Applausi a De Laurentiis, artefice di una corretta gestione del Napoli

Angelo Forgione — Il Napoli vola, e raccoglie i frutti di una virtuosa e corretta gestione aziendale. Lo fa proprio nella stagione iniziata con l’apice di una contestazione alla Proprietà che viene da lontano, e che si è spenta in men che non si dica solo grazie a una dirigenza che ha retto al clima irrespirabile creato da un mix velenoso di miopia e antipatia, e ha operato secondo i propri dettami.

Nel mio libro Dov’è la Vittoria, qualche anno fa, ho chiarito con la storia e con i fatti che il calcio del Sud non può competere con quello del Nord per le sperequazioni territoriali di diverso genere, ma ho anche avvertito che qualche eccezione può riuscire a mettere i bastoni tra le ruote alle big di Milano e Torino: “in una Serie A poco attraente e senza più mecenatismo, dove ci si indebita facilmente, le variabili sane sono la competenza manageriale e i conti in ordine. Fattori che potrebbero consentire almeno alla coppia Napoli-Roma di ridurre le distanze dalle tre grandi del Nord”. Il Napoli ci sta riuscendo, e ora, con i guai delle finanze altrui, si propone addirittura come punta di diamante del calcio italiano. La sfida, a questo punto, è reggere. Questo Napoli può farlo, perché è guidato da una Proprietà che assicura una solidità mai garantita prima al club nella sua centenaria storia.

Il dato di fatto è essenziale: lo scudetto all’orizzonte e gli schiusi scenari internazionali non peseranno sulla sussistenza futura del club, così come avvenuto alla Roma e alla Lazio degli anni giubilari, salvate dal fallimento con il decreto “spalma-debiti”, e allo stesso Napoli di Maradona, non di Ferlaino, perché Ferlaino si ritrovò D10S su un vassoio d’argento e, per trattenerlo, dovette poi assecondarne le logiche ambizioni, obbligato a spendere più di quanto entrasse in cassa, così decretando consapevolmente gli affanni successivi e il fallimento del club per i debiti accumulati con l’insostenibile sforzo. Paragonare Ferlaino, vincente per perversa inerzia, a De Laurentiis, basandosi sui trionfi maradoniani dettati da condizioni storiche e ambientali che nulla avevano a che vedere con un progetto sano, è esercizio sbagliato almeno quanto contestare per antipatia un Presidente certamente stigmatizzabile per alcune esternazioni inopportune nei confronti della piazza ma non certo per capacità manageriali. De Laurentiis ha talvolta speso anche parole importanti per Napoli e la sua storia, quantunque i suoi detrattori rilancino solo quelle spiacevoli, spesso tirando fuori una frase su tutte, rivolta a un solo soggetto ma manipolata affinché diventasse il manifesto dell’irrispettosità nei confronti di tutti i napoletani. Malafede.

Da sempre fiducioso in questa proprietà illuminata, e incurante delle illazioni e degli attacchi ricevuti per questo, invito tutti a bandire le divisioni concettuali e a partecipare alla gioia del popolo ora che il Napoli vola, a patto che non si dimentichi poi di averlo fatto solo per festeggiare qualcosa di cui non si comprende il valore. Per vincere a Napoli è dovuto piovere dal cielo il più grande calciatore della storia del calcio. Questo Napoli non ha Maradona, e se vincerà sarà per progetto fruttifero, non per un caso. Sarebbe una grande impresa; rarissima per il Sud del calcio. Sostenere questa proprietà che prova a volare a Istanbul piuttosto che a Bari, badando alla missione sportiva e abbandonando volgarità e basse pulsioni da ventre molle, significava e significa capire il calcio italiano e, soprattutto, la dimensione del Napoli, attualmente ingrandita. Cioè, significa maturare come tifoseria. E lo dico da napoletano che da anni divulga la napoletanità con comprovata passione e conoscenza ma senza lacci e interessi di sorta.

Ne ho discusso a Campania Sport (Canale 21), partendo da un chiarissimo e condivisibile editoriale di Umberto Chiariello, sintetizzato nel video.

