Come il Sud si è salvato dal disastro lombardo

gallera

Angelo Forgione Giulio Gallera, assessore al welfare della Regione Lombardia, in un’intervista rilasciata al quotidiano Libero, sostiene che la Lombardia ha salvato il Sud dal disastro sanitario:

«Se noi non ci fossimo opposti con rigidità al governo, il Sud non sarebbe stato chiuso. Invece abbiamo sbattuto i pugni sul tavolo chiedendo misure restrittive. Grazie a questo, le altre regioni ci hanno seguito e abbiamo ridotto il contagio».

Dichiarazione che si smonta con molta facilità, poiché il Sud, al momento, si è salvato da solo nonostante le fughe dal Nord che hanno aumentato i contagi, e ci è riuscito per tre sostanziali motivi:

1) L’inquinamento atmosferico da Pm10 inferiore a quello della Pianura Padana, che è la macroarea più inquinata d’Europa.
L’inquinamento influisce direttamente sulle difese immunitarie e sulle capacità respiratorie, messe a dura prova dal Covid-19. Come sostengono i ricercatori dell’Università di Siena e di Aarhus University, non è casuale il livello di letalità più alto al Nord, “legato al fatto che le persone che vivono in queste aree, con una esposizione prolungata all’inquinamento, hanno una predisposizione maggiore a sviluppare condizioni e patologie respiratorie croniche che con l’arrivo del virus possono portare più facilmente alla morte”;

2) Le decisioni tempestive dei governatori regionali che, come ha sottolineato Giovanni Rezza, capo del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità, «hanno istituito delle zone rosse laddove ce n’era bisogno. Isolare i piccoli territori più colpiti ha funzionato». Contrariamente ai casi Lombardi della Bergamasca e del Bresciano, zone per troppo tempo lasciate aperte nonostante i problemi esplosi ad Alzano Lombardo, Nembro e Orzinuovi;

3) Il sostanziale rispetto del distanziamento sociale.

Fuori elenco per questione di assenza di prove scientifiche circa il Covid-19, il fattore climatico, che normalmente concorre a ridurre la potenzialità dei virus (le influenze di stagione sono sempre più violente in Pianura Padana).

Ognuno può farsi un’idea di ciò che è accaduto, ma una cosa è certa: il 28 febbraio scorso, mentre la situazione nella Bergamasca si aggravava, Giulio Gallera escludeva l’istituzione di una zona rossa per quei comuni: «Non riteniamo di gestire con ipotesi di zona rossa quella zona lì di Alzano Lombardo».

Contemporaneamente, Confindustria Bergamo, per tranquillizzare “i nostri partner internazionali”, pubblicava il video “#bergamoisrunning” dove si sbandierava che l’industria lombarda non si fermava affatto.

Si spingeva per tenere aperto il distretto industriale di Alzano-Nembro, uno dei primi cinque d’Italia per Comuni sotto i 300mila abitanti. Secondo i dati di Confindustria Bergamo, un’eventuale zona rossa in quell’area avrebbe riguardato 376 aziende, con una forza lavoro che varia dai 120 agli 800 dipendenti, per circa 850milioni di euro all’anno di fatturato.

Il 9 aprile, Marco Bonometti, presidente della sezione lombarda di Confindustria, ha rivelato:

«Nelle riunioni che abbiamo avuto con cadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, anche in sede di Patto di sviluppo con artigiani, commercianti, lega delle cooperative e sindacati, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro».

Per Bonometti, «non si poteva fermare la produzione». Ma la colpa dei troppi contagi, secondo lui, non è da imputare al tardivo lockdown bensì… agli allevamenti di animali in Lombardia.

Appare chiaro che il Sud si sia per il momento salvato sa solo, anche facendo tesoro dei disastri della Regione Lombardia, che si è condannata con le sue stesse mani e si è rivelata, in tempo di pandemia, la palla al piede dell’intera Italia, costringendo il Centro e il Sud a difendersi dal bubbone lombardo lasciato crescere per non dover rinunciare al profitto produttivo. Altro che salvezza!
Tra minacce di secessione e arraganza padana, manca solo che la Lombardia chieda riconoscenza al Sud.

Occhio ai napoletani in quarantena

Angelo Forgione In tempo di quarantena forzata, i napoletani rispettano o no i divieti? Sembrerebbe proprio di sì, a detta delle Forze dell’Ordine. Prima di Pasqua ci aveva pensato la Polizia Metropolitana, con competenza su tutto il territorio provinciale, a dire ai microfoni del TgR Campania (e del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna) che i napoletani si stavano attenendo alle restrizioni governative, anche alla Pignasecca, una delle zone della città di Napoli maggiormente sotto osservazione fino a qualche giorno fa.

