Angelo Forgione – C’è una storia inedita sulla fede in san Gennaro, una storia impensabile che ho ricostruito leggendo testi in lingua spagnola e scovando dipinti depositati negli archivi del Museo Nazionale d’Arte della Catalogna. È una storia che mi ha consentito di chiarire l’insospettabile origine del pomodoro lungo vesuviano, e che testimonia quanto ampia fosse l’ascendenza del Regno di Napoli nel mondo ispanico del luminosissimo periodo di Carlo di Borbone. È il più gustoso prodigio di san Gennaro, datato 1772, mai raccontato prima e scritto ne Il Re di Napoli, una storia che racconterò il 28 febbraio alla ristobottega Januarius, scelto ad hoc per il significato di un luogo tematico che, proprio di fronte al Duomo di Napoli e alla Reale cappella del tesoro di san Gennaro, propone una cucina identitaria attenta alla qualità.
Se pensate di non poter attendere il 22 marzo, giorno della presentazione del libro al megastore la Feltrinelli di Chiaia alla presenza di Alfonso Pecoraro Scanio, Marino Niola e Gino Sorbillo, fate un pensierino alla serata organizzata da Januarius, una gustosissima anteprima a tema e a prezzo fisso che offrirà anche un delizioso Spaghetto della Santissima Trinità (condito con tre qualità di pomodoro), un sorso di Aglianico e una copia autografata del libro.
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Portosalvo, la guglia della storia avversata torna a splendere
Angelo Forgione – Immacolata, San Gennaro, San Domenico, Materdei e Portosalvo. Sono i cinque obelischi di Napoli. Uno di questi è uscito dall’abbandono in cui era caduto da decenni. È quello antistante la chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Portosalvo e la Fontana della “Maruzza”, all’altezza dell’Immacolatella, alla biforcazione di Via Marina e Via De Gasperi.
È un simbolo di una vicenda saliente della storia di Napoli, realizzato dopo la riconquista del Regno da parte del Cardinale Fabrizio Ruffo che, alla testa dell’esercito della Santa Fede, scacciò i giacobini e restituì ai Borbone quanto sottratto dalle truppe francesi al comando del generale Championnet. A dieci anni dalla Rivoluzione Francese, la Repubblica Napoletana ebbe vita breve e la guglia fu innalzata in ricordo dell’esito favorevole ai reali napoletani in una vicenda epocale destinata a far discutere nei secoli.
L’obelisco celebrativo fu realizzato in piperno, con terminale piramidale sormontato da una croce, e vi furono apposti sui quattro lati dei medaglioni di marmo raffiguranti la Madonna di Portosalvo, Sant’Antonio, San Francesco di Paola – a cui i Borbone erano devoti – e San Gennaro, con cui ci si volle in qualche modo riconciliare. Che aveva combinato?
I militari francesi, appena entrati in città, avevano instaurarono un deciso anticlericalismo e politicizzato il venerato Santo per placare il dissenso dei partenopei, che li consideravano l’esercito dell’anticristo. Championnet, ben informato da Eleonora Fonseca Pimentel sui costumi locali e favorito da alcuni massoni della Deputazione del Santo, aveva imposto con la forza all’Arcivescovo di Napoli, Capece Zurlo, di annunciare lo scioglimento del sangue per salutare l’arrivo dei suoi e legittimarne l’occupazione.
[…] Pure san Gennaro si è fatto giacobino! Ecco il commento del popolo. Ma può il popolo napoletano non essere quello che è san Gennaro? Dunque… Viva la Repubblica!
Questo scrisse Eleonora Pimentel Fonseca sul suo Monitore Napolitano, ma il popolo di Napoli non gradì né i francesi né i giacobini napoletani, e tantomeno l’atteggiamento del Santo. Il cardinale Ruffo aveva destituito San Gennaro, sostituendolo con Sant’Antonio da Padova, la cui festività era coincisa con l’ingresso a Napoli alla guida dell’esercito dei sanfedisti, ingrossato dal popolo di Napoli urlante a gran voce “Viva ‘o Rre!”. Nonostante l’amnistia concessa dal Cardinale, iniziarono a saltare diverse teste in piazza Mercato per la sete di vendetta dell’ammiraglio inglese Nelson, fiero oppositore dei francesi, e della Regina Maria Carolina, ancora traumatizzata dalla decapitazione della sorella Maria Antonietta a Parigi e dal massacro di decine di migliaia di popolani del Regno.
