Gaffe della RAI sulla storia d’Italia

Angelo Forgione – Un po’ di relax natalizio davanti la tivù e al quiz L’Eredità spunta la domanda di storia d’Italia: “Nel 1869, con quale frase Cavour avvertì l’ambasciatore piemontese che Garibaldi era entrato a Napoli?”

Salto dal sofà. Doppia gaffe in un sol colpo!

La prima, grave… Nel 1869? La spedizione dei Mille di Garibaldi collocata ben otto anni dopo l’unità d’Italia? L’invasione del Regno delle Due Sicilie prima della proclamazione del Regno d’Italia? E Cavour ancora in vita nel 1869, allorché era già defunto, anch’egli come il Regno delle Due Sicilie, da otto anni?

La seconda… Cavour non scrisse a un non meglio identificato “ambasciatore piemontese” ma a Costantino Nigra, che non era ambasciatore ufficiale ma, da buon massone anch’egli, un inviato in missione segretissima a Parigi per condurre l’alleanza tra Napoleone III e Vittorio Emanuele II contro gli austriaci, trama rivelata dalla lettura dei riservati carteggi tra gli stessi Cavour e Nigra. In Francia, l’inviato era in veste ufficiale di “ministro residente” e solo dopo il 1861 fu nominato ufficialmente ambasciatore italiano (non piemontese) a Parigi.

Dunque, gli autori del quiz della rete ammiraglia della Rai inciampano sulla storia d’Italia, e pure il conduttore Flavio Insinna non corregge l’anno della clamorosa doppia gaffe. Ma questi lo salviamo per l’ironia mostrata aggiungendo innocentemente «buon appetito, li mangeremo (i Napolitani)», perché proprio queste erano le intenzioni per nulla pacifiche di Cavour e la sua “intelligence”. Il 26 giugno 1860, infatti, dopo la conquista di Palermo, Cavour scrisse a Nigra: “I maccheroni non sono ancora cotti, ma le arance sono già sulla nostra tavola e noi siamo ben decisi a mangiarle”. Lo statista piemontese parlava bellicosamente di arance e maccheroni per riferirsi metaforicamente alla Sicilia, già presa da Garibaldi e i suoi, e al regno peninsulare di Napoli, ancora da prendere. Dopo che la capitale delle Due Sicilie fu presa, in data 7 settembre, l’avviso a Nigra fu: “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”. E ancor si mangia… a Mezzogiorno.

La lavatrice del Regno di Napoli

Angelo Forgione – Tra le cinque rivoluzioni borboniche chiarite in Made in Naples (Magenes, 2013) vi è anche quella industriale, e si fa menzione di ciò che l’Archivio di Stato di Napoli conserva e testimonia circa la produzione del Regno della Due Sicilie, lavatrici comprese. Sì, certo, a Napoli, nel 1850, i panni sporchi si mettevano già in lavatrice. Due, per la precisione, e di quelle enormi, che lavavano 2000 lenzuola e 1000 camicie a ciclo.
Nella pubblicazione Disamina eseguita dal Reale Istituto d’Incoraggiamento de’ saggi esposti nella solenne mostra industriale del 30 maggio 1853 (Napoli, 1855), al capo quinto “Macchine e strumenti vari, grandi meccanismi.” è descritto lo “Apparecchio per far bucato del signor Luigi Armingaud“, la prima lavatrice italiana e probabilmente la prima meccanica a motore in assoluto. Installata nel 1851 nel Real Albergo dei Poveri, era in grado di lavare 2000 lenzuola. Un modello gemello era installato nell’asilo di Santa Maria della Vita, e lavava 1000 camicie. Non esistevano ancora i detersivi moderni, chiaramente, ma per quegli apparecchi si utilizzava il “ranno”, un miscuglio di cenere di legno e acqua bollente.
Nella Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie del 1851, al numero di ordine 2345, si legge che Ferdinando II, il 7 ottobre 1850, concesse “al Signor Luigi Armingaud privativa di anni cinque ne’ nostri reali dominii al di qua del Faro […] per l’introduzione della nuova macchina detta Turbine idraulico a spirale perfezionata, con la espressa condizione che debba valere pe’ soli turbini costruiti negli opificii del Regno […]”.
Tradizione rispettata, dal momento che la fabbrica di lavatrici Whirlpool di Napoli, qualche anno fa, è stata dichiarata la migliore tra le 66 del gruppo disseminate nel mondo.

