Il tributo di sangue del Sud nella ‘Grande Guerra’

Angelo Forgione 24 maggio, giorno di commemorazione dell’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale. La guerra, con tutto il suo carico di morti, tragedie e devastazioni, era già in corso da dieci mesi quando l’Italia abbandonò la neutralità e si schierò al fianco delle forze dell’Intesa contro gli ex alleati dell’Impero Austro-Ungarico e della Germania. Nonostante la maggioranza della popolazione fosse contraria alla guerra, a prevalere furono le posizioni di chi premeva per la partecipazione al conflitto. Tra questi, un ruolo fondamentale lo recitarono gli industriali e la massoneria del nuovo triangolo industriale Torino-Genova-Milano, che dagli eventi avrebbero ottenuto grandissimi vantaggi economici. Le fabbriche avrebbero sfornato armi e mezzi bellici, il vero business per far crescere la piattaforma del Nord-Ovest, e gli operai si sarebbero trasformati in militari impiegati in catena di montaggio. In trincea ci sarebbero andati soprattutto i meridionali, già condannati all’agricoltura e ora alla sopravvivenza in battaglia. La chiamata al fronte consegnò i campi da coltivazione del Mezzogiorno all’incuria e sottrasse alle famiglie ogni tipo di mantenimento. I territori del Sud beneficiarono – si fa per dire – del 7,4% degli stanziamenti militari; il Nord e il Centro del restante 92,6. A guerra finita fu la borghesia imprenditoriale del Nord ad avvantaggiarsi dell’allargamento dei mercati e delle risistemazioni postbelliche.
Che vi fossero italiani di Serie A e altri di Serie B lo dimostra il movimento calcistico, in crescita in quegli anni, fortemente legato proprio allo sviluppo industriale del Nord, e quindi anche a quello sociale. La sospensione del campionato, detto nazionale pro forma ma di fatto spaccato, comportò la mancata assegnazione del titolo di Campione d’Italia. Dopo quattro anni, quel titolo fu attribuito d’ufficio al Genoa (che non lo aveva richiesto), in testa al girone Nord al momento dell’interruzione, nonostante al Centro-Sud l’Internazionale Napoli, il Naples e la Lazio si stessero contendendo il titolo del’altra Italia che avrebbe consentito di disputare la finalissima per il Tricolore. Ai meridionali non restò che festeggiare per i sopravvissuti di ritorno dal fronte o piangere i loro morti.

‘Dov’è la Vittoria’ su Radio Sportiva

Dalla rubrica “Libri e Sport” di Radio Sportiva di venerdì 4 settembre, un concentrato di meridionalismo intellettuale in maglietta e pantaloncini, parlando di Calcio e Italia spaccata.

Matteo Renzi e il disco rotto del piagnisteo. Vietato evidenziare il dramma Sud.