I realisti, San Gennaro non ce lo volevano sul monumento, e nemmeno il popolo, che aveva cominciato a chiedere grazie a Sant’Antonio. Ma Ferdinando IV pronunciò parole di pacificazione in vista della ricorrenza del 19 settembre e fece in modo che la città non ripudiasse il suo Santo, cui era dedicato tra le altre cose il più importante Ordine morale del Regno, riservato ai capi delle grandi famiglie e ai fedeli alla dinastia. San Gennaro ebbe un suo spazio sull’obelisco, ma per riottenere il patronato della città dovette attendere la fine definitiva del giacobinismo e dei Napoleonidi, nel 1815.
Qualche anno dopo, l’obelisco divenne il simbolo di una memoria dannata, quella della monarchia napoletana cacciata da Garibaldi e dai Savoia, e ha del prodigioso il fatto che sia scampato alla furia iconoclasta dei liberali, probabilmente perché simbolo religioso. L’abbandono e la razzia dei bassorilievi condussero la guglia di Portosalvo a un sostanziale oblio e a un grave degrado.
Nel 1998, il Consiglio Comunale di Napoli discusse l’opportunità di un’integrazione culturale che accogliesse una più ampia valutazione storica nel corso delle celebrazioni del bicentenario del 1799. In sostanza, la città decise la rivalutazione di ogni periodo storico, a prescindere che si trattasse di vinti o vincitori. Fu proposto che la degradata guglia borbonica e l’area circostante fossero restaurate. La discussione trovò il consenso dell’allora sindaco Bassolino e fu approvata all’unanimità.
A quella decisione seguì l’avvio dei lavori di restauro nel 2004, poi interrotti senza che l’obelisco uscisse della rovina. La guglia, con gravi problemi di staticità, restò ingabbiata da una struttura metallica, circondata da rifiuti, avanzi di cibo e bottiglie rilasciati dagli extracomunitari che bivaccavano ed esercitavano l’attività di lavavetri in zona.
Nel frattempo, in epoca di celebrazioni dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia, i monumenti e le statue dedicati agli eroi del Risorgimento ritrovavano splendore e visibilità. Poi l’avvento del finanziamento privato del progetto Monumentando a dare finalmente dignità e visibilità all’obelisco borbonico.
Mappa del tifo 2016, cresce solo il Napoli
Angelo Forgione – Cresce la tifoseria del Napoli, l’unica a farlo tra le 5 big del Calcio italiano. A segnalarlo è l’annuale sondaggio di Demos&Pi, appena sfornato e condotto da Demetra (mixed mode CATI-CAMI) nel periodo tra il 12 e il 15 settembre 2016. Non si tratta di graduatoria di solo carattere sociologico ma anche di rilevamento con incidenza sul campionato italiano, visto che il 25 per cento dei diritti televisivi della Serie A è frazionato in base alla classifica delle tifoserie per quantità (fino a un massimo del 6,25%) sulla base di un privato sondaggio commissionato della Lega. Più sostenitori hanno i club, più soldi portano a casa.
La Juventus, con insignificante flessione, resta regolarmente la squadra più seguita con circa un terzo degli appassionati italiani (34%). A sensibile distanza, la seguono l’Inter (in calo) e il Milan, appaiate al 14%. Le due squadre milanesi risultano avvicinate e quasi raggiunte dal Napoli (13%). Dietro le quattro grandi tifoserie, solo la Roma, col 7%, presenta una base significativa sul piano statistico. Tutte le altre, Lazio e Fiorentina per prime, godono di cerchie di sostenitori in ambito locale, intorno alla città e dentro ai confini della regione dove ha sede il club.
La Juventus, dunque, si conferma il principale club “nazionale”. Primo, per quota di tifosi nel Nord-Ovest e ancor più nel Nord-Est e nel Centro-Nord; mentre nel Centro-Sud è largamente superata dalla Roma, e nel Mezzogiorno è avvicinata dal Napoli.
