Il corso Ferdinandeo di Caserta ritrova la sua storia. Addio a Trieste?

corso_tristeAngelo ForgioneIl consiglio comunale di Caserta ha deliberato l’approvazione della mozione “ripristino odonimo originario Ferdinando II per il corso Trieste”, la principale strada cittadina. Da un’idea del capogruppo consiliare di FLI Luigi Cobianchi, la molto significativa mozione (leggi) riallaccia i nodi della storia di Caserta, legata ai Borbone, e ricorda che “l’arteria, in onore del Monarca che l’aveva fortemente voluta, assunse il nome di corso Ferdinando II”. Così torna a chiamarsi. “Un omaggio ai Borbone da parte della Città di Caserta e del Consiglio Comunale che vota – ha spiegato il sindaco Pio Del Gaudio dandone notizia da facebook – al fine di avviare le procedure per cambiare il nome alla strada simbolo della Città”.
Il corso Ferdinandeo, lungo 1130 metri (e largo 18) a partire dalla piazza Carlo III (la più grande d’Italia, ai piedi della reggia vanvitelliana), fu una delle numerose opere di abbellimento volute dal penultimo sovrano di Napoli in un’epoca di grandi realizzazioni civili e militari, con attenta spesa attivata dal risamento delle casse statali. Fu realizzato in attuazione del progetto urbanistico di Luigi Vanvitelli, disponendo la creazione della “strada che dalla Reggia menava al Campo di Falciano”, e inaugurato il 30 maggio 1851, con spesa di 34.000 ducati, come riportato negli Annali Civili del Regno (1852). Fu subito ritenuto uno dei più bei corsi d’Italia, con botteghe importanti e una bella illuminazione assicurata da ottanta fanali a gambe. Venne poi rinominato corso Umberto I, poi corso Trieste e Trento, e in ultimo il più abbreviato corso Trieste. Prima della sua sistemazione, nel tratto prossimo ai Giardini della Flora, esisteva già sul suo antico percorso (corso Campano) il ‘palazzo delle quattro colonne’, l’abitazione casertana di Luigi Vanvitelli, che oggi versa in condizioni di indecoroso degrado.
Al di là di qualche polemica che l’approvazione pure solleverà, saranno ora da superare le difficoltà amministrative per il cambio di toponimo, certamente non meno grandi di quelle che incontrerebbero i casertani ad abituarsi al nuovo-antico toponimo. Ancora oggi molti napoletani si ostinano a chiamare via Roma l’antica strada di Toledo, tornata al suo vero nome negli anni Ottanta. Ma la delibera del Comune di Caserta è un atto di lealtà e di identità che sfida con orgoglio taluni mugugni irriverenti. Di strade, a Caserta e nell’intero Sud, da restituire alla loro storia sono tante, a iniziare dal corso Vittorio Emanuele a Napoli, prima tangenziale d’Europa, il cui odonimo originale era ‘Maria Teresa’, seconda moglie del determinato Ferdinando II, sempre lui, che fece realizzare quello che le cronache dell’epoca definirono “il più bel loggiato del mondo”.

