Il Napoli come Napoli, regine d’inverno

Angelo Forgione Giro di boa della Serie A 2015/16, e il Napoli è davanti a tutte. Due vittorie convincenti alla ripresa, la tanto temuta ripresa dopo la pausa natalizia, e la squadra azzurra si è presa la testa, nuovamente. Incalza la Juventus, appaiata all’Inter, ma con un’inerzia decisamente diversa da quella dei nerazzurri, partiti di slancio e poi ripresi dalle due squadre più lente nell’uscire dai blocchi di partenza. Sì, perché Napoli e Juventus, alla quinta giornata, erano ai posti 12 e 13, lontane 9 e 10 punti dall’Inter. La sensazione netta è che il nome della squadra campione d’Italia verrà fuori da questo terzetto, precluso alla Fiorentina degli inciampi e all’arenata Roma.
Ma se la posizione della Juventus non desta sensazione, stupisce quella del Napoli, più per il gioco espresso che non per la classifica. Il fatto è che la squadra si diverte agli allenamenti, scende in campo per vincere ma senza la pressione di chi deve farlo per missione. Poi vince, stravince e fa divertire, e va pure a festeggiare coi propri tifosi. L’idillio è palese, l’afflato pure. Il fatto è che l’amore che i calciatori fanno coi propri tifosi si consuma ad ogni vittoria, non solo contro le più blasonate rivali storiche. Con il Frosinone come contro la Juventus. Non c’è in ballo la vittoria che vale una stagione ma la stagione che vale una vittoria. Si guarda a Maggio, flirtando con lo scudetto. Ma intanto si amoreggia in casa. È un’energia sessuale che fluisce ininterrottamente, che risplende in quella danza di fine partita, coi calciatori e i tifosi che si guardano occhi negli occhi, saltellando e battendo le mani. È una tarantella del pallone, una danza erotica dopo l’orgia del campo che propizia quella del trionfo finale. Qualcuno ammonisce sulla perniciosità del rito orgiastico, non conoscendo la natura dell’energia partenopea, che non conosce polarità. Tutti danno, tutti ricevono. Solo chi si immerge in questa vitalità può capirla. Un certo Ibrahimovic Zlatan, giramondo del pallone, Re senza regno, c’è riuscito per caso, catapultato sul prato del ‘San Paolo’ per accompagnare Ciro Ferrara ai chiodi per le scarpette in un lontano giorno di giugno del 2005. Si ritrovò nel cratere di un vulcano in eruzione, e fu marchiato a fuoco. I suoi occhi videro Maradona, Re dei re, in maniche di camicia, anche se tondo e pieno come il San Paolo, riabbracciato e asfissiato dai napoletani. Una bolgia infernale. E un pensiero nato quella sera nel fuoriclasse svedese, nomade del pallone: far impazzire il ‘San Paolo’ e prendersi, un giorno, quell’energia. Lo confidò ai suoi compagni della Juventus che dominava prima di finire in polvere e vergogne, mentre il Napoli annaspava in Serie C, destinato ad essere frenato dall’Avellino. Lo svedesone lo disse anche al suo manager, Mino Raiola: «Un giorno piacerebbe pure a me essere accolto come Maradona. Non posso concludere la mia carriera senza aver giocato con la maglia del Napoli». Avrebbe giocato nell’Inter, nel Milan, nel Barcellona, nel Paris SG. Desiderio azzurro mai realizzato, perché sogni e soldi, nel Calcio moderno, difficilmente si sposano. Zlatan è a Parigi, nel nuovo El Dorado del pallone, dove ingrossa il suo conto in banca, come Edinson Cavani, che il trono di Maradona lo ereditò e poi lasciò il regno dell’amore per quello del danaro. E dalla fredda Parigi, recentemente, ha chiarito: «La realtà è che oggi devo rendere al massimo per il PSG, ma Napoli rimane nel mio cuore». Come dire: “i soldi mi hanno portato qui, lontano da dove ho lasciato il cuore”. Percorso inverso per Pepe Reina, che pure ha conosciuto il calore di Barcellona e Liverpool, ma il suo cuore si è fermato a Napoli. Dodici mesi in prestito per rimpiangerla da Monaco di Baviera, e poi il ritorno tanto voluto, dopo tante fughe di piacere e continui tweet in napoletano. Stipendio ridotto da 4,2 milioni all’anno a 2,8 pur di riabbracciare Partenope: “Napoli è felicità, sono tornato per questo, è il posto giusto per me e la mia famiglia, dopo un anno non abbiamo resistito”.
Napoli che vince e festeggia le vittorie si prende la copertina di metà percorso, effimera ma benaugurale. Squadra che cerca di sovvertire il pronostico, le statistiche, la storia e l’ordine precostituito, che cerca di piegare il Nord del Calcio, che lavora al colpo di Stato. E già si alza da lontano lo stantio refrain del riscatto cittadino, come se il Calcio avesse il potere di risolvere i problemi sociali. Il fatto è che Napoli, nonostante tutto, vince non solo nel Calcio. È la città che, silenziosamente e senza doping governativo, ha fatto registrare il maggior incremento turistico d’Italia nell’ultimo anno, con gran picco nel recente mese di Dicembre, ricomponendo il quadrilatero storico (con Roma, Firenze e Venezia) amputato dal colera del 1973. Non dovrebbe essere una sorpresa, ma è l’ingiusta propaganda che si continua a proporre della città vesuviana a far gioire e sperare per il futuro. Napoli che conquista le vittorie con le sue forze, tra le difficoltà. Napoli che se la vivi ti innamori, proprio come la sua squadra. Napoli che può vincere.

