Plebiscito occupato… dal degrado. Tutti in piazza!

scritte plebiscitoAngelo Forgione – “Il Mattino” di oggi, 22 Gennaio ’13, torna sullo sfascio del colonnato di Piazza del Plebiscito. Ennesimo grido di dolore, sollecitato per la verità dall’amico Francesco Emilio Borrelli, commissario regionale dei Verdi Ecologisti, col quale ci ritroveremo sul posto Sabato 26 alle ore 11 per affrontare la vicenda della libreria Treves in funzione di tutto il recupero dello slargo. In quell’occasione si terrà un’assemblea-dibattito con vari protagonisti del mondo culturale e della società civile in difesa della storica libreria, con l’obiettivo di richiamare con forza l’attenzione delle istituzioni sulle gravi difficoltà in cui versano la maggior parte delle realtà culturali napoletane. È auspicabile che partecipino tutti i cittadini sensibili alle problematiche specifiche della piazza e dell’intera città in generale. Perchè il lamento non basta più!
Radio Marte, nello spazio delle “news regionali” di Peppe Varriale, inserito nel pragramma “La Radiazza” di Gianni Simioli, ha voluto ospitare il mio parere sulla triste vicenda. E nel frattempo, è previsto per domani un mio incontro con Maarten van Aalderen, corrispondente da Roma del principale quotidiano olandese “De Telegraaf”, che sarà a Napoli per raccogliere l’allarme lanciato da alcuni comitati civici, V.A.N.T.O. e Portosalvo in testa, e realizzare un reportage sulle gravi condizioni del centro storico.

Balvano, la strage dei napoletani occultata

Angelo Forgione – La “Galleria delle armi”. Un nome che a pochi dice qualcosa. Eppure c’è tutta una storia italiana in quel tunnel sulla vecchia linea ferroviaria statale Sicignano – Potenza. Lì, tra le rocce di Balvano, nell’antica Lucania ancora non violentata, nascondevano le armi i “briganti” meridionali imboscati sulle montagne del Sud Italia per combattere contro i poteri del neonato stato Italiano-piemontese. Lì, il 3 marzo 1944, sei mesi dopo le “Quattro Giornate”, circa 650 tra uomini, donne e bambini in fuga dalla fame di una Napoli piegata dalle vicende dell’occupazione nazista, già violentata dallo Stato italiano, persero la vita nel silenzio.
Cadaveri allineati lungo le rotaie appena fuori quella galleria al confine tra la Campania e la Basilicata. E poi gettati in una fossa comune. Il più grande incidente della storia delle ferrovie d’Europa, ma anche il meno noto, coperto dal silenzio per ragion di stato. Napoli si era liberata con le sue mani dai tedeschi e badava a sé stessa arrangiandosi, sotto il controllo degli Alleati, nell’assenza di Roma e del Nord ancora sotto scacco. In città regnava inevitabilmente la fame e la risorsa era il mercato nero. Qualcosa si trovava nelle campagne nell’entroterra, dove era più facile il baratto. Ogni giorno, fiumi di persone pellegrinavano su carri e treni da e verso il capoluogo per sfamarsi comprando merce in cambio di denaro ma anche oggetti di valore.
Pomeriggio del 2 marzo 1944: il treno merci 8017 con vagoni scoperti gestito dagli Alleati partì in direzione della Basilicata dalla stazione di Napoli. Durante il viaggio si ingrossò a dismisura, fermata dopo fermata. Pochi minuti dopo la mezzanotte il treno della morte entrò nella stazione di Balvano ma, come spesso accadeva in quel periodo, la linea elettrica a Salerno fu sospesa. Dopo cinquanta minuti di stazionamento, il treno ripartì sbuffando, spinto a vapore, dal carbone che alimentava le caldaie. A bordo, circa seicentocinquanta “passeggeri”. Entrò nella “Galleria delle armi”  e perse velocità fino ad arrestarsi completamente nel cuore dei due chilometri del traforo. Il fumo del carbone continuò ad uscire, creando una camera a gas che strinse tutti i poveri intrappolati che videro la luce fuori dal tunnel solo da morti. Tirati fuori dai primi soccorsi ben quattro ore dopo l’arresto del convoglio.
Ne seguì un’inchiesta sommaria, veloce e senza copertura mediatica, tra l’insabbiatura di Americani e Italiani. Sentenza: nessun responsabile!
Una strage senza colpevoli e senza memoria. Napoletani avvolti dall’oblio, bollati come “viaggiatori di frodo”, dei miseri truffatori contrabbandieri. Non lo erano, e non erano neanche clandestini perché avevano pagato un regolare biglietto… per un treno merci, quindi un biglietto illegalmente emesso. Erano invece quegli uomini che ricostruivano l’Italia del dopoguerra.
A distanza di circa 70 anni, un romanzo-verità, “la Galleria delle armi” scritto dallo psicologo psicoterapeuta napoletano Salvio Esposito (Marotta&Cafiero), fa luce su quell’evento, basandosi su storie vere con l’aiuto di atti che fino a poco tempo fa erano segretissimi.