Angelo Forgione per napoli.comSia lodata la Svimez, ma ancor di più la Grecia in crisi. Che potesse divampare nuovamente la “Questione meridionale” sotto il solleone di Agosto, con la colonnina di mercurio sopra i 40 gradi, nessuno poteva prevederlo, perché da un buon decennio, freddo o caldo che facesse, tra l’abbondante demagogia leghista e la massiccia retorica delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, il problema Sud era di fatto scomparso dai temi del dibattito politico nazionale.
Sia chiaro che la Svimez non ha detto nulla di nuovo, perché sono anni che nei suoi periodici rapporti preconizza desertificazione industriale e umana al Sud, richiamando attenzione sulla povertà meridionale. Tutto ignorato e relegato a qualche articolo di giornale mai capace di “estorcere” un commento significativo da parte dei leaders dei Governi che si sono succeduti. C’è voluta la Grecia, c’è voluto il suo euro-referendum per fare lo sgambetto al presidente del Consiglio in carica; c’è voluto il dibattito sulla “Questione greca” che sta all’Europa come quella “meridionale” sta all’Italia. L’attenzione internazionale si è concentrata sul dramma economico ellenico e tutti hanno creduto che oltre quel fondo non si potesse scavare nell’Eurozona. E invece la Svimez, riesprimendo gli stessi dati degli anni scorsi, ha condito quanto già detto col riferimento greco, così riaprendo una ferita mai rimarginata. Tutti hanno finalmente e improvvisamente scoperto che esiste un peggio al peggio, che la Magna Grecia sta peggio della Grecia. Il meridionalismo intellettuale lo sapeva già, ma l’imbavagliamento di cui è oggetto non gli consente di diffondere ampiamente la propria voce. E, del resto, nulla hanno potuto neppure i Gramsci, i Salvemini, i Nitti, i Fortunato e tutti coloro che hanno denunciato a gran voce, anche in sede politica, le problematiche affiorate con la creazione del “triangolo industriale” negli anni seguenti l’unificazione nazionale.
Il Sud ha battuto un colpo, finalmente, e la “Questione meridionale” è tornata inaspettatamente sotto i riflettori. Ma al grido d’allarme della Svimez ha risposto la leggerezza interpretativa del premier Renzi, la stessa persona che lo scorso gennaio, con incredibile superficialità, disse al parlamento di Strasburgo che le famiglie italiane incalzate dalla povertà si stavano invece arricchendo. Ora, dal pulpito nipponico di Tokyo, il “rottamatore” della politica italiana ha tuonato: «Basta piagnistei sul Sud! Voler bene all’Italia è smettere di parlarne male. L’Italia, lo dicono i dati, è ripartita. È vero che il Sud cresce di meno e sicuramente il governo deve fare di più, ma basta piangersi addosso». Il Presidente del Consiglio ha chiesto dunque di nascondere sotto il tappeto la polvere, di celare il dramma meridionale, di non parlar male dell’Italia, come se questa fosse una. No, non lo è e non lo è mai stata. Esistono due diverse Italie: ce n’è una che rincorre la ripresa facendo leva su un’economia che si approssima all’Europa che conta e ce n’è un’altra che da un secolo e più è scivolata verso il baratro. C’è una parte del Paese con distretti che procedono come la Germania e un’altra che è in panne alla partenza.
“Piagnisteo”. È così che Renzi liquida la Questione. Se il Sud si fa ascoltare “chiagne”, e magari “fotte” pure. Per cui è meglio che la smetta e che non faccia fare brutta figura all’Italia sullo scenario internazionale, soprattutto a un premier che è in visita nel Paese della terza economia mondiale. Nel Calcio, tanto caro al Capo di Governo, qualcuno dice che l’attacco è la miglior difesa, e Renzi sembra proprio attuare tal teorema per respingere le accuse nei confronti di un Esecutivo, il suo (ma non solo il suo) che per il Mezzogiorno non ha fatto nulla se non arrecare ulteriori danni con continui tagli della spesa in conto capitale e degli investimenti statali. Proprio di tattica si tratta, perché il rifiuto del “piagnisteo”, cioè l’attacco a chi prova ad attaccare, è un classico della dialettica dell’ex sindaco di Firenze. Otto mesi fa, a novembre, era a Sidney, e dai microfoni australiani chiedeva all’Italia di smetterla di vivere nel piagnisteo. Un mese prima – era ottobre – diceva lo stesso nella sua città, durante le celebrazioni per i 150 anni delle Officine Galileo a Campi Bisenzio, ricordando che nel dopoguerra italiano nessuno si è abbandonato al piagnisteo e così l’Italia è ripartita. Inesatto, perché i “piagnistei” c’erano anche allora, ed erano meridionali, ma furono messi a tacere. Quell’Italia in ginocchio ripartì grazie agli aiuti stanziati dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951, con cui furono rimessi in piedi gli stabilimenti industriali del Nord-Italia. Stanziamenti predisposti dagli Stati Uniti con lo scopo recondito di demolire il comunismo italiano (sostenuto esternamente dal grande blocco sovietico), nell’ambito di un piano più ampio finalizzato ad ottenere liberalizzazioni commerciali in Europa per le multinazionali americane e acquisire forte influenza della politica statunitense su quella europea. Eppure il politico sindacalista pugliese Giuseppe Di Vittorio – e non solo lui – chiese di investire parte dei finanziamenti americani per un minimo sviluppo industriale nel Sud, colpito da distruzioni molto maggiori rispetto al Nord, ma trovò opposizione nell’imprenditoria settentrionale, guidata dal genovese Angelo Costa, presidente di Confindustria, che rifiutò con ormai cronico nordismo. Per l’imprenditore ligure era più conveniente trasferire manodopera al Settentrione che creare fabbriche nel Meridione. «E assurdo pensare che l’industria si localizzi nel Sud, è più conveniente trasferire la manodopera verso il Nord». Così disse Costa nel 1946, e non è un caso che l’attività di navigazione per passeggeri immediatamente dopo avviata abbia portato alla nascita del colosso italiano delle crociere, quelle dai fumaioli gialli e la C blu. I soldi del Piano Marshall furono profusi dal Governo italiano in grandissima parte nei territori d’Alta Italia, rivitalizzando il “triangolo industriale” e inaugurando la più massiccia emigrazione da Sud a Nord. È così che l’Italia spaccata è ripartita dopo la Guerra. Si trattò di ripartenza assistita grazie al gettito di capitali esterni, come l’Italia dovrebbe fare per il suo Sud. È se lo Stivale intero non riesce a volare in Europa è proprio perché quel gettito fu maldistribuito, ricreando un fallimentare modello di sviluppo e ricalcando il Paese proprio come la si era lasciato prima dei bombardamenti, con un Nord in progresso industriale e un Sud “destinato a funzionare da colonia d’America per le industrie del Nord”. Il virgolettato si riferisce alle parole pronunciate da Gaetano Salvemini nel 1911, in pieno cinquantenario dell’Unità. Era anche quello il “piagnisteo” di chi sapeva di cosa parlava.