Quando Renzi atterrò a San Francisco e scoprì Napoli

«A me è capitato qualche anno fa, in volo, di ascoltare da uno steward di San Francisco un racconto straordinario sull’amata città californiana concluso così: “Certo, San Francisco non è affascinante come Rio de Janeiro e non è bella come Napoli, però è la città che più mi ha segnato”. Perché lo racconto? Perché Napoli, in quel racconto lì, era vista come il benchmark irraggiungibile». Parole di Matteo Renzi alla riunione della Direzione del PD dello scorso agosto sul tema del rilancio (?) del Mezzogiorno. Di certo, lo steward americano non guarda a Napoli per Bagnoli, quel pezzo di paradiso deturpato dalle acciaierie su cui vertono interessi politici e attriti tra lo stesso Renzi e il sindaco De Magistris.

tratto da Made in Naples (Magenes, 2013):
“Esistono al mondo tre città, probabilmente tra tutte, i cui paesaggi e le cui ricchezze orografiche colpiscono violentemente l’immaginario: Rio de Janeiro, Istanbul e Napoli. Tra queste, le due europee sono quelle che accostano alla bellezza naturale anche quella artificiale dei monumenti e delle testimonianze stratificatesi nei secoli; Napoli è quella che si lega al mito incombente e minaccioso del vulcano più famoso al mondo, il più descritto della storia.”

Zubin Mehta regala il cachet al San Carlo: «Napoli ricca di bellezze. I turisti non possono andare solo a Firenze, Venezia e Roma!»

Angelo Forgione – Il più bello e più antico dei teatri lirici costretto alla beneficenza dei più noti addetti ai lavori, personaggi sensibili che si sostituiscono allo Stato italiano, sempre più sordo alle necessità delle eccellenze culturali del Paese. Il grande maestro indiano Zubin Mehta, in occasione dell’inaugura della stagione sinfonica del Real Teatro di San Carlo, ha annunciato che rinuncerà al suo cachet per creare un fondo destinato all’acquisto di nuovi strumenti per i musicisti del Massimo napoletano, asfissiato dai tagli alla Cultura. «Sono maestranze straordinarie, mettono il cuore nella musica ogni volta che salgono sul palco – ha detto il direttore d’orchestra – ma hanno bisogno di strumenti adeguati. Con l’incasso di questo concerto non riusciamo ad acquistare un violino Guadagnini, ma possiamo dare l’esempio. Lancio un appello a tutti gli artisti e appassionati del mondo: aiutiamo il San Carlo». Metha ha da tempo messo l’accento sulle inadempienze italiane e con questo gesto intende evidentemente passare dalla denuncia ai fatti. Ma per lui il San Carlo è solo la punta di un iceberg. «La ricchezza di Napoli non è molto conosciuta nel mondo, neanche io un tempo sapevo che ci fossero così tante meraviglie. Ma poi ho girato e ora parlo nel mondo di quello che c’è a Napoli. I turisti non possono andare solo a Firenze, Venezia e Roma!»

