1463-2018, il Banco di Napoli finisce qui

Angelo Forgione Venerdì 23 novembre 2018: ultimo giorno operativo dell’istituto bancario più solido d’Italia al momento dell’unità, il più antico operante d’Europa, quello che ha creato la finanza, seppur posteriore al più antico Banco di San Giorgio, nato a Genova nel 1407 e cessato nel 1805. Ora il primato passa al Monte dei Paschi di Siena (in attività dal 1472 come Monte di Pietà), salvato con mille artifici dal Governo così come la banche venete e le altre piccole banche popolari, ben più pregiudicate di quanto non fosse il glorioso istituto napoletano nel 1994.

Ultimo atto di colonizzazione, il Banco di Napoli, con tutta la sua storia, finisce qui. Restano solo il marchio e le insegne; prima o poi andranno via anch’esse. Resta la Fondazione Banco di Napoli, indipendente, il cui archivio storico in via dei Tribunali è la più imponente raccolta di documentazione bancaria esistente al mondo, contenente notizie rilevanti per la storia economica, sociale ed artistica del Mezzogiorno d’Italia e dei suo rapporti con l’estero. E resta il detto popolare “Chiacchiere e tabbacchere ‘e lignamme, ‘o bbanco ‘e Napule nunn’ê ‘mpegna”.

La fine del Banco di Napoli è solo l’atto formale di un’acquisizione torinese avvenuta già anni fa, nel totale silenzio della città. Era il 2002, periodo in cui anche la SSC Napoli andava incontro al destino di una crisi irreversibile. Immaginate se ad acquisire il club azzurro fosse stata la proprietà della Juventus (ci andò vicino quella dell’Udinese)… I napoletani sarebbero scesi in piazza e bloccato la città. Ma era “solo” una banca, motore dell’economia meridionale, e non valeva la pena perdere il sonno per un pilastro della città che finiva in mani settentrionali. Come ormai lo sono tutte le banche del Meridione, nelle mani dei gruppi del Nord, i quali, a loro volta, “dipendono” dal sistema finanziario internazionale.
La conseguenza disastrosa è che con la raccolta degli sportelli del Sud, quindi coi risparmi dei meridionali, si coprono i finanziamenti fatti dalle banche alle aziende del Nord.
Si tratta di “servizi”, una voce silenziosa che, insieme ai “beni”, serve a trasferire danaro dal Sud al Nord (come evidenziai un anno fa a Mediaset; ndr). Cioè, il meridionale risparmia qualcosa al supermercato, là dove compra soprattutto Nord? Il suo risparmio, depositato in banca, serve per sostenere l’economia del Nord.

E infatti il recente rapporto 2018 della Svimez dedica un capitolo a smontare nuovamente la teoria secondo la quale il Mezzogiorno drena risorse dal Nord, quantificando le risorse economiche e umane che si spostano dal Settentrionale al Mezzogiorno e viceversa. Se da un lato si ci sono “i trasferimenti netti di risorse pubbliche che da Nord vanno a Sud”, dall’altro ci sono “corposi trasferimenti di risorse a vantaggio del Nord”.
A queste interdipendenze contribuiscono anche le banche. Gli economisti della Svimez ricordano proprio come a Sud negli ultimi anni siano proliferati istituti di proprietà non meridionale e che allo stesso tempo alcune banche hanno mantenuto la sede legale nel Mezzogiorno ma sono entrate e far parte di gruppi bancari del Centro-Nord. Ciò ha favorito “una tendenza in atto da tempo di impiegare la raccolta bancaria delle Regioni meridionali per finanziare investimenti maggiormente remunerativi e meno rischiosi nelle aree più produttive del Paese, invece di utilizzarla per dare credito al sistema produttivo locale”.
E poi i consumi. Secondo le stime degli economisti, è sulle spese dei meridionali che si fonda un pezzo di ricchezza del resto del Paese. Una fetta non indifferente. Il mercato di destinazione del Sud genera al Centro Nord un Pil pari alla metà di quello che genera tutto il mercato estero. Stando ai numeri, per rispondere alla domanda di consumo e investimento dei meridionali, al Nord si è prodotta ricchezza per un ammontare di 186 miliardi di euro. Senza contare i 175mila giovani meridionali che studiano e consumano nel Settentrione, e nemmeno quelli che vanno a farsi curare negli ospedali lontani.

