––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Italy Unpacked è un programma di successo della BBC che incolla il pubblico britannico al teleschermo mostrando le bellezze d’Italia. Il critico d’arte inglese Andrew Graham-Dixon e lo chef italiano Giorgio Locatelli (un lombardo che lavora a Londra), esplorano le varie regioni d’Italia, condividendo con gli spettatori la loro conoscenza della cultura e della cucina del “Belpaese”. Il loro viaggio parte da Napoli, “un posto diverso da qualsiasi altro nel mondo”, dove i due protagonisti, dovendo condensare l’immenso mondo partenopeo in pochi minuti, hanno preferito immergersi nella cultura artistica e gastronomica della Napoli settecentesca, capitale del regno indipendente. Si parte con un giro su due ruote per giungere nell’abitazione dei discendenti di una famiglia aristocratica molto vicino alla corte borbonica, dove Locatelli prepara un delizioso “sartù”. Parlando di Grand Tour settecentesco, si passa poi all’arte presepiale, per culminare nel cuore dell’illuminismo e dell’esoterismo della Napoli dei Lumi, la Cappella Sansevero.
Il racconto è ricco di fascino e valeva la pena sottotitolarlo per gli affezionati frequentatori di questo blog e per i lettori di Made in Naples.
l’esemplare di Chiaia è identico a quelli “parcheggiati” a Palazzo Reale
Il Mattino online ha puntato i riflettori su una vasca di marmo, collocabile nel periodo di fine Settecento, abbandonata in via Cupa Caiafa alla Torretta di Chiaia (guarda il video). Roba che altrove finisce nei musei e che a Napoli, invece di indicare il triste degrado contemporaneo, potrebbe raccontare ai turisti l’avanguardia dell’igiene intima che la città mostrò all’Europa intera.
Si tratta, secondo il parere di Gennaro Rispoli, direttore del Museo degli Incurabili, di una vasca per bagnoterapie di malati e nobili. «È certo – ha detto Rispoli – che agli Incurabili, all’ingresso della Farmacia, abbiamo due vasche del tutto uguali a quella, e una è presente all’Elena d’Aosta. Napoli, nei secoli scorsi, rappresentava un’eccellenza per la storia della sanità e dell’igiene a Napoli e questa vasca, il cui modello si diffuse tra ‘500 e ‘700, lo testimonia. Faremo di tutto per sottrarla al degrado e per fermare la dispersione dei tesori artistici e sanitari in atto in città». E allora bisognerebbe farsi un giro nei cortili di Palazzo Reale, e precisamente sul viale a oriente sul lato mare, sotto i Giardini Pensili. Lì, poco prima di arrivare al piazzale che si affaccia sul Maschio Angioino, proprio all’esterno di un ufficio e non in una sala espositiva (eppure si tratta di Palazzo Reale), sono parcheggiate due vasche identiche a quella abbandonata a Chiaia. I turisti passano e fotografano increduli.
Queste vasche risalgono al periodo neoclassico scaturito dalla scoperta di Ercolano e Pompei, quello delittuosamente meno raccontato e valorizzato, se solo pensiamo alle condizioni di Piazza del Plebiscito, statue equestri del Canova incluse. Basta del resto visitare il bagno neoclassico del Re alla Reggia di Caserta, dove una più preziosa vasca di granito ha sostanzialmente lo stesso stile, anche se più ricercato, di quelle marmoree più spartane abbandonate qua e là a Napoli. Esemplari a Palazzo Reale, appunto, ma anche alla Farmacia degli Incurabili, a Villa Pignatelli e al presidio ospedaliero Elena d’Aosta.
Come si può pensare di risvegliare Napoli se due pilastri culturali come il neoclassico e l’igiene intima, corrente artistica e civiltà napoletane, vengono così offesi e dimenticati?
desidero esprimerLe il mio ringraziamento per tutto quello che ha fatto per la cultura Napoletana in questi cinque anni salisburghesi passati sotto silenzio italiano.
Mi piacerebbe che portasse i ringraziamenti dei Napoletani innamorati e consapevoli della loro storia, come Lei, agli organizzatori del “Festival di Pentecose” e agli austriaci che, oggi come 200 anni or sono, rispettano la cultura napoletana come non fa l’Italia.
Altresì, Le sono infinitamente grato per aver recuperato gli spartiti di musica sacra del convento dei Girolamini e quelli operistici del conservatorio di San Pietro a Majella, facendone trascrizione e trasferendo tutto ai giorni nostri, evitando così che tale patrimonio restasse nascosto.
C’è da augurarsi che nuovi impulsi giungano almeno dalla stessa Napoli in un futuro non troppo lontano.
A Piazza del Plebiscito, tra i due monumenti equestri borbonici, esiste uno schermo a scomparsa telescopica creato proprio per offrire alla cittadinanza gli spettacoli del San Carlo. Magari potessero essere proiettati simili capolavori invece di tenerlo in “stand-by perpetuo” sotto la pavimentazione(video).
Con infinita riconoscenza e stima.
s
Angelo Forgione
Movimento V.A.N.T.O.
