Libero si eccita per l’impennata di contagi in Campania

Angelo Forgione Renato Farina, co-fondatore insieme a Vittorio Feltri del quotidiano Libero, sullo stesso quotidiano ha detto la sua sul contagio da Covid-19 in Campania e sciorinato ipocrita altruismo in un articolo che mistifica e piuttosto semina astio, in perfetto stile Libero, appunto. Lo so, si tratta dell’ineffabile Libero, ma devo purtroppo occuparmene perché vengo ancora una volta chiamato in causa da Farina, (che evidentemente deve aver davvero apprezzato il mio Napoli Capitale Morale) unitamente a De Luca, De Magistris e Saviano.

“La ruota gira”, recita l’occhiello del suo pezzo sul cartaceo, rispolverando il canovaccio recitato la scorsa primavera del Sud razzista verso il Nord. Nella versione online, invece, si legge di “lezione a De Luca dopo mesi di sfottò”.

L’occasione per mostrare falsa solidarietà è la disponibilità offerta dal governatore Attilio Fontana a concedere il nuovo ospedale Covid della Fiera di Milano ai malati napoletani, fatto oggettivamente apprezzabile quanto lo è stato l’aiuto delle strutture del Sud, nei limiti delle proprie possibilità, ai malati del Nord quando questo era in ginocchio. Magari si capisse che è il tendersi la mano a vicenda che unisce, ma è chimera in un Paese diviso da sempre.

Farina, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe, scrive: “Angelo Forgione, già autore di Napoli Capitale Morale, teorizzò la faccenda: «Il focolaio del Covid-19 ha avuto origine in Lombardia, causa le negligenze sanitarie, le pressioni del mondo dell’industria e l’inquinamento atmosferico. Ma il Coronavirus non ha sfondato al Sud…»”.

Sì, scrissi esattamente “il Coronavirus non ha sfondato al Sud…” e continuai così:

“… nonostante i timori, le cassandre e pure le invidie di qualche giornalaccio che a inizio marzo già esultava precocemente per il “Virus alla conquista del Sud” e per l’unità d’Italia, sperando nella presunta indisciplina dei meridionali che poi si è rivelata il solito stereotipo”.

Ma Farina si è guardato bene dal trascrivere completamente il mio periodo, perché sapeva che per cassandre e giornalacci intendevo proprio i Farina, i Feltri, i Senaldi e Libero tutto, autori di titoli e articoli intrisi di astio. Altro che solidarietà. Per quel titolaccio, il Comitato esecutivo dell’Ordine dei Giornalisti deferì Libero esprimendo “dissenso per una reiterata scelta redazionale su temi di grande rilevanza sociale”.

Ne seguirono tante altre di nefandezze scritte, finché lo stesso Feltri, furbo settantasettenne direttore editoriale della testata, in odor di espulsione dall’Ordine, non scelse di liberarsi prima di subire il provvedimento, dimettendosi e stracciando il suo tesserino così da poter continuare ad esprimere le sue opinioni in tutta libertà.

Rassicuro Farina, comunque, perché in Campania il Covid-19 sta sfondando, per così dire, con un numero di tamponi enormemente superiore a quello fatto registrare fino ad Agosto e con una carica virale molto bassa, sicuramente insignificante rispetto a quella catastrofica virulenza che al principio si abbatté sul Nord. Certo, vi è una crescita di ricoveri nella regione governata da De Luca, ma la stragrande maggioranza dei positivi è asintomatica. Su 100 persone infette solo 2 mostrano chiari sintomi Covid, questa è la media al momento. In pochi casi si ci deve confrontare con conseguenze serie o addirittura letali, e speriamo davvero che l’emergenza continui ad avere questi connotati.