L’ampiezza territoriale del tifo bianconero riflette la sua storia di successi, perché il tifo costituisce un meccanismo di riconoscimento e di affermazione sociale. La Juve, in particolare, continua ad essere la squadra di coloro che abitano in provincia, trasportati, spesso, dalle migrazioni interne del passato. Ma è anche la squadra più detestata, in particolare da napoletani, romanisti e interisti. L’ostilità dei tifosi partenopei verso i bianconeri non è mai stata così elevata.
Il calcio resta lo sport più seguito nel nostro Paese, perché più di tutti riflette l’attaccamento ai campanili e genera appartenenze conflittuali, ma la flessione della passione continua da anni, con 20 punti in meno rispetto al 2009. Per una ragione, su tutte: la credibilità minata. Il campionato è ritenuto sempre più condizionato dalle scommesse, dalla corruzione e dalla criminalità organizzata. Solo 2 tifosi su 10 pensano che sia più credibile e pulito rispetto a 10 anni fa. Mentre la fiducia nella Lega e nel presidente della Federcalcio Tavecchio è circoscritta a una minoranza dei tifosi. Non superiore a un terzo. Così non sorprende che 9 tifosi su 10 chiedano il ricorso alle tecnologie in campo per sfiducia nel sistema. Secondo la maggioranza dei tifosi, dopo Calciopoli la situazione è persino peggiorata.
Il campione nazionale intervistato è rappresentativo della popolazione italiana dai 15 anni in su, per genere, età, titolo di studio e zona geopoliica di residenza. I dati sono stati ponderati in base al titolo di studio (con margine di errore 2,7%)
Targa ai martiri giacobini: il Comune di Napoli risponde
L’assessore alla Cultura del Comune di Napoli Nino Daniele risponde alle mie puntualizzazioni sulla targa dedicata ai martiri giacobini del 1799 recentemente scoperta presso l’entrata della Basilica del Carmine. Risposta che riporto integralmente.
Gentile Angelo Forgione,
mi perdoni se non entro nella polemica se i giacobini napoletani giustiziati fossero “illuministi”, semplici allievi di illuministi o addirittura degli abusivi, sedicenti illuministi; ritengo che su alcune questioni storiche sia legittimo avere opinioni differenti e mi tengo le mie.
Per il resto sappiamo bene, Lei ed io, che su quella fase della storia italiana e napoletana da due secoli almeno gli storici ragionano, discutono, qualche volta si accapigliano. La nostra cerimonia dei giorni scorsi ha avuto, a mio parere, una duplice motivazione. In primo luogo voleva essere un omaggio a uomini e donne liberi, impegnati per la realizzazione di un’idea di progresso quale ad essi appariva quella affermatasi nella Rivoluzione francese e diffusa in Europa anche sulla punta delle baionette, giustiziati in massa per vendetta. In secondo luogo voleva sottolineare il legame tra l’esperienza napoletana del 1799 e la vicenda successiva dell’impegno per l’indipendenza e per l’Unità dell’Italia, legame indubbio pur nella differenza delle interpretazioni.
Leggo in positivo la sua sollecitazione a ragionare dei “lazzari”. E non penso soltanto a quelle “masse controrivoluzionarie” inquadrate nella fila dei Sanfedisti del Cardinale Ruffo, protagoniste della riconquista borbonica, ma più in generale alle popolazioni meridionali, contadini e sottoproletariato urbano, che troppe volte sono sembrate escluse dalle vicende della “grande storia” e che spesso, nei momenti cruciali, non hanno avuto gli strumenti culturali e politici per intervenire in essa se non in modo subalterno ad interessi altrui, coltivando la nostalgia di mai esistite dell’oro.
Cordiali saluti.
L’assessore Gaetano Daniele
Senza volere proseguire nelle argomentazioni, all’assessore Daniele giunge rinnovata la sollecitazione a produrre un ricordo anche per le migliaia di vittime napoletane tra il popolo. Certamente l’età napoletana dell’oro mai è esistita, ma quella della Luce che illuminò l’Europa e oltre, pre-giacobina, sì. I “lazzari” c’erano già allora, e la vita di uno di loro non vale meno di quella di un colto borghese, suo concittadino, pronto a tirargli palle di cannone alle spalle e dall’alto perché ostacolo allo stravolgimento delle tradizioni napoletane.
