––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Alberto Angela, con il suo Stanotte a Pompei, asfalta Laura Pausini in concerto al Circo Massimo nella prima serata di sabato 22 settembre. Su Rai1, il divulgatore ha conquistato 4.233.000 spettatori, pari al 24.3% di share, mentre su Canale 5 la cantante si è fermata a 1.553.000 spettatori, pari all’8.8%. Clamoroso trionfo della serata dedicata alla storia del sito archeologico vesuviano sul concerto musicale nell’antica Roma in prima visione.
La storia e l’archeologia vincono la sfida contro la musica, anche se Alberto Angela ha sempre garantito buoni risultati di audience alla Rai. Il perché del successo del personaggio? Empatia, semplicità e un certo fascino sulle donne.
Angelo Forgione – La differenza tra raccontare Napoli e offenderla? Vi sono scrittori senza identità per cui «a parte quella calcistica, Napoli non ha altre identità». Vi sono giornalisti di provocazione per cui «Napoli fa schifo». E poi vi sono divulgatori scientifici per cui «Napoli ha una cultura da primato mondiale».
In un’Italia siffatta, lo scrittore e il giornalista, tifosi in malafede, prendono gli applausi curvaioli di chi Napoli la disprezza di concetto, anzi di preconcetto, mentre il divulgatore scientifico prende la cittadinanza onoraria di Napoli. Perché è proprio così che funziona. Provate a raccontare Roma, Firenze e Venezia per la loro cultura e sarà tutto abbastanza normale. Provate a raccontare Napoli onestamente, per il suo patrimonio universale, e tutto diventerà eccezionale, fuori dagli schemi, meritevole.
Lo faccio anch’io, che la visibilità di Alberto Angela me la sogno, anche se i suoi autori hanno attinto pure dai miei libri, ma non è come farlo da forestiero. Se un napoletano divulga che Napoli è città prima, luogo fondamentale, si spacca la testa per scrivere libri e si spende quotidianamente per la missione, c’è persino il concittadino che gli dà del “tifoso”. Dell’ignoranza italiana m’importa relativamente poco. Mi ferisce di più l’ignoranza di certi napoletani, che non sanno a quale identità appartengono e di quale immensa cultura sono portatori.
Conoscetevi, napoletani senza Napoli, e prendetevi la fierezza che vi manca per migliorarla.
Angelo Forgione– Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi, e Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, ospiti a In 1/2 ora di Lucia Annunziata, hanno affrontato Il tema del futuro dell’economia italiana alla luce della proposta avanzata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel di un’Europa a due velocità, con un gruppo di testa. Secondo Tremonti, i tedeschi non vorrebbero gli italiani nel gruppo guida perché «ci vogliono far fare la fine che i piemontesi hanno fatto fare al Regno delle Due Sicilie». E ha aggiunto: «Credo che nello spirito dei tempi e nell’andamento della storia si apra una fase sovranista, che non vuol dire chiudersi ma difendere quello che hai e valorizzarlo sull’esterno. Lo stanno facendo Usa e Germania, lo deve fare l’Italia. Non possiamo continuare a farci portar via la nostra roba. Il destino dell’Italia non è quello del non povero Regno delle Due Sicilie». Nelle parole dell’economista lombardo, che dimentica di dire che la Lombardia si era unita al Piemonte, insorgerebbe per l’Italia un’esigenza protezionistica-sovranista, proprio quella per cui la storiografia risorgimentale ha condannato Ferdinando II di Borbone, statista non disposto ad indebolire l’economia del Mezzogiorno d’Italia per beneficio di interessi stranieri. Inghilterra e Francia fecero in modo che un indebitato Piemonte colonizzasse e devitalizzasse le Due Sicilie. Nacque un paese unito caricato del debito pubblico piemontese, debole economicamente e politicamente. Nulla è cambiato. A proposito, per Ferruccio De Bortoli, per non sprofondare «ci vogliono statisti veri e seri».
