Angelo Forgione – Circa la trasmissione Antipoding e la trattazione dello scudetto 1988, Alessandro Antinelli, su twitter, ha sostenuto di non aver voluto portare fatti a supporto di una tesi ma di aver raccontato una storia spiegando che il Napoli di oggi è equilibrato soprattutto alla luce della sua storia passata. Ognuno può farsi un’idea, e resta la mia contestazione sull’incompleta ricostruzione delle indagini che seguirono a quello strano finale di stagione, cioè sull’omissione delle confessioni di Pietro Pugliese nel 1994, il quale parlò di inquinamento del risultato sportivo determinato da Berlusconi quale vera causa della frenata del Napoli. In tribunale, il “non poteva non sapere” è motivo di condanna.
Ad Antinelli ho contestato la validità delle dichiarazioni di Leandro Del Gaudio de Il Mattino, il quale ha dichiarato: «Io sono sicuro, e lo dico da cronista prima ancora che da cittadino, del pressing della criminalità organizzata sul Napoli del 1988, anche se non ho le prove, altrimenti ci scriverei un libro sopra». Dunque, non vi sono le prove, e nessuno ce le ha. Anche io non escludo nulla su quegli eventi, ma anche io non ho le prove sul pressing della camorra di allora, e però un libro sul dietro le quinte del calcio italiano l’ho scritto, ma ho raccontato le ipotesi e, soprattutto, le indagini, per filo e per segno. E se Del Gaudio prima dice che non vuole «minimamente intaccare l’onorabilità, la buona fede e l’eccelsa professionalità dei calciatori che scesero in campo», bisognerebbe allora spiegare come si riuscì ad accomodare il risultato sportivo sul campo, fermo restando che Maradona a casa dei Giuliano ci andava, e lo faceva sicuramente per procurarsi la droga, come accertò la Magistratura.
Contesto ad Antinelli il non aver detto che le più recenti rapine ai calciatori erano conseguenza di un decalogo voluto dal presidente De Laurentiis, il quale ha “consigliato” ai suoi calciatori di sciogliere l’abbraccio con elementi delle curve e di non partecipare più alle iniziative dei gruppi organizzati, e quindi l’aver fatto passare il messaggio che il Napoli può ri-vincere lo scudetto perché la camorra è d’accordo.
Il giornalismo di inchiesta è prezioso, e il presupposto di Antidoping è assolutamente lodevole, ma non può essere proposto senza un completo quadro dei fatti e delle relative indagini. Altrimenti si finisce con l’alzare inutilmente polvere dalla soffitta.
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La lezione di Giuseppe Abbagnale (ad Alex Schwazer)
Angelo Forgione – Giuseppe Abbagnale, mito vivente del canottaggio italiano e presidente della Federazione, ha messo il figlio Vincenzo, campione del mondo e capovoga dell’otto in vista di Rio 2016, di fronte alle sue responsabilità. Il ragazzo ha saltato tre controlli antidoping per casualità fortuite, ed è andato sotto la scure della squalifica olimpica. Il primo controllo è saltato per una dimenticanza; il secondo perché il nuovo sistema gestionale, la cosiddetta piattaforma Adams, non gli ha confermato la segnalazione del luogo dove si trovava; il terzo per un contrattempo: un piccolo incidente stradale sulla Pontina che ne ha ritardato di 15 minuti l’arrivo a Sabaudia, luogo del test predisposto 75 minuti prima. Vincenzo Abbagnale è stato definito “un immaturo” dal padre, che ha preferito rendere la notizia pubblica di persona, senza attendere l’eventuale e probabile squalifica. «È giusto così, non è pronto per un evento del genere. Per trasparenza vogliamo essere noi a dare l’annuncio. Voglio però che non nascano illazioni. Se avessi il minimo dubbio che Vincenzo non è a posto, non lo farei sanzionare solo sul piano sportivo ma lo manderei in galera oggi stesso», ha detto il genitore-presidente, persona di alto spessore morale e di altissimi valori dello sport quali onestà, serietà e rispetto delle regole. C’era in ballo non solo il nome della FIC ma anche quello della famiglia Abbagnale, vanto e gloria dello sport italiano. E c’era in ballo anche il buon nome dello sport olimpionico napoletano, mai sfiorato da squalifiche per doping e offeso gratuitamente da Alex Schwazer qualche giorno prima di essere sorpreso da un test della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, con cui fu rivelata la positività all’assunzione dell’Epo. Tutti ricordano la email che scisse al suo medico: «Posso giurare che non ho fatto niente di proibito… ti ho dato la mia parola e non ti deluderò. Sono altoatesino, non sono napoletano». Magari è Vincenzino Abbagnale a non aver fatto nulla di proibito, e salterà Rio per la troppa superficialità, ma il padre ha dato una lezione di lealtà a tutti, non solo all’immorale marciatore di Vipiteno. Avrebbe potuto dire che il figlio non si è dopato e che meriterebbe di andare in Brasile. E avrebbe potuto dire che Vincenzo non è altoatesino, e sarebbe caduto in basso, là dove sono precipitati altri.