Napoli senza casco? Non è sempre mezzanotte

casco“Non è sempre mezzanotte” è il titolo dell’iniziativa del conduttore tv Luigi Concilio e del regista Fabio Carrasta, i quali, con un video, intendono smentire il messaggio diffuso da Luca Bertazzoni con un suo servizio televisivo andato in onda il 23 settembre 2014, all’interno del programma televisivo Servizio Pubblico, in onda tutti i giovedì, dalle 21:10 su La7, e condotto da Michele Santoro.
Nell’RVM proposto dall’emittente nazionale, il giornalista Bertazzoni ha intervistato alcune persone del Rione Traiano, le quali, apparentemente senza spontaneità e con una volgarità spinta e non censurata, hanno dichiarato di non indossare il casco per scelta, lasciando intendere (sia loro che il conduttore) che nella città partenopea sia solo un optional, e che non c’è alcun rispetto per le forze dell’ordine. Concilio e Carrasta intendono smentire tutto con un loro servizio in cui vengono proposte immagini di normale viabilità napoletana in zone varie e interviste a personalità assennate (e non ragazzini probabilmente strumentalizzati da un “copione”), che con le loro dichiarazioni confermano che nella nostra città, con le normali eccezioni, il casco è di uso comune, sia per il rispetto del codice della strada, sia per il buonsenso dettato dalla prudenza.
L’iniziativa si avvale della partecipazione del senatore del Movimento Cinque Stelle Sergio Puglia, del consigliere comunale di Napoli Andrea Santoro, dell’assessore alla Polizia Municipale del comune di Casoria Luisa Marro, dell’avvocato Angelo Pisani, fondatore del movimento “Noi Consumatori” e legale di Diego Armando Maradona, e dello scrittore e giornalista Angelo Forgione, esperto della storia e della cultura di Napoli.
L’iniziativa cercherà copertura mediatica nei prossimi giorni, partendo dalla pubblicazione online del videoclip realizzato da Concilio e Carrasta e dalla condivisione nei social network, di cui si fa richiesta a tutti gli spettatori che apprezzeranno.

Una strada per Ferdinando II

OLYMPUS DIGITAL CAMERAAngelo Forgione – Nel 2009, battendo Eduardo De Filippo e Federico II, Ferdinando II di Borbone fu “eletto” superpersonaggio storico di Napoli in un lungo divertissement online del Corriere del Mezzogiorno. Ora la Fondazione “Il Giglio” e il Movimento Culturale Neooborbonico chiedono al Comune di Napoli di intitolargli una strada, dopo la delibera di intitolazione toponomastica di uno slargo ad Enrico Berlinguer (intersezione pedonale tra Via Toledo e via Diaz) e la proposta del sindaco De Magistris di intitolare una strada, una piazza o un giardino di Napoli a John Lennon.
I promotori dell’iniziativa chedono di inviare una email al Sindaco, all’indirizzo sindaco@comune.napoli.it, chiedendo “che sia intitolata una piazza importante o una strada principale della città a Ferdinando II di Borbone, il Re che fece grandi Napoli capitale e il Regno delle  Due Sicilie”. Lo stesso Corriere del Mezzogiorno sta proponendo un sondaggio (clicca qui) per verificare l’eventuale gradimento della proposta.
L’operato politico di Ferdinando II, di cui ho parlato in Made in Naples e che ho focalizzato sotto il profilo economico nel Cenno Storico sulle opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli, è riassunto nell’intervento di Gennaro De Crescenzo, tra i promotori dell’iniziativa, nell’intervento alla trasmissione Baobab di Radio Rai (minuto 8:00).

Strade minori per Murolo, Carosone e Bruni

Angelo Forgione – La Giunta comunale di Napoli, approvando una deliberazione proposta dal Sindaco Luigi De Magistris, ha deciso che l’auditorium di Scampia sarà intitolato a Fabrizio De Andrè e che tre toponimi di tre traverse di via Nino Bixio a Fuorgirotta saranno attribuiti a Roberto Murolo, Renato Carosone e Sergio Bruni.
Premesso che l’auditorium di Scampia, senza nulla togliere a Fabrizio De Andrè, meriterebbe di essere intitolato a Lucio Dalla, artista legato e “rinato” a Napoli, non condivido affatto la pur giusta scelta di attribuire alla memoria di tre grandi interpreti della Canzone di Napoli delle stradine di fatto irrilevanti. Con la memoria storica non si può più essere così superficiali.

“Caserta Palace Dream” è online

56f0bea827a2510c9cc66db274123fe9Angelo Forgione – Caserta Palace Dream, il già anticipato cortometraggio diretto dal regista australiano James McTeigue e prodotto da Pasta Garofalo, è ora online. Un emozionante tributo all’eternità del sogno realizzato e della bellezza della Reggia di Caserta. Buona visione!

