Referendum fallito. Sud spaccato. Napoli e Caserta non pervenute.

Angelo Forgione Come da previsione, il referendum sulla cessazione delle estrazioni nelle acque territoriali italiane alla scadenza delle concessioni è fallito per mancato raggiungimento del quorum. Ed è fallito, purtroppo, miseramente. Solo il 32,15% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne, meno di 1 su 3. Hanno vinto gli appelli alle astensioni di Matteo Renzi e Giorgio Napolitano. Hanno vinto gli incerti, i “sostenitori” del ni, quelli senza un’idea precisa e una posizione ferma da affermare, i disinteressati che non hanno esercitato il loro sacro diritto democratico e hanno reso vano l’85,84% dei Sì venuti fuori dello spoglio generale. Hanno perso i promotori della consultazione, i nove Consigli regionali di Basilicata, Puglia, Sardegna, Campania, Calabria, Molise, Marche, Liguria e Veneto.
Basilicata e Puglia le regioni con la maggiore affluenza al voto, ma solo i lucani hanno raggiunto affannosamente il quorum (il governatore pugliese Michele Emiliano, evidentemente, il vero sconfitto). In coda, Sicilia, Calabria, Campania e Trentino Alto Adige. Lo sfruttamento delle risorse marine del Meridione può continuare. La re-azione del Sud si traduce di fatto in un sostanziale disinteresse verso i fatti del Paese e in una concreta disaffezione politica. Forse è inevitabile in un territorio, afflitto da disoccupazione, analfabetizzazione e desertificazione, che difficilmente può essere coinvolto in certi dibattiti.
Significativo il dato complessivo della Campania, penultima per afflusso, con Napoli e Caserta davanti solo a Crotone e Vibo Valentia. Non è un caso che si tratti di una conurbazione afflitta dall’inquinamento delle coste, dove neanche i depuratori riescono a rassicurare i fruitori delle spiagge. I campani sono lo specchio di quella parte di popolo che non ci crede più, né ai referendum né alle consultazioni elettorali. Lo scorso anno, alle regionali campane, la percentuale dei votanti che portarono all’elezione di Vincenzo De Luca fu del 51,93. Nel 2011, il ballottaggio tra Luigi De Magistris e Gianni Lettieri per la poltrona di sindaco coinvolse il 50,58% dei potenziali votanti. Numeri certamente non consoni all’importanza delle consultazioni.

CLASSIFICA PER PERCENTUALE VOTI REGIONALI
Basilicata – 50,16
Puglia – 41,65
Veneto – 37,86
Abruzzo – 35,44
Marche – 34,75
Emilia Romagna – 34,27
Valle d’Aosta – 34,02
Piemonte – 32,74
Friuli V. G. – 32,16
Lazio – 32,01
Liguria – 31,62
Toscana – 30,77
Lombardia – 30,46
Molise – 32,73
Sardegna – 32,34
Umbria – 28,42
Sicilia – 28,40
Calabria – 26,69
Campania – 26,13
Trentino A. A. – 25,19

CLASSIFICA PER PERCENTUALE VOTI PROVINCIALI
Matera – 52,34
Potenza – 49,02
Lecce – 47,55
Bari – 42,23
Taranto – 41,74
Padova – 41,39
Chieti – 40,56
Brindisi – 40,16
Rovigo – 39,32
Venezia – 39,76
(altre)
Piacenza – 26,71
Benevento – 26,58
Arezzo – 26,55
Frosinone – 26,20
Enna – 25,65
Ogliastra – 25,34
Napoli – 25,29
Caserta – 24,51
Crotone – 24,22
Vibo Valentia – 23,07

CLASSIFICA PER PERCENTUALE VOTI 10 MAGGIORI PROVINCE PER POPOLAZIONE
Bari – 42,23
Torino – 35,94
Roma – 33,67
Milano – 31,50
Bergamo – 30,94
Catania – 29,33
Brescia – 29,22
Salerno – 28,17
Palermo – 27,54
Napoli – 25,29

