Ventisei anni passati invano a Bagnoli

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Angelo Forgione – Ricordo di essermi trovato, nel 2008, in un dibattito televisivo trasmesso da un’emittente locale sul tema della bonifica di Bagnoli e di aver chiesto a un esponente del Comune, legato alla società Bagnolifutura, quando avrei potuto indossare un costume e tuffarmi in quel mare. Il mio interlocutore mi rispose con ineffabile certezza «nel 2010». Si tirò una mia risata in pieno viso.
Un anno prima, una donna residente nella zona aveva denunciato la perdita del marito, mai impiegato nelle acciaierie, per una malattia tumorale, e aveva così fatto scattare le indagini e il conseguente processo per la mancata bonifica. Dopo undici anni è giunta la sentenza di primo grado: s
ei condanne, sostanzialmente leggere, per disastro ambientale e truffa, e poi diverse prescrizioni ad acuire la sensazione di amarezza.
La Procura dice che Bagnolifutura, la società di trasformazione urbana del Comune di Napoli, non ha bonificato alcunché nell’area ex Italsider, nonostante i 76 milioni di euro stanziati dal Governo. Piuttosto, le condizioni dell’area sono addirittura peggiorate. Insomma, un postificio per ingrossare carriere clientelari a danno della salute pubblica e dell’intera collettività di una splendida città di mare cui è negato il mare. Senza contare che Bagnolifutura, fallita nel 2014, seguiva un’altra società, la Bagnoli SpA, di fine anni Novanta e poi anch’essa fallita.
Le acciaierie, avviate nel 1909, chiusero definitivamente nel 1992, dopo aver inquinato la costa e il paesaggio di una grande risorsa mandata al diavolo. A inizio secolo, Napoli aveva perso il litorale flegreo nel paradiso termale di Bagnoli, in una delle baie più belle al mondo, nel giardino flegreo degli antichi Romani sul golfo di Pozzuoli, riparato dalla collina di Posillipo. Da poco aveva dovuto rinunciare anche alle spiagge di Chiaja e di Santa Lucia, cancellate dai palazzinari stranieri per la gioia delle banche torinesi e romane. Il delitto di Stato, temuto dall’illuminato Lamont Young, si compì in un ventennio tra l’Otto e il Novecento, tra la Legge del Risanamento di Napoli e la Legge speciale per il Risorgimento economico della città di Napoli.
Da allora, 83 anni di inquinamento a Bagnoli, più altri 26 di immobilismo trascorsi dal 1992 ad oggi. Ben cinque lustri di nulla, di sprechi, di danni, mentre il mondo ha camminato e in certi casi anche corso, e le città europee, comprese Torino e Milano, si sono ripensate. Napoli, invece, con la sua indegna classe politica, fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro, baciata da Dio, stuprata dall’uomo.

Maradona “el napolitano” metafora di Napoli

maradona_sancarloAngelo Forgione Un fortunato poster di Napolimania, l’idea commerciale di Enrico Durazzo che vende centinaia di gadget, ripropone il Cenacolo di Leonardo in chiave partenopea, coi grandi napoletani dello spettacolo che hanno onorato la cultura della città nel Novecento. Sophia Loren al centro, a degustar leccornie made in Naples in compagnia di Totò, Eduardo, Peppino e Luca de Filippo, Vittorio de Sica, Nino Taranto, Massimo Troisi, Massimo Ranieri e Pino Daniele. A quel tavolo può ora sedersi a pieno titolo anche Diego Maradona, che diventa ufficialmente cittadino napoletano. Lo era già formalmente, ma da oggi anche de facto.