Napoletani e londinesi, differenti per clima e… bevande

Limonata e cognac per spiegare come Napoli fosse meno pericolosa di Londra

Angelo Forgione Quando Johann Wolfgang Goethe giunse a Napoli, nel 1787, non era impreparato. Ricordava le belle parole che il padre, dopo averla visitata, aveva sempre usato per descriverla, racchiuse in una definizione che lui stesso immortalò su carta:

“[…] mio padre non riuscì mai ad essere del tutto infelice, perché il suo pensiero tornava sempre a Napoli”.

Da buon viaggiatore, il drammaturgo tedesco, prima di partire alla volta dell’Italia, aveva letto il volume Notizie storico-critiche d’Italia dell’amico Johann Jacob Volkmann, in cui, nel capitolo Napoli e i suoi dintorni, era scritto che per le strade della città c’erano dai trenta ai quarantamila oziosi. Goethe volle verificare di persona prima di scrivere le sue memorie e si mischiò tra la gente, sperimentando con curiosità la realtà napoletana, in cui individuò evidenti differenze col mondo nordico ma attribuendole a motivi climatici e sociali. Solo dopo aver osservato coi propri occhi la Napoli capitale negò l’esistenza di un atteggiamento refrattario al lavoro, ed entrò in polemica con Volkmann.
Per Goethe, i napoletani erano semplicemente diversi dai tedeschi di Prussia ma non per questo da considerare peggiori. Era la diversa piattaforma sociale a far apparire il popolo partenopeo una massa di mendicanti per vocazione. Apprezzata invece la possibilità di godersi la vita, vero motivo per cui coloro che erano impossibilitati a farlo – i più laboriosi nordici – consideravano inoperosi quelli che non lavoravano tutto il giorno. Il 28 maggio 1787 scrisse:

“[…] Non tardai a sospettare che il ritenere fannullone chiunque non s’ammazzi di fatica da mane a sera fosse un criterio tipicamente nordico. Rivolsi perciò la mia attenzione preferibilmente al popolo, sia quando è in moto che quando sta fermo, e vidi, bensì, molta gente mal vestita, ma nessuno inattivo.
[…] Più mi guardavo intorno, più attentamente osservavo, e meno riuscivo a trovare autentici fannulloni, nel popolino minuto come nel ceto medio, sia al mattino sia per la maggior parte del giorno, giovani o vecchi, uomini o donne che fossero.
[…] Sarei quasi tentato d’affermare per paradosso che a Napoli, fatte le debite proporzioni, le classi più basse sono le più industriose. Non si può pensare, beninteso, di mettere a paragone quest’operosità con quella dei paesi del Nord, la quale non ha da preoccuparsi soltanto del giorno e dell’ora immediati, ma nei giorni belli e sereni deve pensare a quelli brutti e grigi e nell’estate deve provvedere all’inverno. Postoché è la natura stessa che al Nord obbliga l’uomo a far scorte e a prendere disposizioni, che induce la massaia a salare e ad affumicare cibi per non lasciare sfornita la cucina nel corso dell’anno, mentre il marito non deve trascurare le riserve di legna, di grano, di foraggio per le bestie e così via, è inevitabile che le giornate e le ore più belle siano sottratte al godimento e vadano spese nel lavoro. Per mesi e mesi si evita di stare all’aperto e ci si ripara in casa dalla bufera, dalla pioggia, dalla neve e dal freddo; le stagioni si succedono inarrestabili, e l’uomo che non vuol finire malamente deve per forza diventare casalingo. […] È la natura che lo costringe ad adoperarsi, a premunirsi. Senza dubbio tali influenze naturali, che rimangono immutate per millenni, hanno improntato il carattere, per tanti lati meritevole, delle nazioni nordiche; le quali però applicano troppo rigidamente il loro punto di vista nel giudicare le genti del Sud, verso cui il cielo s’è dimostrato tanto benigno.
[…] E un cosiddetto accattone napoletano potrebbe facilmente sdegnare il posto di viceré in Norvegia e declinare l’onore, se l’imperatrice di Russia gliel’offrisse, del governatorato della Siberia.
[…] Se si pensa alla quantità di alimenti che offre questo mare pescoso, dei cui prodotti la gente è obbligata per legge a nutrirsi in alcuni giorni della settimana; a tutti i generi di frutta e d’ortaggi offerti a profusione in ogni tempo dell’anno; al fatto che la contrada circostante Napoli ha meritato il nome di Terra di Lavoro (dove lavoro significa lavoro agricolo) e l’intera sua provincia porta da secoli il titolo onorifico di Campania felix, campagna felice, ben si comprende come là sia facile vivere.”
[…] Si giungerebbe forse allora a concludere che il cosiddetto lazzarone non è per nulla più infingardo delle altre classi, ma altresì a constatare che tutti, in un certo senso, non lavorano semplicemente per vivere ma piuttosto per godere, e anche quando lavorano vogliono vivere in allegria.
Nel quinto capitolo della sua Storia Naturale Plinio concede soltanto alla Campania una descrizione diffusa. «Quelle terre» egli dice, «sono così felici, amene e beate che vi si riconosce evidente l’opera prediletta della natura.
[…] Su questo paese i Greci, popolo che aveva una smisurata opinione di sé, hanno espresso il più lusinghiero giudizio dando a una sua parte il nome di Magna Grecia.”

