Napoletano coleroso, terremotato… e blatteroso

Napoletano coleroso, terremotato… e blatteroso

che malainformazione sarebbe senza Napoli?

Angelo Forgione – Nelle ultime settimane sono sempre in giro per la città, in strada. Quelle del centro, il lungomare “liberato”, il Vomero, Fuorigrotta e Bagnoli i quartieri più calpestati per seguire la questione delle trivellazioni. Sarò stato fortunato ma fin qui non ho incontrato una blatta. La cerco e non la trovo, che sfortuna! Mi sono persino seduto per un’ora a Via Toledo, sporchissima di sera, in attesa che ne passasse qualcuna ma invano. E allora, massima solidarietà a chi sta affrontando il problema perchè a chi tutto e a chi niente non mi sembra giusto. Però, diciamocelo, sarà pure problema da risolvere immediatamente in alcune zone della città che resta lontana dagli standard di pulizia che merita la sua importanza, ma l’emergenza è altra cosa e l’accanimento mediatico già denunciato ha già fatto i suoi danni. Napoli e le sue blatte rosse sono finite su Le Monde, su BBC News e non solo! Tutti parlano della vicenda, giornali e telegiornali internazionali indistintamente.
Oggi è sceso in campo il sindaco De Magistris, visibilmente infastidito dalla campagna mediatica nazionale e ora anche internazionale che si è montata sul caso. L’ha definita “inqualificabile e inaccettabile” e ha preannunciato azioni legali, spiegando il continuo accanimento così: «il riscatto di Napoli da fastidio, questo è un tema che inizia nel 1861 con l’unità d’Italia e i rapporti tra Nord e Sud del paese» (video in basso). Sarà la vicinanza dell’assessore allo Sviluppo Marco Esposito, saranno i “nostri” venti meridionalisti che spirano forte, sta di fatto che De Magistris ha rotto gli indugi e ha iniziato a parlare di stupro mediatico di stampo risorgimentale.
Tutto giusto, tutto perfetto, ma speriamo che il sindaco se ne ricordi sempre e non solo in occasioni come questa in cui c’è da difendere non Napoli ma la sua gestione. Cosa che non è avvenuta prima, neanche quando nel passato remoto e recente personaggi noti e meno noti hanno infangato la città e non la sua amministrazione.
La falsa emergenza blatte, ossia il problema, riporta alla mente le parole di un maestro di giornalismo, quel Paolo Mieli che in occasione del colera del 1973 in cui la città fu massacrata oltremisura era inviato de “L’Espresso” e capì a soli ventiquattro anni che il giornalismo nazionale stava approfittando di un’emergenza sanitaria a Napoli benchè dovuta a cause esterne e presente anche in altre città che non furono ritenute responsabili come Napoli, che non lo era. “Dal 1861 i problemi comuni a tante città diventano un flagello per Napoli”, dice Mieli con esperienza vissuta sul campo. Giusto, e come i napoletani sono diventati colerosi e terremotati potrebbero facilmente diventare anche blatterosi.

Napoli e Torino nel 1860 come Berlino e Atene oggi

Napoli e Torino nel 1860 come Berlino e Atene oggi

una ricerca paragona l’unificazione dell’Eurozona a quella italiana

Angelo Forgione per napoli.com Un’altra spallata alla retorica risorgimentale, l’ennesima. Sull’attualissimo tema della crisi del debito sovrano in cima all’agenda politica in Europa in quanto ostacolo all’unificazione politico-economica degli Stati membri, irrompe Stéphanie Collet, ricercatrice dell’Université Libre de Bruxelles, che ha pubblicato la ricerca Un’Italia unificata? – Il Debito Sovrano e lo scetticismo degli investitori riportata anche dal Sole 24 Ore in cui solleva la necessità di studiare il rischio attuale inquadrandolo in una prospettiva storica prendendo a modello per l’Europa il processo di unificazione italiano del 1861 e la conseguente unificazione monetaria tra il 1862 e il 1905.
Nel suo lavoro, la ricercatrice dimostra che la nascita dell’Italia generò un debito pubblico comune derivato dalla somma dei debiti sovrani dei sette Stati preunitari e verifica l’andamento dei rendimenti delle obbligazioni sovrane dei diversi Stati italiani sulle borse di Anversa, Parigi e Londra, prima e dopo l’unità, dove rimasero quotate fino al 1876 seppur risalenti a prima del 1861 (le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come “Italy-Neapolitan”) a testimonianza del fatto che il mercato finanziario dell’epoca non dava per assodata la sopravvivenza del “progetto Italia unita” dei piemontesi. Il presupposto fondamentale della ricerca è il forte indebitamento del Regno di Sardegna causato dalla natura bellico-militare del Piemonte e caratterizzato da tassi d’interesse elevati, a fronte del sistema economico virtuoso con ridottissimo debito del Regno delle Due Sicilie cui i Savoia fecero pagare il peso finanziario della conquista. Un’altra conferma del fatto che il catastrofico debito pubblico italiano sia stato creato dal Nord piemontese.

