Il Mezzogiorno sempre più Europa dei poveri

Angelo Forgione“Scurdammoce ‘o ppassato”, dice un’ecumenica canzone napoletana che richiamava il popolo del dopoguerra alla rinascita e alla riscoperta delle cose belle della vita. Utile esortazione all’oblio quando c’è da mettersi alle spalle un doloroso trascorso, se c’è un presente migliore da potersi godere. Ma il passato proprio non si può dimenticare quando è una ferita aperta. Il passato, quando è presente, preannuncia il futuro prossimo e quello remoto, e allora hai voglia a chiedere a un meridionale di dimenticarlo quando la “Questione meridionale” resta sempre aperta e si aggrava. Può semmai essere solo una battuta in una trasmissione comica della tivù nazionale per distendere il pensiero dopo un intervento di riflessione meridionalista, e va bene così.
Nessuna disputa regionale all’interno dei singoli Stati europei ha mai prodotto qualcosa che si avvicini, per ampiezza di territorio interessato e persistenza nel tempo, alla “Questione meridionale” italiana. Il fatto è che il dualismo d’Italia non ha eguali in Europa, per dimensioni e continuità di sedimentazione, e si fa più drammatica nel presente che sembra eternità.
A dirci quanto i meridionali non debbano dimenticare il passato ci pensa il prossimo bilancio a lungo termine dell’Unione europea, quello dei fondi 2021-2027, programmato sulla scorta delle statistiche Eurostat circa il PIL pro-capite delle regioni europee, che indicano ancora che Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Molise, Sardegna e Basilicata sono le più povere d’Italia, ma anche tra le ultime d’Europa, quelle con reddito pro-capite inferiore al 75% della media europea, messe meglio solo di qualche colonia francese d’oltremare e di alcune aree dell’est.
La situazione continua a peggiorare, poiché Sardegna e Molise, che nella scorsa programmazione erano un gradino più sù, tra le regioni “in transizione”, cioè tra il 75% e il 100% della media europea, retrocedono tra quelle “meno sviluppate”. E le cose non vanno meglio al Centro con il declassamento di Umbria e Marche.
Le regioni del Nord, invece, continuano a viaggiano a un PIL pressoché doppio, con Trentino-Alto Adige, Lombardia, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna in testa a una situazione complessiva di relativo benessere.