Lo scrittore britannico Harold Acton, nella sua opera The Bourbons of Naples del 1956, racconta che un contemporaneo inglese di Goethe ne condivise l’analisi e l’approfondì con uno straordinario esempio utile a spiegare perché la delinquenza napoletana non era più spaventosa di quella di Londra. Tutto racchiuso nelle bevande preferite dai due popoli:

“A Napoli vi è un numero molto inferiore di moti rivoltosi o di reati di qualsiasi tipo di quanto non ci sarebbe aspettati di avere in una città dove la polizia è ben lungi dall’essere severa, e dove ogni giorno si incontrano moltitudini di poveri disoccupati. Questo deriva in parte dal carattere nazionale [napolitano] che, secondo me, è quieto, sottomesso e rifugge dalle sommosse e dalle ribellioni; e in parte deriva anche dal fatto che il popolo è universalmente sobrio, e mai infiammato dall’alcool, come avviene invece nei paesi nordici. L’acqua ghiacciata e la limonata sono cose di lusso tra la gente più povera; […] Il lazzarone seminudo ha spesso la tentazione di spendere quel poco denaro che è destinato al mantenimento della sua famiglia in questa magica bibita, come il più dissoluto tra i poveri di Londra lo spende in gin e in cognac, così che ciò che rinfresca la povera gente di una città tende ad eccitare quella di un’altra fino a far compiere atti di smoderatezza e di brutalità.”

Certe abitudini, evidentemente, non sono cambiate granché.