‘Dov’è la Vittoria’ a “Si Gonfia la Rete”

Dalla trasmissione Si Gonfia la Rete su Radio CRC del 13 luglio, due chiacchiere sul libro Dov’è la Vittoria e sul nuovo Napoli di Sarri che inizia a prendere forma.

De Laurentiis: «si impegnino tutti nella rivoluzione di Napoli contro l’Italia»

Angelo Forgione – Mentre si scava nei punti indicati dai pentiti di camorra e si riesumano fusti pieni di sostanze nocive, il calcio Napoli fa parlare l’Europa per la sua forza e per il calore dei suoi tifosi. Gioie e dolori di un popolo da secoli su una linea di confine, che stavolta è vittima di un dramma silenzioso di cui non tutti hanno ancora compreso la reale portata. E allora, proprio in un momento di contrasto come questo, è bene rispolverare quelle parole pronunciate da Aurelio De Laurentiis il 21 maggio, alla vigilia dell’ingaggio di Benitez, nel giorno del convegno medico “Napoli, insieme per la salute”, organizzato dalla SSC Napoli a Città della Scienza. Il suo discorso spaziò dagli aspetti prettamente sportivi al recupero di Bagnoli, fino ai veleni intombati nelle campagne tra Napoli e Caserta dalla camorra su commissione degli industriali del Nord e della massoneria deviata, nel silenzio colpevole della politica nazionale. Ebbene, di quel discorso tutti riportarono solo le indiscrezioni sul futuro tecnico azzurro e sui programmi per la ricostruzione di “Città della Scienza”. Praticamente nessuno rese noti i suoi strali nei confronti del Presidente della Repubblica Napolitano, reo di aver ignorato la sua (?) Napoli nel corso del suo primo mandato, e men che meno la sollecitazione a tutto il popolo napoletano a prendere coscienza dello scempio ambientale perpetrato a danno delle vite dei cittadini della Campania, vittime di una peste del Duemila (guarda il video in alto).

«In questa regione c’è la più alta percentuale di tumori. Questa è una cosa che riguarda la nostra vita, la vita dei nostri figli. Vorrei che tutti si impegnassero in questa rivoluzione di Napoli contro l’Italia. Qualcuno mi accusa di essere separatista, borbonico, ma qui da noi è nata la civiltà. Anni e anni di dominazioni ci hanno insegnato a darci delle arie da grandi, ma sempre con un’umiltà di fondo. Io metto a disposizione di Città della Scienza 200 mila euro per la ricostruzione in qualità di Calcio Napoli. Questa Città della Scienza risorgerà presto, ma il problema è come disinnescare il problema di Bagnoli, cui mi ero interessato prima di prendere il Calcio Napoli. Volevo congiungere Mergellina con l’Excelsior. Volevo fare una marina fantastica, tipo Croisette di Cannes. Tutti progetti messi da parte, venivo visto come un visionario. Fu così anche quando presi il Napoli: “ma dove vai?”, mi dissero tutti. Guardate dove siamo arrivati.»