Napoli e il Sud non si facciano offendere da Lotito! Tra lui e Cellino…

Claudio Lotito commenta la vicenda dello stadio di Quartu Sant’Elena e offende, come troppi, la storia di Napoli con quel solito aggettivo di stampo post-risorgimentale che i vocabolari continuano a riportare. Per il presidente della Lazio i nuovi stadi in Italia non si faranno per colpa de “l’atteggiamento borbonico della burocrazia italiana che lascia a persone singole di decidere di una norma al Senato”.
Vicenda grottesca che coinvolge due tra i presidenti più discutibili della Serie A. Lotito offende Napoli e il Sud e contesta lo Stato da posizione di condannato nell’ambito del processo di “calciopoli” per illeciti commessi nel suo primo anno di gestione, nonchè per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza sui titoli in borsa del suo club, ma anche inibito per violazione del regolamento FIGC agenti calciatori. Giudizi espressi circa l’azione a tutti gli effetti sovversiva del presidente del Cagliari Cellino che scavalca la decisione di un Prefetto, organo monocratico dello Stato, e incita migliaia di persone a infrangere la legge per poi difendersi affermando che in ventun anni con il Cagliari non è mai stato deferito per vicende legate ai passaporti, al doping, agli arbitri, a evasioni fiscali o falsi in bilancio. Peccato che i falsi in bilancio li abbia commessi nella sua attività imprenditoriale, cosa per la quale è stato condannato a 1 anno e 3 mesi di reclusione, per poi patteggiare la condanna nell’ambito di una truffa all’Unione Europea (dichiarate quantità di grano inferiori a quelle esistenti nei suoi silos). Cellino, tra l’altro, per 7 anni non ha pagato l’affitto del “Sant’Elia” e nemmeno ha speso un soldo di manutenzione che ricadeva sul Comune di Cagliari mentre lui intascava gli incassi. Poi è stato eletto il sindaco Zedda che ha messo fine a questo vergognoso vassallaggio in tempo di crisi economica, Cellino ha sloggiato smontando i tubi innocenti delle tribune costruite all’interno dello stadio “rimodernato” nel 1990 e ha sbattuto la porta rimontandole a Quartu Sant’Elena. Tanto per dirla breve, il Tribunale di Milano ha disposto il pignoramento di 1,7 milioni di euro del Cagliari derivanti dai contributi Sky/Lega Calcio per risarcire almeno in parte il Comune di Cagliari, riconosciuto parte lesa.
Se le alluvioni colpiscono il Nord per un comico di Genova è colpa del Sud. Se la Giustizia non funziona per un giudice di Treviso è colpa del Sud. Se gli stadi in Italia non si fanno per un imprenditore romano è colpa del Sud. È sempre colpa del Sud se si tira in ballo quel termine che ha utilizzato anche Claudio Lotito, il quale dovrebbe imparare (non è il primo e non sarà l’ultimo cui lo insegniamo) che l’inefficienza e la macchinosità della pubblica amministrazione attribuita ai Borbone di Napoli non sono altro che un falso storico. Anzi, in realtà l’aggettivo attribuisce ai napoletani un difetto dell’amministrazione piemontese e il Cavalier Vittorio Sacchi, amico di Cavour, direttore delle contribuzioni e del catasto del Regno di Sardegna, fu inviato a Napoli per capire come erano ordinati i tributi e le finanze delle Due Sicilie. Da Napoli, Sacchi spedì una lunga lettera a Torino annotando che era partito per la grande metropoli con forti pregiudizi, smentiti da ciò che aveva visto con gli occhi e toccato con mano. Una lunga serie di apprezzamenti coi quali consigliò di applicare la burocrazia napoletana al nuovo Regno d’Italia in luogo di quella piemontese. “Nei diversi rami dell’amministrazione delle finanze napoletane si trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato governo”. Questo fu il sunto di quanto riportò minuziosamente il Sacchi. Non lo presero in considerazione, e pare che non gli consentirono di proseguire più i suoi incarichi. Finì in disgrazia, come Napoli cui bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Sud.
Francesco Saverio Nitti demolì la leggenda del “burocratismo” meridionale con un’analisi puntuale, dimostrando come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.). Il solo Piemonte ebbe, fino al 1898, 41 ministri contro 47 dell’intero Sud e la situazione era la stessa per tutti gli alti gradi dello Stato.
Il “Sole 24 Ore”, nel Marzo del 2011, ha attribuito al Piemonte il parto del debito pubblico. La causa? La burocrazia esasperata finalizzata alla sparizione di soldi pubblici, da cui derivò una sfrenata “creatività” tributaria e la necessità di unirsi, avete letto bene, con chi aveva i conti in ordine. Per giustificarla bisognava inventarsi una propaganda per legittimare un’aggressione contro le Due Sicilie creando attorno ai Napolitani delle “leggende nere” che ancora infestano tanti manuali scolastici e il lessico popolare figlio dei vocabolari. L’efficienza borbonica è riscontrabile in molti campi, ma di sentire inesattezze non si finisce mai. In Italia, e soltanto in Italia, “borbonico” dice male; non in Spagna, non in Francia, dove non c’è stato un Risorgimento.