Angelo Forgione – Emmanuele Jannini, docente di Endocrinologia all’Università di Roma Tor Vergata, nel corso del puntata di Superquark del 3/7/14 ha commentato i dati sulla violenza sulle donne in Italia relativi all’ultimo decennio. «Ci siamo resi conto che, contrariamente a quello che pensavamo, il Nord è il posto dove è più pericoloso essere donna, mentre il Sud è il fanalino di coda. I dati sono motivati probabilmente dalle diverse influenze culturali nella società settentrionale».
Se è relativamente semplice comprendere cosa ci sia dietro il “contrariamente a quel che pensavamo” del professor Jannini, ovvero la correlazione tra violenza sulle donne e povertà, più criptica è la sua spiegazione del fenomeno. Tra il 7% del Sud e il 58% del Nord c’è una bella differenza, non certo uno scarto minimo. Cosa vuole intendere il professor Jannini quando parla di diverse influenze culturali? Forse che gli stupri e le violenze sulle donne nei territori settentrionali sono da attribuire solo agli extracomunitari e ai meridionali che lì vivono?
I dati europei riportati in un’indagine condotta dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali dicono che gli abusi di genere sono più diffusi nell’Europa del Nord: al vertice della classifica infatti troviamo la Danimarca (con il 52% di donne che raccontano di avere subìto violenza fisica o sessuale dall’età dei 15 anni), la Finlandia (47%) e la Svezia (46%). A seguire i Paesi Bassi (45%), Francia e Gran Bretagna (44%), mentre l’Italia si piazza al diciottesimo posto (27%). Un po’ come per suicidi e uso di psicofarmaci, più ci si approssima alle aree nordiche ricche e più l’incidenza del fenomeno aumenta. La verità è che la violenza sulle donne, come tutti i drammi sociali, è frutto di un intreccio di altri problemi sociali (povertà, alcolismo, droga, sofferenza psichiatrica, bassa scolarità), di commistioni culturali certamente, ma anche di un diverso rispetto del gentil sesso. Rispetto che nelle aree povere è ancora forte perché non pregiudicato dalla mercificazione. Del resto, la cultura maschilista italiana è oggi incarnata dall’offensiva visione della donna codificata dall’avvento delle tivù di Berlusconi e dalle sue lussuose avventure sessuali che devono indignare e non divertire. E se vogliamo andare agli albori della Nazione, i primi stupri d’Italia li commisero Bersaglieri e Carabinieri piemontesi, ai danni delle donne del Sud, in nome del disprezzo etnico e della diversità culturale… contrariamente a quanto si possa pensare.
ad “Attacco a Napoli” il clima d’odio tra napoletani e romanisti
Angelo Forgione – Interessante puntata di “Attacco a Napoli” su Piuenne, approfondimento d’indagine dei fatti tragici di via Tor di Quinto a Roma che hanno preceduto la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. Il dibattito, condotto da Raffaele Auriemma, ha goduto, tra gli altri, dei preziosi contributi di Sergio Pisani, uno degli avvocati del ferito Ciro Esposito, e della criminologa Angela Tibullo, criminologa nominata dello stesso pool di avvocati, che hanno fornito ulteriori particolari d’indagine dei fatti, di cui i pm hanno già un’idea abbastanza definita. L’ipotesi di incriminazione per tentata strage a carico di Daniele De Santis, da me avanzata nel dibattito, ha trovato fondamento nella ricostruzione degli eventi. La trasmissione, di cui è proposta una sintesi, ha anche tastato il polso all’assurdo clima d’odio che attanaglia le tifoserie di Napoli e Roma.
«La Germania ha unito Est e Ovest. Noi ancora burocraticamente borbonici»
Due settimane fa aveva elogiato il modello delle Due Sicilie.
Angelo Forgione – Ci ha messo dodici giorni il premier Matteo Renzi, trionfatore indiscusso delle votazioni europee, per cadere in contraddizione. Il 14 maggio era stato a Napoli, in prefettura, e si era riferito al modello borbonico delle Due Sicilie per il rilancio del Sud, seppur apparendo già contraddittorio rispetto ad alcune sue dichiarazioni del passato. Storico Matteo! Non lo aveva fatto nessun Primo Ministro o alta carica dello Stato in 153 anni di storia unitaria.
