40 anni dopo, il colera del 1973 a “Speciale Tg1”. Quali intenti?

Domenica 25 agosto andrà in onda una puntata di “Speciale Tg1” che rivisiterà i drammatici eventi del colera a Napoli del 1973, a quarant’anni dall’epidemia che colpì non solo la città partenopea ma anche altre città del bacino del Mediterraneo.
«Dopo quarant’anni Napoli si ritrova nelle medesime condizioni di allora, se non peggio». Il giudizio tranchant sarà espresso del regista napoletano Francesco Rosi nel documentario curato dal vicedirettore della testata, il napoletano Gennaro Sangiuliano. E in effetti le condizioni igieniche di Napoli sono ancora oggi al di sotto degli standard europei e indegne di una città di grandissima storia e cultura. Nessuno lo neghi e lo nasconda, ma c’è da chiedersi quali siano gli intenti nel “celebrare” quegli eventi a otto lustri di distanza, riproponendo presumibilmente le inchieste realizzate all’epoca dei fatti che non furono certamente obiettive ed equilibrate. Quell’epidemia, infatti, non fu causata dalle pur precarie condizioni igieniche della Napoli degli anni Settanta, non dalle cozze coltivate nel mare napoletano cui furono attribuite le colpe, ma da una partita di mitili provenienti dalla Tunisia, da cui transitò la pandemia proveniente dalla Turchia via Senegal, cozze che furono sdoganate anche a Palermo, Bari, Cagliari e Barcellona, colpite anch’esse dal vibrione del colera. A questo proposito, si legge dalle pagine online dell’Espresso che lo speciale del Tg1 racconterà “una pagina cupa della storia di Napoli, troppo presto dimenticata, decine di morti e migliaia di contagiati, con casi che si estesero a Bari e ad altre località del Mezzogiorno”. Scritto così, sembra che le altre città furono contagiate dal focolaio di Napoli. E del resto, in quei giorni, fu proprio L’Espresso a titolare in copertina “Bandiera gialla”, schiaffeggiando la città insieme a tutta la stampa, nazionale e internazionale, che perse il senso della misura, speculando sulla città partenopea con racconti di fantasia sui napoletani e diffondendo notizie non verificate. Una biologa inglese, ricoverata al Cotugno per altri motivi, scrisse un reportage per il Times ricco di ricami sulle condizioni igieniche dell’ospedale, in cui parlò di un’esperienza da incubo. Poi ritrattò.
Il presidente dell’Ente Porto e l’Ufficiale Sanitario vennero indiziati di epidemia colposa dalla magistratura, per poi essere scagionati proprio dalla cozza tunisina. L’epidemia, a Napoli, fu debellata velocemente, e l’emergenza fu ufficialmente dichiarata chiusa in meno di due mesi dall’OMS, a tempo di record grazie alla più imponente profilassi della storia europea e ad un’ammirevole compostezza della popolazione nelle operazioni di vaccino, mentre le altre città, Barcellona compresa, ci misero due anni per liberarsene completamente. Tutto questo è raccontato con grande precisione ed equilibrio da uno speciale de “La storia siamo noi” del 2011 (guarda il video), a cura di “Village Doc&Films” di Sergio Lambiase e Aldo Zappalà, in cui anche Paolo Mieli dichiara che “la criminalizzazione di Napoli fu davvero sproporzionata”.
I media dell’epoca alterarono la realtà, consegnandola al pregiudizio, rompendo le ossa all’immagine della città. Solo quando dopo trenta giorni a Napoli tutto finì fu reso noto che il vibrione era nelle cozze tunisine. Nessuno però descrisse più l’epidemia che perdurava altrove, mentre Napoli si ritrovò orfana di turisti, ormai convinti che fosse una Calcutta italiana. Negli stadi d’Italia, luogo di crescente calciocentrismo nazionale, il Napoli di Vinicio fu da allora accolto al grido di “colera”, e fu proprio in quel momento storico che nacque quel coro/slogan razzista ancora ben radicato e mai contrastato dagli ipocriti organi preposti al contrasto dei fenomeni razziali negli impianti sportivi. Baresi, palermitani, cagliaritani e catalani non sono apostrofati come “colerosi”, e neanche i tifosi delle squadre di Milano, Genova, Torino, Verona, Treviso, Venezia, Trieste, Parma, Modena, Como, Bergamo, Brescia e altre città del Nord non bagnato dal mare ma colpite nell’Ottocento da diverse pandemie di colera per le scarse condizioni igieniche e non per delle cozze importate.
Bisogna augurarsi che “Speciale Tg1” sia equilibrato e corretto quanto “La storia siamo noi”, evitando di calcare la mano sulla cassa di risonanza che da sempre Napoli offre ai romanzieri dell’informazione ma, al contrario, cogliendo l’occasione per ricostruire la realtà dei fatti del settembre 1973 e riattribuire a Napoli quanto in quel periodo fu tolto sotto il profilo dell’immagine. In caso contrario, il documentario produrrebbe il solo risultato di alimentare stereotipi e pregiudizi, danneggiando nuovamente l’immagine di una città che faticosamente sta di nuovo intercettando il turismo internazionale, dando tra l’altro ulteriore fiato al volgare razzismo anti-Napoli negli stadi. Che poi la Napoli di oggi abbia più o meno gli stessi gravi e irrisolti problemi, come sostiene Rosi, non c’è alcun dubbio; ma questa è un’altra storia, che anche all’epoca dei fatti del colera fu strumentalizzata per vendere giornali, quotidiani e inchieste televisive.
La carente igiene di Napoli e del Sud-Italia esposto al mare di certo non aiutò a respingere il colera, che partì nel 1961 dall’isola indonesiana di Sulawesi e travolse un po’ tutto il Globo (vedi immagine in basso tratta da “Principi di Microbiologia Medica” – La Placa XII edizione). Si auspica che il vicedirettore Sangiuliano, napoletano, vorrà descriverlo.

