Il ‘Premio Fonseca’ e la commemorazione neogiacobina

Angelo Forgione Anche quest’anno, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, insieme all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, propone per il 20 agosto la cerimonia di commemorazione dei martiri del 1799, intrecciandola alla seconda edizione del Premio Pimentel Fonseca “simbolo dei diritti umani e di libertà”, dedicato all’impegno e al coraggio delle donne che svolgono la professione di giornalista.
Anche quest’anno, dopo il confronto con l’assessore Nino Daniele dello scorso settembre, ribadisco con convinzione che è giusto ricordare gli eventi drammatici che posero fine alla Repubblica Napolitana, ma ciò andrebbe fatto ricordando anche le vittime del popolo. La “rivoluzione” partenopea non fu promossa dal popolo napoletano bensì dalle milizie francesi, che rubavano soldi e opere d’arte alla Città. I saccheggi di monete nascondevano il bisogno parigino di danaro dettato dalle mancate entrate a partire dalla grande Rivoluzione del 1789. Persino l’Ercole Farnese fu imballato e approntato per andare a Parigi, fortunatamente invano. La Fonseca sapeva, tant’è che sul giornale ‘Monitore napoletano’, da lei diretto, denunciò le ruberie degli “amici” d’oltralpe, tra cui la sottrazione di tutte le collane d’oro dispensate ai cavalieri del Toson d’Oro commessa dal comandante della piazza di Napoli Antonio Gabriele Venanzio Rey. I tesori confluivano a Livorno, da dove prendevano la strada di Marsiglia e, attraverso il Rodano, la Saona e il sistema dei canali fluviali, giungevano fino alla Senna di Parigi. Lei e tutti i repubblicani napoletani stettero a guardare.
Il terribile esercito francese, il più forte d’Europa, tra grandi resistenze, entrò a Napoli anche grazie agli amici della Fonseca, che da Castel Sant’Elmo aprirono il fuoco alle spalle degli irriducibili napoletani intenti ad assaltare il Palazzo Reale. Popolo che si riprese la città dopo neanche sei mesi di astrattezza politica e immobilismo giacobino, contando migliaia di vittime. I giacobini napoletani avevano perso la copertura dal potente esercito francese, via dall’Italia dopo gli affanni di Napoleone in Egitto.
Fu vera rivoluzione? Macché! Fu un colpo di stato. È rivoluzione un evento politico agitato dal popolo che muta radicalmente le abitudini, un processo in cui le forze sociali spingono in una direzione precedentemente inesistente e obbligano le strutture governative a rompersi per contenere la nuova forma. La vera rivoluzione fu quella dei sanfedisti, una feroce controinsurrezione popolare per porre fine al momentaneo potere aristocratico e per ripristinare lo status quo. Il perpetuarsi nel tempo della definizione di “rivoluzione” per esaltare il colpo di stato di un’agiata e colta minoranza napoletana sobillata da qualche straniero venuto da Copenaghen (nel mio prossimo libro farò i nomi e spiegherò gli intenti; ndr), è frutto di un esercizio storicistico operato da certe sfere dell’intellighenzia napoletana, ancora oggi vincolata all’ideale massonico risorgimentale.
Il popolo è sovrano, a quanto pare, e quello napoletano non si schierò coi giacobini ma col Re, nato a Napoli e napoletanissimo, quando comprese che quelli non portavano democrazia ma sottraevano ricchezze e intendevano cancellare usi e costumi locali. Dunque, ricordiamo pure le centinaia di decapitazioni tra la borghesia partenopea ma anche le dimenticate migliaia di morti tra il popolo napoletano… in nome dei diritti civili e della libertà. Finché continueremo a raccontare la storia a metà, a metà resteremo divisi, e mai costruiremo quella coscienza di popolo che manca. Se a rendersene responsabile è il Comune di Napoli, non è proprio cosa lieve.