Troppo forte il concetto di Napoli contro l’Italia? Quelle parole furono riportate immediatamente da chi scrive, ma evidentemente è il caso di rimarcarle ancora, per sensibilizzare tutti gli appassionati sportivi circa un problema serio che incombe su tutti, tifosi e non. Popolista o no, De Laurentiis quelle parole le ha pronunciate di fronte a una platea e ben sapendo di avere taccuini e telecamere di fronte, sfruttando la sua immagine catalitica. Perché lui sa che il Napoli è la seconda religione della città, e lui ne è il Pontefice.

Monti e i suoi ostacolano il registro dei tumori in Campania

la legge regionale contro i tumori impugnata dal Consiglio dei Ministri

La legge regionale per l’istituzione del registro dei tumori della Campania, partorita lo scorso 13 Giugno, è stata impugnata, quindi bloccata, dal Consiglio dei Ministri dinanzi alla Corte Costituzionale. Motivazione? La legge contiene alcune disposizioni in contrasto con il piano di rientro dal disavanzo sanitario. Tradotto in soldoni, costa troppo per una Regione in deficit.
Il provvedimento garantiva finanziamenti certi e non stornabili alle ASL per istituire un registro che mettesse in rete i dati sull’incidenza delle patologie tumorali, coprendo tutta la regione oltre la quarantina di comuni finora inclusi. Con questa legge la Campania si avviava a colmare finalmente una lacuna gravissima per un territorio particolarmente inquinato come quello tra il Napoletano e il Casertano, inquinato da sversamenti abusivi di ogni tipo. Il registro avrebbe dovuto consentire di poter mettere in relazione eventuali impennate dei casi di cancro con l’esposizione di ipotetici fattori di rischio, come la presenza di discariche illecite o lo smaltimento di liquidi tossici. Passaggio fondamentale per poi definire politiche di prevenzione e di bonifica. Il tutto sotto il coordinamento delle ASL e dell’Istituto Tumori Pascale.
E così la Campania, la regione pattumiera delle industrie del Nord-Italia ma non solo, resta l’unica senza il prezioso registro. Nell’articolo del 13 Giugno si sperava di evitare nuove beffe dopo l’esito del processo “Cassiopea”. Cos’altro deve accadere affinché i campani siano protetti da leggi e bonifiche dei territori? Evidentemente il popolo campano deve rientrare velocemente dal deficit sanitario prima di non poterlo più fare. Prima i bilanci e poi le vite umane? Siamo di fronte a dinamiche perverse e silenziose alle quali la gente non può più sottostare. L’azione del Governo Monti, per quanto lecita, è delittuosa dal punto di vista etico e morale e non può passare inosservata.
Già preannunciata una immediata reazione: Lunedì 17 alle ore 13:00, si terrà una catena umana di cittadini e medici davanti all’Istituto Pascale. E la vergogna continua!

ALCOA e desertificazione industriale del Sud

L’ex-dirigente RAI Enrico Giardino, esperto di telecomunicazioni, fondatore e responsabile del Forum per il “Diritto A Comunicare” (DAC), ricercatore di soluzioni ed alternative rispetto agli schemi dominanti, impegnato da decenni nella democratizzazione dei sistemi informativi e comunicativi di massa, nella demistificazione delle menzogne mediatiche e delle ipocrisie della politica nazionale ed internazionale, riporta in un suo articolo sulla vicenda ALCOA il videoclip “Nord palla al piede” quale descrizione illuminante del sistema economico italiano tendente a desertificare e immiserire il Sud produttivo per renderlo sempre più colonia e mercato di acquisto dei prodotti del Nord.
“I nostri governanti lasciano fare e assecondano l’arbitrio padronale. Desertificando e immiserendo il Sud produttivo, ci vengono a dire, mentendo, che il Sud è la “la palla al piede dell’Italia”. E’ una spudorata menzogna, come dimostra con i numeri e con un video illuminante il blog di Angelo Forgione: V.A.N.T.O.. Se lo Stato concede al Sud 45 ML di euro/anno, il flusso di ritorno da Sud a Nord è di 63 ML di euro/anno, equivalente dell’acquisto da parte dei consumatori del Sud di beni prodotti a Nord.
È quindi il Sud che mantiene il Nord: questo fallirebbe senza il suo apporto. La “palla al piede dell’Italia” è allora il Nord, non il Sud come si sostiene, ipocritamente, da decenni. È la scelta ideologica capitalista, sempre più perdente e distruttiva, che assegna la produzione al Nord e il consumo al Sud, aggravando così il problema meridionale che subiamo da oltre 150 anni, senza rimedio. Perciò la vicenda ALCOA è lo specchio in cui il Sud dovrebbe guardarsi per accorgersi di aver toccato il fondo”. (continua a leggere)