STORIA A TAPPE DEL BANCO DI NAPOLI

1463 – La cassa di depositi e prestiti della “Casa Santa dell’Annunziata”, esegue le prime operazioni come banco pubblico.

1539 – Costituzione del Monte della Pietà di Napoli in via S. Biagio dei librai con finalità filantropiche per prammatica di espulsione degli ebrei emessa dal vicerè Pedro de Toledo, al fine di risolvere i problemi di usura generati dagli stranieri e dai banchieri genovesi che facevano prestiti ai napoletani.

1569 – Il Monte di Pietà di Napoli istituisce la “fede di credito”, inventando di fatto l’assegno cartaceo che sostituisce la moneta in contanti.

1794 – Ferdinando di Borbone riunisce i banchi pubblici di Napoli e istituisce il Banco Nazionale di Napoli.

1808 – Gioacchino Murat, nell’interregno napoleonico, rinonima il Banco Nazionale di Napoli in Banco delle Due Sicilie.

1818 – Dolo la Restaurazione, il Banco delle Due Sicilie istituisce la Cassa di Sconto per sostenere l’economia del Sud erogando ingenti finanziamenti, e apre due filiali in Sicilia, a Messina e a Palermo, e successivamente a Bari. In tre anni il patrimonio raddoppia.

1849 – Ferdinando II di Borbone suddivide il Banco delle Due Sicilie in Real Banco di Napoli o dei dominî di qua dal Faro e Real Banco di Sicilia o dei dominî di là dal Faro, con amministrazioni separate.

1862 – Con la legge Pepoli si estende la lira piemontese a tutto il nuovo Regno d’Italia. Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia hanno facoltà di emettere moneta italiana.

1893 – In seguito all’incontrollato finanziamento dell’industria e dell’impresa settentrionali, e al conseguente scandalo della Banca Romana, si rende necessario il riordino degli istituti di emissione. Nasce la Banca d’Italia, fusione fra tre degli istituti esistenti, la Banca Nazionale del Regno d’Italia e due banche toscane. Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, invece, superano la crisi brillantemente e continuano la loro attività autonomamente.

1906 – A seguito della grande emigrazione italiana verso le Americhe, il Banco di Napoli apre una filiale a New York, a cui seguono quelle di Chicago e Buenos Aires, divenendo la prima banca italiana con filiali all’estero. Due filiali anche nei territori africani conquistati, a Tripoli e a Bengasi.

1926 – La Società delle Nazioni, per fronteggiare il caos monetario del dopoguerra, obbliga gli Stati Europei ad istituire le Banche Centrali. L’emissione diviene così ad esclusivo appannaggio della Banca d’Italia e il Banco di Napoli perde la facoltà di emettere banconote, assumendo la qualifica di Istituto di credito di diritto pubblico.

1939 – L’architetto Piacentini cura la facciata della sede del Banco di Napoli di Via Toledo.

1988 – Il Banco di Napoli, dopo la ripartenza del dopoguerra, conta filiali a Buenos Aires, Francoforte, Hong Kong, Londra, New York, Parigi, Madrid, e uffici di rappresentanza a Bruxelles, Los Angeles, Zurigo, Sofia, Mosca oltre a filiazioni come il Banco di Napoli International a Lussemburgo.

1991 – Il Banco di Napoli è il primo banco pubblico ad attuare la “Legge Amato”, sdoppiandosi in Banco di Napoli SpA per le attività creditizie e Fondazione Banco di Napoli con finalità culturali e filantropiche.

1994 – Inizia la crisi della Società bancaria, frutto di una fallimentare politica creditizia di tipo clientelare garantita dal potente dirigente di nomina democristiana Ferdinando Ventriglia (colui che nel 1984 ha garantito al Napoli la liquidità necessaria per il sensazionale acquisto di Maradona), che esce di scena a seguito di un’ispezione Bankitalia. Restano scoperti migliaia di miliardi di finanziamenti erogati a imprenditori meridionali, partiti politici ed enti pubblici insolventi. Le consistenti perdite rendono indispensabile l’intervento straordinario del Governo, finalizzato alla privatizzazione dell’Istituto. Il Ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, azzera il capitale sociale per rendere il Banco un bene senza valore da vendere all’asta.