La Collet offre delle considerazioni sull’esempio italiano: «Come l’Italia di allora, l’Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati. Il Regno di Napoli economicamente era per l’Italia quello che oggi la Germania è per l’Eurozona. Come il Regno di Napoli prima dell’integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l’economia più forte dell’Eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto». Poi la considerazione che fa trasalire gli storiografi di sistema che, come al solito, giunge dall’estero, quindi neutrale e non di parte: «Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d’Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un’agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. In un certo senso, facendo un parallelo, Napoli e Torino erano la Berlino e la Atene dell’epoca e il debito napoletano fu quello che più fu penalizzato dall’unificazione dei debiti».
La ricerca della Collet è complementare ad un approfondimento dell’ex rettore dell’Università di Buckingham Martin Jacomb che sul Financial Times del Luglio 2011 evidenziò come la Grecia abbia subito un impoverimento permanente dopo l’adozione dell’euro analogo a quello che il meridione d’Italia subì dopo l’unità e la conseguente adozione della lira.
Esempi calzanti anche se conservano un distinguo essenziale. Gli interessi economici delle massonerie internazionali, nel caso italiano del 1860, si sposavano con quelli sociali e religiosi. All’Inghilterra anglicana, sovrana di quell’Europa, l’Italia unita era funzionale alla cancellazione del potere temporale del Papa e al potere economico-marittimo nel Mediterraneo del cattolico Borbone. Gli interessi erano molteplici mentre oggi tutto è “ridotto” a una questione monetaria. Inoltre il Piemonte invase il Regno delle Due Sicilie e lo costrinse con le armi a pagare il proprio debito pubblico mentre oggi la guerra monetaria europea non si combatte con le armi ma con i soldi, e appare davvero arduo che la solvibile Germania, vincitrice del conflitto economico contemporaneo, accetti di essere penalizzata dal pagamento del debito dei paesi europei poveri.
“Ccà nisciuno è fesso”, che proverbio bugiardo! Meglio “Ka nischün è fessen”.

Al museo di San Martino tornano i piemontesi

Al museo di San Martino tornano i piemontesi

una “inedita sfilata di soldatini”, ma stavolta non sparano

Bersaglieri, Carabinieri, Corazzieri, Artiglieri e Lancieri. Tutti corpi militari nati in Piemonte prima dell’unità d’Italia e oggi tra noi a testimoniare una piemontesizzazione dello stivale in epoca risorgimentale. Una “inedita sfilata di soldatini” ad essi dedicati sarà in mostra dal 5 Aprile nella Certosa e Museo di San Martino fino al 10 Settembre. Nel comunicato stampa si parla di Esercito italiano dal 1860-1870, ma era di fatto quello piemontese agli ordini di Vittorio Emanuele II che massacrò centinaia di migliaia di meridionali in tutto il Sud mettendo a ferro e fuoco interi paesi e boschi nella famosa guerra, tra soldati e civili, al cosiddetto “brigantaggio”. In poche parole, gli invasori senza dichiarazione di guerra di Napoli, capeggiati dal generale Enrico Cialdini che rase al suolo Gaeta continuando a bombardare nonostante la resa dei borbonici ed esercitò ferocemente il diritto di rappresaglia anche su donne, vecchi e bambini.
I napoletani avrebbero piuttosto bisogno di conoscere anche la storia degli sconfitti, magari con una mostra sull’esercito Napolitano, perchè anche così si celebrerebbe l’unità; e invece, a conclusione delle celebrazioni dei 150 anni d’unità d’Italia, tocca subire il ritorno a Napoli dei conquistatori, i vincitori, protagonisti di una delle pagine più tragiche della storia non solo italiana. Una mostra dedicata a quegli uomini che parlavano francese e che mantenevano per i capelli i cadaveri dei meridionali in difesa della loro terra prima fucilati e poi fotografati “ad perpetuam rei memoriam”.