Regione Campania, ok del Consiglio al Registro Tumori

Regione Campania, ok del Consiglio al Registro Tumori

istituito lo strumento legale per la prevenzione e la rilevazione

Sì unanime del Consiglio regionale alla proposta di legge che istituisce finalmente il Registro dei Tumori in Campania, unica regione che ne era priva. Applicazione permettendo, con il Registro sarà possibile rilevare i dati riguardo all’incidenza delle patologie tumorali sull’intero territorio campano la cui mortalità, in alcuni comuni del napoletano e del casertano, è di dieci volte superiore alla media nazionale, colpendo soprattutto le donne.
Senza il Registro era impossibile stabilire in tribunale il nesso di causalità tra l’incremento di casi tumorali in un determinato territorio e la presenza in zona di una discarica o, peggio ancora, di un sito di smaltimento di rifiuti tossici. Si tratta di un passo fondamentale per spezzare il silenzio sul legame rifiuti-tumori in una terra devastata dalla più grave emergenza ambientale della storia d’Italia, esposta per decenni ai rifiuti tossici delle aziende del Nord sotterrati quando non dati alle fiamme; una terra in cui le falde acquifere inquinate sono più di quelle sane.
Dalla dotazione degli strumenti all’applicazione il passo è sempre lungo ed è auspicabile che non si verifichino nuove beffe in sede di approvazione a danno delle popolazioni della Campania, come avvenuto nel caso della prescrizione di tutti gli imputati dell’Operazione Cassiopea che riempirono di veleni il Sud senza alcuna punizione a causa di lungaggini e errori della magistratura.

videoclip / NORD PALLA AL PIEDE

videoclip (consigliato!) / NORD PALLA AL PIEDE

modello di sviluppo italiano e cause del sottosviluppo del paese

Angelo Forgione – Qualcuno si è mai chiesto perchè durante le festività consumistiche il mercato è invaso da panettoni, pandori e colombe? È ora di raccontare la verità! Non è più possibile ascoltare in TV e leggere sui giornali che il Sud è la zavorra che fa affondare il paese quando è di fatto la parte che paga di più la crisi ed è spremuto come un limone.
Certo… le banche. La crisi finanziaria che subisce tutto il pianeta è colpa loro; ma perchè in Italia le cose vanno peggio? Semplice: perchè la finanza si è sommata all’economia. E la crisi economica arriva da lontano.

L’accusa è sempre la stessa: Sud parassita che beneficia di trasferimenti statali per 45 miliardi di euro annui, che non produce e che assorbe risorse. Questo è quello che si ascolta continuamente, ma nessuno dice che il Nord ne ricava in termini maggiori con un flusso di ritorno pari a 63 miliardi dal Sud al Nord. Da dove arrivano? Dagli acquisti delle merci delle aziende settentrionali che invadono il mercato meridionale. E la cifra potrebbe lievitare con il costo dell’emigrazione intellettuale e sanitaria.
Il calcolo è semplice: 63 – 45 = 18 miliardi di euro/anno distribuiti al Nord. I dati non sono aleatori ma forniti da economisti di spessore come Paolo Savona (Fondo Interbancario Tutela Depositi) e Luca Bianchi (SviMez) che configurano il sistema produttivo italiano impostato su un Nord che produce per un Sud che acquista.
Così la parte produttiva del paese, per trattenere a sé la maggior quota della ricchezza prodotta, invia denaro al Sud e nasconde dietro il dogma leghista del parassitismo meridionale due vantaggi fondamentali per la propria economia: tagliare fuori dal mercato il Meridione per sottrargli reddito e occupazione, due piccioni con una fava. Ruolo fondamentale è anche quello delle mafie cui non si pone un vero contrasto perchè utili ad indebolire la valida imprenditoria del Sud. E in questo quadro, grosse colpe hanno i politici meridionali, nella maggioranza asserviti a determinate logiche.
Questo sistema è però fragilissimo perchè la ricchezza di un paese va distribuita per mantenersi stabile e semmai crescere, e se c’è una parte che vende e un’altra che acquista, in presenza di crisi finanziarie come quella in corso che si somma a quella economica ormai cronica, il potere di acquisto in calo al Sud fa crollare anche il potere commerciale al Nord. L’Italia è una ma di fatto configurata in due aree non amalgamate ma intrecciate da questi flussi, e il crollo di chi paga è automaticamente il crollo di chi incassa. «Metterci le mani – secondo Paolo Savona – potrebbe causare un danno irreversibile al modello di sviluppo predeterminato».
Ecco spiegato il motivo per cui non si è mai posto, non si pone e non si porrà rimedio alla cronica questione meridionale che nasce con l’Italia. Ecco perchè l’assioma del Sud-zavorra va smontato e sovvertito, individuando nel Nord il vero problema del mancato sviluppo del paese, la causa di un egoismo che fa male a tutta l’Italia.
La verità è che, nonostante si sbandieri il contrario, sono davvero poche le aziende settentrionali davvero competitive da poter “saltare” il Mezzogiorno che resta di fatto il mercato preferito. Tant’è che, a fronte dei 63 miliardi di deflusso dal Sud-Italia, si contano solo 13 miliardi dall’estero.
“Report” e “Presadiretta” hanno provato a farlo capire agli italiani, e sono stati i soli. Ma altrove è tutta una propaganda filo-leghista e una congiura del silenzio che devia artatamente la discussione dei veri problemi. Il videoclip mostra un collage audiovisivo che mette insieme un filo logico per raccontare la verità nascosta e le menzogne che l’opinione pubblica non solo non riconosce ma sostiene, facendo il gioco di chi le racconta.