1997 – Il Banco di Napoli viene acquistato da una cordata formata dall’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e dalla Banca Nazionale del Lavoro per 61,4 miliardi di vecchie lire, una cifra decisamente inferiore al valore di una banca con circa 800 sportelli in tutt’Italia.

2002 – Dopo una paralisi gestionale, la cordata INA-BNL rivende il Banco di Napoli per 6.000 miliardi al SanPaolo IMI, realizzando una plusvalenza enorme che consente il salvataggio della BNL, in forte crisi da un decennio per alcune operazioni irregolari compiute dalla filiale statunitense di Atlanta. Per salvare l’istituto romano viene sacrificato quello napoletano. Cancellata la plurisecolare autonomia ed azzerata la funzione di guida e supporto per la già provata economia del Mezzogiorno.

2006 – A seguito della fusione del Gruppo Sanpaolo IMI con gruppo Intesa, il Banco di Napoli viene trasformato in un semplice istituto pluriregionale limitato al risparmio e al credito a famiglie e piccoli operatori economici di Campania, Puglia, Basilicata e Calabria.

2018 – Il Banco di Napoli è inglobato da Intesa San Paolo, che ne conserva solamente il marchio e le insegne. Fine della storia.

Il Rapporto Svimez 2017 conferma: il Sud non è palla al piede

Angelo Forgione Un mese fa, a Quinta Colonna, dati alla mano, dissi che il Sud non è affatto palla al piede del Nord, parlando di interdipendenze tra le due parti del Paese che finiscono per favorire l’economia settentrionale, nonostante il passivo nordico dei trasferimenti statali e dai residui fiscali.
Il Rapporto SVIMEZ 2017, oggi presentato a Roma, conferma e rafforza la realtà nascosta. La stretta interdipendenza tra Sud e Nord sta generando una crescita dei vantaggi settentrionali.
Nel rapporto si legge appunto che “la visione che identifica semplicisticamente i residui fiscali negativi delle regioni meridionali con lo spreco di risorse pubbliche indebitamente sottratte al Nord, infatti, non solo non è dimostrata dalle evidenze empiriche ma è parziale. L’interdipendenza tra le economie del Nord e del Sud implica anche corposi vantaggi al Nord nella forma di flussi commerciali, essendo ancora il Mezzogiorno un importante mercato di sbocco della produzione settentrionale: la domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi e investimenti, attiva circa il 14% del PIL del Contro-Nord”. Inoltre, i trasferimenti statali si sono ridotti del 10% tra il 2012 e il 2014, e quasi la metà ritornano al Settentrione. Mettiamoci pure che con la raccolta del risparmio negli sportelli bancari del Sud si coprono i finanziamenti fatti alle aziende del Nord. Infine, 200mila laureati del Sud vanno via, per un vantaggio del Centro-Nord stimato in 30 miliardi. Senza dimenticare la spesa per migrazione sanitaria.
Nessuna novità, solo conferme.

Il mio intervento a ‘Quinta Colonna’:
https://www.facebook.com/AngeloForgioneOfficial/videos/10154874884335423/

Rapporto SVIMEZ 2017:
http://www.svimez.info/images/RAPPORTO/materiali2017/2017_11_07_linee_app_stat.pdf