I 22 siti reali dei Borbone finalmente in mostra

Dopo aver cercato a lungo una degna sede, dal 17 al 24 aprile 2014, nel complesso moumentale del Belvedere di San Leucio, andrà finalmente in scena la mostra evento “22 Double Two Siti reali Borbonici in Campania: la storia dimenticata”, curata da Miria Amalia Di Costanzo e Raffaella Forgione, con scatti fotografici di Antonella Maiorano. L’evento racconterà la bellezza e il significato non solo artistico dei 22 siti reali borbonici in Campania, per esaltarne la capacità attrattiva dal punto di vista turistico, per educare al rispetto e alla valorizzazione della storia e dei monumenti, per evidenziare il ruolo di Napoli capitale del Regno delle Due Sicilie e per denunciare il degrado e l’oblio di un simile patrimonio semi-sconosciuto, che in qualsiasi paese del mondo sarebbe stato valorizzato e reso fruibile.
La mostra proporrà una serie di pannelli fotografici, con scatti artistici dei siti reali, e di pannelli documentaristici, frutto di un’attenta ricerca archivistica e bibliografica. Protagonisti assoluti saranno il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Capodimonte, la Reggia di Portici, la Villa Favorita di Ercolano, la Real Fagianeria di Resina e la Villa d’Elboeuf a Portici, il Palazzo d’Avalos nell’isola di Procida, il Palazzo Reale nell’isola d’Ischia, la Real Tenuta degli Astroni, il Real Casino di caccia di Licola Borgo, il Real Palazzo di Venafro (un tempo in Terra di Lavoro, in Campania, ed oggi appartenente alla provincia d’Isernia), la Real Tenuta di caccia e pesca di Torcino a Ciorlano, le Reali Cacce del demanio di Cardito con la Real Delizia di Carditello in San Tammaro, il Real Sito di Persano a Serre, la Real Tenuta di Maddaloni con i ponti della valle, la Real Fagianeria di Caiazzo, la Reggia di Caserta, il Real Sito di San Leucio, la Casina del Fusaro, la Reggia di Quisisana in Castellammare di Stabia, la Real Tenuta di Falciano ed il Real Casino del Demanio di Calvi.
Il vernissage si terrà nel complesso leuciano giovedì 17 aprile 2014 alle ore 17:30, in partenariato con il comune di Caserta e con l’Assessorato al Turismo e ai Grandi Eventi. Dopo l’introduzione di Barbara Giardiello e i saluti del sindaco di Caserta Pio Del Gaudio e dell’assessore al Turismo e Grandi Eventi Pasquale Napoletano, previsti gli interventi della storica dell’arte Anna Maria Romano e della giornalista e scrittrice Nadia Verdile incentrati sull’universo della corte borbonica e dei siti reali, e una performance teatrale a cura dell’associazione culturale ARTeMIDE. A seguire, l’inaugurazione della mostra scandito da un assaggio di gustose ricette di età borbonica.
Gli orari di apertura al pubblico, esclusi giorni 20 e 22, andranno dalle ore 9.00 alle ore 18.00 (l’ultima visita parte alle ore 16.30). Il Sabato, le visite partono alle ore 9.30,10.45, 12.00, 15.00 e 16.30.

INFO
Telefono: 0823/301817- 273151 Fax: 0823/273182
Numero Verde: 800.41.15.15
E-mail: belvedere@comune.caserta.it
Sito web: http://www.comune.caserta.it/pagina698_belvedere-di-san-leucio.html

Severgnini sul NY Times: “Perché nessuno va a Napoli”

Angelo Forgione – Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera, sulle pagine del The New York Times ha scritto una personale analisi dei motivi per cui il turismo di massa non giunge a Napoli e nel Sud-Italia. Non mi dilungo sulle sue considerazioni (chi vuole può leggere online ciò che ha scritto) che in qualche passaggio non condivido, preferendo riportare numeri per ribadire quanto già detto in altri termini sull’argomento.
Premesso che Napoli deve certamente impegnarsi molto di più a valorizzare e presentare al mondo il suo immenso patrimonio, la situazione non è così drammatica come la dipinge il giornalista lombardo. I turisti hanno spinto quella che fu meta del Grand Tour del Settecento al sesto posto nella classifica delle città italiane più visitate del 2013. Certo, non può essere vera soddisfazione per una città tra le più ricche d’arte e cultura del mondo, ma da qui a dire agli americani che i turisti non vanno a Napoli è francamente troppo. E siccome Napoli, nell’accezione di Severgnini, è da intendersi anche una città-regione, un’indagine dell’Istituto Tedesco Qualità e Finanza realizzata la scorsa estate ha paragonato l’offerta turistica di tutte le regioni italiane, tenendo conto del numero dei turisti, del giudizio sul sistema alberghiero fornito dagli stessi visitatori attraverso il sito Tripadvisor e delle attrazioni del territorio, mettendo sul podio Trentino Alto Adige, Toscana e Campania. Ugualmente non c’è da entusiasmarsi, né in Campania né in tutt’Italia, perché è tutto il nostro Paese a non sapersi sfruttare. Secondo i numeri snocciolati nell’ultimo report annuale della World Tourism Organization, l’Italia, che fino qualche decennio fa era la meta europea più gettonata, continua a cedere il passo rispetto a Francia e Spagna.
È altrettanto inconfutabile che Napoli sia stata penalizzata oltremisura dall’accanimento mediatico e storiografico. Più volte ho evidenziato che a inizio Novecento, come si può ascoltare in un documentario dell’Istituto Luce (clicca qui per guardare), i turisti riempivano Napoli in egual misura di quanto avveniva a Venezia, Firenze e Roma. Le quattro città d’arte più rappresentative d’Italia si contendevano il primato del turismo europeo e quello del mercato artistico. Poi, dopo le guerre, è sopraggiunta la tivù, e la denigrazione è diventata più dilagante. Decisivo è stato, soprattutto, il ricamo mediatico riservato alla questione del colera del 1973, che per un ventennio ha allontanato i turisti dalla città fino al G7 del 1994. In cinquant’anni, proprio la tivù (insieme agli altri media) ha fatto uscire Napoli dalla percezione collettiva del polo culturale italiano di cui fa parte, ma i turisti di oggi si riferiscono maggiormente alle sole Venezia, Firenze e Roma, perché per cinquant’anni così è stato inculcato, parlando di Napoli come di terra di esclusivo degrado. Senza dimenticare che oggi il nuovo turismo arriva dall’est, con tasche strapiene, per fare shopping più che per vedere arte.
Una volta detto questo potremo e dovremo denunciare gli scarsi investimenti, quelli sbagliati e il generale spreco della vocazione turistica di Napoli e dell’intero Sud, senza nasconderci dietro l’altisonante nome di cui pure Severgnini si è servito per il suo articolo americano, lui che ritiene gli italiani bisognosi della Lega.

