“Il giro del mondo in 30 musei” è la nuova collana editoriale di RCS Corriere della Sera che illustra alcuni importanti musei del mondo, presentati dal preparatissimo Philippe Daverio. Guardando il piano dell’opera, però, si scopre che esclude completamente i grandi musei napoletani. Per l’Italia: Uffizi (Firenze), Gallerie di Palazzo Pitti (Firenze), Galleria dell’Accademia (Firenze), Musei vaticani (Roma), Galleria Borghese (Roma), Brera (Milano), Gallerie dell’Accademia (Venezia). Niente Museo Archeologico Nazionale, il primissimo dell’Europa continentale (anno 1777), e niente Museo di Capodimonte, che Daverio sa benissimo essere l’uno «il più bell’archeologico del mondo» – sua affermazione in una puntata del suo programma televisivo Passepartout – e l’altro una delle più importanti pinacoteche al mondo. E sa benissimo che tra l’Archeologico e Capodimonte è distribuita pure la preziosa Collezione Farnesiana, vanto d’Italia.
Levata di scudi anche da parte di Nicola Spinosa, ex Sovrintendente Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Napoli, dalle pagine del quotidiano Il Roma: “Per loro [editori settentrionali] siamo Nord-Africa”, ha tuonato il prestigioso storico dell’arte napoletano, premiato nel 2008 col “FIAC Excellency Award 2008” come uomo che ha più contribuito alla diffusione della cultura italiana negli Stati Uniti e stimatissimo, a buona ragione, dallo stesso Daverio, per cui è stato uno dei tre più competenti sovrintendenti italiani degli ultimi decenni.
È evidente che la scelta di cancellare i grandi musei napoletani non sia del curatore ma frutto di una precisa scelta del gruppo editoriale di non scendere oltre Roma, che equivale a dire non volervi far scendere i turisti. La colpa di Daverio, semmai, è quella di aver tradito in modo evidente la sua profonda conoscenza del mondo artistico per motivi commerciali, e di porsi purtroppo in evidente posizione incoerente, proprio lui che ha sempre saputo evidenziare al meglio il valore culturale di Napoli e del Sud; proprio lui che ha recentemente dichiarato che “la rivoluzione culturale per cambiare l’Italia deve partire dal Sud”; proprio lui che denunciato la retorica risorgimentale quale motivo della morte culturale del Paese. In ballo c’è la credibilità di un uomo di grande cultura, e non è poco.