La banca moderna è nata a Napoli

Angelo Forgione Dici finanza e pensi a Milano, anche se è nata a Napoli. L’ho scritto su Made in Naples, pubblicato nel 2013, nel capitolo “Le Banconote e i Conti Correnti Bancari”, che tutto ha origine nel Cinquecento all’ombra del Vesuvio, e oggi, dopo due anni di lavoro effettuato da una commissione costituita da grandi esperti di storia della finanza tra il 2015 e il 2017, lo si annuncia al mondo che i banchi pubblici napoletani costituiscono l’origine delle prassi della banca moderna. Tre giorni di convegno internazionale: “The rise of modern banking in Naples. A Comparative Perspective” (“La nascita della banca moderna a Napoli. Una prospettiva comparativa”), dal 15 al 17 giugno alla Fondazione Banco di Napoli per dimostrare il dimostrabile. Furono proprio i banchi pubblici partenopei a introdurre i tre elementi costitutivi di una banca moderna: la circolazione cartacea basata sulle fedi di credito; la capacità di accrescere il volume della moneta in circolazione attraverso la creazione di credito; l’introduzione dello scoperto di conto corrente.
La circolazione cartacea costituisce una fondamentale innovazione che consentì di sopperire alla scarsità di moneta metallica (di oro e d’argento), al tempo lamentata in tutti i Paesi europei. L’ampliamento della circolazione cartacea al di sopra della base metallica fu possibile grazie alla concessione di prestiti mediante l’emissione di fedi di credito. L’introduzione dello scoperto di conto corrente, una delle modalità specifiche con cui si effettuavano i prestiti, consentiva al beneficiario di prelevare più volte, fino a un tetto stabilito dalla banca, una somma a credito ogni volta che ne avesse bisogno. E nacque così, a Napoli, la banca moderna, con scopo filantropico e non di solo profitto come accadde nei paesi britannici e poi dappertutto ai giorni nostri.

L’inconfessato accordo mediatico che condanna Napoli secondo Cristian Martini Grimaldi

Angelo Forgione Cristian Martini Grimaldi, scrittore e giornalista, è romano ma divide la sua vita tra l’Italia e il Giappone. In pieno ottobre 2015 ha scritto un pezzo per L’Huffington Post dal titolo “Napoli criminale? Ci sono stato e ora lo posso dire. È tutta invidia!”, cronaca di un’esperienza personale di un operatore dell’informazione, identica a quelle della stragrande maggioranza dei turisti che scoprono Napoli e la sua verità sperimentata di persona, dopo esser stati riempiti di pregiudizi e luoghi comuni dal carrozzone mediatico. “Che razza di napoletani ci raccontano i media?”, si domandava Grimaldi, prendendo a discuterne anche sui social network appena resosi conto che l’articolo era diventato virale. A distanza di tre mesi, continua ad essere rilanciato da siti e portali informativi napoletani, e l’autore è tornato a parlarne sul suo profilo facebook, esternando con un post la sua amarezza per un’immagine di Napoli che resta sempre la stessa per i media italiani: “esiste una sorta di inconfessato accordo tra giornalisti che condanna questa città [Napoli] a fare la parte della strega cattiva (ma le streghe non erano brutte?) anche contro ogni evidenza (ci sono tre volte più furti in appartamento a Roma che a Napoli e quasi sette volte tanto a Milano; le rapine aumentano al nord ma diminuiscono al sud, Napoli in primis)”. Grimaldi ha chiesto di rilanciare la versione tradotta in inglese del suo pezzo, affiché sia sdoganato anche all’estero. L’immagine di Napoli è distorta da più di un secolo, e di certo non possono bastare tre mesi per curare un problema storico accentuato dalla nascita della televisione. Io, per evidenti motivazioni, accolgo al volo e volentieri il suo invito.

NAPLES A CRIME CITY? NOW I’VE SEEN IT AND I CAN SAY IT, IT’S ALL ENVY!
Cristian Martini Grimaldi

