Pomodoro e pasta vaccinano il Pil del Meridione

Angelo Forgione – Se il PIL italiano è in picchiata causa pandemia, i dati ISTAT elaborati da due analisi di Coldiretti e di Sace dicono che il Made in Italy agroalimentare, specialmente il Made in Sud, è l’unico settore che va in controtendenza ed aumenta in esportazioni.
Coldiretti analizza il primo semestre del 2020, quello dell’esplosione della pandemia, durante il quale sono cresciute le esportazioni di pomodori pelati e polpe (+25,2% per 55,7 milioni di euro), di pasta di semola (+51,2% per 170,6 milioni di euro), di prodotti da forno (+15,2% per 91 milioni di euro) e, in lieve aumento, di olio di oliva (+5,5% per 196,4 milioni di euro).
Sace analizza un periodo più lungo, da Gennaio a Settembre 2020. Nove mesi in cui il tasso medio di crescita del comparto di alimentari e bevande di Campania, Puglia, Abruzzo, Basilicata e Molise è cresciuto del 10,1% rispetto allo stesso periodo del 2019, contro la media nazionale del comparto pari all’1,3%. Il miglior risultato in termini di valore è stato ottenuto dai prodotti alimentari campani. In particolare, le vendite all’estero hanno riguardato le conserve napoletane e salernitane (rispettivamente, +22,4% e +11,1% gennaio-settembre 2020 rispetto a gennaio-settembre 2019) e i prodotti da forno delle province di Napoli e Avellino (rispettivamente, +38,7% e +7,6% tendenziale).
Dati interessanti anche per le prospettive future del Mezzogiorno, dacché è calcolata una domanda estera di circa 17 miliardi di euro ancora inespressa negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Spagna, in Cina, in Turchia, in Messico e in Qatar.
Ed è bello sapere che il mondo sta tornando a chiedere la qualità agroalimentare del Sud Italia.

Il pomodoro dalle Americhe a Napoli

rdn_coverIl pomodoro, frutto venuto dalle Americhe che trova cittadinanza e dignità a Napoli. E da qui invade le cucine del mondo. Come?
Una bellissima storia raccontata da il Re di Napoli.

Il Re di Napoli

rdn_coverIl Re di Napoli non è un libro di ricette ma un documentato saggio storico con due protagonisti: il pomodoro, prodotto simbolo della cucina italiana nel mondo, e i napoletani, che hanno insegnato a tutti come cucinarlo e mangiarlo.
Un viaggio dalle radici sudamericane della pianta al suo arrivo in Europa, passando per il Messico e poi la Spagna, fino ad approdare al vero artefice della distribuzione del purpureo frutto nel mondo: il Regno di Napoli.
La narrazione osserva le origini americane della bacca tonda e il contatto con l’Europa attraverso i Conquistadores che nel Cinquecento lo conducono a Siviglia, e dall’Andalusia alla “spagnola” Napoli.
Nel periodo setto-ottocentesco, la capitale borbonica opera una rivoluzione agricola fondamentale per le usanze alimentari, di cui il pomodoro è protagonista insieme alla pasta di grano duro.
 Da particolari rapporti diplomatici del Regno di Napoli, in nome di san Gennaro, ha origine il pomodoro vesuviano a bacca lunga, ovvero l’antesignano del San Marzano, che invade tutto. È un vero e proprio prodigio del Santo che coinvolge la pasta stessa, la Parmigiana di melanzane, il Ragù, le Lasagne e pure l’Amatriciana, piatti che poi, come la pizza, supereranno le diffidenze nordiche e diventeranno “italiani”. Di tutte queste pietanze se ne narra approfonditamente la vera genesi, fino alle definitive versioni, apprezzate anche oltre i confini nazionali.
Il racconto prosegue col pomodoro nel Regno d’Italia e l’irruzione del San Marzano, con la nascita dell’industria conserviera e del fenomeno piemontese Francesco Cirio al Sud, fino al sorgere del comparto di Parma, col suo pomodoro tondo Riccio. E ancora, il pomodoro nel periodo bellico, per finire con la narrazione dal dopoguerra al difficile presente, contraddistinto da una preoccupante crisi del lungo ‘Pomodoro pelato di Napoli’, simbolo di specificità territoriale che cresce solo al Sud. Ma perché solo qui?

Indice

Intoduzione – Il regno del gusto e del buon vivere

IIl pomodoro dalle Americhe all’Europa
Dall’Impero di Spagna ai territori d’Italia
L’introduzione napoletana nella dieta

IIIl pomodoro nel Regno di Napoli
 I maccheroni alla napoletana
Il Ragù napoletano
La Parmigiana di melanzane
La Salsa all’amatriciana

IIIIl pomodoro nel Regno d’Italia
Le Lasagne al pomodoro
La Pizza al pomodoro
L’industria conserviera e il fenomeno Cirio
Il pomodoro nell’industrializzazione italiana

IVIl pomodoro dal dopoguerra a oggi
Il grande affare mondiale
Le filiere italiane del Duemila

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tratto da la Repubblica del 23/01/21

