Supercoppa, in Cina vincono Juve, arbitri e disgusto
16mila chilometri a/r per “valorizzare” il solito volto della Serie A
Che senso ha andare in Cina a promuovere il calcio italiano e poi esportare il peggio del movimento calcistico nazionale? Che senso ha che un arbitro, ben spalleggiato dai suoi collaboratori, si issi a protagonista indiscusso indirizzando e rovinando una gara fino a quel momento ben combattuta? No, non c’è nulla di logico in tutto questo.
Mi hanno raccontato di piccoli tifosi del Napoli in lacrime per la frustrazione. Tutto questo è diseducativo, immorale. Poi è normale che i bambini si attacchino al potere e ingrossino il popolo juventino piuttosto che milanista o interista. Così si indirizzano da sempre le forze del calcio in Italia.
Ricordo che quando nel 2007 un Bergonzi in confusione decretò due rigori inesistenti al Napoli vincente sulla Juventus per 3-1, De Laurentiis si scusò con l’allora presidente bianconero Cobolli Gigli che gridò allo scandalo insieme a tutta la stampa e le tv nazionali. Oggi non gli si può imputare di aver fatto disertare alla squadra la cerimonia di premiazione. Mancanza di sportività e rispetto? La mancanza di sportività e rispetto non sta né in questa comprensibile protesta né nell’infierire cercando il goal in condizioni di netta superiorità ma semmai nell’esultare in campo e in panchina dopo averlo trovato facilmente.
Oggi non si è esportato il marchio della Serie A in Cina ma evidentemente un altro marchio perchè nessuno aveva l’obiettivo di preservare e valorizzare lo spettacolo. Dopodiché non c’è più da stupirsi per gli stadi fatiscenti di “Italia 90”, della fuga dei talenti, della violenza, del razzismo, del doping, delle schede telefoniche svizzere, dei passaporti falsi e del calcioscommesse. Al momento da noi resta solo la competizione ma se si sacrifica anche quella meglio che diciassette squadre si iscrivano ad un altro campionato prima di inoltrarsi nel “buongiorno” dopo aver visto il mattino.
Marco Travaglio, uno juventino disgustato
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