Quando Sant’Antonio detronizzò San Gennaro
Angelo Forgione – 13 giugno, Sant’Antonio da Padova, nato a Lisbona, per circa 15 anni patrono di Napoli, in luogo di San Gennaro.
All’alba del 1799, i giacobini francesi avevano instaurato la Repubblica Partenopea, affidandola alla pochezza politica della borghesia e della nobiltà locale, incapaci di produrre riforme e indulgenti rispetto ai furti di opere d’arte e danaro che i francesi operarono in città. Ferdinando IV fu costretto a riparare a Palermo ma godette del sostegno del popolo, che, ingrossando l’inferocito Esercito della Santa Fede guidato dal Cardinale Fabrizio Ruffo, risalendo dalla Calabria, dopo soli sei mesi gli restituì il trono. Su pressione inglese e per risentimento della tradita Maria Carolina, furono giustiziati un centinaio di repubblicani giacobini e furono inflitte detenzioni ed esili. Tra questi, Domenico Cirillo, ex medico personale della regina, ed Eleonora de Fonseca Pimentel, per vent’anni sua amica e bibliotecaria personale, prima di cambiare atteggiamento e definire la Regina “tribade impura”. Certamente, con quel centinaio di esecuzioni, al patibolo venne traumaticamente strozzata l’intellighenzia che aveva costituito linfa del grande Settecento napoletano cui attinse il mondo intero, ma le migliaia di civili massacrati in battaglia dai francesi e dagli stessi repubblicani, che gli riversarono colpi di cannone alle spalle da Castel Sant’Elmo, sembrano non aver mai pesato sul bilancio tra le parti. Stime ufficiali ne indicano circa tremila, ma ne furono probabilmente di più; il generale francese Paul-Charles Thiébault, tra i protagonisti di quelle vicende, trascrisse nelle sue memorie la stima, limitata ai primi cinque mesi di governo franco-giacobino, di sessantamila vittime complessive di parte napoletana-cristiana-borbonica, oltre ad incalcolabili saccheggi dalle Calabrie alle Puglie.
I napoletani arrivarono addirittura a “detronizzare” San Gennaro, accusato di parteggiare per i giacobini, artefici di una guerra sistematica contro la fede cattolica. Il generale francese Jean Étienne Championnet impose all’arcivescovo di Napoli, Capece Zurlo, di dichiarare che la liquefazione del sangue era avvenuta nel giorno dell’arrivo dei francesi. Quando le armate della Santa Fede giunsero a liberare la città, era proprio il 13 giugno, e il posto di patrono di Napoli fu assegnato a Sant’Antonio da Padova, raffigurato da quel momento con la bandiera borbonica. San Gennaro sarebbe tornato al suo “posto” solo dopo la Restaurazione del 1815, circa quindici anni dopo.
Celebre il Canto dei Sanfedisti, in cui Sant’Antonio è protagonista della riscossa.
Alli tridece de giugno sant’Antonio gluriuso.
‘E signure, ‘sti birbante ‘e facettero ‘o mazzo tante
So’ venute li francise, aute tasse n’ci hanno mise.
Liberté… egalité… tu arruobbe a me io arruobbo a te.
Sona sona sona Carmagnola
sona li cunsiglia viva ‘o rre cu la Famiglia.
La storia che cambia le persone… e la fede calcistica
La storia che cambia le persone… e la fede calcistica
Scopre la verità e passa dall’Inter al Napoli
Lo canta anche Fiorella Mannoia nell’album “Sud”: “Io non ho paura di quello che ci cambierà”. E la scoperta delle verità risorgimentali nascoste dalla storiografia ufficiale ha proprio il potere di cambiare le persone.