Durante la trasmissione Rai Porta a Porta del 26 maggio, Renzi, da forza emergente al tavolo dell’Unione Europea, ha parlato di rapporti tra Italia e Germania in chiave continentale, anticipando le sue intenzioni rispetto alla cancelliera Angela Merkel. Ed eccolo di nuovo giocare con le parole: «Siamo in grado di andare dalla Merkel e dire “questa è la semplificazione della pubblica amministrazione italiana, che non può essere borbonica”?».
Certo, si tratta di uso di una parola sbattuta sul dizionario con l’accezione denigratoria della Storia del Sud che ormai non regge più, come da Renzi stesso evidenziato. E pure il suo predecessore Enrico Letta, nel corso del summit dei capi di Stato e di governo dell’Ue dello scorso ottobre, aveva affermato che «bisogna lavorare affinché l’Italia non sia guardata più come il Paese più burocratico e borbonico». Inutile – ma non lo è – ricordare ancora una volta che la burocrazia italiana è sabauda, non borbonica, e che sono stati i piemontesi a imporre e condurre la loro Italia, non i napoletani.
Renzi sia più fedele a quel che dice e non metta maschere diverse in base al palcoscenico che calca. Tanto più se cita l’esempio dell’unione tedesca, vera:«La Germania, negli anni Duemila, che cosa ha fatto? Ha fatto quello che noi non abbiamo fatto: ha fatto delle riforme strutturali per unificare Est e Ovest, investendo fortemente sul mercato del lavoro, e adesso è leader in Europa e fa registrale percentuali di crescita come nessun altro Paese».
Tutto giusto, tutto perfetto, a parole. Dunque, Renzi, ha la ricetta per unire l’Italia – ma non da oggi – e sa come cancellare il divario Nord-Sud, anche quello di stampo sabaudo, non borbonico. Se non lo farà, la colpa non sarà della Merkel.
tratto da Made in Naples (Magenes, 2013): Sono stati i Savoia a governare l’Italia piemontesizzata per circa ottantacinque anni, non i Borbone. Dunque, può mai essere borbonico il retaggio governativo della Nazione italiana? La burocrazia italiana non è borbonica ma, semmai, figlia di quella sabauda e piemontese instaurata negli anni del Regno d’Italia, esasperata e finalizzata alla sparizione di soldi pubblici. Un modo d’intendere l’amministrazione statale da cui derivò una sfrenata “creatività” tributaria a Torino e la necessità di unirsi con chi aveva i conti in ordine e poche tasse. Perché, dopo il 1855, il Regno di Sardegna non compilò più il bilancio statale? Forse “per oscurare le informazioni”, come denunciò nel 1862 l’economista Giacomo Savarese. Fu questa l’origine del debito pubblico italiano, prettamente piemontese, come conferma la ricerca Un’Italia unificata? – Il Debito Sovrano e lo scetticismo degli investitori di Stéphanie Collet, pubblicata nel luglio 2012.
Il 5 Dicembre si è svolto alla libreria Laterza di Bari il confronto tra il Professor Alessandro Barbero, autore del discusso libro “I prigionieri dei Savoia, la vera storia della congiura di Fenestrelle” e il Professor Gennaro De Crescenzo, archivista e presidente del movimento Neoborbonico. Un duro faccia a faccia utile a sviluppare il dibattito su una delle pagine più oscure del Risorgimento.
Barbero esperto di storia medievale, ha iniziato improvvisamente a indagare qualche tempo fa sulle vicende del forte piemontese, prima parlandone in RAI a Superquark, suscitando le prime forti reazioni, e poi scrivendo un libro col quale ha inteso minimizzare i fatti che la stessa RAI aveva invece approfondito con un documentario dai toni drammatici, col solo risultato di far divampare ancor più le polemiche. Nel video (riprese Mimmo Marazia) è condensato il cuore del confronto, introdotto dall’editore Giuseppe Laterza e moderato dal giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Lino Patruno di cui è allegata una cronaca del giorno dopo.