Beppe Severgnini, a columnist at Corriere Della Sera, expounded on the pages of NY Times a personal analysis of the reasons why tourists don’t come to visit Naples – and neither South Italy.
I’d rather list some statistics which prove what I’ve already said on this argument before. Once assumed that Naples should undertake much more to improve itself in order to offer its huge patrimony to the rest of the world, the real situation is not as dramatic as the one depicted by the lombardo journalist. The city, which used to be the destination of the eightieth century’s Grand Tour, according to tourists settled down to the 6th place in the chart of the most visited cities of 2013. In these days of spring Naples is full of tourists.
Obviously, this cannot be seen as a cheering piece of news for one of the richest cities in the world in terms of art and culture. Nonetheless, to tell American readers that tourists don’t come to visit Naples it’s an overstatement.
Let’s take for granted that Naples, according to Severgnini’s point of view, has to be seen as a city-region: last summer a study of the German Insitute of Quality and Finance compared the touristic offer of all Italian regions. The study took into account the number of tourists, the evaluations about accommodation structures given by the tourists themselves on Tripadvisor.it and touristic attractions. The result was Trentino Alto Adige, Toscana and Campania on the podium. As already said, there’s nothing to be overjoyed about it, neither in Campania, nor in Italy, because it’s our country that can’t find the way to make the most of itself. According to the results of the last annual report by the World Tourism Organization, Italy, which has long been the most attractive European destination until a few decades ago, keeps on losing pace with France and Spain. Nevertheless the fact that Naples has been strongly damaged by aggressive media and historiographic is irrefutable.
As also shown by a documentary of Istituto Luce, I highlighted in many occasions that in the early twentieth century Naples was crowded by tourists just like Venice, Florence and Rome. The four main art cities of Italy competed for the leadership of tourism and art in Europe.  Later, there came television, and so denigration spread increasingly. Above all, the media embroidery upon the epidemic of cholera that spread in 1973 was decisive.
For about twenty years, all the efforts made by press and television to disparage the city have kept tourists away from Naples until G7 of 1994.  For fifty years, tv and all other media cooperated in gradually dismissing the city from the general perception of Italian cultural pole. Today, tourists only relate to Venice, Florence and Rome because that’s what they have been instilled and taught for decades. Press and media succeeded in picturing Naples as a land of absolute decay.  We should also take into account that today modern mass tourism mostly comes from East and Middle East with overflowing pockets, aiming at doing some shopping instead of visiting museums.
Once assumed this, we could point at the poor investments and the wrong ones; denounce the waste of natural vocation to tourism of Naples and South Italy as a whole, without hiding behind the striking and resounding name of Naples.
In conclusion, it is true that Naples and the South-Italy must attract more because they can and do not know how to do it like in the North-Italy, but instructions should solve internal problems and also outside, in a nation that is truly united.

Finalmente l’inglese nel metrò dell’arte

Iniziano a spuntare cartelli didattici in inglese nelle ammiratissime stazioni dell’arte della metropolitana di Napoli, celebrate come le più belle del mondo. A volte basta poco per coltivare la vocazione internazione di Napoli.

