sulle polemiche attorno al match di Serie A tra il Napoli e l’Atalanta, ha dichiarato che i napoletani sono ingiustificabili perché non hanno nulla di cui lamentarsi, ma sono abituati alle sceneggiate.
Dite a Mario Mazzoleni che i casi da rigore in Napoli-Atalanta sono tre, non uno, di cui uno indiscutibile, e non è quello del placcaggio di Kjaer su Llorente ma quello del tocco di braccio di Toloi al 93′.
Ditegli che non più di dieci giorni fa, l’allenatore della sua squadra del cuore, Gasperini, si lamentava pesantemente dei rigori assegnati alla Lazio nella partita pareggiata 3-3 all’Olimpico, e che sempre all’Olimpico, qualche mese prima, dopo la finale di Coppa Italia, era stato ancora Gasperini a lamentarsi del rigore non fischiatogli per fallo di mano del laziale Bastos.
Dite a Mario Mazzoleni che le sceneggiate, nel calcio, le abbiamo viste negli stadi in cui giocava l’Atalanta di Doni e nelle strade di Bergamo, dove i tifosi orobici sfilarono per gridare il loro sostegno all’amato capitano implicato in associazione a delinquere dedita alla manipolazione dei risultati sportivi, salvo poi abbandonarlo quando le accuse si fecero schiaccianti.
Ditegli che ricordiamo tutti quell’anziano tifoso bergamasco davanti le telecamere di La7 che gridava «L’Atalanta è una società seria, noi non siamo napoletani…» per sostenere la presunta innocenza del truffatore Cristiano Doni, antitesi dell’onestissimo napoletano Fabio Pisacane, che diveniva ambasciatore FIFA per aver denunciato un tentativo di combine e aperto così le indagini sul calcioscommesse.
Per non parlare del bergamasco di sangue Beppe Signori, radiato dalla Giustizia sportiva (da ritirato) per riciclaggio di denaro sporco e rinviato a giudizio penale per associazione a delinquere, poiché capo di un gruppo di scommettitori incalliti che istigavano vari calciatori a combinare le partite e sostenevano economicamente un altro gruppo operativo composto da calciatori e faccendieri slavi.
Diteglielo a Mario Mazzoleni; hai visto mai che abbia dimenticato la penalizzazione di 6 punti che l’Atalanta subì per le sceneggiate del capitano Doni e dei suoi tifosi. L’ingiustificabile Atalanta, non il Napoli.
Mario Mazzoleni provò la strada politica del secessionismo leghista dopo essere uscito dall’AIA, candidato al consiglio comunale di Alzano Lombardo. Finì di arbitrare dopo essere stato sospeso per quattro mesi nel maggio del 2007 per aver violato le norme del regolamento AIA che richiamavano alla rettitudine al di fuori dall’attività arbitrale. Lui chiarì a “Striscia la Notizia” di essere stato invitato dall’allora designatore Mattei di “irretire” i giocatori della Lazio contro il Cagliari, visto che Lotito si lamentava troppo. La partità finì 1-1 con due espulsioni per i laziali. Finita la sospensione, ne ricevette subito un’altra, fermato per sei mesi per aver fatto il gesto dell’ombrello e urlato “bastardo” all’indirizzo di Claudio Lotito al termine della partita Atalanta-Lazio alla quale assistette da spettatore in tribuna.
Lui dice di aver sbattuto la porta e di essersene andato spontaneamente, e con piacere, perché non condivideva la gestione per nulla trasparente dell’AIA.
Carriera a parte, sostiene, Mario Mazzoleni, che che l’episodio più sporco della storia del calcio è “la mano de Dios” di Maradona, simbolo del Napoli, non della Juventus o delle milanesi. Scorrettissimo, vero, ma almeno Diego non ne ha mai fatto mistero, anzi, se ne vanta ancora per questioni politiche. Poi se il goal di mano lo fa Rapaic e non aiuta l’orbo Nicchi che gli chiede di confessare, e lui dice di averla presa con la guancia, è solo un Rapaic qualsiasi, neanche simbolo del Perugia, mica Maradona, simbolo del Napoli e del calcio, che ha bisogno dei Maradona, non dei Doni, dei Moggi e dei Mazzoleni vari.
Il Napoli vince il derby delle Due Sicilie con una rotonda tripletta e parte col piede giusto in campionato. Partita senza veleni nonostante un rigore non fischiato al Palermo per fallo di Maggio su Cetto che però ha calciato. Poche le proteste e grande onestà intellettuale di Sannino che ha riconosciuto senza esitazioni la superiorità schiacciante degli avversari. È questo il calcio che piace e che fa dimenticare per un attimo gli orrori e le nefandezze di Paolo Silvio Mazzoleni e le ombre cinesi di Pechino con cui ci eravamo lasciati prima di Ferragosto. Lo abbiamo ritrovato a dirigere la primissima partita del campionato tra Fiorentina e Udinese senza che il designatore Nicchi si sia posto il problema di sospenderlo. Un arbitro viene sospeso quando si rivela inadeguato al ruolo e con tale atto se ne certificano gli errori. È quindi chiaro che l’A.I.A. ha così “dichiarato” che l’arbitraggio di Mazzoleni fu corretto e, per punire il Napoli che se n’era andato sotto la doccia, l’ha pure promosso per il “vernissage” di Firenze.
Angelo Forgione – Dobbiamo rendercene conto. Napoli è una nuova nemica giurata della Juventus, al pari delle forze economiche di Milan e Inter. Come lo è diventato se i capitali messi in campo dal fastidioso De Laurentiis non sono ingentissimi? Non solo per la competitività gestionale e quella tecnica espressa in campo in questi anni, non solo per la sottrazione della stella d’argento sulle maglie bianconere, ma anche e soprattutto per quella grande spina nel fianco del corpo juventino che fa sanguinare: la giustizia, ordinaria e sportiva. Napoli è detestata perchè la sua Procura della Repubblica ha condotto il processo di “calciopoli” che ha fruttato la Serie B e cancellato due scudetti, ovvero la famigerata terza stella della discordia. Napoletani sono l’ex procuratore Lepore, il PM Narducci e il Tenente Colonnello Auricchio così come napoletano è il procuratore federale Palazzi, grande accusatore dei prosciolti Bonucci e Pepe ma soprattutto dello squalificato Conte (solo per ora, ma la squalifica in panchina è comunque una farsa) cui, non a caso, è stata dedicata la vittoria. Napoli è odiata dalla Torino e dall’Italia bianconera e deve pagare per il sangue versato, per i continui “fastidi”. Mettiamoci poi un De Laurentiis ingombrante e i fischi all’inno nazionale italiano che Abete, Petrucci e l’Italia intera non hanno gradito. A Pechino Napoli ha pagato e, col senno di poi, ognuno discerna se sia stata solo sfortuna o se l’avvertimento sia stato recapitato tramite un corriere col fischietto tra le labbra.