pil_procapite_2018

Il Mezzogiorno è sempre più povero, aggravandosi la condizione di una delle macroaree più arretrate nell’ambito dell’Eurozona, la meno cresciuta nei primi venti anni del XXI secolo. Eppure oggi in Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata si estraggono e si raffinano buone percentuali del fabbisogno nazionale di petrolio, benzina, gasolio e gas. La Basilicata, ad esempio, è la regione più ricca di petrolio in Europa, ma la più spopolata d’Italia. Le royalties, le quote percentuali per lo sfruttamento dei pozzi che le compagnie petrolifere “concedono” alle casse regionali del territorio di estrazione, sono tra le più basse del pianeta, veramente inique rispetto al ritorno economico, non utili a una sensibile ricaduta virtuosa sul territorio di sfruttamento.
È evidente che qualcosa non torna in un Meridione che è sempre più una colonia energetica e commerciale da sfruttare, e sono i soldi. Il termometro di questa condizione di colonialismo interno è fornito dalla Sardegna, ora retrocessa, ma mai stata più solida delle altre regioni meridionali che ha raggiunto in fondo. Non lo era neanche nel 
2006, quando quelli dell’Unione Europea la pensarono diversamente e, conclusa la prima programmazione comunitaria del 2000, la esclusero dall’Obiettivo 1, il livello massimo di fondi strutturali destinati al recupero delle regioni europee meno sviluppate, per promuoverla tra quelle “in transizione”. I livelli di reddito e PIL pro-capite sardi erano leggermente più alti delle altre regioni del Sud solo per l’incidenza della Saras (Società Raffinerie Sarde) sulla percentuale di ricchezza prodotta nell’isola. La realtà è che, allora come oggi, la Saras Spa, alla quale va aggiunta la controllata Sarlux Srl, è nettamente e per distacco la prima azienda regionale per fatturato. I proventi delle attività della famiglia milanese Moratti vanno in Lombardia e tornano in Sardegna solo per quanto consumato sul territorio di produzione, ovvero un quarto della raffinazione complessiva. In un periodo di bilanci floridi, la Saras fece lievitare l’indice del prodotto interno lordo isolano senza alcun beneficio diretto sul posto, e privò di fatto la Sardegna dei fondi comunitari nelle programmazioni 2007-2013 e 2014-2020. E intanto la grande Isola restava molto più distante dal continente di quanto non dicano i circa 450 chilometri di Mar Tirreno da compiere per andare da Cagliari a Civitavecchia. La Sardegna è ancora l’unica regione d’Italia in cui non ci sono autostrade, ma solo strade a scorrimento veloce. Solo per il 2021, salvo ulteriori ritardi, è preannunciata la fine dei lavori della Strada Statale a scorrimento veloce Sassari-Olbia, prima autostrada che possa dirsi tale.
L’Unione europea, leggendo gli ultimi indici del PIL pro-capite, si è dunque accorta che la anche la Sardegna è sostanzialmente un territorio nel baratro, e l’ha automaticamente e giustamente declassata ad area “meno sviluppata” (insieme al Molise), assegnandole una fetta di fondi più cospicua, cosa che avrebbe meritato anche negli ultimi quindici anni. Retrocessione causata da una lunga serie di bilanci in rosso della Saras dal 2009 al 2015, motivo anche di cessione del pacchetto di maggioranza dell’Inter FC da parte di Massimo Moratti nel 2013, dopo aver indebitato il club pur di vincere e far morire di collera juventini e milanisti, e fine della storia nerazzurra della famiglia, che negli anni Sessanta, proprio mentre si realizzava la Saras a Sarroch, aveva già lasciato i colori milanesi per sposare quelli rossoblu del Cagliari Calcio, e consentire alla squadra dell’Isola di vincere lo storico scudetto. Un tricolore utile all’industria lombarda e alla politica democristiana per propagandare il “Piano per la Rinascita della Sardegna”, un processo di industrializzazione, programmato e pilotato dal Governo di Roma, col quale pezzi di un paradiso terrestre furono consegnati all’industria altamente inquinante, quella petrolchimica, che tuttora continua a produrre i suoi danni ambientali.
Oggi il Cagliari è in mano a Tommaso Giulini, ex consigliere d’amministrazione dell’Inter e altro milanese dell’industria chimica, la Floursid di Macchiareddu, che produce fluoroderivati inorganici a Macchiareddu con lo sfruttamento di una materia prima sarda, la fluorite del giacimento di Silius.
Il popolo sardo è evidentemente dipendente da fattori esterni, che falsano l’economia del territorio. La Saras, dopo la sequela di bilanci in rosso, ben sette, è tornata a far segnare il saldo positivo. Un bene, sì, ma soprattutto per la Lombardia, la regione del Comune di Milano e quello di Brescia, detentori congiuntamente del 50% del capitale di A2A, la Società per azioni che gestisce l’inceneritore di Acerra, nel Napoletano. Il che significa che parte degli utili dallo smaltimento dei rifiuti campani finiscono direttamente ai due municipi lombardi, che possono metterli a bilancio e reinvestirli sui loro territori. Così, grosso modo, va l’Italia, e vedimmo e nun c’ô scurda’.

a “Le Iene” e “Linea Gialla” il dolore della Campania assassinata… non solo dalla camorra