armingaud

l’Eredità… borbonica

Angelo Forgione È un semplice quiz quello sui primati di Napoli proposto da L’Eredità di Rai Uno, ma deve far riflettere. Otto primati, e ce ne sarebbero altri cento, tutti d’epoca borbonica. Altro che “uè uè”! Certo, molti napoletani sanno e talvolta abusano, ma se il quiz è della rete ammiraglia della tivù nazionale, allora l’elenco assume interessanti spunti di riflessione.
Qual è, dunque, l’unico primato che non appartiene a Napoli tra quelli proposti? Il primo giardino zoologico (Roma), che è una questione del Novecento. Morale della favola: Napoli arriva prima da capitale, in epoca preunitaria, e arretra da capoluogo di regione, in quella unitaria.
Mi rifaccio ancora una volta, instancabilmente, a ciò che ho scritto in Made in Naples: “L’eredità borbonica è apprezzata, ma chi l’ha lasciata molto meno. Il paradosso è che il periodo di Napoli capitale è proprio il più accusato e travisato della storia della città. Si evidenziano continuamente i primati e i lasciti dei Borbone, che, invece, per un contorto modo di raccontarne le vicende, vengono descritti dalla corrente storica tradizionale come l’immagine della tirannia e dell’arretratezza. Solo i più superficiali possono ignorare che qualcosa non quadra!”.
Stupisce (si fa per dire) che il primato del San Carlo sia opzionato dai concorrenti solo alla sesta scelta, per non parlare della prima linea ferroviaria, settima scelta.
Ricordo comunque che Carlo di Borbone allestì nei giardini della Reggia di Portici un personalissimo giardino zoologico, dove ospitò animali esotici e feroci. Particolare attrazione rappresentò un Elefante indiano scambiato col sultano ottomano Maometto V per delle tavole di marmo pregiato. L’animale suscitò grande curiosità nelle persone che, fino alla sua morte (1756), si recarono a migliaia a Portici per vederlo, pagando una mancia al suo custode. Lo scheletro è conservato nel Museo zoologico di via Mezzocannone in Napoli e un suo ritratto, dipinto da Pellegrino Ronchi, è esposto alla Reggia di Caserta.
Non è comunque la prima volta che la redazione de L’Eredità spulcia nella storia di Napoli. Basta ricordare le domande sul bidet di Maria Carolina alla Reggia di Caserta e sul Corsiero del Sole, simbolo di Napoli, con citazione di chi scrive.

