Professor Bellavista, stateve buono!

luciano_decrescenzo

Angelo Forgione – Luciano De Crescenzo va via e ci lascia un’improvvisa, profonda sensazione di vuoto. Come fai a non sentirla quando sai che non vedrai più i suoi bellissimi occhi azzurri come il cielo, il suo sorriso attraverso il quale faceva passare la filosofia con leggerezza, il suo accento che sapeva di polipo alla luciana?
E già, lui era di Santa Lucia e si chiamava Luciano. C’era tanta Napoli in lui, e l’ha espressa bene. Da piccolo abitava nello stesso palazzo di Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, e se lo scelse come amico. Con lui accanto si sentiva al sicuro, a scuola e in strada.
Molto giovane, si appassionò alla filosofia greca, e non è per caso che, da adulto, sia diventato cittadino onorario di Atene, che lo ha tributato per aver promosso e diffuso la cultura classica in tutto il mondo con la sua intensa attività letteraria. Sì, perché noi conosciamo il professor Bellavista, un successo enorme che ci fa considerare erroneamente le sue opere come trattatelli comici, ma lui ha pubblicato una decina di libri dedicati alla cultura della Grecia classica, tradotti in trentacinque paesi e venduti complessivamente in otto milioni di copie.
Ecco, De Crescenzo coniugava la filosofia di vita napoletana alla filosofia universale dei classici greci, era cittadino di Napoli e di Atene, uomo di Grecia e Magna Grecia.
Delle sue riflessioni, una ce l’ho scolpita addosso:

“Il tempo è un’emozione, ed è una grandezza bidimensionale, nel senso che lo puoi vivere in due dimensioni diverse: in lunghezza e in larghezza. Se lo vivete in lunghezza, in modo monotono, sempre uguale, dopo sessant’anni, voi avrete sessant’anni. Se invece lo vivrete in larghezza, con alti e bassi, innamorandovi, magari facendo pure qualche sciocchezza, allora dopo sessant’anni avrete solo trent’anni. Il guaio è che gli uomini studiano come allungare la vita, quando invece bisognerebbe allargarla”.

Luciano ha vissuto in lunghezza per bontà di Dio, quasi novantun’anni, ma ha saputo allargare la sua vita. Se l’è goduta. Un gran donnaiolo, ma molto di più. Insomma… nun ha fatto na vita ‘e merda, e ha regalato qualcosa di bello a tutti noi.
E ora va via, ma alla fine resterà in circolazione, come Eduardo, come Totò, come Troisi, come il suo amico Bud e come tutti i Napoletani di buono spirito.
Stateve buono, Professo’, e grazie assaje!

La Musica tedesca e la critica italiana che cancellarono la Scuola napoletana

Angelo Forgione Riccardo Muti cerca oggi di riaffermare l’importanza di un fondamentale momento della Musica europea volutamente cancellato, quello della Scuola Musicale Napoletana del Settecento. Preziosa opera, poiché essa fu delittuosamente eclissata nell’Ottocento dalla Musica tedesca, poi tramandata come fenomeno del tutto casuale dalla nuova critica dell’Italia unita, che si oppose con forza al tentativo di affermarne il ruolo fondamentale nella trasformazione musicale illuministica, prodotto dai più onesti e liberi musicologi, ai quali venne imputato di sostenere un’astrazione storiografica. I grandi Maestri napoletani che avevano insegnato all’Europa intera nel Settecento, ma in generale tutti gli italiani (Beethoven fu allievo di Salieri e Luchesi, Haydn di Porpora), furono relegati all’oblio e cancellati dalla nuova Musica Classica germanofona. I Mozart, padre e figlio, con la loro invidia, ci aiutano a capire il perché.
Leopold Mozart, modesto musicista, accompagnò più volte il figlio Wolfgang Amadeus alla volta dell’Italia, tra il 1770 e il 1772. L’obiettivo era quello di far crescere il ragazzo artisticamente e di strappare per lui una scrittura per una corte importante, in un teatro importante. La tappa più importante fu Napoli, luogo di scuola musicale di rilevanza internazionale, ma molto tempo fu trascorso a Milano. E però, nonostante le ottime conoscenze e le relative raccomandazioni, i vari sovrani italiani snobbarono i due per un motivo ben preciso: Mozart padre si era legato alla Massoneria, assistito nella cerimonia proprio dal rampollo, e questo significò ostracismo da parte della cattolica Maria Teresa d’Asburgo, la quale raccomandò il figlio Ferdinando, arciduca di Milano, di non dar retta a quei due “mendicanti”, e mise anche in guardia la figlia Maria Carolina, regina di Napoli. I due fratelli asburgici furono molto disponibili verso i Mozart ma non gli concessero mai l’opportunità di esibirsi a corte.
Leopold Mozart si riempì di invidia per i musicisti italiani, soprattutto i napoletani, e nel 1778 dissuase Amadeus dal provare ancora la via dell’Italia, “dove solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri”. Il ragazzo si arrese e dovette ereditarne la rabbia, visto che nel 1782, ormai cresciuto, dopo un “duello” musicale finito in parità con il romano Muzio Clementi, voluto dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo, scrisse al genitore: “Clementi è un ciarlatano, come tutti gli italiani”. Eppure aveva imparato tantissimo da loro, in particolar modo da Jommelli, Paisiello, Traetta, “Ciccio” De Majo e Anfossi.