“Caserta palace dream”, un corto per il gioiello di Vanvitelli

56f0bea827a2510c9cc66db274123fe9Angelo Forgione – La pasta di grano duro ha nel periodo borbonico la sua esplosione, ed è perciò centrata la scelta da parte di Pasta Garofalo di produrre un cortometraggio alla Reggia di Caserta per risollevare l’immagine e il destino turistico del palazzo vanvitelliano attraverso il progetto «Garofalo firma il cinema». Sarà infatti presentato a Roma il prossimo 25 marzo il cortometraggio dal titolo “Caserta Palace Dream”, un tributo al sogno da cui nacque il più bel palazzo al mondo, cui spettano le attenzioni dovute. Il breve film, girato la scorsa estate, è diretto dal regista australiano James McTeigue e vede come attore protagonista il premio Oscar Richard Dreyfuss nei panni di Luigi Vanvitelli, affiancato da Kasia Smutniak in Maria Amalia di Sassonia e Valerio Mastandrea in Carlo di Borbone. Nel cast anche la partecipazione di Ennio Fantastichini e Malika Ayane.
Il corto viaggia col fantasma della Regina dal 1751 attraverso l’Ottocento, il 1930, il 1945, fino ai giorni nostri, e racconta in modo romanzato del grande sogno di Maria Amalia e della passione del suo architetto, Vanvitelli. Nella sinossi si legge che “il loro amore, che supera la loro stessa esistenza umana, prende corpo e vive nella bellezza incommensurabile del Palazzo Reale, delle sue maestose sale, dei suoi infiniti corridoi e del suo ineguagliabile e lussureggiante parco. Ogni dettaglio, ogni angolo ideato, progettato e poi realizzato dal geniale architetto, parla del loro amore, di un legame capace di trasfondersi in un’opera architettonica senza eguali al mondo, espressione di una bellezza destinata a sopravvivere nei secoli e a perpetrarsi negli occhi di chi questa bellezza avrà la fortuna di poterla vivere. Un sogno, quello della Reggia di Caserta, a cui Maria Amalia non vuole sottrarsi neanche dopo la morte”.
James McTeigue, noto per la regia di “V per Vendetta”, ha spiegato la sua missione: “Ero già stato alla Reggia di Caserta nel 2000, durante le riprese di ‘Star Wars episodio 2 – L’attacco dei cloni’, con George Lucas. Quando mi hanno chiesto di dirigere questo corto mi è stata offerta un’opportunità unica, una rarità per l’industria di Hollywood: la possibilità di scrivere, realizzare e dirigere un film con la più completa libertà artistica da un’azienda visionaria di Gragnano, Pasta Garofalo. Avevo il desiderio di fare un film che mostrasse questo luogo incredibile, progettato da un architetto straordinario, la cui musa ispiratrice era la moglie del re Carlo, Maria. Mi piaceva raccontare la Reggia attraverso l’amore senza tempo che unì i due e i diversi eventi che, in epoche differenti, l’hanno caratterizzata. E di come la presenza di Maria pervada ancora oggi quegli spazi”.
Richard Dreyfuss ha invece motivato il perché ha accettato la parte: “Ho voluto fare questo film non solo perché vent’anni fa scrissi una storia simile, su un amore che trascende vita e morte, ma anche perché luoghi magnifici come la Reggia di Caserta, forse ancor più bella di Versailles, e anche Pompei, devono essere valorizzati”.
Emidio Mansi, direttore commerciale di Pasta Garofalo, ha aggiunto che “il soggetto di James McTeigue è sembrata una splendida occasione per raccontare la storia di uno dei luoghi più suggestivi e sottovalutati della Campania”. E noi aggiungiamo del mondo, visto tutto quel che significa la Reggia di Caserta per l’architettura e i gusti occidentali.

La Scala di Milano figlia dell’Illuminismo napoletano

Piermarini mise in pratica a Milano gli studi fatti a Napoli.
Stendhal fu colpito dalla Scala ma poi restò abbagliato dal San Carlo.

