A San Giorgio è tornato don Carlos

Angelo ForgioneL’invasore è sceso dall’usurpato trono di San Giorgio a Cremano, lasciando il posto a chi aprì la strada, il Miglio d’Oro, verso gli scavi e le ricchezze antiche che il mondo occidentale ammirò.
Il primo comune ad aver bandito, nel 1998, tra critiche e forti opposizioni, il nome di Garibaldi per Massimo Troisi, oggi ha bandito Vittorio Emanuele II dalla piazza antistante il municipio per Carlo di Borbone, precisatamente di Napoli e Sicilia, così come era detto a Napoli, non Carlo III di Spagna, che è nomenclatura assunta a Madrid nel 1759.
Prendano esempio tutti gli amministratori del Sud colonia, a cominciare da quelli di Napoli, nascosti dietro l’odonimo di Carlo III, che così detto lo si vuol intendere straniero, e sudditi di certi poteri irriverenti nei confronti di una verità e di un’identità cui sempre più il popolo guarda.
Un altro passo in direzione della riaffermazione dell’identità storica meridionale, cancellata da una odonomastica risorgimentale imposta dagli uomini di massoneria che, ad Unità avvenuta, si impegnarono nell’obiettivo di forgiare una nuova coscienza collettiva della Nazione attraverso la celebrazione dei Padri della Patria, de facto ladri della patria napolitana, anch’essi massoni, elevati a somme figure morali della moderna storia nazionale nei libri di storia, negli odonimi stradali e sui basamenti monumentali dello Stivale. Un’operazione di ingegneria sociale che sta esaurendo la sua incisività nella consapevolezza e nell’identità di buona parte dei napoletani e non solo, seppur con fisiologica lentezza.

piazza_carlodiborbone

La strage dei pini di Napoli

pini_posillipo

Angelo Forgione Circa duecento pini mediterranei sono stati abbattuti nella zona intorno al parco Virgiliano di Posillipo, tra viale Virgilio e via Tito Lucrezio Caro, e non solo, dopo il tempestoso vento che il mese scorso è costato la vita a uno studente universitario a Fuorigrotta.
Spariti interi filari stradali di alberi malati di un parassita, comparso a Napoli nel 2015 e ora avvistato anche a Roma. È la cocciniglia-tartaruga, originaria della zona sud-orientale del Nord America, che succhia la linfa e riempie le cortecce di funghi, portando alla morte di tronchi e radici. Radici, quelle dei pini, che sono comunque molto superficiali, orizzontali, e non adatte a resistere a forti venti come quelli che ormai interessano anche le nostre latitudini. Si chiamano appunto “mediterranei” questi pini, ma ormai il clima è diventato tropicale, porta parassiti lontani e i venti spirano a oltre 150 km/ora. Bisogna farci i conti.
Talmente superficiali le radici dei pini che ormai da anni hanno sollevato le strade della panoramica e unica Posillipo, in condizioni belliche. Non solo manto stradale dissestato ma anche marciapiedi divelti. Una volta, qui, vi correvano i bolidi della Formula 1. Il circuito di Posillipo si disputò tra il 1933 ed il 1962, ma poi le condizioni della superficie stradale divennero impraticabili, e lo spettacolo finì.
1100 pini piantati nel 1930, in pieno Ventennio fascista. Ora ne sono rimasti 600, quasi la metà, di cui 200 secchi e altri 200 destinati a morire tra un paio di anni, dicono gli agronomi. Ne restano altri 200, quelli in migliore condizioni nella parte alta di via Manzoni.
Alberi in ogni caso non adatti alle strade di città, sì, anche perché in ambito urbano un pino difficilmente raggiunge i 100 anni, e questi ne hanno già 80. Ma mettiamoci pure decenni di incuria, di mancate potature e opportune cure fitosanitarie del patrimonio arboreo per prevenire la proliferazione del parassita. Era già successo con le palme. Ora la strage è dei pini. Strage necessaria, a questo punto, ed è inutile gridare allo scandalo, perché erano in condizioni di salute gravi e l’intervento era di sicurezza, prima che ci rimettesse la vita qualcun altro e al comune toccassero grane e risarcimenti onerosi.
Il vero problema, ora, sono le prospettive. Andrebbero rimosse le ceppaie, eliminate le radici morte, e si dovrebbe rifare l’asfalto. Andrebbe ri-progettato il paesaggio con un intervento come quello del Ventennio, forse con specie di alberi dalle radici meno superficiali, per non ripetere l’errore. Ma in una città in grave dissesto di finanze non vi può essere riqualifica urbana così importante, non vi può essere quel necessario lavoro di concertazione con paesaggisti, urbanisti, Soprintendenza, Comune ed esperti del settore che una zona specifica per bellezza richiederebbe.
Lo scenario di Posillipo è mutato. Verrà la primavera, e poi l’estate, e il sole picchierà. E se non vi sarà intervento straordinario vi sarà per anni il deserto, e resteranno a vista le ceppaie dei tronchi, con le radici dei pini morti sotto il manto stradale-pedonale, che persisterà nelle condizioni di sconquasso in cui versa da decenni. Resterà, chissà per quanto tempo, il cimitero dei pini di Posillipo.