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Parigi e Napoli, città d’arte con modelli distanti

(video) Versailles e Caserta a confronto nella trasmissione Rai “Petrolio”

Angelo Forgione – La trasmissione Rai “Petrolio”, così titolata in quanto metafora delle ricchezze italiane che, per essere utilizzate devono essere identificate, estratte e valorizzate, ha proposto un raffronto tra Parigi e Napoli, le due capitali dell’illuminismo europeo, che però oggi vivono destini opposti. La prima, gettonatissima dai turisti, ai quali è offerta una proposta ben chiara e a sistema. L’altra ha invece perso parte del suo richiamo e non riesce a sfruttare tutte le sue enormi potenzialità. L’esempio più chiaro è stato individuato nelle differenti produttività delle due grandi regge borboniche fuori città, quella parigina di Versailles e quella napoletana di Caserta. La grande dimora vanvitelliana dei Borbone di Napoli, insieme a tutto il patrimonio monumentale campano, è ormai da qualche tempo oggetto di grandi dibattiti, e si susseguono le incursioni di trasmissioni (come quella di Maurizio Crozza, anch’egli adottivo dell’ormai famoso aneddoto del bidet divulgato da chi scrive) che hanno reso note ai più la sua importanza simbolica e artistica quanto le sue criticità.
Francia e Italia raccontano diversamente le storie di Parigi, capitale non abrogata, e Napoli, capitale decaduta. Versailles non appartiene più ai Borbone di Francia ma alla storia della Francia, ed è valorizzata. Caserta non appartiene più ai Borbone di Napoli, e neanche alla storia d’Italia, alla quale è stata associata la meno bella e visitatissima Venaria Reale dei Savoia. È questo il principale motivo per cui le due grandi regge europee di Francia e Italia fruttano in modo molto diverso. È questo il motivo per cui Napoli, grande meta del Grand Tour del Settecento, gioisce per essere risalita nel 2013 al sesto posto nella classifica delle città italiane più visitate. Non può essere vera soddisfazione per una città tra le più ricche d’arte e cultura del mondo ma penalizzata oltremisura da una sorta di accanimento mediatico e storiografico. Ancora a inizio Novecento, come si può ascoltare in un documentario dell’Istituto LUCE (clicca qui per guardare), Venezia, Firenze, Roma e Napoli si contendevano il primato del turismo nostrano e straniero e quello del mercato artistico. Poi, dopo le guerre, è sopraggiunta la tivù, e la denigrazione è diventata più dilagante. Decisivo è stato, soprattutto, il ricamo mediatico riservato alla questione del colera del 1973, che ha allontanato i turisti dalla città fino al G7 del 1994. In cinquant’anni, proprio la tivù (insieme agli altri media) ha fatto uscire Napoli dalla percezione collettiva del polo culturale italiano. Ne fa chiaramente sempre parte, ma i turisti di oggi si riferiscono maggiormente alle sole Venezia, Firenze e Roma, perché per cinquant’anni così è stato inculcato, parlando di Napoli come di terra di degrado e arretratezza. E così, il flusso turistico, una volta stanziale, è divenuto essenzialmente di passaggio, diretto verso località dell’area metropolitana, soprattutto Pompei o le isole del Golfo, il Vesuvio, la Costiera sorrentina e la Costiera amalfitana. Ne paga le conseguenze anche la Reggia di Caserta, per la quale i soldi non bastano mai, e che, come testimonia a “Petrolio” un tour operator internazionale operante a Roma, è fuori dal grande flusso dei visitatori. Eppure, come denunciato dagli operatori turistici locali, in tantissimi stranieri, soprattutto russi con un fortissimo interesse per i brand della moda italiana, si recano a Caserta, ma nel vicino outlet di Marcianise, snobbando il monumento vanvitelliano. Il presidente della Camera di commercio casertana Tommaso De Simone ha provato in tempi recenti a ricordare proprio ai tour operator stranieri che nella città campana, oltre agli outlet, c’è anche la Reggia più bella del mondo, ricevendo come risposta un eloquente «vabbé, se c’è da vedere anche questo “castello”, mezza giornata possiamo impegnarla».