Il teatro San Carlo nel ‘700

Angelo Forgione per napoli.com
Il Real Teatro di San Carlo è il più antico e, per opinione diffusa, il più bel teatro lirico del mondo. È il luogo in cui è passata la storia e dove la musica, nel Settecento, è cambiata. Eppure la reggia della musica di Napoli è meno nota e considerata del Teatro alla Scala di Milano. Realmente bellissimo, il San Carlo lo è diventato nel 1817, quando, dopo un incendio devastante, fu

ricostruito su progetto di Antonio Niccolini, il quale, in soli sei mesi di lavoro, restituì a Napoli e al mondo il gran teatro, mutato nella sala (oltre che nella facciata da lui realizzata nel 1810), ancor più bella di quella rococò firmata nel 1737 da Giovanni Antonio Medrano. Eppure, il mondo che pensa all’Italia ha come riferimento il Teatro Alla Scala di Milano, che fu costruito nel 1778, quarantuno anni dopo il napoletano, dall’architetto Giuseppe Piermarini, uno dei più celebri, se non il più celebre, degli allievi di Luigi Vanvitelli, architetto dei Borbone di Napoli. Dopo una prima formazione nella sua Foligno, Piermarini si recò a Roma per studiare col suo maestro impegnato per la corte papalina. Il Vanvitelli

lo volle con sé una volta chiamato a Napoli da Carlo di Borbone, e lì si dedicò allo studio degli scavi archeologici vesuviani, che, a partire dalla metà del Settecento, iniziarono a sconvolgere prima il gusto vanvitelliano e poi quello di tutti gli architetti seguenti. A Napoli finì il Barocco e nacque il Neoclassicismo, ed è proprio lì che guardavano i nuovi architetti europei.
Tra il 1765 e il 1769, Piermarini collaborò con

il Vanvitelli alla Reggia di Caserta. In quegli anni si dedicarono alla realizzazione del raffinatissimo Teatro di Corte, voluto in corso d’opera da Re Carlo. Nel primo progetto vanvitelliano, infatti, il Teatrino non era previsto, ma fu aggiunto per volontà sovrana, visto l’enorme eco che il San Carlo aveva velocemente avuto in tutt’Europa. Carlo pensò bene di far realizzare qualcosa di simile anche nella nuova reggia, in vista delle nozze del figlio

Ferdinando IV con Maria Carolina d’Asburgo. Seppur piccolo, stupì per la sua bellezza superiore a quella del primo San Carlo, da cui trasse la tipologia di sala a ferro di cavallo, ossia “all’italiana”, che garantiva un’elevata qualità acustica. Un gioiellino con cinque ordini di palchi interrotti da un Palco Reale che sovrastava l’ingresso centrale, sormontato da una grande corona

dalla quale discendeva un ricco drappeggio di cartapesta di colore azzurro dei Borbone con gigli dorati. Sala abbellita da fasci di pilastri e da dodici colonne in stile corinzio di marmo alabastrino di Gesualdo; il palcoscenico, largo quanto la sala, sarebbe stato aperto sui giardini reali nel 1770 da Francesco Collecini con un portale smontabile, dando vita a una prospettiva di grande effetto scenografico.
Terminata la costruzione del teatro palatino, Vanvitelli fu richiesto a Milano per il restauro del Regio Palazzo Arciducale dal conte Carlo Giuseppe di Firmian, già ambasciatore d’Austria a Napoli dal 1752 fino alla nomina di governatore generale della Lombardia austriaca. Vanvitelli, oltre il figlio Carlo, si portò dietro anche il Piermarini. Ma i contrasti con la corte di Vienna convinsero il maestro a tornarsene subito a Napoli per dedicarsi completamente alla Reggia di Caserta, trasferendo l’incarico all’allievo, che ne mise a frutto l’insegnamento realizzando diversi edifici neoclassici e ottenendo subito grande fama nella città lombarda. Il Neoclassicismo architettonico di matrice napoletana iniziò così a

dilagare a Milano, una città in cui a Giuseppe Piermarini si accodarono il suo allievo Luigi Canonica, Giacomo Quarenghi e il napoletano Carlo Rossi. Due architetti questi ultimi che, successivamente, resero neoclassica anche la russa San Pietroburgo.