maggiori particolari sulle vicende in Napoli Capitale Morale (Magenes, 2017)

clip tratta da Mozart di Marcel Bluwal (1982)

Lady Macron: «Napoli è la città più bella del mondo»

Chiacchierata partenopea a La Radiazza (Radio Marte)
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Capodichino diventa “archeoporto”

L’Aeroporto Internazionale di Napoli diventa un “archeoporto”. Un’insolita galleria di sculture, vasi ed altri reperti, da oggi, accolgono i passeggeri in arrivo, ma anche in partenza. Chi approderà in città, in tal modo, potrò immediatamente capire in quale terra avrà messo piede, ed è quella del primo museo archelogico d’Europa (1777). Chi andrà via, sarà salutato dall’anima culturale del territorio. Un vero e proprio viaggio nella storia antica della Campania, realizzato dalla Gesac – la società che gestisce l’Aeroporto Internazionale di Napoli – , il Museo Archeologico di Napoli e altri Istituti periferici del MiBACT per mettere in vetrina il patrimonio artistico e culturale della Regione, sull’esempio del Metrò dell’Arte, ma qui classica e non contemporanea. 10 e lode!

capodichino_archeologia

‘E quatto ‘e maggio

il giorno dei traslochi nella Napoli di una volta

 

Il 4 maggio è, nella tradizione popolare napoletana, sinonimo di traslochi e sfratti che in passato avvenivano tutti in questo giorno. Tutto ha origine con l’usanza dei meridionali di compiere l’operazione il 10 Agosto, fortemente contestata dei facchini costretti a lavorare con il gran caldo. Così, nel 1587, il viceré Juan de Zunica conte di Morales, spostò la data al 1° maggio, festività dei santi Filippo e Giacomo; i napoletani, devoti dei due santi ai quali dedicavano una festa con processione, non obbedivano alla data designata e facevano di testa loro. A rimettere ordine fu il viceré Don Pedro Fernandez de Castro conte di Lemos, stabilendo nel 1611 che traslochi e sfratti si tenessero il 4 maggio, giorno dal quale decorreva anche il pagamento del canone mensile di locazione detto in napoletano mesata o pesone da cui “pigione”. In quella data precisa, quasi come un evento, si vedevano in città tantissime persone chiassose andare da un capo all’altro portandosi dietro carretti carichi di suppellettili e arredi vari.
Per questo, ‘o quatto ‘e maggio, nel linguaggio napoletano corrente per frasi fatte, significa fare un trasloco ma indica anche un grande cambiamento oppure la fine di un rapporto di amore o di amicizia, e può sottolineare anche un evento rumoroso e chiassoso nelle strade di Napoli.
Certamente, come ogni fatto della tradizione napoletana, anche questo è stato immortalato in una canzone classica. Armando Gill, il primo cantautore della storia della musica italiana, neanche a dirlo napoletano, scrisse nel 1918 proprio ‘E quatto ‘e maggio (proposta nella versione contemporanea di Ciro Sciallo), giorno in cui perde bottega, casa e fidanzata… ma da buon napoletano non si dispera affatto.

Cafè do friariell, Vol. 2. Gianni Simioli fonte di creatività.