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Nella tipica ridda di opinioni che accompagnano gli spostamenti dei personaggi controversi e geniali come el pibe de oro, il conferimento della cittadinanza onoraria al più grande calciatore del Novecento appare un gesto dovuto per chi ha portato nel mondo il nome di Napoli nel periodo forse più buio della sua storia. Sì, perché manca, nel racconto della favola degli scudetti, la contestualizzazione di quei trionfi nel momento contingente vissuto da quella Napoli, all’apice di un decadimento amministrativo, economico, sociale e culturale senza precedenti, che aveva portato la città a toccare il fondo e ad essere considerata tra le più degradate e abbandonate metropoli d’Europa. Quando la città esplose di gioia non era certo quella di oggi, capace di vivere un interessante slancio turistico e culturale. Nel 1987 mancava il flusso turistico verso il Golfo, da un quindicennio e completamente, per via del danno d’immagine causato dalle cattive narrazioni del colera del 1973. Il territorio era continuamente proposto sui media per gli effetti più incancreniti dell’insanguinata guerra tra la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e la Nuova Famiglia di Carmine Alfieri. Il terremoto del 1980 aveva portato in dote la gestione scriteriata degli stanziamenti per la ricostruzione, gestiti dalla politica per acquisire consenso elettorale, e i tempi si erano dilatati incredibilmente, lasciando incompleti molti progetti finanziati. Per il polo siderurgico di Bagnoli erano deflagrate le conseguenze delle sbagliata localizzazione in un’area inadatta all’esercizio di un impianto siderurgico moderno, e, impossibilitata a espandersi e modernizzarsi, era piombata in una crisi irreversibile che l’IRI “risolse” stabilendo la chiusura progressiva degli impianti a partire dal 1985. L’Alfa Romeo di Pomigliano, con la casa milanese in rosso, aveva lasciato a casa i suoi operai, e solo alla fine del 1986 lo Stato aveva ceduto tutto alla Fiat per salvare capra e cavoli. Tutto il malcontento degli anni Ottanta fu lenito da Maradona, sbarcato a Napoli in cambio di un gruzzolo pesantissimo che fu proprio la politica democristiana a mettere insieme, non il Napoli di Ferlaino, e lo fece per dare a un popolo ormai irrequieto e ribollente le giocate funamboliche del più estroso calciatore del mondo, quello che avrebbe potuto donare distrazione e felicità. Maradona fu una medicina sociale, e sortì gli effetti sperati col principio attivo della classe cristallina. Generò euforia, gioia e spensieratezza, facendo il Napoli campione nel campionato più importante dal mondo di quegli anni, e non vi fu appassionato di calcio al mondo che non associò il nome della città al nome del fuoriclasse universale, quando una delle capitali più ricche di storia e bellezze d’Europa era dimenticata da tutti.
Era probabilmente nel destino di Diego il matrimonio con Napoli. Non poteva starci certamente 
la Torino dell’industria, e neanche poteva sbocciare l’amore per l’altera Barcellona, la città chiusa e silenziosamente discriminatoria che condusse al riparo nella droga un ragazzo di Buenos Aires che era sbocciato nel povero Argentinos Juniors e che aveva sposato i colori proletari del Boca, contrapposto all’aristocratico River Plate. Nonostante le difficoltà ambientali e personali, l’amore sbocciò per la deindustrializzata e infamata Napoli, della quale fiutò la stessa intolleranza che credeva di essersi lasciato alle spalle in Catalogna, quella contro i sudaca, individuando nelle grandi squadre del Nord la rappresentazione del potere settentrionale da sabotare. Le sue intenzioni di fuggire da Napoli erano in realtà voglia di scappare all’estero, non in altre città d’Italia e non in squadre blasonate e pressanti. Era voglia di separarsi da Ferlaino, che non poteva separarsi da lui, pena il linciaggio. Per i napoletani non vi fu mai mancanza di amore, perché Diego sapeva che erano come lui. Con la città, la sua città, ha fatto pace dopo aver risolto la dipendenza dalla droga, nella sua seconda vita, e stando lontano dai suoi eccessi. Era giusto così, in fondo, lontano dalle folle asfissianti e dalle reclusioni, ma mai col cuore. La riconciliazione con Diego junior e ora l’abbraccio con la madre del figlio napoletano sono l’affresco di un uomo che ha fatto pace col suo passato e con la città dalla quale ha sempre ricevuto amore, ricambiandolo.
In fondo, la storia di Diego è anche la storia di Napoli: bellissima, incantevole, problematica, in procinto di mollare ma sempre capace di rialzarsi. Persino nel momento più basso della sua storia recente Parthenope ha fatto ben parlare di sé, grazie a Diego “el napolitano”, il Caravaggio del football, uno che mai sarà normale, proprio come Napoli.