colera

Italia – San Marino, partita contro il napoletano

Angelo Forgione – Partita della nazionale italiana contro quella di San Marino all’insegna della lotta contro il razzismo. I tifosi bolognesi, ormai anche loro a pieno titolo tra i più ostili ai napoletani, hanno intonato cori contro la gente partenopea. Va subito ricordato che non era Bologna-Napoli ma Italia-San Marino, e i cori contro Napoli hanno assunto un preciso significato: l’Italia è una cosa e Napoli è un’altra. Magari si, è proprio così.
La Stampa di Torino ha ritenuto di dover difendere i supporters felsinei, con un articolo a firma Marco Ansaldo ancor più provocatorio dei cori stessi perché in realtà vuol minimizzare quanto anche a Torino si ascolta con ferocia e protervia ogni maledetta domenica. “Ma il coro “noi non siamo napoletani” non è razzismo”, così ha titolato il giornalista, preoccupato che nella guerra che si combatte contro i cori razziali negli stadi si corra il rischio che si stia diventando ipersensibili, laddove per insensibili si intende permalosi. Guerra? Ma quale guerra? Non è in atto alcuna guerra per estirpare il fenomeno ma solo una parvenza di dibattito che coinvolge solo i calciatori di colore, specie se importanti e di top-team. E infatti, Ansaldo precisa che “a mettere tutto nel calderone si perde di vista il vero problema: l’odio per chi è di un altro colore”. Capito? Bisogna parlare solo di quel problema perché il resto può continuare serenamente come da quando esiste l’Italia una.
È vero, il coro “noi non siamo napoletani” non è razzista nel significato. Ma, tralasciando il buonsenso che fa comprendere le realtà dei fatti, e cioè il vero motivo che si cela dietro quella presa di distanze in una serata dal tema particolare, proprio quel coro sta diventando un parafulmine che fa perdere di vista il vero problema: l’odio per chi è napoletano. Parlare del meno peggio per fingere di parlarne, cioè per nascondere gli altri cori inequivocabilmente razzisti e che invocano a tragedie a scopo di pulizia (etnica). Cori intonati anche ieri, ma nascosti dall’informazione dietro quelli più “edulcorati”. Tutto questo serve a nasconderli, ma Ansaldo dovrebbe sapere che i napoletani, colerosi nella storia come tutti gli italiani, non hanno l’anello al naso. Tolleranti si, fessi no… ed è per questo che fischiano l’inno nazionale. Ma che brutto Paese!