Gianni Simioli, popolarissimo speaker di Radio Marte e capitano della notissima “Radiazza”, esempio di napoletanità cooperativa, sposa la causa della Terra dei fuochi anche nel suo ultimo lavoro discografico “Cafè do friariell” (edizione Jesce Sole), un cd-compilation giunto al secondo volume, che propone una play-list fatta di brani della tradizione rivisitati a braccetto con nuove proposte del moderno panorama musicale partenopeo. Ed è proprio identitaria la mission di Simioli, che porta negli store l’impronta della sua fortunata trasmissione radiofonica e tenta di proporre l’ascolto del genere classico a chi prefirisce il contemporaneo. Tutto va bene, purché sia made in Naples. Sul retro della custodia si legge: “Se questo cd non ti piace non bruciarlo: trasformeresti anche la musica in fumo tossico”. Ma non è tutto. Gianni si pone a tutela del friariello, eccellenza degli orti campani che corre il rischio di essere discriminato dalla critica situazione ambientale creata nelle campagne tra Napoli e Caserta.
La copertina attinge all’opera “Capri-batterie” dell’artista contemporano tedesco Joseph Beuys, presentata a Napoli nel 1985 presso la Galleria di Lucio Amelio. Un’opera che traeva spunto dal metodo degli antichi Greci per produrre corrente a bassa tensione con l’impiego di acido citrico e rame. Beuys collegò il bulbo di una lampadina ad un limone, ricco di acido citrico, accendendo la lampadina. Simioli vide nell’opera la semplicità dell’accensione della creatività, di cui i napoletani sono ricchi, e non ha mai dimenticato la lezione, fino a trarne spunto per la copertina del suo nuovo cd. Attacca una lampadina ad un napoletano e si accenderà.

Eddy Napoli e Francesca Schiavo “In Duo”

Angelo Forgione per napoli.com – Dici “Orchestra Italiana” di Renzo Arbore e pensi alle nobili voci di Eddy Napoli e Francesca Schiavo che negli anni Novanta seppero riaffermare il bel canto della migliore tradizione classica partenopea.
Lui napoletano purosangue e figlio d’arte, ambasciatore della canzone napoletana nel mondo. Lei romana con una spiccata attitudine alla tradizione classica partenopea. Due artisti diversi ma accomunati dalla grande passione, da una naturale sensibilità e da un particolare rigore nell’interpretazione della canzone napoletana che deve partire dal cuore per colpire i cuori.
Poi due percorsi da solisti differenti che ora, a distanza di anni e dopo aver regalato emozioni insieme in giro per il mondo, s‘incrociano nuovamente. Tre date consecutive sul proscenio del teatro Cilea per farle rivivere nuovamente in un viaggio che va dai grandi classici della tradizione fino ai successi contemporanei: Luna rossa, Anema e core, Voce ‘e notte, Fenesta vascia, Passione e tante altre. Ma anche inediti a sorpresa, perché Eddy e Francesca hanno lavorato all’evento con grande dedizione e senza concedere nulla all’improvvisazione.
Con loro, un’orchestra di sette giovani musicisti di talento selezionati con attenzione per un concerto che dovrà essere perfetto. Si, perché verrà registrato interamente in vista del tour europeo 2013. Gli assenti avranno sicuramente torto!

EDDY NAPOLI & FRANCESCA SCHIAVO “IN DUO”

19 – 20 – 21 Ottobre 2012
Teatro Cilea
Via San Domenico, 11 – Napoli / Tel. 081 7141801
Prezzi: Platea € 28,00 – Galleria € 22,00
Rivendite abituali, biglietteria teatro Cilea anche online
Organizzazione: “Palco Reale” e “Loro di Napoli”

Lucio Dalla il napoletano

videoclip – Lucio Dalla il napoletano

nato a Bologna, morto a Montreux, rinato a Napoli

Angelo Forgione – Era un napoletano nato a Bologna Lucio Dalla. «La cicogna era cieca in quel momento, ma la prossima volta voglio nascere qua, essere napoletano a tutti gli effetti», così disse al Gran Caffè Gambrinus sette mesi prima di andarsene. Fu il suo testamento artistico, la sua dichiarazione d’amore per la terra che artisticamente ed esteticamente sentiva più sua. «Il grande onore per me è quello di aver partecipato», disse in quell’occasione, significando tutta la fierezza per aver capito Napoli e aver dato un contributo spontaneo e sentito alla valorizzazione della cultura napoletana. Dalla amava sinceramente Napoli, più volte da lui definita la città più bella del mondo.
«Quella napoletana – disse – è la musica più importante del Novecento, altro che Beatles… dobbiamo tornare a noi, e non essere provinciali, scopiazzando all’estero»
. Non erano frasi di circostanza; Dalla fu rapito dalla lingua dialettale napoletana alle Tremiti, isole geograficamente pugliesi ma foneticamente napoletane-ischitane, e poi dalla vista del Golfo, ammirato dalla stanza di Caruso a Sorrento. E perciò cambiò il suo modo di comporre musica, tendendo alla lirica. Fu una trasformazione intima ancor prima che artistica, e perciò era davvero invaghito di Napoli e dei Napoletani, ripetendolo anche ossessivamente in ogni occasione e da ogni pulpito. La gelosia della parte putrefatta del paese non lo ha accettato e ne ha insultata la morte per togliersi il sassolino dalle scarpe.
Mi piace pensare che sia rinato da qualche parte qui intorno, come tu volevi. Arrivederci, Lucio.