Maradona e la congiura dei baroni: «Ferlaino e Matarrese mi hanno fatto fuori!»
Angelo Forgione – «Tra De Laurentiis e Ferlaino butterei ovviamente giù Ferlaino, perché all’inizio andavamo d’accordo ma, alla fine, lui e Matarrese hanno manovrato per farmi fuori». Lo ha detto Diego Armando Maradona, intervenuto alla trasmissione “In casa Napoli” sull’emittente Piuenne. E però le opinioni che hanno avuto più risalto sono state quelle sul tecnico Sarri, che per l’ex Pibe de Oro «non è il tecnico giusto per un Napoli vincente. Colpa di De Laurentiis». Mi perdonerete, ma a me interessa decisamente più il risentimento per l’ex patron azzurro e per l’ex presidente della Federazione che organizzò il mondiale della grande delusione nazionale, perché è un passaggio storico del Calcio mai chiarito di cui mi sono interessato approfonditamente nella scrittura del mio ultimo libro Dov’è la Vittoria.
Forse un giorno Diego ci racconterà cosa accadde il 17 marzo del 1991, e perché fu trovato positivo all’antidoping nonostante fosse dipendente dalla cocaina da almeno otto anni, dai tempi dei suoi disagi catalani, quelli in cui furono le sue mani a rovinarlo. Forse ci racconterà perché la strana immunità terminò proprio quando la tossicodipendenza raggiunse picchi tali da renderlo ingestibile, e solo nel momento in cui il Napoli piombò nella seconda metà della classifica, cioè a chiusura di un ciclo di 5 anni di podi e trionfi di un club che spendeva molto più di quanto incassava. Forse un giorno ci racconterà perché da allora ha preso ad accusare di mafia Antonio Matarrese, senza mai una risposta, e perché ha iniziato a detestare Corrado Ferlaino, che pure ha sempre incassato. Forse un giorno Luciano Moggi ci racconterà perché proprio prima della partita, con perfetta contemporaneità, annunciò alla stampa la fine del suo rapporto col Napoli, dichiarando che lo storico ciclo azzurro era ormai chiuso. Forse anche l’ex compagno Andrea Carnevale, un giorno, ci dirà cosa volle intendere qualche tempo fa dicendo che «fin quando gli è servito, Ferlaino ha usato Diego». Forse anche Massimo Mauro ci spiegherà perché «con un altro presidente avremmo vinto 6 scudetti invece di 2». Forse anche Giovanni Verde, già vicepresidente del Csm, ci chiarirà perché a la Repubblica abbia dichiarato di essere convinto che Maradona sia stato tradito: «Maradona non pensava mai di poter essere sorpreso dal doping e sia lui che il suo staff mi lasciarono intendere che si trattava di una trappola, utile a rescindere il contratto». Sicuramente non sarà il GIP Vincenzo Trivellini a spiegarci perché, dopo le accuse di Zeman al Calcio italiano nel 1998, archiviò la posizione di Matarrese nonostante la Guardia di Finanza avesse riscontrato la sparizione dal laboratorio antidoping CONI dell’Acqua Acetosa dei risultati delle analisi chimiche sul ramo Calcio. E non sarà neanche lo stesso Matarrese a spiegare perché, una volta azzerato il laboratorio, dopo decenni di Calcio apparentemente pulito, finirono improvvisamente nella rete dei controlli Bucchi e Monaco del Perugia, Couto e Stam della Lazio, Guardiola del Brescia, Davids della Juventus, Caccia e Sacchetti del Piacenza, Torrisi del Parma, Gillet del Bari, Da Rold del Pescara e via discorrendo.