Bagnoli, l’Expo e quelle cifre che non convincono

Angelo Forgione 200 milioni di euro per il Giubileo a Roma, 150 milioni per il post-Expo a Milano, 150 milioni per la Terra dei Fuochi, 50 milioni per la bonifica di Bagnoli, 30 milioni per la Sardegna, 10 milioni per Reggio Calabria, 25 milioni per le case popolari, 50 milioni per l’emergenza maltempo, 100 milioni per impianti sportivi in periferia, 100 milioni per il servizio civile, 25 milioni per il tax credit per il cinema e 10 milioni per l’export. Sono così suddivisi i 900 milioni di euro che il Governo stanzierà con il decreto legge “Misure urgenti per gli interventi nel territorio” approvato dal Consiglio dei Ministri.
Salta all’occhio l’indirizzamento di risorse verso le tre città più grandi del Paese. 200 milioni per Roma, 150 per Milano e 50 per Napoli, cui vanno aggiunti in qualche modo i 150 milioni per far sparire le ecoballe dalle campagne tra il capoluogo campano e il Casertano. Ma a ben vedere non è proprio tutto oro ciò che luccica, perché i 150 milioni per Milano seguono gli stanziamenti per l’Expo, grande occasione di sviluppo per il territorio lombardo, e saranno destinati alla riconversione dell’area espositiva, per la quale si intende creare un centro ricerca su big data e genomica, una sorta di Silicon Valley d’Italia. All’area di Bagnoli va un terzo delle risorse destinate all’area Expo, che è due volte e mezzo più piccola (240 ettari contro 100). Ancora un’opportunità, l’ennesima, per Milano, già città guida dell’economia nazionale, mentre è evidente che per Napoli ci si limiti alle risorse per la bonifica di un pezzo di paradiso inquinato da anni, che meriterebbe la realizzazione di un polo turistico di prim’ordine. Bagnoli è una grande occasione per il rilancio di Napoli, e per ottenerlo non ci si può limitare alla soluzione del problema ambientale, che non è neanche certa nelle modalità, visto che tutto sarà più chiaro solo dopo le analisi dei terreni, che ci diranno se la colmata sarà rimossa totalmente, parzialmente o solo tombata.
C’è una sostanziale differenza tra sviluppo e bonifica. Perciò le cifre stanziate per Milano (e Roma), confrontate con quelle per Napoli, sembrano davvero sproporzionate. Sarebbero state più corrette se invertite, visto che tra le due città è certamente la seconda ad avere più bisogno di rilancio.

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Legge di stabilità 2016: Mezzogiorno senza sostegno (e senza masterplan)

Angelo Forgione Ricordate il masterplan per il Mezzogiorno ipotizzato da Matteo Renzi ad Agosto e “fissato” per metà settembre? Bene, dimenticatelo. Non c’è, non esiste, e non arriverà. Anzi, col varo della legge di stabilità per il 2016 è ancora una volta apparecchiata una sostanziale mancanza di prospettiva meridionalista da parte del Governo. Va in porto una finanziaria che, su 30 miliardi di euro, destina 450 milioni in tre anni al Sud per intervenire nella “Terra dei Fuochi”, per il completamento (?) dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e per un fondo di garanzia di sostegno all’indotto dell’Ilva di Taranto, con connesso risanamento ambientale.
I soldi per la “Terra dei Fuochi” (se basteranno) non serviranno per la bonifica dei terreni, e neanche per interrompere una volta e per sempre il traffico illegale di rifiuti tossici, ma per lo smaltimento delle “ecoballe”, che sono parcheggiate da anni, ammassate nelle pianure campane tra il 2000 e il 2009. La Salerno-Reggio è di fatto in costruzione dal 1962, e fanno sorridere i finanziamenti per giungere al non datato completamento dell’opera dopo 53 anni. L’Ilva di Taranto è agonizzante, e la liquidità messa a disposizione servirà esclusivamente a mantenerla in vita, cioè a rimandarne la fine. Stop! Nessun provvedimento è stato previsto per sostenere e, soprattutto, rilanciare l’economia del Mezzogiorno; nessun piano speciale o masterplan, per dirla alla Renzi, per favorire condizioni di crescita e sviluppo anche per il Sud. E arrivederci al prossimo rapporto Svimez, per riparlarne giusto un po’, ma anche no.