contatto SS Lazio: direzione.comunicazione@sslazio.it

La tessera del tifoso ha fini commerciali

La tessera del tifoso ha fini commerciali

il Consiglio di Stato: «da rivedere»

Angelo Forgione – Era chiaro a tutti, ma ci sono voluti più di due anni per ufficializzare il conflitto di interesse piantato nella tessera del tifoso. La VI sezione del Consiglio di Stato, presidente Giancarlo Coraggio (lo stesso della corte di giustizia federale della Figc), ha così sentenziato:
«L’abbinamento inscindibile tra il rilascio della tessera e la sottoscrizione di un contratto con un partner bancario per il rilascio di una carta di credito prepagata, potrebbe condizionare indebitamente la libertà del tifoso-utente».
Si tratta quindi a tutti gli effetti di pratica commerciale scorretta a beneficio dell’azienda di servizi.
Va ricordato a tal proposito che l’azienda in questione, ovvero Poste Italiane S.p.A., è legata da un accordo commerciale con Banca Mediolanum di cui è azionista il Gruppo Finivest S.p.A.
E va altresì ricordato che la tessera del tifoso è uno strumento scaturito da una direttiva dell’ex Ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, durante il quarto Governo Berlusconi che instaura coercitivamente un rapporto di tipo commerciale tra singoli individui con le società sportive che si intendono seguire all’interno del territorio nazionale.
La tessera, è bene chiarirlo, resta condizione essenziale per le trasferte dei tifosi ma la sua configurazione andrà ora necessariamente rivista.

Il Consiglio Regionale chiede la vera storia dell’unità d’Italia

Il Consiglio Regionale chiede la vera storia dell’unità
Le verità dei meridionalisti sempre più ascoltate

di Angelo Forgione per napoli.com

Non è di quelle notizie che i telegiornali danno in pompa magna, ma un significativo passo avanti verso la verità storica dei fatti che portarono all’Unità di Italia è stato fatto dal Consiglio Regionale della Campania che ha approvato all’unanimità l’ordine del giorno per far rimuovere il  “Segreto di Stato” su 150.000 documenti relativi al Mezzogiorno d’Italia pre e post unitario, ovvero nel periodo fra il 1860 e il 1870. La Giunta regionale si impegna così a fare da soggetto garante presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Parlamento affinchè si chiarisca e sia raccontato tutto ciò che realmente avvenne a danno del Sud in quel periodo su cui esistono contrastanti ricostruzioni storiche. L’annuncio è stato dato dalla consigliera regionale campana dell’Italia dei Valori Anita Sala, promotrice dell’ordine del giorno.