Il dibattito su Fenestrelle alla libreria Laterza di Bari.
di Lino Patruno
Che non fosse un dibattito qualsiasi, lo si era capito prima e se ne è avuta conferma dopo. Anzitutto in territorio ostile, in casa di un editore che sul Risorgimento italiano non ha mai pubblicato nulla che non sposasse la storia raccontata dalle università e dall’accademia. E poi con uno storico come il torinese Alessandro Barbero, che appunto per Laterza ha scritto “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”: non solo una conferma delle tesi fin qui ascoltate, ma anche un meditato florilegio verso le tesi dei Movimenti meridionali, a cominciare dai Neoborbonici.
Barbero non voleva solo contrapporsi alla mala pianta (a suo parere) del revisionismo storico, ma voleva irriderla e umiliarla. Sul piano scientifico, ovvio, non potendo sospettare in lui rancori personali che invece hanno rischiato di fare subito capolino. Alla partenza, con un risolino verso il pubblico che gli è stato immediatamente rinfacciato e che egli ha dovuto altrettanto immediatamente ritirare. Il risolino verso interlocutori dalle tesi e dall’ardire non meritevoli di un rispetto né scientifico né democratico.
Insieme all’accusa di storia mistificata col “fine immondo” di accendere gli animi del Sud e spaccare l’Italia. Non meraviglia, anzi meraviglia, in uno studioso che è parso aver dimenticato cosa volesse spaccare la Lega Nord (e che da una regione governata dalla Lega Nord proviene). Lega verso la quale ha però usato senza perifrasi un solo aggettivo: “ignoranti”. Eppure Barbero ha voluto il dibattito, in un certo modo legittimando l’interlocutore. Frutto forse di una sapiente scelta di marketing dell’editore. Ma frutto anche dello tsunami di reazioni (alcune, per la verità, abbastanza scomposte) che hanno investito soprattutto in Internet l’uscita del libro. Reazioni in buona parte inevitabili, e non solo per gli argomenti ma perché già da un anno Barbero aveva fatto grancassa televisiva su ciò che stava scrivendo, diciamo una provocazione. Di cosa poteva lamentarsi? Aveva avuto ciò che in fondo voleva.
Chi scrive e ha fatto da moderatore al dibattito, aveva colto le dichiarate preoccupazioni dell’editore perché la serata fosse civile e costruttiva. Quale è stata, in una libreria Laterza mai così colma di pubblico (soprattutto appartenenti a Movimenti meridionali) che non ha mai dato conferma della virulenza che col consueto pregiudizio gli si voleva attribuire, non ha mai sventolato bandiere o urlato come una Curva Sud. Così la serata è stata una vittoria per tutti. Ma anzitutto grazie a chi era sospettato di poter essere brutto, sporco e cattivo.
Quanto a Fenestrelle, inutile ripeterne i dettagli. Secondo Barbero, una caserma nella quale dal 1860 al 1863 furono condotti soldati borbonici resistenti all’arruolamento nell’esercito italiano, e con qualche morto fra loro. Secondo il ferratissimo presidente dei Neoborbonici, il professor Gennaro De Crescenzo, un campo di concentramento nel quale i soldati borbonici furono deportati in massa e fatti morire di fame e di freddo. Una normale operazione militare secondo l’uno, una operazione stile Auschwitz secondo l’altro.
Quale la verità? Ciascuno ha dato fondo ai suoi documenti. Con Barbero che ha rivendicato i suoi. E con De Crescenzo (un Maradona in materia grazie ai suoi studi di archivistica) che gli ha platealmente dimostrato come la documentazione utilizzata per il libro sia una minima parte di quella che comincia a essere finalmente disponibile.
Barbero, ad esempio, non è mai passato da Napoli alla ricerca di fonti. Accusa cui ha reagito dicendo che lo storico scrive quando ritiene che la verità accertata sia sufficiente, altrimenti finora non si sarebbe ancora scritto niente del nazismo e dello sterminio degli ebrei. E con De Crescenzo che gli ha fatto notare come la verità possa essere non solo insufficiente ma del tutto distorta quando a essere trascurati sono addirittura decine di migliaia di documenti, quelli cui i Neoborbonici hanno accesso e continuano ad avere accesso, e non solo su Fenestrelle. Bisogna invece continuare a scavare. Non limitandosi agli archivi ufficiali, ma andando anche nelle parrocchie e negli ospedali.