Referendum 17 aprile, perché votare Sì

Angelo Forgione Il 17 aprile saremo chiamati alle urne per dare parere favorevole o contrario alla cessazione delle estrazioni nelle acque territoriali italiane alla scadenza delle concessioni, anche se risulta ancora disponibile gas o petrolio estraibile. La consultazione referendaria, promossa dal Coordinamento Nazionale No Triv, vede in prima fila i nove Consigli regionali di Basilicata, Puglia, Sardegna, Campania, Calabria, Molise, Marche, Liguria e Veneto.
Il Sì chiede lo Stop. il No chiede di insistere a trivellare. Raggiungere il quorum è necessario perché solo così il risultato del referendum sarà valido. Per essere valido devono andare a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto.
Io voto Sì, perché è giunto il momento di arrestare la spremitura (soprattutto) dei fondali meridionali con royalties da fame e rischio di mari inquinati. Le royalties in Italia sono pari solo al 10% per il gas e al 7% per il petrolio in mare. Sono inoltre esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare: cioè, entro questi limiti è tutto gratis. Il risultato è che, nel 2015, su un totale di 26 concessioni produttive, solo 5 di quelle a gas e 4 a petrolio hanno pagato le royalties. Tutte le altre hanno estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia e quindi non versare il pagamento a Stato, Regioni e Comuni.
Molto conveniente anche per le imprese straniere, che altrove trovano ben altre condizioni: in Danimarca non esistono più royalties ma si applica un prelievo fiscale per le attività di esplorazione e produzione che arriva fino al 77%. In Inghilterra può arrivare fino all’82% mentre in Norvegia è al 78% a cui però bisogna aggiungere dei canoni di concessione.
Le royalties, tra l’altro, si possono dedurre dalle tasse: altro regalo sostanzioso a beneficio delle sole imprese, visto che gas e petrolio sono beni di tutti, e per questo dovrebbero essere sottoposti a tassazioni giuste e trasparenti.

Nell’immagine in basso, sulla sinistra, le piattaforme interessate dal referendum e sulla destra un passo del mio libro Dov’è la Vittoria, in cui evidenzio come il Sud sia spremuto dai poteri forti, con la compiacenza politica che è tutta nel decreto “Sblocca Italia”, ultimo tassello di mediazione tra il Governo e le lobby energetiche. Non a caso Renzi (come Napolitano) invita all’estensione.

trivelle

Arbore contro la “retorica televisiva” sul Sud che ammazza il Sud

Angelo Forgione Nell’immediato dopoguerra si erano già abbondantemente diffusi gli stereotipi sui meridionali alimentati nel primo periodo unitario del Paese. Qualcosa avrebbe potuto contribuire fortemente a cancellarli, ma, al contrario, li ingigantì enormemente. Quando nel dicembre 1955, alla vigilia di quel Natale, il segnale televisivo della Rai fu esteso a Napoli, raggiungendo il Sud, il giornalista calabrese Corrado Alvaro, con un bel po’ di illusoria speranza, scrisse:

La televisione nel Mezzogiorno è un elemento di prima importanza per l’unificazione del Paese: attraverso il nuovissimo mezzo, il Sud potrà sgombrare il terreno di molti pregiudizi contribuendo a dare finalmente un panorama completo non deformato della vita italiana.

In realtà, sin dalla sua nascita, è stata proprio la televisione ad amplificare la diffusione di un’immagine eccessivamente distorta delle problematiche meridionali. Come nel caso del colera, un evento che colpì Napoli nel 1973 e avviò, tra i tanti risvolti negativi causati da una cattiva informazione, anche la denigrazione negli stadi.
Oggi tocca fare i conti con la fotografia di un Sud mafioso, sdoganata da Gomorra e altre fiction affini. Proprio con questa nuova accezione della napoletanità, della sicilianità e della meridionalità in genere bisogna oggi fare i conti, e proprio contro Gomorra (pur senza citarla) e i diversi programmi impregnati di folklore e sottocultura se la prende Renzo Arbore, ospite a Tv Talk (Rai) di sabato 12 dicembre, definendo questa diversa interpretazione del Sud “la nuova retorica”, diversa da quella del mandolino, del sole e della pizza dei decenni passati. Una retorica che attira attenzione e che quindi frutta inserzionisti pubblicitari. Una retorica spinta, necessaria per l’innalzamento dell’audience, secondo il condivisibile pensiero dello showman foggiano.

«Io porto nel mondo un aspetto della Napoli capitale della cultura. Dietro la forzatura c’è l’audience. Se si parla della camorra (attraverso  Gomorra, ndr), il prodotto si vende in tutto il mondo e ne paghiamo le conseguenze noi [napoletani]… ci fa molto piacere sapere che siamo tutti camorristi».

