La colonizzazione lombarda della Sardegna

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Angelo ForgioneI travestimenti di Matteo Salvini continuano. Stavolta niente divisa (abusiva) della Polizia, niente divisa della Protezione Civile. Ora, in tempo di elezioni in Sardegna, è il momento della felpa sarda dei Quattro Mori. Prima il Nord… anzi no, prima l’Italia… anzi no, prima la Sardegna dei poveri pastori che buttano il latte e il sangue, e beato chi ci crede. Che poi, ancora ringraziamo la Lega (Nord) per il consentito sforamento delle quote latte degli allevatori settentrionali, che è costata all’Italia una salatissima multa pagata con i Fondi Fas destinati al Sud.
Ennesima sceneggiata elettorale da parte di un lombardo che, in quanto lombardo, dovrebbe solo chiedere scusa ai sardi per aver devastato il territorio negli anni Sessanta col Piano per la Rinascita della Sardegna, col quale pezzi di un paradiso terrestre sardo furono consegnati all’industria altamente inquinante, quella petrolchimica, ed era lombarda. Vi misero le mani i lombardi Angelo Moratti e Angelo “Nino” Rovelli, con la collaborazione di tutti i politici democristiani che spinsero per l’industrializzazione indiscriminata dell’Isola, senza il minimo rispetto per l’ambiente e per le popolazioni contrarie al destino scritto tra Roma e Milano. E per raggiungere lo scopo portarono persino uno scudetto sull’Isola, quello del 1970 di Gigi Riva, che veniva dalla Lombardia proprio come i due lombardi che acquisirono nell’ombra il club rossoblù e i quotidiani locali (La Nuova Sardegna e L’Unione Sarda) per creare consenso. Chi erano? Moratti e Rovelli. L’uno creò la Saras a Sarroch, vicino Cagliari, e l’altro la SIR a Porto Torres.
L’industria petrolchimica continua a produrre i suoi danni in Sardegna. La Saras, la più grande raffineria petrolifera del Mediterraneo, oggi di proprietà dei fratelli Gian Marco e Massimo Moratti (ex proprietario dell’Inter), danneggia non solo l’ambiente ma anche le finanze della Regione, una delle più povere d’Europa. Il fatto è che una decina d’anni fa la raffineria della famiglia milanese, i cui proventi vanno per tre quarti in Lombardia, presentava bilanci floridi e ciò fece lievitare l’indice del prodotto interno lordo sardo senza un sensibile beneficio diretto sul posto. E così quelli dell’Unione Europea esclusero la Regione Sarda dall’Obiettivo 1, il livello massimo di fondi strutturali destinati al recupero delle regioni europee con reddito pro capite inferiore al 75% della media europea. I livelli di reddito e PIL pro capite sardi erano leggermente più alti delle regioni più povere solo per l’incidenza della Saras sulla percentuale di ricchezza prodotta nell’isola, ricchezza trasferita fiscalmente per tre quarti in Lombardia, e così la Sardegna fu privata di parte dei fondi comunitari nella programmazione 2014-2020. Insomma, ritenuta un’area “in transizione”, tecnicamente verso lo sviluppo, ma ancora oggi resta l’unica regione d’Italia in cui non ci sono autostrade, ma solo strade a scorrimento veloce. Solo nel 2020 sarà pronta la Strada Statale a scorrimento veloce Sassari-Olbia, prima autostrada che possa dirsi tale. Il Frecciarossa? Sull’Isola non sanno neanche cosa siano gli ancor più lenti Frecciabianca, i convogli che assicurano la copertura su rete convenzionale di grandissima parte della Penisola. Lì solo treni regionali su linee complementari.
La Saras è poi andata in rosso, un poker di bilanci in rosso dal 2009 al 2012, totale 151 milioni di perdite, con il bisogno di aprire ai russi di Rosneft nel gruppo petrolchimico pur di non rimanere a secco e la necessità di cedere la maggioranza dell’Inter all’indonesiano Erick Thohir, dopo aver indebitato il club pur di vincere in Italia e in Europa e levarsi da dosso la frustrazione di anni di fallimenti. Appresso alla Saras, anche il reddito pro capite dei sardi è tornato sotto il 75% della media europea, e così Bruxelles si è accorta che si tratta di un territorio nel baratro, e l’ha giustamente declassata ad area “meno sviluppata”, cioè facendola tornare nell’ex Obiettivo 1, in triste compagnia di Campania, Calabria, Basilicata, Molise, Puglia e Sicilia, tutte destinatarie di maggiori risorse per la programmazione 2021-2026. E ora è stata messa in ginocchio anche la pastorizia.
La Sardegna è territorio coloniale, succursale periferica dell’imprenditoria settentrionale. Secondo i rapporti di Greenpeace, vi si registra la maggiore estensione nazionale di siti contaminati, con maggiore incidenza nel Sulcis, nell’Iglesiente, nel Guspinese e nel Sassarese. All’inquinamento territoriale e all’eccesso di mortalità della popolazione contribuiscono anche le esercitazioni di guerra, in quello che è il più grande fronte d’addestramento bellico d’Europa. Dagli anni Sessanta, migliaia di ettari di territorio sardo (e fondali) sotto il vincolo delle servitù militari di aria e di terra vengono devastati e incendiati, con gravi conseguenze sulla salute umana. Capo Frasca, Capo Teulada, Perdasdefogu e Salto di Quirra, ad esempio, sono enormi e velenose discariche a cielo aperto di residui di bombe, proiettili, ordigni metallici inesplosi, missili conficcati nel terreno e persino lamiere, fusoliere e carcasse di aerei da guerra abbattuti o precipitati.
E sapete oggi a chi appartiene il Cagliari Calcio? Al milanese Tommaso Giulini, ex componente del C.d.A. dell’Inter di Massimo Moratti. Acquistò il pacchetto azionario da Massimo Cellino, riportando la squadra dell’Isola nelle mani dell’imprenditoria chimica lombarda. Sì, perché in Sardegna gli appartiene la Fluorsid Spa di Macchiareddu, zona industriale di Cagliari, con sede a Milano, leader nella produzione di fluoroderivati inorganici con sfruttamento di una materia prima locale, la fluorite del giacimento di Silius. Azienda creata nel 1969, in piena colonizzazione industriale della Sardegna dal padre Carlo Enrico Giulini, amico di Angelo Moratti. Nel C.d.A. del Cagliari vi troverete anche il vicepresidente Stefano Filucchi, dirigente della Saras ed ex dirigente dell’Inter. Se non è colonizzazione lombarda questa…
Manca solo la Lega (Lombarda) e il cerchio sarebbe chiuso.