Cosa voglio dire? Che purtroppo migliaia di famiglie lombarde hanno dovuto patire dolorosissimi lutti e anche solo enormi sofferenze a lieto fine a causa – lo ribadisco con forza – delle negligenze sanitarie, delle pressioni del mondo dell’industria e anche dell’inquinamento atmosferico del territorio. È una verità che conoscono anche i più onesti lombardi, cui non è mancata la solidarietà autentica dei meridionali per le sofferenze subite a causa di errori amministrativi locali. Circa 17mila vittime lombarde fin qui (in Campania meno di 500) e di tutto questo dolore ho profondo rispetto io e lo hanno avuto tutte le persone citate da Farina. Rispetto che non ha avuto Libero quando, ai principi di marzo, ha gioito per i primi contagi al Sud inneggiando anzitempo all’unità del contagio d’Italia, che solo nel corso dell’estate s’è fatta, e s’è fatta dopo gli spostamenti nelle località balneari del Centro-Sud dei meridionali e dei settentrionali in ferie, che si sono mischiati sotto il Garigliano e nelle Isole. Sarebbe stato più prudente blindare i confini regionali alla riapertura dopo il lockdown, come aveva ipotizzato Solinas, il governatore della Sardegna, suscitando l’ira del sindaco di Milano Sala, pronto a proclamare il boicottaggio lombardo dell’Isola Covid-free che è poi diventata la terra dei contagi di Ferragosto; c’era però tutta un’economia da salvare, non solo quella industriale del Nord ma anche quella turistica del Sud. 543 positivi su 1230 registrati in Campania negli ultimi sette giorni di Agosto erano persone che avevano fatto rientro in regione dopo le vacanze in Sardegna (288) e all’estero (255). Considerando poi i contagiati che ne erano entrati a contatto, si può stimare che oltre i due terzi dei positivi erano riconducibili ai viaggi fuori regione. E poi i tanti settentrionali accolti in Campania che era più facile ascoltare in giro accento nordico piuttosto che partenopeo. Così è iniziata l’impennata dei contagi anche nel territorio con più alta densità popolativa del Paese.


Che poi Farina voglia fare il Farina non mi stupisce. E pur sempre colui che, da vicedirettore di Libero, collaborò con i Servizi Segreti e pubblicò per essi notizie false in cambio di danaro, patteggiando la pena e commutando la reclusione in multa. Un giornalista deontologicamente retto come lui, sospeso dall’Ordine nel 2006, radiato e poi riammesso all’esercizio della professione nel 2014, è perfetta espressione del quotidiano che ha contribuito a fondare e sul quale esprime di fatto soddisfazione per il riscatto lombardo sotto forma di contagi in Campania. Ma quale riscatto? Qui non vi è alcuna contesa tra regioni. Qui vi è una crisi sanitaria ed economica planetaria di fronte alla quale una redazione giornalistica specula miseramente per seminare rancori e per dividere.


https://www.liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/24805415/coronavirus-campania-focolaio-lombardia-apre-ospedali-lezione-vincenzo-de-luca-dopo-mesi-sfotto.html

Interpellanza sulla crisi del Sud a Montecitorio: tutti al mare!

Angelo Forgione – Venerdì 11 settembre, nel giorno dei funerali di Gennaro Cesarano, 17enne ucciso dalla Camorra, l’Aula di Montecitorio doveva occuparsi anche del Meridione. Era all’ordine del giorno la discussione dell’interpellanza al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’economia e delle finanze e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sulla “perdurante situazione di grave crisi economica e sociale del Mezzogiorno e lo stato di attuazione del programma di utilizzo dei fondi europei ad esso destinati” (leggi il testo). Deputato a rispondere il sottosegretario Claudio De Vincenti. Rispondere a chi? A 11 parlamentari su 630. Aula vuota! È così che Montecitorio ha fatto avvertire il suo interesse al Sud. “È una scissione silenziosa, il tricolore e l’inno sono soltanto un guscio vuoto”, questo è il commento di Roberto Speranza, deputato lucano del PD. Mancava anche il deputato avellinese Gianfranco Rotondi (FI), componente della commissione per le Politiche dell’UE, colui che ad Agosto scrisse un cervellotico tweet: “se Napoli accogliesse tutti i migranti e li usasse per pulire le strade avremmo risolto metà dei problemi della città”.
rotondiIl giorno seguente si è aperta a Bari la Fiera del Levante, disertata dal premier Renzi, che è invece volato a New York per assistere alla finale femminile degli US Open tra la brindisina Flavia Pennetta e la tarantina Roberta Vinci. Travolto da non sterili polemiche, non dopo l’estate calda resa rovente dai dati Svimez che ha acclarato che il Mezzogiorno d’Italia è la macroarea più arretrata dell’Eurozona. Il Primo Ministro avrebbe potuto dimostrare un fermo interesse per il Sud ma nel capoluogo pugliese è andato ancora il sottosegretario Claudio De Vincenti, cha ha provato a gettare acqua sul fuoco: «È una giornata di sole per tutti. Era doveroso che il presidente del Consiglio fosse oggi a New York al fianco di Flavia e Roberta. Trovo ridicole le polemiche lette qua e là sugli organi di stampa». La platea ha risposto con il silenzio e qualche timido fischio. «Non sono qui per portare promesse, ma fatti» ha proseguito De Vincenti, annunciando i presunti vantaggi per il territorio derivanti dal discusso gasdotto TAP, che dovrebbe portare il metano dall’Azerbaigian in Italia e all’Europa, via Salento. I sindaci dei comuni salentini, decisamente contrari all’opera per questioni ambientali, hanno inscenato una silenziosa protesta lasciando la sala, qualcuno sfilandosi la fascia tricolore. Certamente, nel Salento non sono tornati con un Frecciarossa.