Type on Google “Napoli pizza” (Naples’s pizza) and you will get 24 million and a half results. Now type “Napoli criminalità” (Naples’s crime): 650,000 results. A figure forty times lower. But if even the Internet certifies this distance in terms of numbers then why crime has become the universal symbol of this city not only in Italy but also abroad?
No, it has nothing to do with Gomorrah (the TV series). The inhabitants of Naples who have a tad of common sense would never complain about a popular TV series that makes the name of Naples circulate all over the world as the location of a successful thriller (ask the people in Albuquerque if they complain about Breaking Bad). Instead the culprit should be searched among the tidbits of crime news, those who pretend to describe faithfully the every day reality, they lightly cross the borders of our Italian peninsula, travel far, so far they even reach the Far East: these are the ‘Chinese drops’ that reinforce the prejudice of “Naples as the crime city” (we can’t ignore that it exists a type of journalism that promotes the spreading of clichés: the Japanese vagaries, the Chinese corruption, the Latino laziness).
A shootout in Scampia, an execution at Torre del Greco, the passer-by wounded by a baby-killer (all boroughs of Naples). And then you happen to ask a Japanese passer-by who’s resting on the parapet of Castel dell’Ovo just overlooking the gulf of Naples and you would realistically expect that he would immediately run off for fear of you shoplifting him. That doesn’t happen. What happens is that he actually listens to you, and what does he has to say?
“We had booked three days in Rome and only one in Naples, intimidated by what we heard in the news. We regretted it”.
The reasons are obvious. Try to take a ride on the subway named University in central Naples and then hop in the one in Rome called ‘Bologna’ near the University area: the comparison gives a whole new meaning to the expression “mind the gap”: dirt-free, warmth, colour and imagination in the first, filth and stench in the second.
A Korean girl strolling along the promenade blurts out: “Here in Naples people approach me without ulterior motives, in Rome they are sociable only to the extent that you’re attractive or a tourist sitting duck to be plucked as a chicken. Often in Rome they stop me on the streets much older gentlemen, they ask me where I come from, but it’s just an excuse to flirt, here in Naples is different, they are really curious people, a human curiosity, not the false one that always ends up with ‘can you give me the Facebook contact?'”.
I head to Herculaneum which these days has been swallowed by another incandescent avalanche, but this corrosive magma does not come from behind the city itself, where the Vesuvius peak stands tall and strong, but these fire bullets are the pyroclastic blasts shooting out from the raging open spouts of the most persistent stubborn tireless Italian Army: the media. The ammos? The defensive reaction of a jeweler in Herculaneum that ends up killing the robbers.
I get off the train and by instinct – a survival instinct, a genuine reflex bourn out of the media conditioning – I glance immediately behind. I notice a sinister guy that appears to follow me, he pulls out from his pocket what appears to be a… revolver? No, it’s a lighter. Only a false alarm?
Better not risk it, I stop and let him go. He leans to the wall and lights his cigarette. I pass him trembling in fear of being pulled by the arm and taken into a dark basement to be left there in my underwear. To my amazement, the fellow there doesn’t even seem to notice me. There he smokes his cigarette calmly, taking full puffs.
But the unheard of comes right next. I reach half way of Via IV Novembre, the main street that leads to the famous Herculaneum Ruins, and no one has yet tried to shoot me in the legs (a typical Italian gangster’s warning). I stop. Riders in their scooters dribble the traffic as smart lizards. Who said that in Naples riders don’t wear a helmet? Everyone has it. I convince myself that they do it not so much to get in line with the law – as in Naples, so they say, no one respects it – but so to have a clear conscience. Not the common-man consciousness of course, but that of the street thug. The helmet guarantees total anonymity: under those helmets anyone can hide their identity. It’s all clear now. I almost look forward with relief to the moment when a hand will stretch from a scooter to grab my backpack and disappear in the next corner. I go back and forth on the street, a little I even lean from the sidewalk, at this point I really make an easy catch. Nothing happens. There’s even a driver that instead of cutting my way as it happens regularly in Rome gives me the right to pass. I am convinced now: it is a sign that indeed there is something sinister beneath all this! It must be a plot to better deceive the tourist by giving him false securities.
I head to a kiosk. A guy in his fifties is serving coffee to an American couple. I smile bitterly imagining the overpriced bill. I walk over to enjoy closely the villain, now momentarily dressed as a bartender, while he ‘extorts’ the poor happy couple from overseas who come a long way to be ‘burned’ by that deceiving bastard of ’O sole mio!
Two coffees: one euro and forty ?! I must have caught the only honest man in the whole Herculaneum!
I make twenty steps downhill and order a coffee myself in a café right on the corner, just opposite the entrance of the Ruins. Here I am the perfect tourist to squeeze: I carry a typical Roman accent and a backpack on my back. I order a croissant and a coffee. I expect at least four euros (the comparison I do it with the cafes in front of Piazza Venezia in Rome). The bill? Coffee 80 cents 1 euro the croissant.
Panicked by all the prejudices and biases I nourished for years over Naples that now I can’t seem to corroborate in any way – in fact they are literally dissolving as snow under the sun – I decide to take the train back to Naples immediately.
I go downtown. I enter a bar on Via Toledo, that is a stone’s throw from Piazza del Plebiscito. I ask for an orange juice. I observe with suspicion the waiter while he grabs a short glass containing two fingers of orange juice – glass that is there to pick up the drains of the machine for juices – and I expect the rancid swill to end up in my order. But what does he do instead?
He moves the glass to the side and makes the machine squeeze two laps of pure fresh juice into a brand new crystal cup! I am used to the cafes in Piazza della Repubblica in Rome where the waiter gives you his back to cover your vision while he ‘cuts’ with water the half withered orange he serves you instead of the fresh one you ordered. And so, I find myself lost. Totally disoriented. I do not know what stereotype to cling on to anymore. Everyone always told me that the napoletani (Neapolitans) will cheat you for good! Be careful, they will rob you and strip you naked of all your belongings! I was in Naples indeed but it went all right. Not a shoplift I suffered, a petty theft, not even mugged.
Two questions now arise spontaneously: what kind of Neapolitans I met?
The other is: what kind of napoletani do the media always talk about? While returning to Rome I knew what was the right question to ask. And while I’m at it, I also wanna apologize to the napoletani because for years I went telling that the coastline with the most beautiful sky-line in the world is in Hong Kong. Until I saw the Bay of Naples sitting on the small bus number 140, the bus that goes from Posillipo to Mergellina and then straight up to Vittoria Square. Naples a crime city? … Give me a break! Is all envy, that’all.