Il Piermarini avviò nel 1772 la realizzazione del Palazzo Belgioiso (foto a destra) per il principe Alberico XII di Belgioioso d’Este, una residenza nobiliare ispirata alla Reggia di Caserta. Prima di nominarlo Imperial Regio Architetto, fu proprio l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, madre della regina di Napoli Maria Carolina, a incaricare il Piermarini di costruire il “Nuovo Regio Ducal Teatro”, date le sue competenze acquisite al fianco dell’architetto reale di Napoli. Piermarini predispose la demolizione della chiesa gotica di Santa Maria alla Scala, intitolata alla veronese

Beatrice Regina della Scala e risalente al XIV secolo, e avviò l’esecuzione del progetto, d’impronta napoletana, rifacendosi cioè al Real Teatro di San Carlo e al Teatro di corte della Reggia di Caserta, al quale aveva lavorato anni prima.
Piermarini fece un gran bel lavoro, che Vanvitelli avrebbe certamente apprezzato se non fosse morto nel 1773. Il teatro milanese

probabilmente superò per bellezza il primo San Carlo rococò. l’Opera, a Milano, non era a quel tempo sacra come a Napoli, tant’è che, durante gli spettacoli, il teatro veniva usato dai proprietari dei palchi per ospitare invitati, mangiare e, nel ridotto, giocare d’azzardo. Stendhal lo considerò il più bello di tutti, tanto che nel suo Roma, Napoli e Firenze – Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria del 1816 scrisse:

[…] È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri. […] Per quanto riguarda l’architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, di più magnifico, di più solenne e nuovo. Con ciò, mi trovo condannato a ripugnanza eterna nei confronti dei nostri teatri: è l’inconveniente serio di un viaggio in Italia […]“.

Testimonianza storica, utile alla data del 26 settembre 1816, ma aggiornata dallo stesso scrittore il 12 gennaio 1817, quattro mesi più tardi, all’inaugurazione della nuova sala del Real Teatro di San Carlo, quella della ricostruzione post-incendio firmata da Antonio Niccolini con tanto di azzurro borbonico. Quel che di più grande, di più magnifico e di più solenne non era risuscito a immaginare a Milano, si fece realtà. Il piccolo Teatro di Corte di Caserta era diventato immenso e gli occhi di Stendhal, che avevano visto la Scala e altri teatri, rimasero sbarrati alla vista del ricostruito tempio della musica napoletano, capace di suscitare stupore ed emozione fino allo stordimento:

“La prima impressione è d’esser piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. […] Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è come un colpo di Stato. Essa garantisce al Re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare. […] Io stesso, quando penso alla meschinità e alla pudica povertà delle repubbliche che ho visitato, mi ritrovo completamente monarchico.”