Napoli capitale in Piemonte

Angelo Forgione Non sono certo una novità le parole anti-risorgimentali di Aurelio De Laurentiis pronunciate al Passepartout Festival 2021 di Asti, anzi, e sarebbe banale sottolinearle ancora se non fosse che certe chiacchiere, stavolta, sono state fatte ad Asti, davanti ad una platea piemontese.
Beppe Rovera, redattore cuneese della Rai TgR Piemonte, ha snocciolato le parole del filosofo e politico milanese Giuseppe Ferrari, grande conoscitore della cultura umanistica di Napoli, di cui ho scritto in Napoli Capitale Morale. Parole pronunciate in una seduta del parlamento del Regno di Sardegna l’8 ottobre 1860, due settimane prima della falsa consultazione plebiscitaria per l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte, durante la quale il deputato lombardo si espresse contro la colonizzazione della città più importante e popolosa d’Italia, rimproverando Cavour di perseguire un piano opportunistico e per niente democratico.
Il milanese Giuseppe Ferrari, da solo, denunciava gli errori del piemontesismo con riconosciuta onestà di analisi e si batteva politicamente per Napoli, città in cui lui era stato con gran curiosità. Non c’erano mai stati i torinesi Cavour e Massimo D’Azeglio, quest’ultimo governatore della provincia di Milano, che nove giorni dopo quella discussione parlamentare scrisse: “la fusione coi napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso!”.

Napoli Capitale Morale si apre appunto con un passaggio dell’intervento di Giuseppe Ferrari, filosofo e deputato milanese, al Parlamento di Torino durante la discussione sull’annessione delle province meridionali al Piemonte, a due settimane dai plebisciti dell’ottobre 1860:

“Ho visto una città colossale, ricca, potente […]. Ho visto strade meglio selciate che a Parigi, monumenti splendidi che nelle prime capitali dell’Europa, abitanti fratellevoli, intelligenti, rapidi nel concepire, nel rispondere, nel sociare, nel agire. Napoli è la più grande capitale italiana, e quando domina i fuochi del Vesuvio e le ruine di Pompei sembra l’eterna regina della natura e delle Nazioni.”

Ferrari, estraneo a consorterie e a gruppi politici, di ritorno in Italia dopo un ventennio trascorso in Francia, sosteneva una confederazione degli stati italiani ed era contrario all’annessione al Piemonte delle province meridionali. L’unico parlamentare che vedeva l’Italia unita alla maniera giusta. Un idealista destinato ad essere isolato. Un milanese che studiò la cultura di Napoli, e visitò la città, cosa che non fece mai Cavour, e che Vittorio Emanuele II fece solo per andarsela a prendere. Ecco alcuni passaggi interessanti del lungo discorso del milanese.

“[…] Napoli è abbagliante di splendori, e voi volete prenderla incondizionatamente, volete che sia data a voi, che si dia a Torino. Non dico che voi vogliate, intendiamoci; ma il moto economico lo vuole, la vostra politica lo esige, la geografia del Piemonte e delle sue ambizioni ingenite lo richiede, ed, astrazione fatta dalle volontà individuali, il vostro principio conduce alla confisca immediata e incondizionata della più grande delle città italiane a profitto di una città senza dubbio coltissima e dotata di invincibili attrattive, ma della metà inferiore alla grandezza di Napoli. (Mormorio)
[…]
La dedizione incondizionata (di Napoli) significa che sarà libero al Piemonte di distruggere tutte le leggi napoletane per sostituirvi tutte le leggi piemontesi…
(mormorio prolungato)
[…]
La parola incondizionata implica che il regno napoletano si troverà in balia di un Re o di un Senato piemontesi.
[…]
Le leggi delle Due Sicilie sono ottime, paragonate con quelle delle altre nazioni incivilite; esse sono da preferirsi a tutte; in una parola i codici francesi sono vigenti nella bassa Italia, e voi volete che Napoli si sottometta incondizionatamente e subito ad occhi chiusi a un regno i cui codici sono nel dubbio della discussione, le cui finanze ondeggiano nell’urto delle autonomie, e il cui ordinamento geografico è un mistero per i membri stessi del Gabinetto piemontese?
[…]
Del resto, voi lo sapete meglio di me, non ispetterebbe a me il dirlo, le Due Sicilie sono regolate col miglior governo che si possa in quest’istante immaginare.
(Ilarità)
[…]
Or bene, s’io avessi l’onore d’essere nato nella patria di Vico, e se l’alta Italia volesse annettersi senza condizione e subito, io direi: no, non confondiamoci, ma confederiamoci
. (Segni di disapprovazione)
E diffatti, giacché la storia non volle che l’Italia appartenesse alla classe delle nazioni unitarie, colla federazione possiamo giungere ogni più gloriosa meta. Colla federazione ogni città si trasforma in capitale e regna sulla sua terra
(Rumore); […]”