La fame di cultura del Sud

Angelo Forgione – Chiari segni della fame di cultura meridionale. L’iniziativa nazionale “Una notte al Museo” del 28 dicembre è stato un successo, con il 45% in più rispetto all’edizione del 28 settembre scorso, anche in quell’occasione con ingresso gratuito. E tra i musei più visitati, complice anche la buona presenza di turisti a Napoli tra Natale e Capodanno, spicca la Reggia di Caserta con 6.394 visitatori, seguito dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli con 4.137, Palazzo Reale di Napoli con 3.594 e il Museo di Capodimonte con 2.800. Lunghe file anche al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, per ammirare i Bronzi di Riace, con 2454 ingressi dopo le 20.
Il risveglio culturale è in atto e non deve arrestarsi. Per ovvie ragioni, salto di gioia per questi dati pubblicati dal Ministero dei Beni Culturali, che confermano quanto siano importanti le energie profuse per la valorizzazione del patrimonio culturale e monumentale di Napoli, Caserta e del Mezzogiorno. Oggi, durante il programma radiofonico “La Radiazza” di Gianni Simioli su Radio Marte, di cui sono stato ospite in studio, ho fatto i miei auguri alla Campania ricordando Tommaso Cestrone, l’angelo di Carditello, auspicando che il ministro Bray faccia il possibile per onorare la promessa fattagli e restituire la Real Tenuta di Carditello alla collettività. Sarebbe il più bel regalo per il 2014 in arrivo.

PM Donato Ceglie: «è in atto la terza guerra contro il Sud»

«dopo i fusti tossici e l’emergenza rifiuti, ora i prodotti meridionali sotto attacco»

Il sostituto procuratore generale della Repubblica Donato Ceglie, ovvero il magistrato che ha indagato sui fusti tossici del Nord intombati in Campania, ha lanciato un allarme: «è in corso un attacco mediatico ai prodotti campani». In un’intervista al Corriere del Mezzogiorno ha spiegato che, dopo il traffico di fusti tossici dalle regioni del Nord a quelle del Sud e l’emergenza rifiuti, ora è il momento dell’attacco all’economia locale.
«C’è un quantitativo impressionante di video, prime pagine e articoli – racconta Ceglie – che presentano una situazione completamente inquinata. Ma lo fanno dando notizie confuse, opinabili, strumentali. La verità è che il problema non è assolutamente così grave come certi media lo vogliono far sembrare. Basterebbe la copertina dell’Espresso dal titolo Bevi Napoli e poi muori. Vogliono mettere al tappeto il Sud, colpire i suoi due asset strategici: turismo e agroalimentare. Vogliono distruggere la mozzarella e il pomodoro per guadagnare un 6 o 7% di quota di mercato. E attenti, ché l’operazione Pomì è solo la prima di una lunga serie che seguirà. I nemici del Sud stanno facendo propaganda, manipolando le coscienze e le emozioni alla ricerca di un tornaconto personale. Oggi vince chi la spara più grossa. Qui non abbiamo né la potenza di informazione né i mezzi dei nostri nemici. E non abbiamo neppure le loro banche. È per questo che, nonostante la soddisfazione per i controlli positivi sulla mozzarella, continuiamo a vivere l’emergenza dei prodotti comuni. I cittadini vogliono sapere. E l’unico modo per difendersi da quest’attacco è fornire loro informazioni. Il ministro della Salute, quello dell’Ambiente e il governatore della Campania si prendano due mesi, valutino tutto, esaminino i dati. Ma poi, per favore, ci facciano sapere. Solo così ne verremo fuori. L’alternativa è l’apocalisse».
Anche Antonio Lucisano, il direttore del Consorzio per la tutela della Mozzarella dop, forte dei risultati sulla sicurezza dei test in Germania, ha lanciato l’allarme: «A repentaglio il destino di migliaia di lavoratori di un settore, quello agricolo, fatto di eccellenze che tutto il mondo di invidia. I nostri prodotti sono sotto attacco perché gli interessi di altre realtà produttive non sono esattamente i nostri. Gli ettari di terreno interessati dal fenomeno della Terra dei Fuochi sono 840 a fronte di 500mila ettari di superficie agricola coltivata. Una percentuale molto piccola, inferiore all’1%.»