(Valorizzazione Autentica Napoletanità a Tutela dell’Orgoglio)
Muti: «Riscoperti i Napoletani per omaggiare Mozart» «l’Europa rispetta Napoli, l’Italia se ne dimentica»
di Angelo Forgione
Pubblico in delirio e quindici minuti di standing ovation lo scorso fine settimana alla “Haus fur Mozart” di Salisburgo, città natale di Mozart, per Riccardo Muti a conclusione del suo progetto dedicato al “Settecento napoletano” nell’ambito del “Festival di Pentecoste” ruotato intorno a Napoli e alla cultura musicale espressa dalla città regina d’Europa per più di un secolo. In Austria, Muti ha trionfato negli ultimi cinque anni riportando alla luce i capolavori sconosciuti della grande scuola napoletana e della cultura partenopea “nascosti” presso il convento dei Girolamini e il conservatorio di San Pietro a Majella.
«Troppo spesso – ha detto Muti – Napoli fa parlare più per le sue disgrazie che per le sue qualità». A nome dei napoletani, il maestro ha ringraziato Salisburgo e il Festival di Pentecoste per l’occasione offertagli. «Per cinque meravigliosi anni, insieme alla Lange & Sohne, hanno prodotto opere e concerti facendo sì che si avverasse un sogno: far conoscere al mondo autori della scuola napoletana come Cimarosa, Paisiello, Traetta, Jommelli, Porpora, Mercadante, Hasse, senza i quali il genio di Mozart non sarebbe stato lo stesso. Avrebbe dovuto farlo l’Italia, ma non l’ha fatto. Tutto questo in una città come Napoli dovrebbe essere la normalità. Ovunque la città parla di questi capolavori, ci sono le chiese dove tanta musica sacra è nata, ci sono oggi le biblioteche musicali, al Conservatorio di San Pietro a Majella e ai Girolamini. E poi il San Carlo, il più bel teatro del mondo oltre che il più antico, così glorioso, il teatro dove è nato il fondamento dell’opera di Mozart. Luoghi che il mondo ci invidia e che noi, presi da problemi certo urgenti di vivibilità e sopravvivenza civile, spesso dimentichiamo».
Lo scorso anno, per sottolineare volutamente il debito che il giovane Mozart ha verso la scuola napoletana, accanto al napoletano Jommelli Muti pose proprio il salisburghese Mozart. «Sarebbe stato ugualmente il Genio che la Natura ha creato – dice il Maestro – ma diverso senza il contatto con la scuola napoletana. L’aver contrapposto la Betulia liberata di Mozart a quella di Jommelli indicò non solo le diversità ma soprattutto i punti di contatto. Il sovrintendente Flimm, dopo aver sentito “Il ritorno di Calandrino” di Cimarosa, mi disse: “Adesso capisco che Mozart non è piovuto dal cielo”».
Il patrimonio musicale del Settecento napoletano è stato dimenticato colpevolmente perché poi offuscato dal melodramma ottocentesco dell’opera risorgimentale di Giuseppe Verdi. «Il trionfo dell’opera popolare verdiana ha eliminato le radici napoletane dell’opera, fondamentali per la musica non solo italiana ma europea. La dimensione delle arie di Jommelli e l’uso del coro sono elementi illuminanti di un ingegno musicale che, pur non possedendo la genialità di Mozart, ebbe un influsso determinante nella musica del suo tempo».
Due parole Muti le spende per il conservatorio di San Pietro a Majella: «Il Conservatorio di Napoli – spiega il Maestro – è uno degli istituti di formazione musicale più antichi del mondo. Il primo direttore fu Giovanni Paisiello (anche autore dell’inno nazionale delle Due Sicilie) che riunì in un unico istituto, a Napoli, quattro collegi di grande importanza per l’intera Europa. In questi collegi operavano insegnanti, studenti e cantanti di altissimo livello, basti pensare a Farinelli, nonché importanti compositori tra qui Porpora, Jommelli, Leo, Piccinni, Traetta, Scarlatti e Pergolesi. La Scuola Napoletana fu una vera sorgente musicale per tutta l’Europa».
Da Napoletano fiero della sua storia, Muti ha inquadrato il progetto nel contesto storico spesso dimenticato. «La cultura musicale Napoletana si inserisce nel quadro del rapporto tra Napoli e Vienna, tra Regno delle Due Sicilie e impero austriaco che era connotato da rapporti culturali di primaria importanza non solo attraverso la musica. L’Austria si è proposta, e questo parla da se, dimostrandosi più rispettosa del suo e del nostro passato, della sua e della nostra cultura, di quanto non faccia l’Italia che è sempre troppo lenta a rispondere alle proprie esigenze culturali. Oggi come allora, gli austriaci si sono dimostrati molto aperti e rispettosi della cultura Napoletana».
Muti, che auspica un interessamento del nuovo sindaco di Napoli per far rivivere quello scrigno di tesori che è la città partenopea, a conclusione della sua avventura austriaca ha ricevuto un messaggio da Luigi De Magistris che si è dichiarato al suo fianco per far rinascere la cultura napoletana.
Salisburgo, in visibilio, ha ricambiato la riconoscenza del Maestro urlando “Grazie Muti”. Che presto lo faccia anche Napoli e l’Italia intera.