Lesa maestà alla Reggia malata

monumento emblema dell’oscurantismo moderno

di Angelo Forgione – Era il Giugno del 2009 quando la piazza Carlo III di Caserta, l’immenso slargo ellittico ai piedi della reggia che si rifà a Piazza San Pietro a Roma, si avviava a compimento di un imponente e costosissimo restyling. Scattai delle fotografie ai nuovi lampioni d’illuminazione (clicca sulle immagini per ingrandire) perchè alla loro vista un senso di disgusto mi prese il ventre. Elementi di arredo urbano futuristici di forma essenziale e fin troppo moderna per essere contestualizzati nella piazza simbolo del neoclassicismo vanvitelliano, troppo forte il contrasto per restarne indifferente. Mancanza di sensibilità da parte di chi è chiamato a decidere nel presente di una testimonianza del passato e della nostra storia, ma anche della gente comune che devasta il patrimonio. Inutile dire che la piazza, la più grande d’Italia, è oggi un luogo deserto occupato e reso impraticabile da clochard e vandali.
Cosa dire per esempio dei furti d’acqua alle cascate della reggia di Caserta? Succede ogni maledetto Agosto! Allarme siccità? E allora via coi prelievi abusivi da parte dei soliti ignoti che si agganciano alla condotta del mirabile Acquedotto Carolino vanvitelliano, patrimonio dell’umanità, per attingere acqua a uso personale. Un reato che minaccia anche i pesci delle vasche e favorisce lo sviluppo incontrollato delle dannose alghe di eutrofizzazione. L’Acquedotto Carolino, nei 38 chilometri di percorso, perde così pressione e l’acqua non riesce ad arrivare dalla fonte alla destinazione ultima. Fontane asciutte e delusione dei turisti che arrivano per ammirare anche quelle meraviglie dell’ignegneria idraulica vanvitelliana e si ritrovano di fronte solo liquami. Niente acqua, niente tuffi. Si, perchè altro malcostume estivo dei giovani senza sensibilità è il lancio nelle vasche della cascata immortalato in passato, manco si trattasse di un acquapark, col rischio di danneggiare le sculture e le proprie ossa sulle rocce.
Spegnere la scenografica cascata che dai monti tifatini riversa acqua verso i giardini della Reggia equivale a deturparne l’architettura, ma questa deduzione è troppo lontana dalla comprensione degli insensibili. Vaglielo a spiegare che la navata centrale dell’edificio è detta “il cannocchiale” per la visione che attraverso di essa si ha dell’asse centrale del parco culminate nella cascata e nel torrione senza interruzione della prospettiva. Vanvitelli pensò anche a questo quando disegnò la Reggia come elemento architettonico lineare che non precludesse la vista della natura, simboleggiando l’osmosi tra potere e territorio, natura e conoscenza, divino e terreno.
E se le cascate languono “il cannocchiale” non sta meglio. Bancarelle e ambulanti di ogni tipo, persino distributrici di numeri del lotto, umiliano la maestosità del tempio, ma questo è problema cronico e non stagionale. E poi lampioni rotti (quelli storici), degrado sparso, automobili del personale che sfrecciano tra i turisti, cortili adibiti a parcheggi. Tutto documentato da Marco Bariletti per l’edizione serale del Tg1 del 25 Agosto (in basso) che ha posto la lente di ingrandimento anche sulle richieste dell’UNESCO disattese dal governo italiano. Il World Heritage per i patrimoni dell’umanità chiede da anni che dal monumento sia sfrattata l’Aeronautica Militare affinché eviti di essere un potenziale obiettivo militare e mostri invece tutto il suo splendore, a cominciare dal teatrino di corte inaccessibile e altri appartamenti oltre il solo piano nobile aperto al pubblico.
Responsabilità del governo centrale ma anche dell’amministrazione locale per arrivare agli strati sociali travolti dalla povertà e dall’ignoranza. Nessuno sembra avere la minima sensibilità per rispettare il sito e la sua storia. I soldi mancano, la sorveglianza non può essere garantita e il degrado avanza indisturbato. Il sindaco di Caserta Pio Del Gaudio ha commentato il servizio del Tg1 sulla sua pagina Facebook ma le parole non bastano più. La reggia è un complesso unico al mondo che ha nella sola Versailles un opera di pari livello, ma perde progressivamente pezzi e visitatori. E poco più in la, il dramma della reggia di Carditello che stiamo contribuendo dalla primissima ora a tenere alta in classifica nel censimento de “I luoghi del cuore” FAI (magari bisogna portare in alta classifica anche la più maestosa reggia?). Il delegato dell’ufficio del curatore fallimentare della più riservata tenuta borbonica di San Tammaro Tommaso Cestrone, una sorta di angelo custode della piccola reggia, ha riferito che sul posto si sarebbero recati nel mese di Agosto centinaia di visitatori, principalmente settentrionali e spagnoli, accontentandosi di sbirciare dai cancelli sbarrati.
Meglio fermarsi qui perchè la lista è infinita e sottolineare l’oscurantismo moderno quando si parla di luoghi simbolo dell’illuminismo napoletano, cioè europeo, è per chi scrive un autentico supplizio.