(approfondimenti su Dov’è la Vittoria)

Bindi e De Luca, tra genetica napoletana e vendette personali

Angelo Forgione «La camorra elemento costitutivo di Napoli». Troppa benzina sulle parole di Rosy Bindi, una frase in ‘politichese’ che la presidentessa della Commissione Antimafia avrebbe dovuto formulare in maniera diversa o chiarire immediatamente, per non dare adito a cattive interpretazioni. “Elemento costitutivo” vuol dire che la camorra è una istituzione dell’economia napoletana e campana, così come la mafia è un’istituzione dell’economia nazionale. E come negarlo? Lo conferma anche l’UE, che ha inserito nel calcolo del Pil italiano (ma non solo) i proventi stimati su traffico di droga, prostituzione, corse clandestine, racket ai commercianti e corruzione ai danni della pubblica amministrazione, ovvero sulle attività mafiose. Il primo passo per affrontare seriamente la criminalità organizzata è riconoscere che essa è parte della nostra società.
Detto questo, bisognerebbe capire chi ha istituito l’industria mafiosa in Italia, e come. Ed è semmai più preoccupante che la Bindi, la quale difende le sue parole dicendo che «non si può fare la storia d’Italia senza fare la storia delle mafie», non conosca la storia d’Italia, non sappia la data in cui Roma è divenuta capitale (video). Fa, inoltre, molto piacere constatare che il governatore della Campania Vincenzo De Luca, bollando le parole della Bindi come “offese sconcertanti”, abbia evidentemente cambiato idea sulla rispettabilità dei napoletani, lui che nel giugno 2011, da sindaco di Salerno, si era rifatto a un certo DNA degenerativo di alcuni napoletani: «A Napoli ci sono persone geneticamente ladre: ladri di camorra o ladri di pubblica amministrazione non fa differenza». Ladri, camorristi e politici disonesti non nascono tali, e De Luca lo avrà capito. In quattro anni si può cambiare idea, soprattutto se l’elettorato politico muta e si ingrossa. O forse, dopo l’etichetta di “impresentabile” appiccicata dalla Bindi su De Luca a 48 ore dal voto per le regionali, si consuma solo una vendetta personale sulla pelle dei napoletani?

MO!: obiettivo raggiunto. Il simbolo sulle schede elettorali.

La lista civica meridionalista MO! ha raggiunto l’obiettivo delle sottoscrizioni per la presentazione nelle province di Napoli, Caserta e Salerno. Il risultato rende certa la presenza di MO! sulla scheda elettorale in Campania perché il minimo di legge di tre province è stato conseguito. «È un risultato storico – commenta Marco Esposito, candidato presidente – perché mai, in una regione del Sud continentale, una formazione meridionalista si era presentata ai cittadini libera da apparentamenti. Posso dirlo? Sono commosso: c’è stata una spinta di popolo coordinata da volontari straordinari e persino da simpatizzanti arrivati dalla Calabria. A parlare di Sud come di Terra dei fuochi – continua Esposito – sono bravi tutti, ma è illusorio strappare dei risultati stando a braccetto con partiti e personaggi protagonisti a livello nazionale o locale del disastro della nostra terra. La lista MO non tratta con i trafficanti di consenso né prende o prenderà ordini da Milano, Firenze, Roma o Genova».
Tratte dal Brigantiggì (Giammarino editore), le interviste a Pino Aprile, Angelo Forgione, Marco Esposito, Enrico Inferrera e Mimmo Falco in occasione del convegno “MO le Regionali, e poi?” tenutosi qualche giorno fa presso la sede di Confartigianato a Napoli, in cui si è dibattuto delle prospettive della lista civica a prescindere dal risultato della prossima tornata elettorale.