Barbero ha assicurato che se si accorgerà che c’è altro, ritornerà sull’argomento. De Crescenzo ha obiettato che se c’è un dubbio, non bisogna sparare teorie, specie quando si offende la memoria di un Sud che non ha visto mai citati da nessuna parte i suoi morti, insomma è stato cancellato dalla storia anche con le sue vittime di un’Italia che si aveva da fare. Non importa se a danno del Sud. Inevitabile anche lo scontro sulla lapide apposta dai Movimenti meridionali a Fenestrelle in ricordo delle vittime del Regno delle Due Sicilie. Secondo Barbero, un’autorizzazione concessa indebitamente, vista la sua versione di ciò che lì accadde. Secondo De Crescenzo, un atto che sarebbe stato dovuto anche se ci fosse stato un solo soldato meridionale morto. Morto per quella che, secondo la stessa copertina del libro dello storico torinese, fu una “guerra non dichiarata”.
Conclusione: bisognerà continuare a studiare in onestà per far rimarginare la ferita con la quale l’Italia unita nacque. Come anche Barbero ha ammesso, ancorché la sua verità (o presunta verità) sia già stata scodellata in 362 pagine. E quando dal compostissimo pubblico gli è stato chiesto cosa pensa del Museo Lombroso di Torino, ha risposto che la scientificità e le teorie del criminologo veneto-piemontese abbisognano perlomeno di un supplemento di indagini. Ma intanto le scolaresche continuano a passare davanti a teche coi teschi di meridionali “criminali nati” a detta di Lombroso. E intanto il veleno contro il Sud continua a essere iniettato anche negli italiani di domani.
Chissà perché il risolino iniziale del professor Barbero, peraltro studioso e persona di tutto rispetto, si è poi stemperato nel fitto colloquio finale con molti del pubblico. Forse non sapeva che erano discendenti di briganti, se briganti sono tutti i meridionali a caccia ancora di giustizia e verità 150 anni dopo.
Angelo Forgione – Ora è certo: il revisionismo storico sta dando i suoi frutti e quante più sono le persone che apprendono la verità sul corto circuito risorgimentale verificatosi al sud tanto tanto più è grande l’opera di distruzione dello stesso revisionismo. La gente sta imparando a conoscere l’aiuto fondamentale che Garibaldi chiese a mafia e camorra nella sua scalata al meridione, trasformando proprio in quel momento, con una sorta di “tangente sullo stato”, un affare di quartiere in potere costituito. La gente sta imparando a conoscere i misfatti di Fenestrelle, il forte piemontese in cui furono reclusi i soldati delle Due Sicilie che non vollero giurare per un re diverso dal proprio, e lì fatti morire di stenti.
E allora, proprio nell’anno delle celebrazioni di “Italia 150”, anche la televisione nazionale è utile a fronteggiare l’assalto delle verità che vengono da lontano. Funge allo scopo Piero Angela col suo “SuperQuark”, che ha come collaboratore fisso il Professor Alessandro Barbero, il quale, nella puntata dell’11 Agosto, con abile maestria da demolitore, ha proposto alla platea estiva due storielle sulla Napoli vicereale e risorgimentale condite da quello sprezzante anti-meridionalismo figlio della più stantia cultura lombrosiana (link al video in basso). La prima carica di tritolo è esplosa (si fa per dire) a Piazza Mercato, scenario storico di Masaniello, e Barbero qui si è mostrato revisionista a suo modo, tirando fuori imprecisati “documenti recenti e rapporti di polizia” non mostrati e non decumentati che dimostrerebbero che il famoso capopopolo del ‘600 sarebbe stato un camorrista che non avrebbe difeso il popolo ma «gli interessi di chi prelevava il pizzo che si ritrovava meno in tasca a causa delle tasse diventate più pesanti». È netta la sensazione che il professore volesse convincere sulla sussistenza di un “ambiente malavitoso” non già nella Napoli vicereale ma addirittura nel medioevo interpretando gli scritti di Boccaccio che descrivono uomini dei quartieri bassi col coltello in mano e pronti a sfruttare la prostituzione. Quanto accadeva in ogni