Nuovo crollo alla Reggia di Carditello

Nuovo crollo alla Reggia di Carditello

Angelo Forgione per V.A.N.T.O. – Un altro pezzo della Reggia di Carditello è perso. Il tetto dell’ala all’estremo margine sinistro è franato la scorsa notte, certamente per le piogge che si stanno abbattendo sulla Tenuta di caccia abbandonata, ma che, come nel caso di Pompei, danno solo spallate terminali a condizioni di manutenzione assente.
La Real Tenuta borbonica muore lentamente e silenziosamente nella totale indifferenza delle istituzioni, dal Ministero per i beni e le attività culturali alla Regione Campania, dal Consorzio generale di bonifica del basso Volturno alla Soprintendenza ai beni storici, artistici e culturali della provincia di Caserta. E anche dell’opinione pubblica ormai assuefatta al degrado avanzante su tutto il territorio.
La Reggia di Venaria Reale alle porte di Torino era nelle stesse condizioni negli anni Novanta mentre oggi risplende grazie a 200 milioni di euro per il restauro dell’intera struttura avvenuto per renderla fiore all’occhiello delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Senza considerare gli affanni della Reggia di Caserta, una delle delizie borboniche sta morendo senza che ci si renda conto che in quel sito nacque la favola della mozzarella di bufala cui fu dato forte impulso produttivo. Se un luogo simbolo per l’Italia viene abbandonato vuol dire che per la cultura italiana e del Sud nello specifico non c’è più spazio nel bagaglio delle prossime generazioni. Del resto uno spot in questi giorni parla di una cultura italiana che piace fatta di automobili.
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foto da interno18.it

videodenuncia: Crollo al Belvedere di via Cesario Console

videdenuncia: Crollo al Belvedere di via Cesario Console
evento previsto due anni fa, ma nessuno è intervenuto

Situazione emblematica dell’immobilismo dell’amministrazione Iervolino uscente i cui danni ora ricadono tutti sulle spalle del neo-sindaco De Magistris. A lui la “patata bollente”.
Intervista e denuncia di Angelo Forgione a TeleCaprinews sullo stato indecente delle aiuole di Via Cesario Console. Nel 2009 era stato denunciato un danno alla balaustra del belvedere sul mare e preannunciato un rischio crollo. La giunta Iervolino ha ignorato la segnalazione e la balaustra ha finito col cedere.
Un ciclo che si chiude, nella speranza che quello che ne eredita i disastri sia migliore.

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la foto scattata nel 2009

Vienna incontrò Napoli: nacque il wafer “Neapolitaner”

Angelo Forgione – Non tutti sanno che la Campania è da secoli leader nella produzione delle nocciole e che, nonostante la varietà italiana maggiormente reclamizzata sia quella piemontese, dal territorio campano provengono altri tipi di nocciole certamente non meno qualitative.
Le prime testimonianze di coltivazione da nocciolo risalgono persino al terzo secolo avanti Cristo e sono riscontrabili al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dove sono esposti alcuni resti carbonizzati di nocciole. Ma fu durante il florido periodo borbonico che la bontà del prodotto campano ottenne divulgazione e riconoscimento, grazie ai rapporti commerciali del Regno delle Due Sicilie con gli altri stati preunitari d’Italia e con l’estero. Le nocciole cosiddette “napoletane” arricchivano le tavole dell’Ottocento in ogni parte d’Europa e in America, rifornendo inoltre le prime produzioni industriali di fine secolo, che arrivano distrattamente ai giorni nostri con nomi eloquenti trattenenti la memoria di un territorio produttivo e dinamico come era quello napolitano.
In quegli anni Napoli e Vienna erano, insieme a Parigi e Londra, tra le città più dinamiche d’Europa e in più di un’occasione le rispettive culture si incrociarono sulla scia dell’unione in matrimonio dei reali napoletani con quelli asburgici.

Risale al 1898 l’invenzione del “Manner Original Neapolitan Wafer n. 239” da parte di Josef Manner (leggi dal sito della Manner), un imprenditore viennese del cioccolato che mise insieme zucchero, olio di cocco, cacao in polvere e nocciole provenienti dalle zone del napoletano per creare quattro strati di ripieno tra cinque strati di cialda. Quella ricetta non è mai cambiata e resta ancora oggi il fondamento produttivo dei wafer alla nocciola, universalmente catalogati come “Neapolitaner”.
Sempre in Austria, nel 1948 e subito dopo la seconda guerra mondiale, Franz Andres fondò con dei soci un’azienda specializzata nella produzione di wafer e biscotti, denominandola “Napoli Ragendorfer & Co Company”. Dal 1970, il marchio “Napoli” (vai al sito) è di proprietà della “Manner”, che rappresenta per fatturato il maggior produttore austriaco di wafer e biscotti.

Un’altra grande azienda altoatesina, la Loacker, ancora oggi indica nella “qualità di nocciole coltivate nei territori vicino a Napoli il segreto originale della golosità dei suoi “Neapolitaner” (leggi dal sito della Loacker).
In alcune zone d’Europa il nome “neapolitaner” viene tradotto nelle lingue locali, come nel caso dell’Ungheria, dove i wafer alla nocciola diventano in magiaro “Nàpolyi”.
Tutto questo a testimonianza delle eccellenze locali poco reclamizzate ma che spesso rappresentano un plus qualitativo tante volte più noto all’estero che nel nostro paese.

L’Italia produce circa 110.000 tonnellate di nocciole ed è al secondo posto nel mercato mondiale, dopo la Turchia. Le regioni di provenienza sono, in ordine di importanza, la Campania, il Lazio, il Piemonte e Sicilia, che coprono il 98% dell’intero volume.

La Campania, con 12.000 aziende, 23.000 ettari di territorio coltivato a nocciolo e circa 50.000 tonnellate annue, rappresenta circa il 40% della torta e le principali zone interessate sono Avellino (49%), Napoli (27%), Caserta (12%) e Salerno (9%).

Le principali tipologie di coltivazione sono la nocciola Mortarella (38%) e S.Giovanni (37%) che vengono destinate alla produzione industriale mentre per il consumo fresco e di prima qualità spicca la Tonda di Giffoni (12%) e, a seguire, la Tonda Bianca, la Tonda Rossa, la Camponica e la Riccia di Talanico.
Tra i prodotti a Indicazione Geografica Protetta (IGP) della Campania figura oggi la “Nocciola di Giffoni” che per pregio non ha nulla da invidiare alle più pubblicizzate nocciole del Piemonte.