Grazie Crozza, ma anche la storia perde i pezzi

Angelo Forgione – Non può che farmi piacere che Maurizio Crozza metta anch’egli in evidenza il degrado della Reggia di Caserta, tra scarsa manutenzione e vandalismi di ogni genere. Non può che rallegrarmi che sottolinei come l’Italia abbia completamente trascurato la sua ricchezza a differenza dei Paesi civili («Francesi, prendete in gestione la Reggia vanvitelliana, fatela diventare il sito più visitato in Europa come avete fatto con il Louvre, salvatela dal degrado»). Non può che appagarmi che da quando ho parlato di sua maestà il bidet di Caserta (anche prima di trattare il caso Amandola in vari convegni e riunioni), lo strumento è stato riportato da allora dappertutto, persino nei quiz-tv, recependo che nella Reggia si trovino testimonianze di incredibili modernità. Tutto bene, grazie Crozza… però… c’è un però: non può farmi piacere che derida chi quella ricchezza l’ha voluta, e non fu certo Maria Amalia di Sassonia, connotandolo con mimica e parlata da troglodita. Si, la colta Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, una volta giunta a Napoli, riempì le stanze di libri, ma il presepe era anche una passione della “preceditrice” Maria Amalia di Sassonia, e aveva una funzione culturale inimmaginabile al giorno d’oggi. Servì da stimolo a una pluralità artistica incredibile: pittori, architetti, ceramisti, sarti, musicisti e scultori, tra cui anche Giuseppe Sanmartino, autore per il Principe di Sansevero del Cristo velato, considerato il più eclettico tra gli scultori napoletani del Settecento e fondatore di una vera e propria scuola di artisti del presepe. Divenne simbolo popolare di ostentazione di nuove opportunità e fu strumento di diffusione culturale delle novità napoletane che nel Settecento stavano rivoluzionando le correnti intellettuali europee, a cominciare dagli scavi di Ercolano e Pompei. Ridurlo a “pazziella” e dire che metà reggia era disseminata di futili presepi è di fatto una gaffe.
Ci tengo a ricordare all’ottimo Crozza che la Reale Accademia Ercolanense che attirò il bibliotecario tedesco Johann Joachim Winckelmann fu un’intuizione di Carlo di Borbone e che il pur poco incline alla lettura Ferdinando IV avviò la sistemazione del Real Museo di Napoli, il primo d’Europa, oggi Museo Archeologico Nazionale, con annesse la Biblioteca degli Studi… nel 1777, un ventennio prima della realizzazione del museo del Louvre voluto da Napoleone.
Grazie Crozza per la sensibilità nei confronti del simbolo dei monumenti del Meridione, ma, cortesemente, basta denigrare i napoletani.
Un’ultima cosa: ancora quasi perfetto il comico genovese nel citare Goethe che scrisse “L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero”. Ma non era il 1788, come erroneamente riferito dai suoi autori, anno in cui concludeva il suo primo viaggio in Italia iniziato nel Settembre 1786. Quella frase fu scritta nel 1790, anno in cui il letterato tedesco provò a ripetere il viaggio che l’aveva entusiasmato, soprattutto al Sud. Quella frase la scrisse a Venezia, da dove decise di fermarsi e fare rientro in patria perché disgustato per l’inasprirsi repentino dell’indisciplina delle persone e del sudiciume dei luoghi. I suoi appunti furono una condanna per il Triveneto, che gli fece passare la voglia di proseguire in direzione delle amate Roma e Napoli.
Regalerò a Crozza il mio libro prossimo all’uscita in libreria, dove leggerà di tutte queste cose e d’altro ancora, in forma di ringraziamento per la sua denuncia… con qualche “errore”. La Reggia muore perché Roma le gira solo un quinto di quanto incassa al botteghino. Qualcosa non torna, in tutti i sensi, anche nella narrazione della storia, che, come i monumenti, è trascurata. Ed entrambe fanno cultura.

Al quiz “l’Eredità” spunta l’oggetto sconosciuto a forma di chitarra

Angelo Forgione – Nel Dicembre 2009 iniziai a parlare del bidet della reggia di Caserta con un articolo e un video per iniziare a rispondere con ironia mista a verità storica ad un certo razzismo verso i napoletani. Sapevo che quell’aneddoto avrebbe fatto presa perché era carico di sarcasmo e ogni volta che lo raccontavo in pubblico puntualmente scattava la risata generale. Ogni tanto spuntava l’occasione per rafforzare il concetto e poi è arrivato il collega Giampiero Amandola a sorridere della puzza dei napoletani, respinta con l’arma letale sfoderata nuovamente nel video virale di denuncia. E da li, a cascata, servizi dei telegiornali, tweet di Roberto Saviano a fare da gran cassa di risonanza e risposta piccata di Massimo Gramellini ad ingigantire con tanto di dibattito spostato sui social network. Uno sdoganamento irrefrenabile testimoniato anche dal quiz di Rai Uno “L’Eredità”, puntuale a rimorchio.
E la battaglia culturale continua. Nella nostra Storia, di “storielle” come quella del bidet ce ne sono tantissime, anche se non così pregne di richiamo. Potevo mai evitare di impegnarmi a scriverne un libro?