città del vecchio continente, Londra in primis i cui sobborghi erano ben peggiori di quelli di Napoli, e in quanto a prostituzione, antica come il mondo, vorremmo domandare al professore se i lupanari dell’antica Roma possano costituire prova che gli antesignani dei camorristi fossero magari parenti di Giulio Cesare. Suvvia! E quando la bomba è già esplosa, Barbero così afferma: «a Napoli, da secoli, si vede bene più che altrove questo mondo della malavita». Detto questo, il professore accende la seconda miccia tra le Alpi Cozie tirando fuori «un altro documento venuto fuori di recente che riguarda il nostro Risorgimento». E questa bomba, ancora più potente, fa capire dove il Nostro vuole arrivare, incurante della memoria di chi a Fenestrelle perse la vita per amore della propria patria e per fedeltà al proprio Re sconfitto. Barbero sostiene che a guardia del forte-lager, dove le condizioni di prigionia erano inumane, ci fossero anche alcuni napoletani che avevano invece accettato l’illegittimo regno d’Italia di Vittorio Emanuele II entrando nel regio esercito nazionale. Dunque, questi napoletani spergiuri, secondo la magistratura piemontese dell’epoca, avrebbero consentito a quelli d’onore e incatenati di dedicarsi al gioco d’azzardo in cambio di una percentuale sulle vincite… “per diritto di camorra”. Chi conosce la storia di Fenestrelle, fortunatamente documentata anche da RAI 150, sa benissimo in che condizioni si svolgeva la vita nel forte, non a caso definito “lager dei Savoia”. Nell’alta Val Chisone, il freddo era insopportabile per gente abituata al clima mite del meridione e le guardie dell’esercito piemontese sradicarono persino gli infissi per torturare i Napoletani col “salutare” freddo alpino. Il professore Barbero dovrebbe spiegarci come facessero dei veri e propri seviziati a dedicarsi ad attività ludiche e a farlo persino a carattere d’azzardo, e con quali soldi. Nel documentario di RAI 150, questo si ricco di documenti d’archivio in visione, il ricercatore piemontese e guida di Fenestrelle Luca Costanzo afferma che «ciò che è sicuro è il patimento del freddo da parte dei prigionieri, ed è pacifico che soldati che provenivano da località del sud, equipaggiati per quelle località, trovandosi in certe condizioni non… (sopravvivevano)». I sorrisi e i modi di Barbero francamente disgustano e stridono con l’amarezza che accompagna il ricordo di quegli avvenimenti da parte di chi sa. La sortita a “SuperQuark”, non casuale nei tempi e, come descritto, anche nei modi, cela un duplice obiettivo antirevisionista: quello di nascondere sotto il tappeto le vergogne del risorgimento facendo passare un lager per una sala giochi, una bisca clandestina, una succursale del malaffare napoletano dislocata tra le alpi, ma anche quello di mistificare l’origine del fenomeno camorristico in quanto sistema ramificato che nasce con l’attribuzione ai camorristi dell’epoca, dediti alla riscossione del pizzo dalle bische di quartiere, del compito di assicurare la sicurezza cittadina nella tumultuosa Napoli spaccata tra borbonici e liberali; un patto stretto da Garibaldi tramite il ministro di Polizia Liborio Romano in cambio del controllo di Napoli da parte dei camorristi durante la fase di transizione del regno. Un vero e proprio salto di qualità che fu l’origine del fenomeno come lo conosciamo oggi. Alessandro Barbero, lo si intuisce dall’accento, è un piemontese purosangue la cui saggistica è ricca di Piemonte e Savoia, membro del comitato di redazione di Storica, e fa quindi il gioco dell’informazione di sistema. In TV hanno accesso quelli che raccontano la storia dei vincitori, e ora gli tocca anche aggiungere illazioni su bugie per smontare il duro lavoro di chi racconta la verità che, ora è chiaro, temono fortemente. Ma se la strategia è quella di trasformare un lager in un luna-park sappiano che non sono credibili, oltre ad essere disgustosi oltremisura. Per vedere la rubrica del prof. Barbero, cliccare qui (da 1:07.34)