Angelo Forgione – Mentre il Napoli perdeva a Londra e tutto il popolo azzurro trepidava per le vicende della squadra del cuore, andava in onda su Italia1 un reportage de Le Iene sulla tragedia casuata dai rifiuti tossici sversati nelle campagne tra Napoli e Caserta (clicca qui). Non una novità ma ulteriori venti minuti drammatici per chi non ha ancora capito a cosa è soggetto il popolo campano compreso in quel fazzoletto di terra.
Il titolo, banale, non era da programma di controinformazione: “la camorra uccide anche senza pistole”, ed è pur corretto, ma incompleto. Manca “con la responsabilità dell’industria del Nord nel silenzio dello Stato”. L’importanza dei titoli è insospettabile e non tutti sanno che nei quotidiani esiste la figura professionale del titolista che ha la responsabilità di indirizzare l’attenzione sul cuore dei problemi sviscerati dai giornalisti negli articoli. La camorra uccide senza pistole perché allettata dai facili guadagni ma lo Stato sa bene che il Centro-Nord e parte d’Europa smaltiscono da decenni i veleni delle aree industrializzate in Campania. Protagonista del reportage anche l’encomiabile Don Patriciello che ha sottolineato proprio che la visita dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi di qualche tempo fa è stata solo una comparsata che non ha fruttato alcun intervento. Balduzzi è proprio quel ministro che giustificò l’aumento dei tumori in Campania con le cattive abitudini alimentari, l’obesità e la sedentarietà.
Lo scorso week-end, Don Patriciello ha incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha esternato la sua solidarietà alle mamme dei bambini colpiti da questo avvelenamento programmato e si è mostrato come sorpreso, quasi disinformato, da una vicenda che sembra aver appreso all’improvviso. È comprensibile il ruolo delicato di Don Patriciello, già sopraffatto in un aula di Prefettura a Napoli dalla protervia dell’ex-prefetto De Martino che lo riprese con spocchia per aver chiamato “signora” l’omologa di Caserta, e si può intuire il perché il coraggioso uomo di Chiesa abbia ringraziato Napolitano, ma la gran parte del popolo napoletano che si riconosce in lui è solo lui che deve ringraziare: non deve dire “grazie” alle alte cariche dello Stato che sanno benissimo, e da vent’anni, cosa accade in Campania, che conoscono bene i motivi del duplice omicidio Alpi/Hrovatin, che sanno che la Campania è al centro di un traffico internazionale di scorie tossiche, e che non hanno speso una parola sull’argomento nei loro discorsi ricchi di retorica su un Paese allo sbando e senza compattezza. Processi e inchieste che negli anni hanno svelato le dinamiche perverse con cui sono state condotte le scorie nocive non sono segreti di Stato, e la solidarietà e la vicinanza alle mamme dei bimbi e tanto inutile quanto amara. Gli studi delle Commissioni d’inchiesta parlamentare allertano che intorno al 2060 ci sarà il picco di incidenza tumorale, paragonabile alla peste del Seicento. Una perizia dal geologo torinese Giovanni Balestri ha analizzato nel 2010 l’avvelenamento delle falde acquifere di Giugliano e delle zone limitrofe, indicando che nel 2064 ci sarà la piena delle precipitazioni in una falda colma di percolato e rifiuti tossici. Ogni forma di vita potrebbe essere estinta! Tutto ciò basterebbe per intervenire subito, senza se, senza ma e senza sterile solidarietà. Ciò che è stato fatto alla Campania è tragico e ci vuole poco a prevedere il futuro: nel 2061, saranno festeggiati con il biocidio campano i due secoli di Unità nazionale. Ci saranno voluti duecento anni a completare il percorso di distruzione di una Terra che ha civilizzato l’Europa. Prima occupata, poi derubata, infine inquinata. E i campani devono pure ringraziare?

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Fanghi tossici del Nord e rifiuti di Milano nel Casertano

Angelo Forgione – L’avvelenamento sistematico delle terre della Campania, e quindi dei suoi abitanti, continua senza sosta. Qualche giorno fa la Squadra Mobile di Caserta ha sequestrato a Trentola Ducenta un’area agricola, ancora oggi coltivata a ortaggi, trasformata in cimitero di veleni. L’attività investigativa ha portato alla luce l’esistenza di una vera e propria associazione criminosa ben integrata al clan dei Casalesi che sversava nel Casertano materiale di provenienza industriale dal Nord, arricchito da metalli pesanti altamente tossici quali cadmio, cromo e arsenico. Tutto finito nella falda acquifera e nei prodotti, quindi anche sulla tavola dei consumatori.
Nell’informativa che riassume le indagini del centro DIA di Napoli emergerebbe lo smaltimento illegale risalente al 2003 di circa 6.000 tonnellate di rifiuti urbani del “Consorzio Milano Pulita”. E viene in mente l’emergenza rifiuti di Milano nel 1995 e le parole dell’ex-sindaca del capoluogo lombardo Letizia Moratti che nel 2009 si recò ad Acerra con Berlusconi per inaugurare il discusso inceneritore. ”La Milano che è oggi qui a Napoli, è la Milano che mette a disposizione le sue tecnologie e le sue competenze in materia di innovazione…”, disse la Moratti che si vantò di aver portato la tecnologia lombarda ai campani mentre Bassolino e Iervolino erano lì a guardare. In realtà gli inceneritori sono conosciuti a Napoli almeno dal 1937, quando li proponeva la IFIR “Industria Forni Inceneritori Rifiuti” di Napoli con sede in Piazza S. Domenico Maggiore (fonte G. Bonelli). Ma questa è un’altra storia. O forse no.

Acerra, città di Pulcinella… e della raccolta differenziata

Acerra, città di Pulcinella… e della raccolta differenziata

il Comune napoletano esempio per il capoluogo. +52% in 12 mesi.