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Poi è arrivato il delicato week-end pasquale, dove qualche ressa pure si è vista, soprattutto per la spesa del giovedì santo condito dall’immancabile e tradizionale zuppa di cozze.  Il Comando della Polizia Locale di Napoli ha comunicato che tra sabato e domenica di Pasqua le multe sono state 20 su 2.500 cittadini controllati, oltre a 3 esercizi commerciali verbalizzati su 550 controllati.

Eppure l’informazione nazionale non sembra ancora convinta e continua ad attenzionare in modo particolare Napoli. Certo, sembrano finite le incursioni a caccia dell’assembramento negli antichi rioni mercatali della città, pieni di piccole rivendite di generi di prima necessità, nei vicoli stretti dell’economia spicciola partenopea che fa la differenza all’occhio profano, là dove la fila non può essere che in direzione dell’obiettivo di turno. All’inizio del lockdown la Pignasecca e il borgo dei Vergini alla Sanità erano finiti sotto tiro degli obiettivi fotografici e televisivi. Poi se ne sono accorti un po’ tutti che si tratta di peculiari zone mercatali, e che i trasgressori non sono solo un problema napoletano. Le foto, in realtà, andavano fatte dall’alto, non con prospettiva schiacciata ad altezza uomo, con teleobiettivo e nei vicoli più stretti. E allora ci si sarebbe resi immediatamente conto che i clienti delle rivendite, in zone di densità di popolazione esorbitante come la Pignasecca, stavano ordinatamente in fila rispettando il distanziamento sociale, e che magari erano proprio i commercianti a disciplinarlo demarcando gli spazi con vernice orizzontale e nastro verticale.

pignasecca

Gli irriducibili dell’informazione provano ora a cercare l’assembramento nei quartieri borghesi. Ma è stata sfortunatissima Elena Biggioggero, inviata per Agorà (Rai 3) del 15 aprile, nel dimostrare che nel quartiere Vomero c’è troppa gente in giro alle 8 del mattino, quando qualcuno va comunque a lavorare. Lei, però, riceve la linea alle 8:37, quando il grosso dei lavoratori napoletani si è già spostato e all’incrocio tra via Luca Giordano e via Scarlatti non transita che qualche automobile, peraltro rispettando diligentemente il rosso al semaforo. Difficile, così, dimostrare che Napoli sia più indisciplinata di altre città popolose. Piuttosto, è lei che si avvicina troppo al suo ospite e lo tocca prima di limitarsi a dire che la zona è pedonale, mentre in realtà la strada alle sue spalle è veicolare. Niente folla, e la Biggioggero a dirsi sfortunata, a mostrarsi imbarazzata, mentre Serena Bortone da Roma testimonia che, secondo un’altra inviata, Napoli è deserta.

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Un plauso va in ogni caso ad Agorà, che ha acceso le telecamere in una Napoli diversa da quella che spasmodicamente si vuol mostrare in tivù, tutta vicoli e folclore. E pure al Tg1, che ha lanciato una Napoli più ampia: via Toledo, Mergellina, il Maschio Angioino, la fontana del Sebeto a largo Sermoneta. Niente antichi rioni mercatali, niente vicoli popolari, niente traffico pedonale da spesa di quartiere e quindi solo chi conosce Partenope avrà avuto la percezione che non si trattasse di Milano, la città più a rischio in questi giorni. Grazie dunque al Tg1, che una Napoli deserta e controllata l’ha scelta – guarda un po’ – per commentare il record di denunce a Pasquetta in tutt’Italia per il mancato rispetto delle misure di contenimento del Coronavirus. Certo, i trasgressori ci sono anche all’ombra del Vesuvio come dappertutto. Qualcuno di troppo in giro, da Nord a Sud, e via coi richiami di sindaci e governatori ad ogni latitudine. Incoscienti persino in Lombardia e Piemonte, pizzicati nelle seconde case in Riviera ligure, e traffico segnalato in aumento sull’Autostrada dei Fiori, dove i Carabinieri, in vista di Pasqua, hanno allestito posti di blocco all’uscita di tutti i caselli. Ma la percentuale degli indisciplinati napoletani non è sopra la media nazionale. Alla fine la vera notizia è che in 24 ore, sui canali Rai, è apparsa una Napoli senza panni stesi al vento. Da non credere!

Tocilizumab, che fretta c’era?

farmaco_tocilizumabAngelo Forgione «Non facciamoci sempre riconoscere. La sperimentazione del Tocilizumab era già in atto da tempo in Cina e il primo ad usarlo qui è stato il dottor Rizzi a Bergamo. Prendetevi pure i meriti ma non fate quelli che tolgono a Cesare quel che è di Cesare e ai cinesi quel che è dei cinesi. Hanno cominciato loro e li abbiamo seguiti noi, stop! Il protocollo approvato dall’Aifa è vostro, peccato però che lo stesso protocollo era già applicato da tempo in almeno dodici ospedali. Non esageriamo a fare provincialismo perché è intollerabile».