Cirio, il pomodoro di Napoli che arricchì un piemontese

Cirio, un piemontese arricchito dal pomodoro di Napoli

il primo caso di concorrenza sleale della storia d’Italia

di Angelo Forgione per napoli.com

Il pomodoro è emblema della rivoluzione agricola operata tra Napoli, Caserta e l’agro nocerino sarnese a cavallo fra Settecento e Ottocento. Ancora oggi la zona è famosa in tutto il mondo per la raccolta del frutto-bacca che trova il suo apice nella particolarità D.O.P. “San Marzano“.
C’è un nome che più di altri si è legato al prodotto; dici Cirio e pensi al pomodoro, dici pomodoro e pensi a Cirio, quel Francesco Cirio che creò un impero dell’industria conserviera sfruttando le condizioni sociali che si crearono con l’Unità d’Italia.
Molti pensano che l’azienda sia di origine napoletana ma in realtà Francesco Ciro era un astigiano analfabeta di Nizza Monferrato che si trasferì giovanissimo a Torino per rivendere in periferia la verdura che comprava a prezzo di realizzo al mercato durante l’ora di chiusura. Nel 1856 sperimentò la conservazione dei piselli da cui avviò una produzione industriale di alimenti in scatola con il primo stabilimento Cirio a Torino allargato a frutta e verdura.
Nel 1861, l’Italia nata dalla piemontesizzazione del Sud gli aprì la strada della fortuna. Fu infatti nelle zone agricole attorno Napoli che fiutò l’oro rosso, il pomodoro, di cui i contadini ormai non potevano più beneficiare. Lo sradicamento dell’apparato industriale e imprenditoriale del Sud impedì qualsiasi iniziativa di sfruttamento del patrimonio agricolo da parte della popolazione locale che cominciò ad emigrare. Quella ricchezza era dunque a disposizione del piemontese Francesco Cirio che aveva appena aperto la strada della conservazione degli alimenti e che non perse l’occasione per aprire al Sud alcuni stabilimenti, impegnandosi personalmente nel recupero di vaste aree agricole abbandonate. Nacque così il mito dei pelati Cirio.
Fabbriche a Castellammare di Stabia, San Giovanni a Teduccio, nel Casertano e nel Salernitano, ma anche in altre parti del meridione con altre tipologie di prodotto; un’espansione indisturbata nel Sud ricco di prodotti della terra che gli fruttò numerosi premi e onorificenze internazionali.
Però Francesco Cirio era certamente un uomo incline agli affari ma praticamente analfabeta e incapace di consolidare la sua ascesa, inarrestabile perchè partito in anticipo e ritrovatosi pionieristicamente avvantaggiato nel settore conserviero, ma determinata soprattutto dalla spinta del nuovo governo di Torino molto sensibile a far crescere l’imprenditoria settentrionale. Nel 1885 infatti, il Primo Ministro Agostino Depretis favorì la legge Cirio, in sostanza un contratto agevolato con la Società Ferrovie Alta Italia per la spedizione di migliaia di vagoni di alimenti all’estero. Suo generoso finanziatore fu inoltre il Credito Mobiliare di Torino, un istituto socio della Banca d’Italia che aveva appena rastrellato dal mercato le monete d’oro del Banco delle Due Sicilie (di Napoli e di Sicilia). Insieme al Banco di Sconto e Sete di Torino, la Cassa di Sconto di Torino e la Cassa Generale di Genova, il Credito Mobiliare di Torino costituiva quella cordata di banche di finanziamento e costituzione di imprese al Nord coordinate dalla regia di Carlo Bombrini, amico personale di Cavour, che, oltre a trasferire tutte le commesse dell’imprenditoria meridionale al Nord, riuscì ad ottenere ben tredici concessioni per lo sviluppo delle reti ferroviarie settentrionali. Le gestiva Pietro Bastogi, un altro amico del conte, ma la proprietà era dei banchieri Rothschild.
Per l’imprenditore conserviero il trattamento fu davvero di favore, a tal punto che le gelosie e le ostilità degli stessi concorrenti settentrionali montarono ben presto e il caso Cirio fu discusso ripetutamente in varie sedute della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’esercizio delle ferrovie; sedute che si tennero esclusivamente nelle maggiori città del settentrione. Il commerciante veronese De Cecco arrivò addirittura a dire: “se non si pone rimedio al monopolio del Cirio, diventerà padrone d’Italia”. Gli si imputava frode e concorrenza sleale, ma fu sempre coperto dai massimi dirigenti della Società Ferrovie Alta Italia.
All’apice dell’ascesa cominciò l’inevitabile discesa. Il Sud non era il suo territorio e, da persona incolta, vi si avventurò poggiandosi sul solo istinto imprenditoriale. Su ogni terreno vi si gettò con avidità e fra la bonifica di un terreno e l’altro, Francesco Cirio consumò in breve tempo i capitali accumulati in trent’anni di successi, fallendo nel 1891 e  trascinando con se il Credito Mobiliare di Torino che nel 1893 entrò in una crisi irreversibile. Ma il pallino delle bonifiche non lo abbandonò fino alla morte che avvenne nel 1900. Subito dopo i fratelli Pietro e Clemente riavviarono l’attività con sede a San Giovanni a Teduccio in Napoli. Ma l’azienda, sviluppatasi sulle dinamiche losche della nuova Italia, portò con sé la maledizione dei conti e delle polemiche, degli intrecci di imprenditoria e potere. Da Francesco Cirio a Sergio Cragnotti il passo è lungo ma identico.
L’imprenditore romano, ex-presidente della Lazio, rileva l’azienda negli anni Novanta avviando una storia simile a quella del suo predecessore-fondatore. Prima l’ascesa vertiginosa e poi la caduta culminata con lo scandalo dei bond Cirio e la bancarotta.
Oggi la Cirio ha sede in Roma e fa parte del Gruppo cooperativo Conserve Italia che raggruppa vari marchi alimentari e resta il marchio principe della conservazione del pomodoro… come natura crea. O quasi.