il luogo comune di Elisa Isoardi sui napoletani

il luogo comune di Elisa Isoardi sui napoletani

e un professionale Franco Di Mare incassa

Venerdì 30 Dicembre, va in onda la trasmissione “Unomattina” condotta dagli affiatati Franco Di Mare e Elisa Isoardi. Nel corso della puntata viene affrontato il tema della tracciabilità delle banconote in chiave di contrasto all’evasione fiscale. Il conduttore napoletano, da buon giornalista, fa un esempio per sviscerare la questione in modo da sgombrare il campo da possibili espedienti e truffe per aggirare le nuove leggi e la presentatrice cuneese non riesce proprio a trattenere un’associazione di idee che produce un luogo comune zeppo della più negativa accezione piemontese-sabauda del termine “napoletano”. Di Mare mette zelo e orgoglio nel tono della risposta che è poi una domanda di chirimenti, ma li nasconde professionalmente dietro un ghigno di circostanza ed esperienza. La Isoardi scade in un sorriso poco sensato, ma magari a telecamere spente…
Piccolo episodio, uno scherzo tra amici, ma pur sempre pericolosissimo perchè sdogana ancora una volta un messaggio denigratorio, seppur ironico, su una rete ammiraglia nazionale. Il “piccolo” problema è tutto qui.
Brava e bella Elisa, ma usa anche la testa nella vita.

per messaggi alla redazione: tg1.unomattina@rai.it

video: Cruciani e le coltellate alla grande storia del Sud

video: Cruciani e le coltellate alla grande storia del Sud
la mistificazione degli sprovveduti

Vergognoso e deplorevole atteggiamento di Giuseppe Cruciani (già noto per alcuni commenti velenosi sul Napoli a “Controcampo”) e David Parenzo durante la trasmissione radiofonica “La Zanzara” di Radio24. Un radioascoltatore salentino interviene in diretta dichiarandosi “neoborbonico” e revisionista per poi snocciolare scomode verità storiche. I due conduttori lo incalzano e lo trattano come un pazzo per l’uso della parola “borbonico” fatto senza alcuna sudditanza, per poi “imbavagliarlo” con scherno e irrisione dietro alle quali si nasconde l’ignoranza di due disinformati che zittiscono l’unico informato della discussione.
Ancora una dimostrazione di come il “regime di pensiero italiano” imponga la ghettizzazione di chiunque rivaluti a ragion veduta la grande storia del Sud che gli intellettuali di ogni parte del mondo conoscono, e di come si voglia a tutti i costi sopprimere la voglia di restituire alla parola borbonico un significato più fedele alle fama che la dinastia napoletana seppe dare a Napoli e al Sud preunitario.