L’accusa mossa alla trasmissione Cartabianca (Rai 3) dal Professor Massimo Galli, direttore e responsabile Malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, al collega Paolo Ascierto, oncologo e ricercatore dell’ospedale Pascale di Napoli che porta la firma del protocollo ufficiale di sperimentazione del Tocilizumab, è di quelle pesanti: provincialismo!


Il medico napoletano è rimasto sostanzialmente in silenzio di fronte all’attacco ricevuto, rivendicando esclusivamente la paternità del protocollo nazionale. E a questo punto, sorgono dei perché.
Perché Ascierto ha incassato l’accusa di provincialismo senza difendersi?
Perché Galli è stato così aggressivo nei concetti e anche nel linguaggio del corpo?
Perché Galli ha rivendicato l’intuizione solo ora, proprio nel giorno dell’avvio ufficiale della sperimentazione AIFA, nonostante sia da giorni ospite in numerose trasmissioni nazionali?
Perché Galli parla di sperimentazione del Tocilizumab avviata dai cinesi se Ascierto ha informato che i pazienti cinesi cui è stato somministrato sono solo 21 (il che significa che è stato utilizzato in forma del tutto sporadica)?
Perché l’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato ufficialmente un protocollo redatto a Napoli e non è stato mai redatto un protocollo ufficiale a Milano o Bergamo affinché si somministrasse quanto prima il Tocilizumab a tutti e non solo in qualche struttura del Nord?
Perché, se l’efficacia del Tocilizumab contro le gravi complicanze da Covid-19 era nota al Nord, i malati lombardi hanno affollato a migliaia i reparti di terapia intensiva e, purtroppo nei casi più sfortunati, i cimiteri?

La sensazione data dalla gestualità e dalle parole del luminare milanese è che anche i medici lombardi fossero al corrente dei presunti benefici del medicinale anti-artrite reumatoide utilizzato contro la polmonite interstiziale da covid-19, ma che siano stati battuti sul tempo dai napoletani, più celeri nel divulgare, informare e scrivere un protocollo, così da eludere i canonici tempi della ricerca biomedica e della comunicazione, nutrendo speranze per i malati gravi di coronavirus che magari a Milano non si è voluto alimentare. La tempistica accelerata del team del dottor Ascierto, forse dettata dall’emergenza e dalla situazione drammatica in corso, potrebbe essere stato il motivo di fondo dello scomposto e smodato risentimento del professor Galli.
Certo, sarebbe davvero provinciale mettere il cappello a un’intuizione terapeutica non propria, ma sarebbe grave, gravissimo, non averla condivisa a livello nazionale e, peggio ancora, non aver fatto uso del farmaco per evitare numerosi decessi in Lombardia e regioni limitrofe.

Sia chiaro: chiunque sia stato ad aver avuto l’intuizione, l’importante è che si riveli efficace e che si giunga a un’importante soluzione tampone per evitare le più serie complicanze da Coronavirus per tutti. Le polemiche aspre, ora, in un momento delicato per la salute dei cittadini italiani e non solo, sono indigeste e fuori luogo se fatte davanti alle telecamere, e questa sensibilità sembra appartenere al dottor Ascierto, a giudicare dalla sua replica affidata ad un post su facebook:

“In un momento di emergenza come questo, tengo a precisare che il lavoro di brain storming fatto con il dr Franco Buonaguro e le giovani oncologhe Claudia Trojaniello e Maria Grazia Vitale, la discussione “cruciale” fatta con il dr Ming, la professionalità dei dr Montesarchio, Punzi, Parrella, Fraganza e Atripaldi dell’Ospedale dei Colli, il supporto dei nostri Direttori Generali Bianchi e Di Mauro e del nostro Direttore Scientifico Dr Botti, sono tutti elementi che ci hanno portato sabato 7 marzo ad incominciare a trattare i primi pazienti al Cotugno di Napoli. Non ci risulta che qualcuno lo stesse facendo in contemporanea e saperlo ci avrebbe peraltro aiutato.
In questa fase, non è importante il primato. Quello che abbiamo fatto è comunicarlo a tutti affinche TUTTI fossero in grado di poterlo utilizzare, in un momento di grande difficoltà. Non solo. Grazie alla grande professionalità del dr Franco Perrone del Pascale, in pochi giorni siamo stati in grado di scrivere una bozza di protocollo per AIFA che ha avuto un riscontro positivo. Il nostro deve essere un gioco di squadra e la salute dei pazienti è la cosa che ci sta più a cuore. Andiamo avanti con cauto ottimismo … nel frattempo parte la sperimentazione di AIFA. Ce la faremo di sicuro !!!”