Ma allora, perché il più antico e il più bel teatro del mondo, nonché il più glorioso e il più calcato dai più grandi compositori dell’epoca fino alla seconda metà dell’Ottocento, è oggi eclissato da quello milanese? La Scala era il luogo di cultura della Milano asburgica, quello in cui i generali austriaci prendevano a ceffoni i borghesi che non si levavano la tuba durante l’’esecuzione dell’’inno imperiale. È il teatro di una Milano che nel 1859 passò dal Regno Lombardo-Veneto di controllo austriaco al Regno di Sardegna sabaudo, che si sarebbe allargato a tutta l’Italia. È il teatro in cui si gridava «Viva Verdi», inteso come acronimo di “Vittorio Emanuele Re d’’Italia”, e si lanciavano volantini antiasburgici dalla piccionaia. È il teatro che più di ogni altro ha legato la sua storia all’opera di Giuseppe Verdi, che, una volta divenuta risorgimentale, trovò difficoltà ad andare in scena senza censura nella Napoli capitale indipendente. Il trionfo del Nabucco (1842) dopo gli insuccessi verdiani precedenti, per il forte sentimento patriottico che suscitò nella Milano attraversata dai fermenti del nascente Risorgimento italiano, rafforzò l’immagine simbolica della Scala. Ben 57 repliche oltre le 8 rappresentazioni previste segnarono un record mai registrato né prima né dopo in una sola stagione. In quell’opera furono colti non solo i sentimenti patriottici degli ebrei esiliati a Babilonia ma anche quelli dei lombardi assoggettati all’Austria. Quel «Va’ pensiero» inaugurò il percorso che avrebbe fatto di Verdi il maestro nazionale del Risorgimento italiano, e della Scala il teatro dell’Unità nazionale. Anche in maniera strumentalmente politica, visto che il compositore di Busseto, nel frontespizio del libretto, aveva dedicato il Nabucco all’arciduchessa d’Austria Maria Adelaide (“Dramma in quattro parti di Temistocle Solera. Posto in musica e umilmente dedicato a S.A.R.I. la Serenissima Arciduchessa Adelaide d’Austria il 31 marzo 1842 da Giuseppe Verdi”) e che l’impresario Bartolomeo Merelli, suo amico e protettore, era al servizio degli Asburgo, considerato un “austricante” non gradito in città dopo le Cinque Giornate di Milano del 1848. Il giovane Verdi che lasciò Busseto per andare a Milano non aveva alcuna consapevolezza dei moti risorgimentali. Anche la sua esperienza nel primo Parlamento italiano del 1861 fu più frutto del rispetto per la volontà di Cavour che un’intima convinzione personale di un dovere istituzionale verso la nuova Italia, che infatti fu interrotto bruscamente con la morte del conte piemontese.
Il glorioso e per nulla risorgimentale San Carlo, in ottica politica, divenne specchio di Napoli conquistata dai Savoia, e dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie subì un graduale declino rispetto ai grandi teatri europei, pagando il favoritismo riservato alla storia cui si era legata la Scala di Milano. Le fondazioni lirico-sinfoniche italiane versano oggi in gravi difficoltà economico-patrimoniali, ma, in ogni caso, a soffrir meno di tutti i teatri è comunque la Scala, che, oltre alle donazioni private, beneficia annualmente di una quantità di fondi statali per lo spettacolo di molto superiore a quella destinata al Massimo napoletano. Senza contare il caso limite del megastipendio del suo sovrintendente e direttore artistico, il francese Stéphan Lissner, con il suo compenso da oltre 1 milione di euro lordi all’anno più benefit e appartamento in centro.

approfondimenti sul Neoclassicismo napoletano nel libro Made in Naples (Magenes, 2013)

Funerali in Villa: vicesindaco contestato

mattinoCirca quattrocento persone si sono presentate ai cancelli della Villa Comunale per celebrare i funerali del giardino reale di Chiaja, devastata dai cantieri della linea 6 metropolitana. Non tantissime, in una città che poco si scalda per difendere sé stessa, ma lo scopo, raggiunto, era comunque quello di attirare l’attenzione dei media. Hanno sfilato anche Mimmo Jodice, Mirella Barracco e diversi imprenditori e professori universitari. E poi il geologo Riccardo Caniparoli, che, con Ortolani e De Medici, ha puntato il dito contro il cantiere del metrò (ereditato dalle scelte delle precedenti amministrazioni comunali). La presenza del vicesindaco Tommaso Sodano ha fatto scattare la contestazione, a tratti fin troppo aggressiva, anche se il confronto con l’associazionismo si terrà di fatto a Palazzo San Giacomo giovedì pomeriggio.
Momenti di vera rabbia si sono vissuti quando il corteo di cittadini, associazioni e uomini della cultura locale è giunto alla Cassa Armonica e un manifestante ha scavalcato la (inutile) recinzione del cantiere della metropolitana che “conserva” i pezzi smontati del monumento di Errico Alvino, portando con facilità una giuntura di ghisa in visione all’imbarazzato vicesindaco. «Quando denunciai lo scempio, lo staff del sindaco mi disse che i pezzi erano stati portati al sicuro in un cantiere al coperto per il restauro. La cittadinanza non può essere presa in giro così!», ha esclamato Angelo Forgione. I pezzi sono ancora lì, a distanza di più di un anno.