Partecipazione e commozione a Gaeta

Partecipazione e commozione a Gaeta

Centinaia di persone hanno affollato l’hotel Serapo di Gaeta nello scorso week-end in occasione del XXI Convegno Nazionale della “Fedelissima città di Gaeta” che ha schiuso ottime prospettive al mondo meridionalista. Alla conferenza di Sabato arricchita dagli interventi di Lorenzo Del Boca e  Pino Aprile, con la musica identitaria di Mimmo Cavallo, ha fatto seguito la commemorazione di Domenica mattina alla Montagna Spaccata dei soldati caduti per la difesa del Regno: alzabandiera e lancio di una corona a mare da parte degli allievi della scuola militare de “La Nunziatella” alla presenza delle cariche cittadine.

si ringrazia Pupia news per i contributi video

Lorenzo Del Boca

Gennaro De Crescenzo

Pino Aprile

Sindaco Raimondi

Mimmo Cavallo

Alessandro Romano

Sevi Scafetta

La commemorazione sul Monte Orlando

Il Generale dei Briganti? Non tutto è da buttare.

“Il Generale dei Briganti”? Non tutto è da buttare.

Angelo Forgione – “Il Generale dei Briganti” è stato già ben commentato dall’amico Lorenzo Del Boca e valga per me quello che ha scritto sul suo blog, che condivido appieno. La produzione della Rai è uno sceneggiato romanzato, edulcorato con intrecci amorosi e qualche luogo comune di troppo, ma voglio trovarci qualcosa di positivo.
Gli sceneggiatori Rai hanno realizzato un’avvincente trama amorosa, e se avessero chiamato quei personaggi con altri nomi di fantasia avrebbero fatto completamente centro. È tutto grasso che cola perchè gli ascolti sono stati alti: 5.931.000 telespettatori (share 21,37%) per la prima parte e 6.498.000 per la seconda parte (share 21,94%) nonostante le partite concomitanti del Napoli e delle Roma sulle paytv. Magari una parte di questi sarà rimasta incuriosito dalle vicende unitarie e post-unitarie, e approfondirà.
La storia de “Il Generale dei Briganti” è lontana parente della realtà dei fatti accaduti, comprime il sentimento popolare del Sud (ancora vivo) vissuto durante l’invasione piemontese e umilia la figura coraggiosa della regina Maria Sofia. Non contempla quella del Generale Cialdini (gravissimo!) che perseguitò le popolazioni del Sud con poteri speciali conferitigli da Vittorio Emanuele II dopo aver raso al suolo Gaeta incurante della resa borbonica. Dimentica la figura del Generale Borjés con cui lo stesso Crocco avrebbe potuto forse scacciare i piemontesi, quindi dimenticando anche i veri errori del personaggio. E trasforma il dramma di una vera e propria pulizia etnica (circa un  milioni di morti meridionali stanno troppo stretti nella sola frase “ll’unità d’Italia l’avita fatta co’ ‘o sanghe nuosto”) in un intrigo amoroso. Ma almeno lo sceneggiato Rai un merito ce l’ha ed è quello di comunicare il tradimento pur senza ben spiegarlo: quello ai danni del protagonista; quello ai danni delle popolazioni del Sud; quello ai danni dei liberali che sognavano una Repubblica e si ritrovarono con una monarchia sostituita ad un’altra; quello ai danni di una delle monarchie per mano di un’altra cospiratrice e meschina che di quei tradimenti fu responsabile.
Voglio considerarlo però un punto di partenza non per la TV di Stato ma per i suoi telespettatori che magari da questa produzione arriveranno da soli a vedere
 “Li chiamarono briganti” di Squitieri (film intero sotto) che fece nel 1999 una brevissima apparizione nelle sale cinematografiche nonostante un cast di prim’ordine (Enrico Lo Verso, Claudia Cardinale, Giorgio Albertazzi, Franco Nero, Remo Girone, Carlo Croccolo, Lina Sastri). Quel film, pur nel suo scarso spessore recitativo, fotografa Crocco, Ninco Nanco e i briganti come partigiani dell’epoca per scelta mentre le truppe piemontesi come invasori; dipinge i connotati di Enrico Cialdini e racconta i fatti con forte carica emotiva; contestualizza tutto al periodo post-unitario; racconta la verità e per questo, dopo forti critiche, fu mandato repentinamente a “censura”. Perchè mai ora, in tempi di festeggiamenti appena conclusi, si sarebbe dovuto/potuto raccontare il brigantaggio per quello che è stato? E pensare che qualcuno da Casa Savoia ha avuto anche da ridire. Figurarsi cosa succederebbe se la verità fosse raccontata senza timori.
Carmine Crocco, come ha detto anche Michele Placido, era una personaggio complesso, certamente selvaggio e di indole aggressiva, ma le sue memorie (che custodisco nella mia biblioteca) dimostrano quanto fosse intelligente, istruito per la sua epoca, e ben conscio della realtà che lo circondava. Realtà che proprio quegli scritti sanno farci comprendere… meglio di tanti storici di professione.