Il meridionalismo legittimato da Presa Diretta (Rai Tre)

Il meridionalismo legittimato da Presa Diretta (Rai Tre)
ecco come Nord secessionista e governo fanno male a tutto il paese

Angelo Forgione – Il meridionalismo è una corrente di pensiero basata su accurati studi delle problematiche del Sud, della sua staticità economica, della “questione meridionale”. L’attività di ricerca dei meridionalisti, associata a quella di analisi e proposta, si basa sulla denuncia delle gravi responsabilità della politica di governo rispetto al mezzogiorno d’Italia da quando la nazione si è unita.
Tutto questo porta talvolta chi non approfondisce lo studio della questione e la osserva superficialmente dall’esterno ad etichettare gli esperti della questione (meridionale) come vittimisti a prescindere. Sta di fatto che le istanze meridionaliste portate avanti con maggior vigore e decisione in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia stanno fruttando una maggiore necessità di approfondire la faccenda in maniera sempre meno acritica e di verificare gli argomenti che i meridionalisti propongono.
La malaunità italiana che lascia il motore del Sud al “minimo”, l’esempio della Germania che in soli 10 anni ha raggiunto la vera unità tra est e ovest con investimenti e giuste tassazioni, la Lega Nord che governa il paese sostenendo il Federalismo per proprio miope tornaconto, il Nord che sottraendo risorse al Sud è destinato ad andare a fondo insieme ad esso, il Sud usato come mercato dei prodotti del Nord, la spoliazione del tessuto produttivo del meridione. Tutto questo, come per incanto, si è materializzato in una puntata di Presa Diretta (Rai Tre) di Riccardo Iacona dal titolo “Il popolo” che ha legittimato e dimostrato tutto questo.

Il videoclip racchiude in 15 minuti l’autorità della corrente meridionalista, gratifica tutti coloro che stanno lavorando con serietà e senza estremismi e fondamentalismi, e mette a nudo un paese sbilanciato e sbagliato, destinato ad andare sempre più a fondo fin quando esisteranno e governeranno leghe territoriali xenofobe e finché il Sud non sarà sviluppato con investimenti ordinari dopo quelli straordinari. Come la Germania. Con buona pace di alcuni settentrionali che credono alla demagogia leghista che spaccia il Sud per palla al piede, decretando inconsapevolmente anche la propria sventura.
Con un solo doveroso appunto: il Sud, 150 anni, fa non era arretrato rispetto al Nord. Questa è l’unica cosa che “Presa Diretta” non ha detto, e sarebbe stato utile a capire il perchè, dopo averlo spoliato, dopo 150 anni è in simili condizioni. Ma la sostanza del presente non cambia.

guarda l’intera puntata dal sito da rai.tv