fonte: Il Mattino

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La strada delle acque che partiva da Marcianise

ponti_maddaloniAngelo Forgione per napoli.com L’acquedotto Carolino è parte del patrimonio Unesco della provincia di Caserta, un’opera di somma ingegneria idraulica, completata nel 1770, con cui l’architetto Luigi Vanvitelli dimostrò grandissime competenze nel ramo. Oltre a porsi come nuova meta del Grand Tour, la sua realizzazione servì ad approvvigionare d’acqua il parco della reggia di Caserta, i torcitoi delle seterie di San Leucio e la Tenuta di Carditello. Poi, con una modifica voluta da Ferdinando IV di Borbone, anche la città di Napoli fu servita dalle acque sorgive del Monte Fizzo che andarono ad implementare il già esistente acquedotto del Carmignano, in un’epoca in cui nel resto d’Italia la fornitura idrica era scarsa o nulla. La capitale potè godere di una rete idrica sufficiente al fabbisogno urbano, contando anche sull’antico acquedotto della Bolla. Con il vanvitelliano nacque anche la strada “dei Ponti della Valle”, ancora esistente (Strada Statale 265), anche se modificata nel percorso. Il tracciato storico partiva ben oltre il territorio di Maddaloni, in prossimità del centro abitato di Marcianise (località Torrino), attraversando il centro abitato di San Marco Evangelista. E proprio a Marcianise, al centro di una rotatoria di confluenza delle vie Evangelista, Gemma, Misericordia, Gandhi e della Pace, è presente una stele gigliata d’epoca borbonica, recuperata e restituita alla cittadinanza nel 2000, con cui era marcato l’originale principio dell’arteria stradale.
Anche Marcianise fu allacciata all’acquedotto carolino nel 1791 da Ferdinando e Carolina che ordinarono, a qualunque costo, di rimediare alla penuria di acqua salubre dei sofferenti cittadini marcianisani. La fornitura derivante da Caserta fu allacciata al villaggio di Recale e, da qui, attraverso cunicoli, a Marcianise. In ringraziamento, fu eretta nel 1794 la monumentale fontana coi delfini di piazza Umberto I, allora piazza del Mercato, di cui fu autore Gaetano Barba, allievo proprio del Vanvitelli.

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Cannavaro, Grava, Pisacane… “noi siamo Napoletani”

e Gigi Vitale pone interrogativi ai tifosi ternani su twitter

Lo scorso Novembre, Totò Di Natale si era platealmente scontrato coi suoi tifosi durante la partita Udinese-Catania reclamando maggior rispetto, anche se poi fu costretto a ricomporre la situazione. Ora è il turno dell’ex calciatore del Napoli, lo stabiese Luigi Vitale, che con un “tweet” si chiede come mai i tifosi della Ternana cantano “noi non siamo napoletani” (tecnicamente non razzista) quando in squadra militano sei calciatori napoletani, compreso quel Fabio Pisacane esempio di lealtà sportiva di cui andiamo fieri noi e la stessa Ternana Calcio. A proposito, Gianello ha avvicinato o no Cannavaro e Grava che lo hanno denunciato per falsa deposizione? La sentenza dice di si, e le sentenze vanno rispettate. E allora Cannavaro e Grava si uniscono a Fabio Pisacane in quella schiera di calciatori napoletani incorruttibili perché non corrotti da tesserati di provenienza settentrionale. I cori da stadio lasciano il tempo che trovano, ma i fatti del calcio dimostrano che non essere napoletani non è che sia proprio un vanto.