Carlo di Borbone spodesta Vittorio Emanuele II a San Giorgio a Cremano

municipio_sangiorgioac
Angelo Forgione
La piazza in cui ha sede il Municipio di San Giorgio a Cremano (Napoli) cambia odonimo, da Vittorio Emanuele II a Carlo di Borbone. Attenzione, Carlo di Borbone, così come era detto comunemente a Napoli, non Carlo III, che è la nomenclatura assunta a Madrid nel 1759, dopo aver regnato all’ombra del Vesuvio. Doppio plauso.
Non è il primo provvedimento identitario di San Giorgio a Cremano. Già nel 1997 la piazza Garibaldi fa intitolata a Massimo Troisi per volontà dell’allora sindaco Aldo Vella. Il nizzardo, tra critiche e forti opposizioni, fu spodestato per la prima volta da una piazza italiana.
Nel 2015, l’attuale sindaco Giorgio Zinno fece intitolare una strada ai Martiri di Pietrarsa per ricordare i quattro operai uccisi durante il sanguinoso sciopero del 6 agosto 1863, poco dopo l’Unità d’Italia, nel Real Opificio della vicina Portici.
E ora ad essere spodestato è Vittorio Emanuele II. Un altro passo in direzione della riaffermazione dell’identità storica meridionale, cancellata da una toponomastica risorgimentale imposta dagli uomini di massoneria che, ad Unità avvenuta, si impegnarono nell’obiettivo di forgiare una nuova coscienza collettiva della Nazione attraverso la celebrazione dei Padri della Patria, de facto ladri della patria napolitana, anch’essi massoni, elevati a somme figure morali della moderna storia nazionale nei libri di storia, negli odonimi stradali e sui basamenti monumentali dello Stivale. Quell’operazione sembra aver esaurito la sua incisività nella consapevolezza e nell’identità di gran parte dei napoletani e non solo, e può dirsi ormai in fase di demolizione, seppur molto lenta.

La bandiera delle Due Sicilie torna in una sede istituzionale

pimonteIl Comune di Pimonte (NA), paese di poco più di 6mila anime ai piedi del monte Faito, dal pomeriggio dell’8 marzo, accanto al tricolore e al cerchio stellato dell’Unione Europea sul balcone della sede municipale, espone la bandiera del Regno delle Due Sicilie, per delibera di giunta dello scorso novembre, in occasione dell’avvio delle Celebrazioni del 3° Centenario della nascita di Carlo di Borbone.
Per la prima volta, dal 1861, l’antico vessillo dei popoli del Sud torna a sventolare su una sede istituzionale. Storico.
(foto: Andrea Palumbo)

Il “metrò dell’arte” di Napoli

La Rai si è occupata di un’unicità che proietta Napoli nel futuro come nessun’altra metropoli italiana: la Linea 1 della Metropolitana di Napoli, conosciuta anche come “metrò dell’arte”. Un complesso artistico-funzionale, composto da fermate che accolgono circa duecento opere d’arte realizzate da più di novanta autori di fama internazionale. La Linea 1 della metropolitana napoletana, realizzata a cavallo del nuovo millennio, è un trionfo dell’architettura e dell’arte internazionale, e viene giustamente celebrata in tutto il mondo. La stazione di “Toledo”, pluripremiata come migliore al mondo, e quelle di “Università” e “Dante”, sono musei unici perché “impongono” ai passeggeri in transito di essere veri e propri visitatori a loro insaputa. E non è ancora finita. Cosa riserverà il completamento del progetto?