La diffusione della coscienza e della consapevolezza dei fatti storici che hanno determinato la questione meridionale ha sempre avuto, anche in chiave sportiva, una funzione di possibile riflessione personale di ciascun napoletano o meridionale tifoso di squadre del potere del Nord che dalla situazione geopolitica seguita all’unità d’Italia hanno tratto grandi vantaggi. Abbiamo portato messaggi ovunque, anche allo stadio, e continueremo a farlo, consapevoli di riuscire ad accrescere l’amore per la nostra terra. Non sono poche le persone che ringraziano personalmente per aver ricevuto la scintilla e un’ulteriore testimonianza arriva dalle pagine di calcionapoli24.it dove, alla vigilia della partita contro l’Inter, è stata pubblicata la lettera di Antonio, un napoletano ex tifoso interista pentito, ora tifoso del Napoli “a vita” dopo aver appreso la verità storica sui fatti del Risorgimento.
“Ma chi l’ha detto che una squadra è per la vita? Chi è il sostenitore della tesi che si può cambiare macchina, donna, amante ecc. ecc. mentre il tifo per un club è l’unica certezza immutabile? Io sono la prova vivente dell’esatto contrario. Voglio subito premettere che la mia famiglia è napoletana e da sempre tifa per i colori azzurri. Da bambino, chissà per quale motivo, iniziai ad avere una grande simpatia per l’Inter, cosa che ‘purtroppo’ ho coltivato per anni. Cose istintive, di bambini, appunto. Crescendo, per simbiosi naturale con mio padre e mio fratello, ho avvertito il bisogno di ‘simpatizzare’, almeno quello, per il Napoli, ma nessuno era capace di spostarmi dalla mia incrollabile passione per i meneghini sponda nerazzurra. Vi chiederete cosa è successo nella mia vita che mi ha portato a cambiare idea. Semplice, la scuola e la voglia di apprendere, di conoscere. Può sembrare assurdo, forse addirittura arriva come una forzatura che travalica il buonsenso e la sportività in generale, ma quando ho approfondito la storia d’Italia, quella vera che sui banchi di scuola non può essere sfogliata, l’amore per la mia terra, già forte di suo, si è espanso in me in maniera esponenziale. Continuavo a ripetermi, perchè devo fare il tifo per una delle squadre di quel nord che ha costruito le sue fortune sul saccheggio delle ricchezze della mia terra con successiva crescente distruzione? Oggi sono un tifosissimo del Napoli e lo sono ormai da anni. Non perdo una partita che sia una, e quando posso vado allo stadio per gridare la mia fede ad una maglia che difende i colori della mia CITTA‘. L’Inter è lì, nel bagaglio dei ricordi. Non rinnego nulla, ma mi piace sottolineare che è bello risvegliarsi grazie alla conoscenza. Domani sera un solo coro ci deve unire: FORZA NAPOLI! E per fare il verso a Berlusconi che l’anno scorso disse, prima di un Milan – Napoli, ‘andiamo a vedere il Nord battere il Sud’, io dico ‘andiamo a vedere il nostro magico Napoli che come la sua terra ha una storia che non ha bisogno di paragoni, confronti, divisioni… Un abbraccio a tutti i veri tifosi azzurri. Ora però lo posso dire: la squadra io l’ho cambiata, ma un cambio basta e avanza. Anche per me vale il concetto di Napoli a vita”.
Antonio
La passione azzurra dal Giappone
La passione azzurra dal Giappone
l’omaggio di “Micio”, innamorata di Napoli
L’aveva promesso Michiho Ando quando recentemente è volata in città per assistere a Napoli-Inter col padre e la figlia: «Ho una sola bandiera con me, quando torno in Giappone ti mando la mia bandiera con lo stendardo giapponese e quello delle Due Sicilie accanto allo stemma del Napoli».
E così è stato. La più grande tifosa orientale del Napoli e di Napoli mi ha fatto piacevolissimo omaggio della bandiera coi due paesi, quello “d’ ‘o sole” e quello del sol levante.
Ed eccola la sua bellissima creazione sullo splendido tramonto napoletano che per un attimo scalda il cuore (clicca sulle foto per ingrandire), dedicato a “Micio” che ama la storia e la cultura Napoletana oltre che il Napoli.
Grazie “Micio”! 感謝