Autodiscriminazione a Napoli: è solidarietà per chi offende Napoli!

Angelo Forgione – Continua la ridda di voci sull’autorazzismo messo in scena domenica scorsa da uno dei gruppi della Curva B dello stadio “San Paolo” di Napoli. La confusione è sovrana ma, nel corso della trasmissione Il Processo del Lunedì, il gesto è stato chiarito e motivato da uno degli esponenti del tifo organizzato partenopeo, il quale ha spiegato che si è trattato di una risposta ironica contro le istituzioni del calcio (e non contro chi quei cori li urla ogni domenica), uno sberleffo irriverente finalizzato a manifestare solidarietà nei confronti degli ultrà del Milan e anche di tutti quelli che si comportano in maniera discriminatoria verso Napoli. Insomma, è corparativismo, e non ci sono più dubbi su quello che già da subito era apparso come un autogoal.
Ma tranquilli tutti, perché i presidenti delle squadre di Serie A si stanno già coalizzando per far abolire la discriminazione territoriale dalle regole contro il razzismo. E lo faranno, c’è da scommetterci, poiché hanno capito che sono ostaggio dei gruppi delle curve che possono decidere di pesare in maniera sensibile sulla vita sportiva delle società stesse. Dopo la curva, il Milan ha subito anche la chiusura dello stadio (anche se c’è un mistero sui cori rilevati dagli ispettori della Procura Federale), va incontro alla sconfitta a tavolino e, infine, all’esclusione dai campionati. Gli ultras hanno già vinto, e i tifosi del Napoli hanno almeno dimostrato che, ora come ora, sono più forti delle regole ferree ma deboli di fronte alla maleducazione generale della società italiana. Sono capaci di andare contro la loro stessa città, figurarsi contro la loro squadra. Basterebbe che gli ultras del Napoli si mettano a discriminare i tifosi avversari alla prossima partita, magari cantando un “Roma colera”, e il gioco sarebbe fatto: curva del Napoli chiusa! Oppure che i tifosi del Milan, in questo braccio di ferro, insistano per far perdere la loro squadra a tavolino. Gli ultrà stanno abusando del potere che hanno in mano, un potere che i vertici del calcio gli hanno conferito inconsapevolmente e non potrebbero mai levargli finché la società italiana non cambierà. La FIGC è partita dal presupposto che ai gruppi organizzati interessi prima di tutto la squadra e la città. E invece, la loro priorità è non essere controllati e potersi scontrare gli uni contro gli altri. È questo l’errore di valutazione fatto alla vigilia.
I tifosi del Milan, e anche altri aggressori verbali noti, hanno plaudito all’inizitiva dei Fedayn che avrebbero così insegnato all’Italia cosa significa “sfottò”, rispedendo ai “sedicenti esperti” le accuse di razzisti rivolte ai sanzionati. Dunque, meglio moralisti che masochisti.

L’8 Dicembre nella storia delle Due Sicilie

Immacolata Concezione patrona delle Due Sicilie

di Angelo Forgione (per napoli.com)