De Magistris, Lettieri e l’esempio (inappropriato) di Nicola Amore

Angelo Forgione – «La vera condanna di De Magistris è lo stato di degrado a tutti i livelli in cui ha portato Napoli. È per questo che dovrebbe compiere un atto di coraggio, sull’esempio di quanto fece Nicola Amore, uno dei migliori sindaci di sempre della nostra città, e dimettersi prima che venga sospeso dalla carica per la legge Severino». Lo ha dichiarato Gianni Lettieri, capo dell’opposizione in consiglio comunale, invitando il sindaco di Napoli a non aspettare di essere sospeso dal Prefetto, ma con un esempio che non calza. Già, perché Nicola Amore, sindaco famoso per le opere del Risanamento del secondo Ottocento, che lo rendono uno dei più ricordati in città, si dimise proprio per le polemiche sugli appalti che ne seguirono, accusato di aver favorito le banche torinesi e romane nei lavori di bonifica (Società Generale di Credito Mobiliare Italiano, Banca Subalpina, Società Fratelli Marsiglia e Banca Tiberina di Torino; Banca Generale e Immobiliare dei Lavori di Utilità Pubblica ed Agricola di Roma), e la società svizzera “Geisser” nell’acquisto di suoli edificabili della città (Ulrich Geisser aveva scalato l’alta finanza grazie ai solidi legami stretti con Cavour e controllava le azioni della Banca Tiberina di Torino, istituto proprietario di alcuni suoli a Chiaja, oltre che al Vomero).
Il Risanamento post-colera fu un complesso intervento urbanistico che donò alla città un più sicuro sistema fognario, il completamento dell’acquedotto del Serino e nuovi quartieri eleganti con più agevoli strade e palazzi signorili. Ma dietro i nobili intenti, in realtà, si nascondeva il pretesto per una colossale speculazione edilizia privata d’epoca umbertina. Con la complicità di Nicola Amore, il capitale, completamente esterno, prima fece da parte il Municipio, strappandogli il controllo della città, e poi attuò solo in parte la bonifica. Tutto si disvelò come occasione per una pura operazione di sfruttamento dei suoli, che non si fermò neanche di fronte al preventivo obbligo scritto di denunciare il ritrovamento di reperti di interesse storico-artistico che avrebbe causato la sospensione dei lavori. Tutte le testimonianze del passato presenti nelle aree dei lavori ne fecero le spese, tra cui una sessantina di chiese anche d’epoca medievale e il notissimo teatro San Carlino a largo del Castello. Il piano iniziale di “pubblica utilità”, che prevedeva la bonifica dei quartieri bassi a ridosso dell’area portuale con la realizzazione di nuove costruzioni popolari, fu indirizzato verso abitazioni più costose per il nuovo “rettifilo”, stravolto in corso d’opera con una variante di progetto senza alcun vantaggio per il Municipio, approvata su forte pressione delle società immobiliari e finanziarie piemontesi e romane. I lavori del Risanamento durarono decenni, sopravvivendo persino allo scandalo della Banca Romana, e la corruzione fu accertata da una Commissione d’inchiesta presieduta dal savonese Giuseppe Saredo, che fece luce sugli intrecci tra amministrazione locale e “alta camorra”, mettendo a nudo gli interessi dei governi di Torino, Firenze e Roma sulla città nei primi quarant’anni di Unità. Morto Saredo nel 1902, i suoi carteggi furono fatti sparire, le sue indagini furono arrestate e la sua Commissione d’inchiesta fu sciolta (maggiori dettagli su Made in Naples – Magenes, 2013).
Nicola Amore, già discusso questore nei fatti luttuosi di Pietrarsa del 6 agosto 1863 in cui aveva prima ordinato a bersaglieri, carabinieri e guardie nazionali di sparare sugli operai e poi tentato di corrompere (inutilmente) il funzionario Antonino Campanile a non confessare quanto era accaduto, si dimise perché gravato da pesantissime accuse di essere ingranaggio dell’affarismo sfrenato dell’Italia sabuada. Lui sì che non era un sindaco isolato e improduttivo perché non colpito da una condanna per i metodi di conduzione delle indagini sulla corruzione politica. Lui si che ha piazze e monumenti dedicati in città.

Una firma per ridurre i privilegi dei parlamentari

Una firma per ridurre i privilegi dei parlamentari

fino al 26 Luglio si può firmare negli uffici elettorali (Comune)