http://altrorisorgimento.wordpress.com/2012/02/14/la-patacca-di-rai-uno-con-limprobabile-brigante/

Cazzullo tra limiti e contraddizioni

Cazzullo tra limiti e contraddizioni
a “Che tempo che fa” dell’8 Ottobre

Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore piemontese risorgimentalista, tra i più forti oppositori delle istanze revisioniste, nel corso di “Che tempo che fa” dello scorso 8 Ottobre, ha espresso due concetti da evidenziare.
Nel primo ha ammesso candidamente la maggiore difficoltà da parte dei piemontesi di farsi rapire dai profondi sentimenti che rendono più umani e vulnerabili, rispetto ai napoletani. Cosa riscontrabile nelle espressioni dialettali piemontesi che non contemplano l’espressione “ti amo”.
Nel secondo concetto, ha invece espresso freudianamente una visione degli avvenimenti storici della sua terra, la Langa, «dove nel ’45 si è molto sofferto, si è sparato, torturato, ucciso. Quelli che adesso si chiamano i vinti – ha detto Cazzullo – avevano il coltello dalla parte del manico e lo usarono; i vincitori venivano braccati, torturati, fucilati senza processo, appesi, esposti come trofei per terrorizzare la popolazione civile. E questo in Langa non lo si è dimenticato». Praticamente quello che le truppe piemontesi da lui tanto osannate fecero 85 anni prima ai meridionali.
E questo al Sud non lo si è dimenticato, caro Cazzullo.

Michael Ledeen: «tragicamente innamorato di Napoli»

Michael Ledeen: «tragicamente innamorato di Napoli»
«i piemontesi fecero i lager, l’unificazione un male per la città»

Angelo Forgione – Michael Ledeen è un giornalista e storico americano, grande appassionato di storia e cultura italiana. Ha scritto “Virgil’s Golden Egg and other Neapolitan Miracles” (vai a Google books), un libro che parla della leggenda di “Virgilio Mago”, andando alle fonti della creatività Napoletana di cui si dice profondamente innamorato con una decisa impronta revisionista riguardo le vicende unitarie. Ledeen, come Schifano e Gilmour, arricchisce quella schiera di intellettuali, non  a caso stranieri, che rinforzano senza veli e retorica la verità storica.
Lo scorso 29 Maggio ha rilasciato un’intervista per la testata “L’Occidentale” che propongo a seguito dell’attacco al poeta latino da parte dell’assessore al turismo del Comune di Mantova.
Di seguito i passaggi più importanti che riguardano la Napoli di oggi e il trattamento ad essa riservato nel processo risorgimentale.

“Virgilio Mago” veniva considerato il protettore della città. Secondo lei quant’è importante preservare miti e simboli della tradizione antica?
Quella classica e medievale è stata una cultura fondamentale. Lo è ancora, se c’interessa risalire alle origini della civiltà occidentale. A Napoli questa cultura si respira ovunque, nelle strade, nel tufo delle case, nei sotterranei della città. Sono affascinato da questi luoghi che ci riportano alla Magna Grecia, per non parlare del Golfo e delle isole, meta di tanti patrizi e imperatori romani.

Cosa vuol dimostrare con questo libro?
(…) Napoli è una città vivissima, stravivace, ferve di opere 24 ore su 24. Sembra di stare a New York, ha lo stesso ritmo. Goethe, Hans Christian Andersen, Mark Twain, sono solo alcuni dei grandi scrittori rimasti fulminati dalla sua musica, dal suo clamore e dai suoi rumori. Ne sono tragicamente innamorato.

E la Camorra? Secondo lei è un problema che si può risolvere?
Forse è impossibile. La creatività di cui parlo agisce nel bene e nel male. Napoli è tutto quello che ho appena descritto ma è anche la capitale di una delle mafie più terribili al mondo. Roberto Saviano ha scritto tanto, e tanto bene, su questo. Apprezzo il suo libro, Gomorra. Forse la Camorra potrebbe essere sconfitta solo ricorrendo all’uso della forza. Mussolini ci ha provato, ma oggi quei mezzi sarebbero inaccettabili. Gli italiani non sono disposti a disciplinare la città con l’esercito.