Maradona continua a intingere la sua lingua nel fiele e indirizzare parole avvelenate a Ferlaino e Matarrese, in ogni occasione. Forse un giorno i tifosi del Napoli sapranno la verità, o forse no. Intanto, di questa vicenda, ne ho ricostruito il torbido scenario nel mio saggio, cercando di spiegare quello che Diego non spiega quando si dice rovinato dalla congiura dei baroni.
Chi ritira l’Alta Onorificenza consegnata al dopato e razzista Schwazer?
Angelo Forgione – Alex Schwazer ci sta provando a rientrare in tempo per i Giochi olimpici di Rio de Janeiro. Nuovo interrogatorio alla procura antidoping del Coni per sostenere la sua richiesta di sconto sulla squalifica che scadrà il 29 aprile 2016.
Prendano la decisione che ritengono più corretta i giudici del Tribunale nazionale antidoping. C’è ben altra questione morale a procurar danno ai valori della lealtà sportiva e, soprattutto, a quelli della tanto sbandierata Unità nazionale. il fatto è che, dopo essere stato abbandonato dall’Arma dei Carabinieri, dagli sponsor e dalla (ormai ex) fidanzata Carolina Kostner (anch’essa coinvolta e sanzionata per aver fornito copertura), l’unico a non stigamtizzare il comportamento di Schwazer è stato Giorgio Napolitano, che all’epoca della squalifica, aprile 2013, era il presidente della Repubblica. Fu lui a conferirgli spontaneamente il titolo di Commendatore d’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, la più alta onorificenza dell’ordinamento, consegnata al Quirinale il 1 settembre 2008, dopo la vittoria fasulla alle Olimpiadi di Pechino. Napolitano ha lasciato la residenza al colle a gennaio 2015, facendo scorrere nove mesi senza ritornare sui suoi passi. L’onorificenza è ancora al collo di Schwazer.
Grave il fatto che il marciatore altoatesino non sia neanche messaggero di unità nazionale, quella tanto cara a Giorgio Napolitano, napoletano di nascita, che ha fatto finta di non leggere – e non ha mai stigmatizzato – ciò che l’atleta scrisse nella famosa email inviata a Pierluigi Fiorella, medico della Federazione Italiana di Atletica Leggera, due giorni prima di risultare positivo all’eritropoietina ricombinante a un controllo antidoping a sorpresa dell’estate 2012. Tutti i napoletani, eccetto Napolitano, ben ricordano con quali parole il dopato cercò di convincere il medico federale della pulizia morale ed ematica che ben sapeva di non avere:
“Posso giurare che non ho fatto niente di proibito. Ti ho dato la mia parola e non ti deluderò. Sono altoatesino, non sono napoletano”.
Come se nascere a Vipiteno fosse garanzia di serietà e venire al mondo a Napoli, al contrario, di inaffidabilità. Mentiva sapendo di mentire lo spergiuro, e finì a versar lacreme altoatesine, non napulitane in conferenza stampa, proprio mentre un calciatore napoletano dei quartieri spagnoli, Fabio Pisacane, dava esempio di lealtà smascherando le corruzioni del calcioscommesse.