Entro il 26 luglio 2012 ogni cittadino può apporre la sua firma presso l’Ufficio Elettorale del Comune di residenza per richiedere un referendum per la riduzione dei privilegi dei parlamentari.
La raccolta delle firme è finalizzata all’abrogazione dell’Art.2 della Legge 31 ottobre 1965, n.1261 relativo alle indennità parlamentari, che dice “Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese”.
I parlamentari italiani sono quelli che percepiscono i compensi più alti in Europa. Compensi, non stipendi, perchè agli stipendi si sommano altre diverse voci che raddoppiano di fatto i soldi e i privilegi che entrano nelle tasche dei nostri eletti. Si va dalle spese di rappresentanza, a quelle dei portaborse, alle spese telefoniche.
Nonostante questi compensi da capogiro i politici non devono sostenere spese di circolazione sulle autostrade, spese per il trasporto pubblico in treno, autobus, metropolitana, spese sanitarie o assicurative, spese sportive (piscine e palestre gratuite).
A tutte questi privilegi va aggiunta la diaria di soggiorno pari a circa 3500 euro esentasse che viene erogata a tutti i parlamentari, anche quelli che hanno un’abitazione a Roma e quindi non devono sostenere le spese di affitto per l’alloggio. Il referendum servirebbe a cancellare proprio tale diaria.
Le firme si stanno raccogliendo in tutta Italia nel più assoluto silenzio per ovvi motivi. Il popolo ha la possibilità di fare giustizia ed ottenere una minima equità negli compensi dei Parlamentari e dei politici italiani. È sufficiente recarsi al proprio ufficio elettorale del Comune di residenza entro il 26 Luglio per raggiungere le 500.000 firme e ottenere il referendum. Tutti a firmare… e passaparola! 

Piccoli interventi di decoro nella “city”

Piccoli interventi di decoro nella “city”

Dopo la nostra denuncia del cedimento dei fragili dissuasori cilindrici installati in occasione del restyling della centralissima zona a ridosso di Palazzo San Giacomo, ecco l’intervento di ripristino in zona. Restano disastrose le condizioni di Via San Giacomo per le condizioni delle strisce pedonali realizzate con cubetti di marmo bianco divelti e per la sporcizia sempre costante.

“Giù al Sud” a Terzigno

“Giù al Sud” a Terzigno

De Crescenzo, Eddy Napoli e Forgione con Pino Aprile

Il 17 Dicembre si è svolta in un’affollatissima sala del Consiglio Comunale di Terzigno la presentazione del libro “Giù al Sud” di Pino Aprile. L’evento ha avuto il supporto organizzativo del Movimento Neoborbonico nelle persone della Prof.ssa Nadia Citarella e Gennaro Ambrosio, col patrocinio del Comune della cittadina vesuviana.
Il dibattito, appassionante a tal punto da durare quasi tre ore, è stato moderato da Salvatore Lanza e ha avuto come protagonisti, oltre lo stesso Pino Aprile, Gennaro De Crescenzo e Eddy Napoli, con il richiesto intervento di Angelo Forgione.
Le immagini sono amatoriali ma utili a comprendere la sintesi della discussione (che può essere vista più ampiamente dal video originale).

Caro De Magistris, ora vai a sud! (?)

Caro De Magistris, ora vai a sud!
il nuovo sindaco faccia l’opposto del suo predecessore

di Angelo Forgione (Movimento V.A.N.T.O.)