Bergoglio: «quest’economia uccide». E Antonio Genovesi ascolta.

Il Papa, contro l’economia imperante, guarda inconsapevolmente a Napoli

Angelo Forgione – Papa Francesco si è espresso sull’attuale sistema economico e capitalistico, ammonendo la politica che  “la violenza nasce dall’esclusione sociale”. Bergoglio ha messo nero su bianco con la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium in cui ha affrontantato diverse tematiche legate alle questioni politiche, etico-morali e spirituali, e anche economico-sociali, chiedendo un’etica diversa:
“QUESTA ECONOMIA UCCIDE”. – “Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. Oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. È una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, di un mercato divinizzato dove regnano speculazione finanziaria, corruzione ramificata, evasione fiscale egoista. Il denaro deve servire e non governare”.
Bergoglio, inconsapevolmente, non ha fatto altro che richiedere la riscoperta dell’Economia Civile di Antonio Genovesi, quella che può salvare l’Occidente, e di abbandonare l’Economia Politica di Adam Smith, il paradigma che da più di due secoli ha assoggettato i poteri tradizionali alle banche. L’economia dev’essere civile, cioè considerare il popolo come assegnatario di una parte della ricchezza sociale. Se non fa questo diventa politica, ossia incivile, perché non crea posti di lavoro, non rispetta i lavoratori, non protegge l’ambiente, non migliora i beni e non sviluppa i servizi.
(per approfondimenti sull’argomento, rimando al mio libro Made in Naples)