(nell’immagine, tratto dal mio libro Made in Naples, una delle tante lettere che il generale Championnet scrisse da Napoli al ministero dell’interno del Direttorio di Parigi, pubblicata nel 1904 nei Souvenirs du général Championnet)

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Davide ucciso da Napoli? E chi ha ucciso Napoli?

liberoAngelo Forgione – Sulla triste vicenda del rione Traiano di Napoli preferisco tacere. È inutile esprimere opinioni sui fatti senza conoscerli nei loro particolari, soprattutto nel momento in cui tutti si avventurano in interpretazioni e analisi spesso dettate da condizionamenti esterni. Mi soffermo proprio su uno dei commenti, o meglio, su un titolo, quello del quotidiano Libero: “Prima del carabiniere l’ha ucciso Napoli”, articolo del vicedirettore Pietro Seinaldi. Sensazionale! E chi ha ucciso Napoli? Chi ha ucciso la sua economia, la sua normalità, la sua legalità, il futuro dei suoi giovani? Perché l’illegalità è eletta a sistema? Perché ci sono più controlli nei quartieri meno problematici? Ma davvero c’è chi crede che Napoli voglia così male ai suoi figli? Ma davvero c’è chi non ha ancora capito che si è tutti piegati a qualcosa di più grande? La verità è che a Napoli e al Sud lo Stato è assente. Il ragazzo e il carabiniere sono il rovescio della stessa medaglia, vittime e carnefici allo stesso tempo, in modi diversi, della realtà sociale ad alta tensione in cui siamo tutti immersi, di cui la Città è spia accesa.
Di gente fuorilegge, di ogni età, che non si ferma all’alt ne è pieno il mondo, non accade di certo solo a Napoli ma anche in territori più ricchi, dove la cultura dell’illegalità è automaticamente meno diffusa e dove la gente, oltre a rincorrere il cellulare all’ultima moda (che ha lo stesso prezzo ovunque), pensa anche a pagare l’accessibile assicurazione obbligatoria (che a Napoli è una rapina legalizzata). Proseguire su quest’analisi sarebbe lungo e allontanerebbe dal motivo della riflessione. Dappertutto, dunque, capita che si eludano gli stop delle forze dell’ordine, e partano inseguimenti. A volte capita che siano proprio le forze dell’ordine a rimetterci qualche penna. Stavolta, però, è partito anche un colpo, e il fuggitivo è diventato il morto. Era già successo qualcosa di simile nel luglio 2000, sempre nella dannata Napoli, ad Agnano, periferia flegrea, e sempre un giovane incensurato diciassettenne senza casco. Fu ucciso dopo un breve inseguimento da un poliziotto che non accettò di essere ruzzolato a terra dopo l’inversione di marcia del ragazzo e gli sparò alle spalle. L’agente fu condannato in Cassazione a 10 anni di reclusione e al risarcimento alla famiglia, oltre il milione di euro, unitamente al Ministero degli Interni, colpevole di aver lasciato in servizio, su strada, un elemento del Corpo che già aveva dimostrato “di non essere dotato del necessario equilibrio”. Furono condannati a 25 mila euro di risarcimento anche il settimanale “L’Espresso” e Giampaolo Pansa (dal Tribunale di Roma) per un articolo offensivo della memoria del ragazzo ucciso. Evidentemente, parlare troppo, a caldo e per preconcetti, non conviene. Ecco perché anche io mi fermo qui.