Altro che lustro all’Italia! Sarebbe il caso che qualcuno segnali al successore del napoletano Napolitano [Mattarella] l’opportunità di riparare a un errore intollerabile.
Trentino, Veneto ed Emilia Romagna patrie del doping d’elite
Angelo Forgione – Il tentativo maldestro-razzista di nascondere il proprio doping da parte di Alex Schwazer è stato rettificato altrettanto maldestramente dal protagonista sulla sua fanpage facebook: “(…) voglio bene a Napoli ed ai napoletani; ho un bellissimo ricordo di una gara a Napoli vinta nel 2010. Estrapolare, come è avvenuto, da una mia breve dichiarazione, dove volevo semplicemente e scherzosamente dire che non possiedo doti di furbizia, una mia mancanza di stima verso i napoletani è offensivo per i miei sentimenti di rispetto verso Napoli e i suoi cittadini”. Per Schwazer, insomma, la furbizia non è intelligenza ma capacità di raggirare. Rimedio peggiore del male! L’atleta altoatesino andrebbe punito simbolicamente con un ulteriore aggravio di pena per discriminazione razziale, lui che è solo l’ultimo di una serie di sportivi italiani squalificati per aver alterato i propri valori. Andiamo a vedere chi sono i più noti oltre ad Alex Schwazer da Vipiteno (Trentino Alto Adige): Giampaolo Urlando da Padova (Veneto), Davide Rebellin da San Bonifacio (Veneto), Marco Pantani (Emilia Romagna) e Riccardo Riccò da Sassuolo (Emilia Romagna). E possiamo tranquillamente metterci anche Francesco Moser da Giovo (Trentino Alto Adige), che praticò impunemente l’autotrasfusione prima del 1984, anno in cui questa divenne illegale. Fu lui stesso a dichiarare di essere stato “una cavia felice“, proponendo persino la liberalizzazione del doping.
E allora viva i fratelloni Abbagnale, Patrizio Oliva e tutti queli atleti napoletani che non sono mai entrati nella lista dei cattivi. Una lista che andrebbe fatta anche per i razzisti, perché la discriminazione è evidentemente ad ogni livello. Anche accademico, se è vero che il Maestro Riccardo Muti, ritirando una laurea ad honorem a Milano, si è tolto qualche mese fa un sassolone dalle scarpe con classe tutta partenopea: «Quando sono arrivato a Milano mi chiamavano il terrone… notavo una lieve forma di razzismo». Ora è ambasciatore della cultura italiana e napoletana nel mondo, cosa di cui non perde occasione per dimostrare quanto ne sia fiero: «la napoletanità alla fine vince».
Schwazer: «Sono altoatesino, non napoletano, quindi innocente»
Angelo Forgione – Lacreme altoatesine! Mentiva sapendo di mentire Alex Schwazer mentre scriveva una email al medico della Fidal Pierluigi Fiorella. Non solo: faceva anche del razzismo. Perché si era dopato e voleva convincere il medico federale della sua pulizia morale distinguendo gli altoatesini dai napoletani. «Posso giurare che non ho fatto niente di proibito… ti ho dato la mia parola e non ti deluderò. Sono altoatesino, non sono napoletano». Queste le parole scritte due giorni prima del test a sorpresa che gli fece la Wada, l’agenzia mondiale antidoping, con cui fu rivelata la positività all’assunzione dell’Epo. Il Signore ci mise solo 48 ore per punirlo.
Chissà poi cosa avrà pensato il medico, e se avrà creduto o meno all’atleta razzista. Intanto abbiamo capito chi intendeva rappresentare e chi no il marciatore quando salì sul gradino più alto del podio olimpico. Sta di fatto che i napoletani possono andare fieri di non avere la sfacciataggine dell’altoatesino e di poter invece vantare esempi come i fratelli Abbagnale o Fabio Pisacane, dimenticato praticamente da tutti ma non da chi riconosce il valore sempre più raro della correttezza.