Alla Reggia di Caserta si racconta (finalmente) il primo ascensore

sediaAngelo Forgione – Made in Naples (che oggi è stato recapitato in dono a Rafael Benitez e ai coniugi De Laurentiis-Baudet) continua a ottenere autorevolezza di indagine. Col capitolo “la Protezione Civile e il Governo del Territorio” ho anticipato l’esperimento del CNR sulle tecniche edilizie antisismiche del periodo borbonico e ora apprendo che, in occasione del prossimo Natale, è stato inaugurato alla Reggia di Caserta un inedito percorso tematico guidato da storici dell’arte, dal titolo “I Borbone e la modernità”, che avrà nel suo itinerario la sorprendente “Sedia volante”, il primo vero ascensore con sistema di sicurezza utilizzato dalla Corte borbonica prima che Elisha Otis brevettasse un sistema analogo a New York. Il percorso permetterà di approfondire l’esperienza tecnologica e industriale del regno borbonico, argomento poco noto al grande pubblico ma ben descritto nel mio libro. La “Sedia volante” è nello splendido palazzo vanvitelliano dal 1845, realizzato da Gaetano Genovese, e il suo modello è lì da anni. Ora, finalmente, è stato inserito in un percorso didattico per valorizzarlo e farlo conoscere al mondo.
Anche l’Economia Civile di Antonio Genovesi, ben trattata in Made in Naples e proposta come unico paradigma economico in grado di dare soluzioni concrete per il futuro dell’economia, dello sviluppo e dell’occupazione, dopo il recente convegno di Roma “Ragioni e sentimenti civili per un’economia ed una politica dal volto umano. La lezione di Antonio Genovesi“, sta per essere ridiscussa all’Istituto Lombardo – Accademia di Scienze e Lettere di Milano. Il 14 novembre, infatti, si terrà il convegno internazionale “Antonio Genovesi maestro degli economisti lombardi nell’età dell’Illuminismo“. L’invito informa che “nel 2013 ricorre l’anniversario dei trecento anni dalla nascita di Antonio Genovesi (1713-1769), il fondatore napoletano della scuola italiana di Economia civile, oggi rivalutata molto in ambito culturale e scientifico, e non solo in Italia. (…) Gli economisti dell’Illuminismo lombardo hanno mostrato rara efficacia nel recepire e interpretare prontamente il messaggio di Genovesi.” Non solo i lombardi, aggiungo io.

Napoli e il Sud non si facciano offendere da Lotito! Tra lui e Cellino…

Claudio Lotito commenta la vicenda dello stadio di Quartu Sant’Elena e offende, come troppi, la storia di Napoli con quel solito aggettivo di stampo post-risorgimentale che i vocabolari continuano a riportare. Per il presidente della Lazio i nuovi stadi in Italia non si faranno per colpa de “l’atteggiamento borbonico della burocrazia italiana che lascia a persone singole di decidere di una norma al Senato”.
Vicenda grottesca che coinvolge due tra i presidenti più discutibili della Serie A. Lotito offende Napoli e il Sud e contesta lo Stato da posizione di condannato nell’ambito del processo di “calciopoli” per illeciti commessi nel suo primo anno di gestione, nonchè per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza sui titoli in borsa del suo club, ma anche inibito per violazione del regolamento FIGC agenti calciatori. Giudizi espressi circa l’azione a tutti gli effetti sovversiva del presidente del Cagliari Cellino che scavalca la decisione di un Prefetto, organo monocratico dello Stato, e incita migliaia di persone a infrangere la legge per poi difendersi affermando che in ventun anni con il Cagliari non è mai stato deferito per vicende legate ai passaporti, al doping, agli arbitri, a evasioni fiscali o falsi in bilancio. Peccato che i falsi in bilancio li abbia commessi nella sua attività imprenditoriale, cosa per la quale è stato condannato a 1 anno e 3 mesi di reclusione, per poi patteggiare la condanna nell’ambito di una truffa all’Unione Europea (dichiarate quantità di grano inferiori a quelle esistenti nei suoi silos). Cellino, tra l’altro, per 7 anni non ha pagato l’affitto del “Sant’Elia” e nemmeno ha speso un soldo di manutenzione che ricadeva sul Comune di Cagliari mentre lui intascava gli incassi. Poi è stato eletto il sindaco Zedda che ha messo fine a questo vergognoso vassallaggio in tempo di crisi economica, Cellino ha sloggiato smontando i tubi innocenti delle tribune costruite all’interno dello stadio “rimodernato” nel 1990 e ha sbattuto la porta rimontandole a Quartu Sant’Elena. Tanto per dirla breve, il Tribunale di Milano ha disposto il pignoramento di 1,7 milioni di euro del Cagliari derivanti dai contributi Sky/Lega Calcio per risarcire almeno in parte il Comune di Cagliari, riconosciuto parte lesa.
Se le alluvioni colpiscono il Nord per un comico di Genova è colpa del Sud. Se la Giustizia non funziona per un giudice di Treviso è colpa del Sud. Se gli stadi in Italia non si fanno per un imprenditore romano è colpa del Sud. È sempre colpa del Sud se si tira in ballo quel termine che ha utilizzato anche Claudio Lotito, il quale dovrebbe imparare (non è il primo e non sarà l’ultimo cui lo insegniamo) che l’inefficienza e la macchinosità della pubblica amministrazione attribuita ai Borbone di Napoli non sono altro che un falso storico. Anzi, in realtà l’aggettivo attribuisce ai napoletani un difetto dell’amministrazione piemontese e il Cavalier Vittorio Sacchi, amico di Cavour, direttore delle contribuzioni e del catasto del Regno di Sardegna, fu inviato a Napoli per capire come erano ordinati i tributi e le finanze delle Due Sicilie. Da Napoli, Sacchi spedì una lunga lettera a Torino annotando che era partito per la grande metropoli con forti pregiudizi, smentiti da ciò che aveva visto con gli occhi e toccato con mano. Una lunga serie di apprezzamenti coi quali consigliò di applicare la burocrazia napoletana al nuovo Regno d’Italia in luogo di quella piemontese. “Nei diversi rami dell’amministrazione delle finanze napoletane si trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato governo”. Questo fu il sunto di quanto riportò minuziosamente il Sacchi. Non lo presero in considerazione, e pare che non gli consentirono di proseguire più i suoi incarichi. Finì in disgrazia, come Napoli cui bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Sud.
Francesco Saverio Nitti demolì la leggenda del “burocratismo” meridionale con un’analisi puntuale, dimostrando come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.). Il solo Piemonte ebbe, fino al 1898, 41 ministri contro 47 dell’intero Sud e la situazione era la stessa per tutti gli alti gradi dello Stato.
Il “Sole 24 Ore”, nel Marzo del 2011, ha attribuito al Piemonte il parto del debito pubblico. La causa? La burocrazia esasperata finalizzata alla sparizione di soldi pubblici, da cui derivò una sfrenata “creatività” tributaria e la necessità di unirsi, avete letto bene, con chi aveva i conti in ordine. Per giustificarla bisognava inventarsi una propaganda per legittimare un’aggressione contro le Due Sicilie creando attorno ai Napolitani delle “leggende nere” che ancora infestano tanti manuali scolastici e il lessico popolare figlio dei vocabolari. L’efficienza borbonica è riscontrabile in molti campi, ma di sentire inesattezze non si finisce mai. In Italia, e soltanto in Italia, “borbonico” dice male; non in Spagna, non in Francia, dove non c’è stato un Risorgimento.