Mentre Napoli soffoca sotto i rifiuti, che sono rifiuti della lega a cooperare, l’attacco alla città è anche storico ed è in atto non solo nelle stanze della politica ma anche negli studi televisivi e radiofonici.

È possibile protestare scrivendo a:
giuseppe.cruciani@radio24.it 
 lazanzara@radio24.it

Di seguito, il botta e risposta di V.A.N.T.O. con Cruciani

Caro Cruciani,
la sua ignoranza nei confronti della storia del Sud è sesquipedale. Lei è il suo collega Parenzo non solo non vi ponete dubbi nella vita ma avete così tante certezze sbagliate da andare incontro a brutte figure come quella col ragazzo salentino che è intervenuto in trasmissione sulla storia del meridione borbonico.
I migliori uomini di cultura, e oltre a quelli citati nel video ne potrei snocciolare tantissimi anche stranieri, rispettano le verità storiche mentre personaggi come voi finiscono col fare danni alla cultura che neanche immaginate. O forse si, perchè il sospetto che lo facciate di proposito è molto più che semplice sospetto.
Si guardino questo video e poi chiedano scusa al ragazzo salentino e a tutti i meridionali, sia quelli che sanno che quelli che non sanno.
Nella vita bisogna diffidare da quelli che hanno certezze, non da chi ha dubbi. Le persone di cultura sono anche umili, sanno ammettere i propri errori.

Risposta di Cruciani (in copia generica a tutti)

Abbiamo semplicemente detto che rimpiangere il Regno delle Due Sicilie è ridicolo. Nessuno ha mai voluti denigrare quella storia. Il resto sono chiacchiere. Grazie.

Controreplica di V.A.N.T.O.

Non giochiamo con le parole. Così peggiorate l’immagine di voi.
Non avete detto che è stupido rimpiangere. Le testuali parole evidenziate nel video sono:
“Ma quale passato glorioso, non diciamo stupidaggini. Il Regno delle Due Sicilie un passato glorioso? Ma stiamo dicendo sul serio o dobbiamo chiamare quattro ambulanze?!”
E poi… “Mo, adesso… il Regno delle Due Sicilie… i Borbone… era un periodo rispetto ad adesso e all’unità d’Italia migliore”.
E ancora Parenzo: “Il Regno delle Sicilie più industrializzato? Ma si rende conto?”
Per poi irridere chi ne sapeva più di voi con la sirena dell’ambulanza per dipingerlo come un matto da legare, e così zittirlo. Bel modo di fare informazione e cultura!
Non ci prendano in giro con simili risposte e attenuanti. Se proprio Loro non sono così umili da fare pubblica ammenda, almeno la smettano di infangare la nostra Napoletanità e meridionalità.
È ora che la smettiate tutti Voi di infangare Napoli e la sua grande storia basandovi su un presente che è risultante del nostro subire in silenzio, sia in casa nostra che fuori… un presente in cui gli unici fessi siamo noi che abbiamo assorbito per 150 anni.
E glielo dice uno che crede ancora nel valore dell’unità d’Italia. Ma che sia fatta davvero, perchè da un secolo e mezzo non se ne vede l’ombra.
Continuate a festeggiarvela mentre noi soffriamo nei rifiuti e vediamo la più bella città del mondo stuprata da politica e camorra che, insieme, le rubano l’anima.
Se non riuscite ad avere rispetto per la nostra storia che invidiate, almeno abbiate rispetto per la nostra sofferenza.