Quando i rifiuti si traducono in ricchezza, come è giusto che sia, o meglio in ticket da spendere nei negozi convenzionati. Succede ad Acerra, comune “riciclone” che ha vinto il premio “Start up” promosso da Legambiente quintuplicando in un solo anno la quantità di rifiuti differenziati, passando dal 10 al 62% di raccolta differenziata. Un dato lusinghiero se si considera che la “decorata” Salerno si attesta al 71%.
Dietro c’è la collaborazione fra la città e il Conai, il Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi, che ha curato la progettazione e l’avvio del sistema con il quale ogni tre mesi chi ricicla può avere dei ticket da spendere nei negozi della città che ospita il termovalorizzatore. Il modello adottato da Acerra consiste nella raccolta dei rifiuti fatta “porta a porta”, l’eliminazione dei cassonetti e la realizzazione di centri raccolta “tecnologici” in cui i cittadini  portano la propria spazzatura differenziata, la pesano e, grazie a un software che immagazzina i dati, ogni tre mesi possono recarsi in comune per ritirare i buoni ticket. Ottima la divulgazione e l’informazione dei cittadini ma anche la vigilanza del rispetto delle norme da parte della polizia municipale che assicura la pulizia delle strade.
Brava Acerra. Napoli, prendi esempio! Perchè non è più possibile vedere tanta sporcizia e tanta inosservanza delle regole, sia da parte dei cittadini, in special modo dei commercianti che sporcano le strade ad ogni ora del giorno, che da parte di chi sarebbe chiamato a sanzionare ma spesso chiude entrambi gli occhi. E il 17,7% di differenziata del capoluogo è un dato ancora troppo mortificante.

video: La condanna a morte del Meridione

boom di tumori al Sud, picco in Campania.

I dati sono chiari: forte aumento delle neoplasie in Campania! 9,2% tra gli uomini, 12,4 tra le donne. Queste le conseguenze del bombardamento ambientale cui è sottoposta quella che gli antichi romani chiamavano “Campania felix” per via della fertilità delle terre. Da qualche decennio, in quelle stesse terre vengono intombati illegalmente gli scarti industriali nocivi delle aziende di un nord che non solo non si accontenta di trattenere a sé la maggior quota della ricchezza prodotta ma lascia al Sud anche la maggior quota del proprio scarto nocivo produttivo.
Lo smaltimento illecito di rifiuti tossici riguarda in particolar modo la Campania dove l’area tra Acerra, Nola e Marigliano è stata denominata “triangolo della morte” e dove paradossalmente i cittadini dei grandi centri abitati come Napoli sono più al sicuro da malattie rispetto a quelli delle campagne comprese tra il Napoletano e il Casertano. Si tratta della “rotta tirrenica” dei rifiuti speciali che viaggiano da Nord verso Campania e Calabria, ma esistono anche una “rotta adriatica” che punta alla Puglia e una “rotta siciliana”.
È ormai accertato che l’Italia sia crocevia di traffici internazionali di rifiuti, provenienti dai paesi europei e destinati al Corno d’Africa. Ed è proprio a questo affare tra governi dei paesi industrializzati, mafie e massonerie internazionali, che, secondo fondate ipotesi, sono probabilmente legati gli omicidi del 1994 di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia. Un grosso affare scoperchiato che ha dei nessi con la situazione attuale, in Campania soprattutto ma in tutto il Meridione. A decidere sono sempre i poteri occulti che manovrano i fili dall’alto e stabiliscono destini di intere comunità. E così i traffici continuano mentre di bonifica dei territori inquinati neanche l’ombra.
Solo la miopia della disinformazione può indurre a pensare che l’emergenza rifiuti di Napoli sia il frutto dell’inciviltà dei cittadini che pure in situazioni di degrado diffuso finiscono per degenerare le proprie abitudini. Quel fenomeno non dipendeva dalla gente ma da qualcosa di più grande stabilito a tavolino decenni fa. Roberto Saviano ha provato a spiegarlo alla nazione ma qualcuno continua a fare orecchie da mercante. Ma se il centro di Napoli è ora libero da quella vergogna, i campani e i meridionali sono purtroppo chiamati a fare i conti con un disastro ambientale di cui non sono responsabili, subendone però  umiliazione, frustrazione e accanimento razziale da parte di chi accusa le vittime e non i carnefici, perchè di veri e propri carnefici si tratta. Malformazioni, infertilità, malattie e morti precoci sono già il conto che il Sud sta pagando e che diventerà sempre più salato nel prossimo futuro e in quello più remoto dei nostri figli. Solo che queste morti sono silenziose, non fanno rumore come una nave che affonda o una sparatoria tra pregiudicati. Ma la gente deve sapere cosa è accaduto, cosa sta accadendo e cosa accadrà.