La celebrazione dell’8 Dicembre riporta alla memoria storica della Festa Nazionale dell’antico Regno delle Due Sicilie in cui la devozione mariana era fortissima nel clero, nel popolo e nelle istituzioni. L’Immacolata Concezione era infatti la Patrona speciale della Patria Napolitana, Terra dedicata alla Madre del Signore la cui festività era molto sentita nell’antico stato meridionale pre-unitario fondato su forti valori cattolici. Si può dire che era, ed è ancora oggi, uno dei perni principali sui quali ruotava tutta la religiosità del popolo del Sud.
Fu proprio l’8 Dicembre del 1816 la data in cui, dopo il periodo napoleonico della città, i due regni di Napoli e di Sicilia furono riuniti come Regno unito con quella che fu detta “legge fondamentale del Regno”. Ferdinando non fu più il re di Napoli e di Sicilia ma il Re delle Due Sicilie.
Passarono quaranta anni esatti e l’8 Dicembre del 1856 fu un’altra data storica per le sorti del Regno. Nel giorno della festività nazionale della patrona, il Re Ferdinando II, dopo la messa a cui la famiglia reale si recava comunque quotidianamente, si recò alla festosa sfilata delle truppe nazionali a quello che all’epoca era il Campo di Marte, l’attuale Capodichino. Fu li che subì l’attentato di Agesilao Milano, un soldato che uscì dalle righe e gli si scagliò contro colpendolo due volte con la lama della baionetta. Il Re fu ferito ma rimase stoicamente al suo posto e, dopo essere tornato a Palazzo Reale, fu visitato dai medici con esito tranquillizzante. Per ringraziare la patrona del “miracolo”, fu decisa l’edificazione di un tempio all’Immacolata al Campo di Marte la cui prima pietra fu posta dopo otto mesi di raccolta di offerte volontarie. La chiesa dell’Immacolata Concezione è ancora oggi molto nota e si trova in Piazza Giuseppe Di Vittorio, all’imbocco del Corso Secondigliano.
Nel saggio del professor Gennaro De Crescenzo “Ferdinando II di Borbone – la patria delle Due Sicilie” si fanno ipotesi sull’agonia lenta e oscura del Re morto nella primavera del 1859, qualche anno dopo l’attentato di Agesilao Milano. Secondo il parere del professor Gino Fornaciari, ordinario di Storia della Medicina e Direttore della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, l’attentato ebbe la sua importanza postuma poiché il decesso sarebbe sopraggiunto a causa delle ferite trascurate. Un attentato riuscito dunque, anche se differito di un paio d’anni, che ebbe il suo peso nell’attuazione del progetto sabaudo di “piemontesizzare” il sud.
Il regicida venne processato in circostanze sospette, velocemente condannato e giustiziato prima che potesse confessare istigatori e complici del suo atto scellerato. Lo stesso sovrano, il giorno dell’esecuzione, avrebbe ipotizzato una grazia ma sarebbe stato dissuaso dal generale Nunziante che giustificò quell’intransigenza con il rispetto per la corona. Il generale Nunziante, unica persona ammessa a parlare con l’attentatore la notte prima del processo, qualche mese dopo tradì quella corona e passò al servizio di Vittorio Emanuele II dopo aver avuto frequenti contatti con Cavour che, come pare da documenti d’archivio, lo ripagò con quattro milioni di lire dell’epoca.
Il Regno restò scoperto e indebolito, privo di un uomo di forte decisionismo. All’erede Francesco II toccò l’impossibile compito di fronteggiare le cospirazioni e l’accerchiamento degli uomini che si erano già venduti al nemico. La spedizione dei mille garibaldini e l’assedio di Gaeta completarono il piano piemontese, finchè proprio l’8 Dicembre del 1860, sempre nel giorno fatale dell’Immacolata Concezione, il giovane re firmò un toccante e accorato proclama reale ai popoli delle Due Sicilie col quale comunicò ai “Napolitani” la resa all’invasore e la sparizione del più antico regno d’Europa di Ruggiero il Normanno e dell’antica monarchia di Carlo III.
Il lungo documento finiva appellandosi alla fede e all’ora della giustizia. Le ultime righe recitavano così: «Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice speciale del nostro paese, onde si degnino sostener la nostra causa».

“Stadio Partenopeo”, emblema della modernità negli anni ’30

“Ascarelli” prima impianto del Napoli, poi emblema della modernità al Sud

ascarelliAngelo Forgione – Con facile approssimazione si è detto che il primo stadio di proprietà della storia del calcio italiano è lo “Juventus Stadium”. In realtà, andando a ritroso nel tempo, non è difficile ricordare il “Giglio” di Reggio Emilia, poi ribattezzato “del tricolore”, inaugurato nel 1995. Più difficile rievocare l’inaugurazione nel Settembre 1925 del primo stadio di San Siro in Milano di proprietà del Milan e quella del 16 Febbraio 1930, giorno in cui venne inaugurato lo stadio di proprietà del Napoli, costruito in meno di sette mesi a spese del presidente azzurro Giorgio Ascarelli. Al Rione Luzzatti di Gianturco, nei pressi della stazione ferroviaria, poco più di 15mila spettatori potevano riempire le tribune in legno dello stadio “Vesuvio”, ribattezzato “Ascarelli” a furor di popolo dopo la morte del presidente stadio_partenopeoavvenuta appena diciassette giorni dopo l’inaugurazione.
L’idea di Ascarelli di costruire uno stadio di proprietà, a pochi anni dalla nascita del Napoli, rappresentò un esempio di intraprendenza per l’epoca e quello stadio superò per capienza il preesistente impianto comunale del Vomero divenendo il più capiente della città.
Scomparso il presidente, lo stadio fu dopo qualche tempo requisito dal regime fascista che, in vista dei mondiali di calcio in Italia del 1934, lo ristrutturò in cemento armato (vedi video), ne mutò l’aspetto con una facciata imponente e maestosa di stile fascista e ne aumentò la capienza portandola a circa 40mila spettatori. Venne ribattezzato “Stadio Partenopeo” poiché il compianto presidente che aveva dato simboli e colori al Napoli era ebreo, quindi perseguitato, ed ospitò la finale per il 3° e 4° posto. In quello stadio, nel 1937, fu consentito per la prima volta l’ingresso libero alle donne. Fu uno dei simboli fascisti della modernità di Napoli nonché uno dei più fulgidi esempi di propaganda del regime al Sud.
L’impianto venne poi distrutto dai bombardamenti aerei degli anglo-americani che colpirono violentemente Napoli nel 1942 e andò incontro ad un triste saccheggio prima di essere abbattuto definitivamente. Il Napoli si trasferì allo stadio del Vomero, di proprietà comunale, prima di prendere casa al “San Paolo” di Fuorigrotta nel 1959.