Giuseppe Ferrari rimase una voce radicale isolata a denunciare gli errori del piemontesismo con riconosciuta onestà di analisi. Continuò solitario ad avversare le profonde sperequazioni sociali all’interno dell’Italia unitaria, accusando l’annessione incondizionata per l’alimentata piaga del brigantaggio.

De Laurentiis: «si impegnino tutti nella rivoluzione di Napoli contro l’Italia»

Angelo Forgione – Mentre si scava nei punti indicati dai pentiti di camorra e si riesumano fusti pieni di sostanze nocive, il calcio Napoli fa parlare l’Europa per la sua forza e per il calore dei suoi tifosi. Gioie e dolori di un popolo da secoli su una linea di confine, che stavolta è vittima di un dramma silenzioso di cui non tutti hanno ancora compreso la reale portata. E allora, proprio in un momento di contrasto come questo, è bene rispolverare quelle parole pronunciate da Aurelio De Laurentiis il 21 maggio, alla vigilia dell’ingaggio di Benitez, nel giorno del convegno medico “Napoli, insieme per la salute”, organizzato dalla SSC Napoli a Città della Scienza. Il suo discorso spaziò dagli aspetti prettamente sportivi al recupero di Bagnoli, fino ai veleni intombati nelle campagne tra Napoli e Caserta dalla camorra su commissione degli industriali del Nord e della massoneria deviata, nel silenzio colpevole della politica nazionale. Ebbene, di quel discorso tutti riportarono solo le indiscrezioni sul futuro tecnico azzurro e sui programmi per la ricostruzione di “Città della Scienza”. Praticamente nessuno rese noti i suoi strali nei confronti del Presidente della Repubblica Napolitano, reo di aver ignorato la sua (?) Napoli nel corso del suo primo mandato, e men che meno la sollecitazione a tutto il popolo napoletano a prendere coscienza dello scempio ambientale perpetrato a danno delle vite dei cittadini della Campania, vittime di una peste del Duemila (guarda il video in alto).

«In questa regione c’è la più alta percentuale di tumori. Questa è una cosa che riguarda la nostra vita, la vita dei nostri figli. Vorrei che tutti si impegnassero in questa rivoluzione di Napoli contro l’Italia. Qualcuno mi accusa di essere separatista, borbonico, ma qui da noi è nata la civiltà. Anni e anni di dominazioni ci hanno insegnato a darci delle arie da grandi, ma sempre con un’umiltà di fondo. Io metto a disposizione di Città della Scienza 200 mila euro per la ricostruzione in qualità di Calcio Napoli. Questa Città della Scienza risorgerà presto, ma il problema è come disinnescare il problema di Bagnoli, cui mi ero interessato prima di prendere il Calcio Napoli. Volevo congiungere Mergellina con l’Excelsior. Volevo fare una marina fantastica, tipo Croisette di Cannes. Tutti progetti messi da parte, venivo visto come un visionario. Fu così anche quando presi il Napoli: “ma dove vai?”, mi dissero tutti. Guardate dove siamo arrivati.»

Troppo forte il concetto di Napoli contro l’Italia? Quelle parole furono riportate immediatamente da chi scrive, ma evidentemente è il caso di rimarcarle ancora, per sensibilizzare tutti gli appassionati sportivi circa un problema serio che incombe su tutti, tifosi e non. Popolista o no, De Laurentiis quelle parole le ha pronunciate di fronte a una platea e ben sapendo di avere taccuini e telecamere di fronte, sfruttando la sua immagine catalitica. Perché lui sa che il Napoli è la seconda religione della città, e lui ne è il Pontefice.