Elezioni e meridione, convegno a Napoli

In vista delle elezioni regionali in Campania del prossimo 31 maggio, martedì 14 aprile, alle ore 17.30, presso la sala conferenze di Confartigianato in via Medina 63 a Napoli, si terrà il convegno dal titolo “MO! le Regionali, e poi?”.
Si discuterà soprattutto delle prospettive future della Campania e l’eventuale svolta per il meridionalismo che potrebbe arrivare dal voto del prossimo 31 maggio. All’incontro, che sarà moderato dall’editore Gino Giammarino, parteciperanno Pino Aprile, Marco Esposito, Mimmo Falco, Angelo Forgione ed Enrico Inferrera.

Per Marco Esposito presidente della Regione Campania

Angelo Forgione mo_adesioneHo avvertito un sentimento e un richiamo interiore, in un momento difficilissimo del mio percorso di vita, e ho ascoltato i preziosi consigli del mio maestro Jean-Noël Schifano. Ho quindi deciso di sostenere la candidatura di Marco Esposito alla presidenza della Regione Campania. Ho scelto di prestare il mio nome alla lista civica meridionalista e apartitica MO!. Ho ceduto alla “corte” di persone corrette e pulite che vogliono il bene della Campania e del Sud, con intendimenti chiari e corretti (leggi il programma o guarda il video della  presentazione ufficiale).
Non sarà per me un’avventura politica e non andrò in giro a chiedere voti. Mi sono semplicemente convinto a supportare direttamente un candidato alla presidenza capace di difendere i diritti negati dei cittadini campani. Continuerò invece a comunicare come ho sempre fatto, nella certezza che alla diffusione della Conoscenza e alla costruzione della Coscienza debbano seguire, prima o poi, concreti tentativi di azione anche nelle sedi in cui si prendono le decisioni. Chi mi conosce sa chi sono, e sa che al mondo della politica non mi ci sarei mai accostato in condizioni diverse da quelle che MO! mi ha garantito.
Anche Pino Aprile garantirà per la lista dall’esterno. Quello che verrà sarà solo la diretta conseguenza di un sentimento popolare crescente a Napoli e in Campania (ma in tutto il Sud), sempre più intollerante alle logiche del partitismo politico e tanto più animato dalla necessità di riaffermare un’identità e una dignità [meridionale] sottomesse. Ci sono situazioni in cui puoi impegnarti con tutte le energie di questo mondo senza cavare un ragno dal buco. Ce ne sono altre in cui continui a essere spontaneo, senza particolari intendimenti e impegni, e finisci per ottenere risultati straordinari.

al minuto 54:48 il mio intervento di adesione alla lista civica meridionalista MO!

L’indipendentismo è Veneto. Sud più unitario, nonostante tutto.

Angelo ForgioneL’indipendentismo non è una novità per la Catalogna, per la Scozia e per altre comunità europee che provano a consultare in modo più o meno ufficiale la volontà popolare. E in Italia che aria tira? Prova a dircelo la società demoscopica Demos&Pi con un sondaggio realizzato nello scorso mese di ottobre sulla base di un campione nazionale di 1.265 casi rappresentativo per i caratteri socio-demografici (genere, età) e la distribuzione territoriale (area geografica e dimensione urbana) della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni. 12 le regioni analizzate, escludendo tutte le altre per limitata numerosità di casi.
Il 31% del campione, uno su tre, si dichiara favorevole all’indipendenza della propria regione dall’Italia. Tra le categorie professionali, i più separatisti sono gli operai, i lavoratori autonomi e disoccupati. È il Veneto la regione più indipendendista, con il 53%. Seguono le due grandi Isole a statuto autonomo. Percentuali superiori alla media anche in Piemonte e Lombardia, così come pure nel (sorprendente) Lazio e in Toscana. Più quiescenti sembrerebbero i meridionali della terra ferma, che non vanno oltre il 22% della Puglia, con Campania e Calabria al 18%.
Evidentemente la “Questione meridionale” è davvero diventata “settentrionale”, a carattere regionalistico, mentre il Mezzogiorno, per troppi aspetti coloniale, continua evidentemente a credere nell’Unità nazionale dalla quale ha avuto molto meno.

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