Esce per sempre di scena la Iervolino senza lasciare un solo rimpianto che sia uno in città. Il peggior sindaco della storia, ormai da mesi un simulacro errante, e nemmeno tanto errante, che ha lasciato la città in balia delle sue dinamiche perverse e delle sue derive peggiori. Ieri, sotto Palazzo San Giacomo, l’antico palazzo dei ministeri borbonici, c’erano tantissimi giovani e questo la dice lunga sul sentimento di liberazione e sulle speranze che la gioventù partenopea nutre nel nuovo arrivato Luigi De Magistris. Tra quelli che mi salutavano c’era qualcuno che mi diceva «Auguri», a simboleggiare un capodanno napoletano accompagnato anche dai fuochi d’artificio. Un benvenuto a lui, uomo che ha saputo portare avanti una campagna elettorale quasi impeccabile sfruttando proprio l’insoddisfazione dei giovani e le incertezze del vento berlusconiano sempre più debole, a tal punto che lo stesso Lettieri aveva provato all’inizio a presentarsi senza il simbolo del PDL ma con un’immagine quasi neutra per poi sfociare nel populismo, nel nervosismo e nella rissa dell’ultima settimana pre-ballottaggio quando ha capito che le cose si erano messe male.
Una serie di autogoal, suoi e del suo leader, lo hanno messo fuori gioco. Partendo dalle accuse a Realfonzo, passando per quelle al rivale dopo il rogo del proprio comitato elettorale, arrivando alla squallida strumentalizzazione sportiva targata Hamsik e stadio San Paolo. La verità è che De Magistris questi autogol non li ha fatti, mettendo a segno il goal più importante attraendo la vera forza di questa città, quello strato spesso di giovani che verso Lettieri non sono mai andati se non in minima parte per prendersi la musica di Gigi D’Alessio.
Ora, per l’ex magistrato tocca un compito gravoso e comincia il difficile. La vittoria elettorale è solo il trampolino di lancio verso quel mare di problemi per cui una città intera chiede soluzioni. Quell’energia che ha saputo catalizzare non va dispersa ed è questa la principale responsabilità: canalizzarla e indirizzarla in direzione di uscita da ogni depressione, per non tradire il suo elettorato che non è stato titubante ma convinto e deciso. Il Comune di Napoli non è un approdo comodo ma una valle di lacrime, un’azienda da strappare al fallimento che necessita di una cambio di direzione, e appena Luigi comincerà a metterci mano avrà di che mettersi le mani nei capelli, anche se lui ha già cognizione di tutto avendo avuto già consigli dallo stesso Realfonzo. Aggiungiamoci poi che avrà molti bastoni tra le ruote.
Noi cittadini, quella parte sana che ha a cuore le sorti di questa città, siamo ora chiamati non solo a sostenere i propositi della vigilia del nuovo sindaco ma ad incalzarlo fino ad annoiarlo. Ha voluto la bicicletta e ora è giusto che pedali forte. De Magistris ha parlato tanto di un Palazzo San Giacomo trasparente e aperto, di coinvolgimento di tutte le forze sane della città, compresi i movimenti e ogni forma di cittadinanza attiva. Noi di V.A.N.T.O. che facciamo anche questo e con molto vigore, abbiamo captato questo segnale ed è per questo che io stesso mi sono presentato al nuovo sindaco qualche settimana fa al cinema “Modernissimo”, per metterlo già da subito di fronte alle responsabilità che stava caricando su di se con le sue parole-contratti verbali. Avevo capito già da allora, quando in pochi credevano in lui, che sarebbe diventato sindaco, perchè questo vuole Napoli: essere guidata per poter partecipare. La Iervolino non solo ha sbarrato Palazzo San Giacomo facendolo diventare un nuovo Vaticano ma ha anche evitato di guidare la città che inevitabilmente ha sbandato accartocciandosi.
Forse qualcuno non si aspettava una mia presa di posizione e ha sbagliato. Qualcun altro ha sperato che sostenessi l’altra corrente avendo contestato aspramente l’amministrazione uscente. Errore, perchè per me conta Napoli, non gli uomini che sono chiamati a guidarla. Chi si occupa della città e la ama non può non interpretarne i segnali e captarne i sentimenti. E quando un mese fa qualcuno vedeva Morcone vincente su De Magistris e perdente su Lettieri già ero convinto che invece Luigi avrebbe stupito tutti prendendosi la poltrona di primo cittadino. Già al primo turno avevo indicato il voto disgiunto per un nuovo modo di fare politica (vai al post del 14 Maggio) che oggi lo stesso De Magistris celebra, e proprio il voto disgiunto ha consentito la prima parziale affermazione dell’outsider. Li la gente ha capito il vento e in tanti, quelli che il nuovo sindaco chiama “quelli della seconda, terza e quarta ora” hanno rafforzato l’elettorato “arancione”.
Ora la partita è finita e lo scenario si trasforma. C’è un nuovo uomo a cui riferirmi, che se vorrà mantener fede alle sue parole potrà avvalersi dell’appoggio e confronto costruttivo nostro e di tutti gli altri movimenti attivi. Viceversa andrebbe come con la Iervolino che prima ho votato e poi ho combattuto con tutte le mie forze una volta avvertito il tradimento e il raggiro totale.
Un’ultima considerazione la faccio da meridionalista, che è uno stadio diverso da quello di uomo di denuncia e di attivismo. Napoli è morta prima per un regime straniero che l’ha colonizzata e poi per colpa della politica che l’ha tenuta in scacco servendosi della camorra per ovvi interessi. Se Napoli oggi è in ginocchio è colpa della politica! De Magistris è entrato in politica ed è a tutti gli effetti un politico. Ma se vuole dare una mano a Napoli sappia essere uomo del popolo perché Napoli (e tutto il sud) può risollevarsi davvero solo con delle dinamiche protezionistiche e attente ad un territorio fino ad oggi e da 150 anni colpito da inerzie nazionali fortemente squilibrate verso il nord. Solo così si potrà eliminare il bubbone della spazzatura, migliorare l’offerta di lavoro per evitare che i giovani impoveriscano il meridione a vantaggio del settentrione, e restituire ai Napoletani l’orgoglio di esserlo rispolverando e riconsacrando quella grande storia che ha fatto di Napoli la matrice della moderna società europea. Questo lo si fa ridando vita alla città con le forme di cultura di cui è capace per tradizione, e restituendo le strade alla gente aumentando la sicurezza. Senza andare a Sud non si va da nessuna parte!