”A 150 anni dall’Unita’ d’Italia – dice Sala – il Sud ritiene che non possa più reggere l’impossibilita’ di conoscere quei fatti avvenuti fra gli anni 1860 e 1870. Ancora oggi in diverse realtà del Mezzogiorno, e anche della Regione Campania, è aperta una discussione culturale tesa ad una rilettura più puntuale del processo di unificazione nazionale che in particolare ha interessato il meridione. Su tale problematica appare però che non esista ancora la voglia di fare opportuna chiarezza. Pertanto, nonostante interrogazioni parlamentari e solleciti, 150.000 pagine della nostra storia rimangono ancora prive di visibilità. Al Sud si nega dunque l’occasione – conclude Sala – di poter accedere a quelle pagine che potrebbero raccontare la vera storia”.

UN DISCORSO NAPOLITANO – Analisi del discorso del Presidente della Repubblica

UN DISCORSO NAPOLITANO,
l’analisi del discorso del Presidente della Repubblica

Il tradizionale discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ad aprire l’anno delle celebrazioni dei 150 anni d’unità d’Italia, non può non incentrarsi sui valori dello stato unitario. Ma il discorso è fortemente contraddittorio poichè da una parte pone l’accento sulla reale spaccatura sociale ed economica tra nord e sud di un paese comunque in grosse difficoltà, e dall’altra spinge per delle celebrazioni definite “non retoriche” ma che invece continuano a non restituire la verità sulle vicende che portarono all’unificazione ed appaiono prive di significato, alla luce di una compattezza reale che non solo non c’è mai stata ma che è tutt’altro che vicina.


Emergenza patrimonio. Philippe Daverio: “Lo Stato ha fallito, più bravi i Borbone”

Mentre le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia sono sempre più silenziose, decisamente fragorose e sempre più frequenti sono le bombe lanciate da autorevoli personaggi della cultura che stanno pian piano abbattendo il muro della retorica risorgimentale, riattribuendo i giusti meriti al sud pre-unitario e alla dinastia borbonica che lo condusse ai vertici del prestigio internazionale.

Sotto il profilo economico-industriale bastano i saggi di Paolo Malanima, direttore dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del CNR e Vittorio Daniele dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro, e quello di Stefano Fenoaltea e Carlo Ciccarelli della Banca d’Italia per dimostrare che il sud non era affatto sottosviluppato rispetto al nord.
Ormai i grandi personaggi della cultura sono sempre più soliti nell’amplificare ciò che noi meridionalisti professiamo e facciamo oggetto della nostra battaglia culturale mai fumosa e poggiata, appunto, su cultura e studi in quanto consapevoli di essere “semplici” divulgatori di verità sotterrate.

Dopo l’amplificazione della legge borbonica sull’introduzione pionieristica della raccolta differenziata portata alla ribalta nazionale da Roberto Saviano, sulle pagine de “IL MATTINO” di Napoli del 1 Dicembre 2010 è il turno di Philippe Daverio, apprezzato e stimato critico d’arte e docente universitario, che decreta il fallimento della tutela del patrimonio artistico in Italia e la superiorità e l’efficienza delle Due Sicilie rispetto alla moderna nazione italica: «La tutela del patrimonio in Italia è un fallimento. Lo Stato ha fallito e l’Italia si è dimostrata meno capace di quanto fecero i Borbone nelle Due Sicilie che era un grande Stato».

Philippe Daverio sta per lanciare “Save Italy”, un progetto per portare all’attenzione dell’intera comunità internazionale il caso Italia e chiedere l’intervento di tutti per far qualcosa di utile alla salvaguardia del nostro impareggiabile patrimonio.
Del resto era stato proprio lui ad avallare la mia video-denuncia “Il ponte sullo Stretto che ammazza la cultura” ammonendo così: «In Italia viene ritenuto prioritario il ponte sullo Stretto di Messina. Vuol dire anche che per realizzare il ponte non si salva la Reggia di Caserta».

E significativo è, in chiave risorgimentale, un passaggio di una sua dichiarazione su “LA STAMPA” di Torino del 12 Dicembre 2009 in cui, pur valorizzando il patrimonio culturale torinese, Daverio trovò comunque il modo per dire ai piemontesi tra le righe che sono invasori: «il Piemonte non è Italia. Torino è la capitale di uno stato che ha conquistato l’Italia senza farne parte». Così confermando che il Risorgimento non fu un moto di unione ma una guerra senza dichiarazione, un’annessione del sud, unica parte del paese davvero indipendente e italiana, da parte di un nord sabaudo filo-francese (e inglese), quindi straniero.