Napoli danneggiata dall’informazione non verificata

Napoli danneggiata dall’informazione non verificata
come un TG nazionale può influenzare l’opinione pubblica

Un importante TG nazionale propone un servizio sulla vicinanza della malavita al mondo del calcio. Ma le informazioni raccolte non vengono verificate e l’informazione passa in maniera dannosa. V.A.N.T.O. protesta e chiede immediata rettifica che giunge nell’edizione successiva. Ma il danno non è completamente riparato.

Il restyling del “San Paolo”

Il restyling del “San Paolo”

di Angelo Forgione

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Gli Europei 2016 di calcio assegnati alla Francia hanno spazzato via anche l’ipotesi di un nuovo “San Paolo”. Senza Europei niente legge per i nuovi stadi, e allora il vecchio stadio di Fuorigrotta, con i suoi 51 anni di età, necessitava di fare qualche passo verso gli standard europei. E non poteva essere altrimenti, con l’Europa League alle porte e gli ispettori UEFA a vigilare.

Un nuovo manto erboso che sostituisce quello che da Italia ’90 non è mai stato rifatto, alzato di 30 cm. Tirato via tutto il terriccio che era sotto, laddove sono stati trovati persino rifiuti plastici, lastre di cemento e sabbia di mare. Innestata quindi una particolare composizione chimica con sabbia di fiume, sabbia silicica e lapilli rossi, resistente al salsoiodio proveniente dal vicino mare.
Terreno rizollato con una particolare varietà di manto erboso resistente alla compressione che dovrebbe limitare al minimo gli infortuni muscolari e le tendiniti, grazie anche ad una tecnologia pilota in Italia.

Attorno al terreno di gioco, un nuovo e sofisticato impianto di irrigazione e drenaggio, per fronteggiare le giornate più piovose e per innaffiare più zone del terreno in maniera indipendente. Il tutto sarà consegnato il 26 luglio, in tempo utile per l’amichevole del 3 agosto del Napoli contro il Wolfsburg.
Rifatto il sistema fognario e interrate le panchine di 105 cm che ora fuoriescono di un solo metro, in modo tale da consentire una visuale maggiore dalla Tribuna.
Aggiunti 220 posti coperti alla Tribuna autorità con nuovi sediolini azzurri per la tribuna d’onore, dove ci saranno monitor per vedere i replay.

3000 sediolini sostituiti negli altri settori dal Comune con una pulizia generale (quanto durerà?), attingendo pezzi dai settori chiusi del terzo anello che attende di essere smantellato, così come la copertura in acciaio che andrà sostituita in futuro con una struttura più leggera che non provochi l’inquinamento statico e acustico attuale.
Invocati da anni, sembrano finalmente in arrivo i sospirati maxischermi. La SSC Napoli ne ha ordinati due alla Philips che De Laurentiis ha definito i migliori sul mercato, ma anche i più costosi. Saranno installati nel prossimo autunno, entro Gennaio; bisognerà trovare le collocazioni adatte, in delle zone dello stadio non vincolate alla copertura, onde evitare di doverli smontare e rimontare quando il tetto sarò rimosso.

Per un nuovo stadio, ormai impossibile al momento, se ne riparlerà più in la. Il problema è però solo rinviato, destinato a riesplodere presto. Basti pensare al fenomeno di carbonatazione delle strutture in cemento del “San Paolo” ormai irreversibile, e alle condizioni improponibili dei servizio igienici. Nei prossimi anni occorrerà prendere una decisione, altrimenti Napoli rischierà di restare senza stadio, e il “San Paolo” di fare la fine ingloriosa del glorioso palasport “Mario Argento”.