Il meridiano di Napoli

Castel Sant’Elmo, punto “Greenwich” per la cartografia moderna

L’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, il primo istituto in Italia per la misurazione del tempo esatto, la rilevazione meteorologica e le diverse scienze, fu pensato nel 1791, quando Ferdinando IV di Borbone avviò dei lavori per adibire una sezione del Museo Archeologico con quegli scopi. Lavori poi sospesi perché la zona infossata non si prestava agli obiettivi. Il primissimo osservatorio operante fu allora ospitato nel 1807 nel monastero di San Gaudioso, poi soppresso, che rimase attivo fino all’inaugurazione dell’edificio di Capodimonte, avviato a costruzione nel 1812 da Gioacchino Murat, progettato in perfetto stile neoclassico dai fratelli Gasse e inaugurato nel 1819 dallo stesso Ferdinando IV, diventato I di Borbone dopo il secondo ritorno sul trono.
Pur in mancanza di un osservatorio astronomico in città, il Sovrano volle degli esperti per “correggere” la carta topografica del regno e così Ferdinando Galiani, Segretario dell’Ambasciata del Regno di Napoli a Parigi, individuò il talento del grande cartografo padovano Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni (Padova, 1736 – Napoli, 1814) che soggiornava in Francia e lo segnalò allo Stato Maggiore dell’Esercito del Regno di Napoli, interessato a disporre di carte geografiche precise e a grande scala.
Rizzi-Zannoni operò a Napoli per circa un trentennio, producendo 32 fogli dell”Atlante Geografico del Regno di Napoli di grande pregio tecnico e scientifico, dando luogo alla nascita, nel Mezzogiorno d’Italia, della moderna Cartografia geodetica, basata sulla conoscenza esatta della posizione di alcuni punti. Sul terrazzo di Castel Sant’Elmo, scelto per la vastità dell’orizzonte visibile, il cartografo effettuò il 24 gennaio 1782 una serie di osservazioni astronomiche per calcolare il corretto posizionamento degli elementi da cartografare. Le coordinate di Castel Sant’Elmo ebbero per Rizzi-Zannoni lo stesso ruolo delle coordinate dell’Osservatorio di Greenwich nel Regno Unito (poi designato nel 1884 come “meridiano zero” per la determinazione della longitudine della Terra dalla Conferenza Internazionale dei Meridiani, nda). Il meridiano di Napoli passava esattamente sul bastione nord della fortezza, incrociando anche il litorale dell’attuale Villa comunale.
Recentemente, in occasione del bicentenario della morte Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni, proprio sulla Piazza d’Armi di Castel Sant’Elmo è stata apposta una targa in ricordo dell’opera napoletana del grande cartografo. Da lì, fino alla soglia del 1960, veniva sparato un suggestivo e fragoroso colpo di cannone a mezzogiorno in punto, udibile in tutta la città. Chi non aveva l’orologio al polso veniva avvisato dell’ora di metà giornata e chi ce l’aveva lo controllava per regolarlo. Quel colpo era preciso, affidabile e di riferimento per tutti perché collegato alla misurazione del tempo con lo Strumento dei passaggi di Bamberg, un macchinario della seconda metà dell’Ottocento che rilevava l’istante di passaggio di una stella sul meridiano del luogo di osservazione, registrandone la posizione esatta. Era il congegno con cui si misurava l’ora precisa all’epoca, brevettato da Carl Bamberg, imprenditore tedesco figlio di un orologiaio autodidatta. Il suo telescopio nacque da una particolare montatura di lente detta “a cannocchiale spezzato”, ideata dall’astronomo ungherese Franz Xaver von Zach, chiamato a Napoli da Gioacchino Murat nel 1815 per dirigere l’Osservatorio di Capodimonte. Istituto che oggi mostra lo strumento nel padiglione Bamberg del suo museo.

Il colpo di cannone a mezzodì che non c’è più e gli orologi scomparsi

Quando in città tutti segnavano l’ora esatta. Oggi Napoli non vede l’ora.
“Metropolitana di Napoli SpA” smantella i cantieri ma spariscono gli arredi.