La cultura è petrolio in Basilicata

Angelo ForgioneSapevate che Matera, la Capitale Europea della Cultura 2019 appena designata, non è servita dalla rete ferroviaria nazionale? Sì, lo sapevate voi che conoscete la Questione meridionale. Gli altri no. Raggiungere la Città dei Sassi in treno è impossibile perché manca persino la stazione, a meno che non si parta da Bari sul trenino delle Ferrovie Apulo Lucane; un’ora e quaranta su binario unico per fare settanta chilometri.
Sapevate che Matera, la Capitale Europea della Cultura 2019 appena designata, è nei confini lucani? Sì, lo sapevate voi che conoscete la geografia. Gli altri no. E sapevate che la Basilicata è la principale riserva italiana di estrazione di petrolio e gas? Sì, lo sapevate voi che siete al corrente del fatto che il Sud è un eldorado energetico. Gli altri no.
La Basilicata è al 4º posto fra i paesi europei produttori di petrolio ed al 49º come produttore mondiale. Il problema è che lo sfruttamento dei pozzi è venduta senza una sensibile ricaduta virtuosa sul territorio di sfruttamento e alla beffa si aggiunge il danno, anzi il dramma di una porzione di territorio in cui le estrazioni energetiche e lo smaltimento scorretto dei rifiuti producono danni terrificanti all’ambientale e alla salute pubblica.
Il fatto è che la Val d’Agri è il più grande giacimento di petrolio dell’Europa continentale e la sfruttamento, che può essere allargato, fa gola. Il recente decreto “Sblocca Italia” presentato dal premier Renzi toglie agli enti locali il veto su ricerca di petrolio e trivellazione, ovvero accentra a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Il Decreto può essere impugnato dal Presidente della Regione fino al 12 Novembre, altrimenti verrà convertito in legge, spremendo la Basilicata e la sua popolazione.
Indicativo il servizio andato in onda al TGR Basilicata all’indomani della proclamazione di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. All’improvviso, durante i festeggiamenti, un cittadino alza un cartello con il marchio di una compagnia petrolifera e la scritta “No Triv”. Secondo i giornalisti della sede Rai lucana sarebbero 51 i milioni di euro da spendere fino al 2020, di cui 25 “messi in campo dalla Regione Basilicata attraverso fondi propri, comunitari e derivanti dalle royalties. L’altra cifra più cospicua deriva dallo stesso comune di Matera con 5 milioni di euro. Dall’Europa solamente un premio di un milione e mezzo di euro che sarà disponibile nel 2019. Il resto del pacchetto previsto è finanziato in parte dal Governo che partecipa con il 14% del totale dell’investimento e in parte da sponsor privati, che – assicura il sindaco Adduce – stanno già partecipando attivamente”.
Insomma, sono chiaramente decisive per Matera Capitale Europea della Cultura 2019 anche le cosiddette royalties, le percentuali per lo sfruttamento dei pozzi che le compagnie petrolifere “concedono” alle casse regionali del territorio di estrazione. Quali sono gli sponsor privati citati cripticamente nel servizio giornalistico? Le compagnie petrolifere? Trivellazioni selvagge in cambio di ricaduta turistica?

https://www.youtube.com/watch?v=JNN_ncE9IvE

Nord e Sud tra sesso e autoerotismo

Milano e Roma in testa agli accessi Youporn, Napoli e il Sud praticano più sesso

Angelo Forgione – A “La Radiazza” di Gianni Simioli (video in basso), su Radio Marte, sono state ripescate le statistiche degli accessi al sito youporn.com, divulgate nel 2012, che indicarono l’Italia tra i Paesi con più frequenze e Milano e Roma in testa tra le città che a livello mondiale avevano fatto registrare il maggior numero di traffico sul sito di filmati pornografici gratuiti per eccellenza. Primato per le due città non proprio dei più prestigiosi ma comunque da prendere con le pinze, vista la differenza di informatizzazione e accessi a internet tra Nord e Sud.
Dunque, i meridionali sono davvero meno avvezzi all’autoerotismo? Forse, ma non è questo il dato interessante. Meglio riferirsi alla recente ricerca di mercato realizzata da Doxapharma, promossa dalla Società italiana di urologia (Siu) e dell’Associazione ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), per fotografare le abitudini sessuali di coppia in Italia. Coinvolto un campione di 3 mila uomini e donne, fra i 18 e i 55 anni. Lo studio conferma il proverbiale “ardore” degli uomini del Sud: Sicilia, Campania, Basilicata e Calabria sono infatti le regioni dove i maschi sono più attivi sotto le lenzuola e alzano la media. Più “freddi”, in coda nella classifica, sono invece i friulani, i trentini e i lombardi, che insieme ai toscani sono anche i meno soddisfatti della propria vita sessuale. L’attività sessuale è forse condizionata dell’ansia da prestazione, visto che i più frustrati e timorosi di deludere la compagna sono proprio gli uomini del Friuli, mentre i meno preoccupati di lasciarla insoddisfatta sono i siciliani. I più ossessionati da un possibile tradimeno della partner sono calabresi e lucani, e perciò, pur essendo tra quelli in testa per frequenza dei rapporti, sono anche i più colpiti dal problema dell’eiaculazione precoce maschile, con una frequenza doppia rispetto alla media. Qui vincono Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria ed Emilia Romagna.
In generale, gli italiani fanno l’amore 108 volte all’anno, al di sopra della media del pianeta (103 rapporti). Insomma, il sesso made in Italy prevede 9 rapporti al mese, alla media di 1 ogni 3 giorni. Il problema è che gli italiani lo fanno frettolosamente: una coppia italiana su quattro è insoddisfatta dei tempi dell’amore e non raggiunge il piacere perché il rapporto si consuma entro i 2 minuti. Inoltre, 7 italiani su 10 si sentono insoddisfatti della proprie vita intima, aprendosi a infedeltà e rottura.