“Napoli inventò le zeppole, tutta Italia se ne leccò le dita.”

zeppola

Angelo Forgione – Festa di San Giuseppe, e si conclude la Quaresima, con la Pasqua alle porte. Una ricorrenza davvero molto sentita a Napoli almeno fino al secondo conflitto mondiale. Portava anticamente la fiera degli uccelli e quella dei giocattoli, che avevano luogo vicino alla chiesa cinquecentesca di San Giuseppe, da cui prendeva il nome l’intero rione di Monteoliveto, finché questa non fu demolita per il Risanamento, e allora la fiera fu spostata in via Medina. Oltre i volatili, si potevano trovare cuccioli di cani di tutte le razze, di gatti e di conigli. Di balocchi se ne regalavano più o meno come oggi a Natale e come, a quel tempo, all’Epifania. Non erano i figli a fare regali ai padri quando il 19 Marzo non era ancora la Festa del Papà ma una data particolare per i napoletani, perché segnava il cambio di stagione. Tutti gli uomini riponevano la bombetta nell’armadio per indossare la paglietta e i pantaloni bianchi di flanella. Anche le donne si alleggerivano un bel po’.
Il giorno del Santo, di fronte alla chiesa di San Giuseppe si disponevano le bancarelle con le zeppole, dolci fritti a forma di serpe avvitata su se stessa, una serpula, dal latino serpens. Qualcuno dice che furono inventate da un cuoco dei Borbone, cui sarebbe stato chiesto di preparare un dolce per la Quaresima privo di uova e di grassi animali, allora proibiti. Qualcun altro, invece, sostiene che la maternità sia tutta da attribuire, in tempi più antichi, alle monache dei decumani. Ad ogni modo, le antiche zeppole, secondo la prima ricetta, scritta nel ricettario in dialetto napoletano di Ippolito Cavalcanti del 1837, erano di farina buttata nell’acqua bollente arricchita da un po’ di vino bianco, e poi fritte con l’olio o con la sugna per averne un bigné da guarnire con zucchero o miele. Dopo qualche anno, la ricetta fu tradotta anche in italiano, perché le zeppole iniziavano a invadere l’Italia. Il filologo Emmanuele Rocco, nel secondo Ottocento, avrebbe voluto addirittura un monumento cittadino con la seguente epigrafe: “Napoli inventò le zeppole, tutta Italia se ne leccò le dita”. Doveva esserne ghiotto visto che le riteneva uno dei tanti privilegi che gli italiani avevano avuto in dono dai napoletani, lui che, da studioso di cose partenopee, aveva individuato anche una variante rettangolare destinata ai più poveri, detta “dello zeppolajuolo”, che vale a dire ‘o scajuozzolo, fatta con farina di granturco, fritta e priva di qualsiasi guarnizione, da cui l’uso del termine per definire anche la semplice pasta cresciuta. A farcire le zeppole di crema pasticciera, come si usa oggi, fu il pasticcere Pintauro. Lui, come tutti gli zeppolari, allestiva dei banchetti davanti alla bottega di via Toledo, friggeva e serviva direttamente in strada.
Quando, nel 1968, il giorno di san Giuseppe fu reso Festa del Papà, la fiera era già in via Medina e la zeppola era ormai famosa in tutt’Italia, conosciuta anche oltreoceano grazie agli emigranti. Da allora i ruoli si invertirono e iniziarono i figli a fare regali al proprio padre. Il Santo non proteggeva solo ogni papà ma anche, in modo specifico, tutti i falegnami, e di legno era il suo bastone, Un avanzo di questo legno, autentico o fasullo che fosse, finì a Napoli nel primo Settecento per essere custodito in una nicchia del palazzo di Chiaia del tenore Nicola Grimaldi, controllato a vista da un servitore il cui compito era quello di evitare che fosse toccato. “Nun sfruculia’ ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe” era, in napoletano, l’esortazione a non usurare il sacro bastone, poi divenuta un diffuso e tipico modo di dire del popolo per invitare a non infastidire, mentre la famosa mazzarella finiva per essere tradotta nella congregazione di San Giuseppe dei Nudi a San Potito, in via Giuseppe Mancinelli, dove oggi è gelosamente conservata.

Napoli, Fiera di San Giuseppe in via Medina (Ph: Archivio Parisio – Renato Bevilacqua)