Orologio storico EAV

Angelo Forgione – Inaugurata la stazione Toledo della metropolitana ed ecco ripetersi il mistero di Piazza VII Settembre, lo Spirito Santo per i napoletani più radicali. Anche l’orologio storico una volta presente a Via Diaz è sparito! Pezzi di storia del Novecento napoletano di cui non si hanno più notizie. Erano sinonimo di precisione gli orologi dell’Ente Autonomo Volturno in ghisa fusi nella prestigiosa fonderia di Enrico Treichler all’Arenaccia, che pure fanno ancora capolino nelle strade di Napoli. Sopravvissuti ai violenti bombardamenti della guerra, ne erano rimasti 12 dei 40 installati intorno agli anni ’20, denominati “impianti dell’ora unica” perché indicavano tutti, sincronizzati tramite un segnale radiotrasmesso da Norimberga, la medesima ora. Nel dopoguerra furono restaurati ma poi, ad uno ad uno, si fermarono definitivamente per mancanza di pezzi di ricambio ormai obsoleti e quindi irreperibili.
Nel 2008 quei 12 esemplari furono portati in laboratorio per un restauro. Si trovavano al Museo Nazionale, in Piazza VII Settembre a Toledo, in Piazzetta Duca d’Aosta, a Piazza Cavour, Via Diaz, Via del Sole, Via Duomo, a Montesanto, Via Filangieri, Via Santa Lucia, Via Mezzocannone e Piazza Vanvitelli. Pian piano ne furono ripiazzati 10 negli stessi posti, con un quadrante diverso dall’originale e ormai senza più il dispositivo elettrico che una volta captava il segnale tedesco. Il risultato attuale è che la precisione di una volta è solo un ricordo perchè gli orologi non sono più sincronizzati e quindi non portano più la stessa ora, ignorano la differenza tra ora legale e ora solare perchè nessuno li aggiorna e qualcuno si ferma ogni tanto (attualmente è guasto quello di Piazza Vanvitelli). orologi_protE gli altri due che fine hanno fatto? Scomparsi nel nulla! Sono quelli rimossi e, secondo la precedente amministrazione comunale, trasferiti in rimessa da “Metropolitana di Napoli S.p.A.” per l’apertura dei cantieri sull’asse di Via Toledo, quelli di Piazza VII Settembre e Via Diaz, che una volta chiusi hanno restituito nuovi spazi ma non gli antichi orologi. Che neanche il Comune di Napoli riesce a rintracciare, più volte sollecitato da V.A.N.T.O. che del restauro e della ricerca dei 12 pezzi ne ha fatto una vera e propria battaglia. Lo staff del sindaco, sulla scorta di una ricerca avviata dall’assessorato alla viabilità, informa da tempo che “nessuno ne sa nulla”.
La precisione perduta riporta romanticamente ad un’usanza napoletana in voga fino alla soglia del 1960 che solo i più anziani possono ricordare. Allo scoccare di mezzogiorno veniva sparato un suggestivo colpo di cannone da Castel Sant’Elmo udibile in tutta la città. Chi non aveva l’orologio al polso veniva avvisato dell’orario e chi ce l’aveva lo controllava per verificare se portasse l’ora esatta. Quel colpo era preciso, affidabile e di riferimento per tutti perchè era collegato alla misurazione del tempo con lo “strumento dei passaggi” di Bamberg, un macchinario della seconda metà dell’Ottocento che rilevava l’istante di passaggio di una stella sul meridiano del luogo di osservazione, registrandone la posizione esatta. Era il congegno con cui si misurava l’ora precisa all’epoca, brevettato da Carl Bamberg, imprenditore tedesco figlio di un orologiaio autodidatta. Il suo telescopio nacque https://i0.wp.com/www.oacn.inaf.it/museo/strumenti/44.jpgda una particolare montatura di lente detta “a cannocchiale spezzato” ideata dall’astronomo ungherese Franz Xaver von Zach, chiamato a Napoli da Gioacchino Murat nel 1815 per dirigere l’Osservatorio di Capodimonte. Istituto che oggi mostra lo strumento nel padiglione Bamberg del suo museo.
Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare il rombo improvviso dalla collina del Vomero, ogni giorno, a mezzodì. Sfumature sbiadite di una Napoli neanche troppo lontana.

CAVANI, ALTRO CHE COLPO DELLO SCORPIONE… È SOLO ILLUSIONE OTTICA.

CAVANI, ALTRO CHE COLPO DELLO SCORPIONE… È SOLO ILLUSIONE OTTICA.

lo splendido “triplete” di Cavani porta in dote un “giallo”. A distanza di qualche ora viene fuori la notizia che si tratti di goal di tacco, ma non è affatto così.
Si tratta di illusione ottica dovuta alla prospettiva schiacciata di una particolare inquadratura. Ma un’analisi dei frame (nel video) conferma che il goal è di testa, e che ad indurre in errore è il movimento sincrono della gamba destra che induce a credere ad una magia. Nel cerchio in giallo è visibile il pallone dietro la testa di Cavani (palla che quindi mai avrebbe potuto attraversare il corpo del giocatore per finirgli sul tallone). Il colpo dello scorpione è rimandato. Cavani è un campione anche senza.