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Fermiamo il contagio al Sud

Angelo Forgione Abbiamo scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per chiedere di evitare gli esodi dalle zone-focolaio della pandemia da #Covid19 verso Sud. Perché se è vero che le misure governative servono a limitare i movimenti allo stretto necessario, non si comprende perché sia consentito spostarsi dalle regioni più contagiate a quelle che ancora possono respingere il dramma, e devono farlo, vista la minore capacità delle strutture sanitarie.
Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha informato che “al Sud i casi sono ancora limitati e se si agisce in un momento iniziale della curva epidemica si può intervenire in modo significativo. Ancora più cruciale, in tali aree, è dunque il rispetto delle misure. È possibile che al Sud possa esserci una circolazione più limitata del nuovo #coronavirus e che i picchi di pazienti che necessitano di terapia intensiva non siano così importanti come è stato al Nord, a patto che si rispettino le attuali misure stringenti di contenimento”.
Dunque, la possibilità di muoversi da regione a regione, appellandosi al senso di responsabilità individuale di chi viaggia, rischia di far saltare tutto e di far esplodere un dramma ancora più grande.

Abbiamo bisogno di te per fermare il contagio!

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www.change.org/p/governo-italiano-fermi-i-treni-del-rischio-contagio-coronavirus

fermiamo_coronavirus

Da Napoli la speranza per l’Italia in ginocchio

Angelo Forgione La prima cosa da fare quando un’emergenza sanitaria già esplosa altrove colpisce una comunità è consultare i medici che la stessa emergenza l’hanno già affrontata, perché la collaborazione internazionale è fondamentale per mettere a punto armi mediche efficaci. È quello che non è avvenuto in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, dove il focolaio dei contagi da Coronavirus ha messo in ginocchio i reparti di terapia intensiva. È quello che, una volta cresciuta l’emergenza anche in Campania, hanno fatto opportunamente e immediatamente i medici napoletani della task force Cotugno-Pascale, che hanno intuito il potenziale dei farmaci anti-interleuchina 6 nella lotta alle complicanze respiratorie nei malati di Covid-19. Quella categoria di farmaci hanno infatti la funzione di neutralizzazione dell’interleuchina 6, la proteina che è il principale vettore dell’infiammazione polmonare prodotta dal virus di origine cinese. E allora i ricercatori partenopei hanno contattato i colleghi del First Affiliated Hospital of University of Science and Technology of China, stabilendo un vero e proprio ponte della ricerca tra Napoli e la Cina, grazie al quale si è potuto comprendere quali medicinali i medici cinesi avevano somministrato ai loro malati. In particolare, 20 pazienti su 21 trattati con il Tocilizumab, un farmaco anti-artrite appartenente proprio agli anti-interleuchina 6, avevano mostrato un miglioramento veloce delle condizioni.

Gli studi dei ricercatori napoletani si sono concentrati su quel preparato e hanno evidenziato che, curando l’infezione polmonare, ha la capacità di scongiurare la morte nei pazienti affetti da Coronavirus. Così lo hanno fatto somministrare ad alcuni pazienti campani con grave insufficienza respiratoria. Gli esiti sono stati soddisfacenti in 24 ore, e uno dei malati che presentava un quadro clinico più severo dovrebbe essere estubato domattina, liberando così un preziosissimo posto in terapia intensiva. In assenza di vaccino, facile comprendere cosa significherebbe tutto questo.
Il direttore scientifico del Pascale, Paolo Ascierto, ha chiesto un veloce protocollo nazionale per la cura sperimentata a Napoli, che è intanto iniziata anche allo Spallanzani di Roma, al Sacco di Milano e al Giovanni XXIII di Bergamo.

Attendiamo speranzosi la conferma definitiva della validità della cura, che varrebbe anche quale conferma dell’eccellenza della ricerca medica napoletana e meridionale, operante in regime di sperequazione tra Nord e Sud del paese.

La satira francese e il razzismo di Libero

Angelo Forgione – Incidente diplomatico tra Francia e Italia dopo il vertice della settimana scorsa a Napoli. A causarlo, una gag della storica trasmissione satirica francese di Canal Plus in cui si è scherzato con dubbio gusto sulla diffusione del Coronavirus in Italia: un pizzaiolo tossisce e sputa mentre prepara una pizza, che diventava una ‘Pizza Corona’.  L’Ambasciata di Francia in Italia si è dissociata dal video informando che non corrisponde in alcun modo al sentimento delle autorità e del popolo francesi, ed esprimendo la propria solidarietà all’Italia di fronte all’emergenza sanitaria.
Poi ci si è messo anche il solito Libero, che nell’edizione del 4 marzo ha esultato volgarmente in prima pagina per la diffusione del Coronavirus anche al Sud: “Ora sì che siamo tutti fratelli”. E così scopriamo che finalmente l’Italia è fatta, dopo 159 anni.
Tanto per distribuire psicosi e ammazzare il turismo. Roba che fa più nauseare della satira francese.