contatto SS Lazio: direzione.comunicazione@sslazio.it

ALCOA e desertificazione industriale del Sud

L’ex-dirigente RAI Enrico Giardino, esperto di telecomunicazioni, fondatore e responsabile del Forum per il “Diritto A Comunicare” (DAC), ricercatore di soluzioni ed alternative rispetto agli schemi dominanti, impegnato da decenni nella democratizzazione dei sistemi informativi e comunicativi di massa, nella demistificazione delle menzogne mediatiche e delle ipocrisie della politica nazionale ed internazionale, riporta in un suo articolo sulla vicenda ALCOA il videoclip “Nord palla al piede” quale descrizione illuminante del sistema economico italiano tendente a desertificare e immiserire il Sud produttivo per renderlo sempre più colonia e mercato di acquisto dei prodotti del Nord.
“I nostri governanti lasciano fare e assecondano l’arbitrio padronale. Desertificando e immiserendo il Sud produttivo, ci vengono a dire, mentendo, che il Sud è la “la palla al piede dell’Italia”. E’ una spudorata menzogna, come dimostra con i numeri e con un video illuminante il blog di Angelo Forgione: V.A.N.T.O.. Se lo Stato concede al Sud 45 ML di euro/anno, il flusso di ritorno da Sud a Nord è di 63 ML di euro/anno, equivalente dell’acquisto da parte dei consumatori del Sud di beni prodotti a Nord.
È quindi il Sud che mantiene il Nord: questo fallirebbe senza il suo apporto. La “palla al piede dell’Italia” è allora il Nord, non il Sud come si sostiene, ipocritamente, da decenni. È la scelta ideologica capitalista, sempre più perdente e distruttiva, che assegna la produzione al Nord e il consumo al Sud, aggravando così il problema meridionale che subiamo da oltre 150 anni, senza rimedio. Perciò la vicenda ALCOA è lo specchio in cui il Sud dovrebbe guardarsi per accorgersi di aver toccato il fondo”. (continua a leggere)