Ci provarono anche i Piemontesi centocinquant’anni fa. Esportavano la democrazia?
Non credo che si tratti di una mancanza di democrazia e poi, guardi, i Piemontesi a Napoli hanno governato male. Crearono dei campi di concentramento come abbiamo fatto noi americani in Germania e Giappone. Il vero problema è il malgoverno, sia della destra che della sinistra.

Cosa l’ha colpita di più dei napoletani?
Che a Napoli i morti sono iperattivi. Gli spettri frequentano le case dei vivi, aleggiano nei sogni e sulle scommesse del lotto. Sono partito da qui per studiare il ruolo della morte nella cultura occidentale: un secolo fa il sesso era un tabù e la morte qualcosa di normale. Ora le cose si sono rovesciate. La morte è diventata un tabù, il sesso sembra normale. Credo che andrebbe scritta una storia della morte nel mondo moderno. Fino a un secolo e mezzo fa i morti venivano esclusi dall’umano consesso, poi siamo riusciti lentamente ad assimilarli e includerli nei nostri riti sociali e nazionali. Su questi morti, le guerre, i sacrifici, anche in Italia si è creata un’identità comune. Ma i napoletani mi sembrano restii a concedere i loro morti all’Italia. L’unificazione non è stata un fatto positivo per Napoli.

David Gilmour: «L’Italia unita? Meglio con i Borbone»

«Ci sarebbero meno problemi. Al Sud Diritto superiore al Piemonte»

Angelo Forgione – Gli storici inglesi, si sa, sono profondi conoscitori della storia dell’unificazione italiana, di cui sono stati peraltro ispiratori, e osservano sempre con molto interesse ciò che accade nel nostro paese. Sanno probabilmente meglio degli italiani in genere quale sia la deriva dell’ideale unitario naufragato nei presupposti piemontesi, e la denunciano senza alcuna preclusione o timore che può invece avere un italiano quando si trova a dover rivedere la storia di sistema.
Dopo la cruda sentenza della rivista “The Economist” che lo scorso Luglio ha dedicato uno speciale al fallimento italiano sottolineando che alla grande monarchia borbonica è seguita poi una cricca politica inetta, una nuova voce revisionista arriva dalle librerie d’oltremanica, precisamente dal saggio di David Gilmour dal titolo “The Persuit of Italy” (La ricerca dell’Italia) in cui l’autore teorizza che con una nazione unita fondata su basi diverse, ossia su uno Stato federale basato sul sistema di regole borbonico, superiore a quello piemontese, ci sarebbero oggi meno problemi. Gilmour esprime la convinzione del fatto che i napoletani si sarebbero mostrati più leali nei confronti dell’Italia dopo il 1861.
Gli inglesi stanno dunque raccontando verità durante le nostre celebrazioni. I francesi pure (vedi Jean-Noël Schifano). L’unico italiano a farlo è Philippe Daverio che ha lanciato anche l’allarme “Save Italy“. Pardon, anche lui nato in Francia e naturalizzato italiano. Ci sarà un perchè!

Di seguito, l’articolo dedicato da “Il Venerdì” di Repubblica curato da Roberto Bertinetti. 

La provocazione nell’ultimo saggio dello storico inglese David Gilmour: “Il Diritto al Sud era superiore a quello piemontese. Peccato non sia nato uno Stato Federale. Forse ora ci sarebbero meno problemi” 

Da tempo l’Italia è oggetto delle indagini di David Gilmour, tra i migliori storici britannici che nel 1988 dedicò una biografia a Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il passato e il presente della penisola sono al centro di “The Pursuit of Italy” (La ricerca dell’Italia), saggio uscito a Londra per Allen Lane in cui si esaltano le differenze tra le diverse regioni.

“La cultura italiana è cresciuta nel corso dei secoli grazie alla rivalità tra comuni vicini” afferma deciso. E a sostegno della sua tesi cita il caso di Siena, “dove i governanti decisero di oscurare la gloria di Firenze costruendo la più grande cattedrale della cristianità e in virtù dell’obiettivo che si erano dati crearono le condizioni per uno sviluppo altrimenti impensabile”.

Quindi a suo avviso non è corretto parlare di comune identità italiana, almeno sotto il profilo culturale?

“Per fortuna non esiste niente del genere. Credo che la pluralità costituisca il punto di forza della cultura italiana. E’ evidente a tutti la distanza che separa sotto il profilo architettonico le chiese e i palazzi in stile romanico di Pisa o di Lucca dalle cattedrali di Bari e di Trani. E non si tratta certo dell’unico esempio. Nel Regno Unito ha purtroppo messo le radici la tendenza opposta: una cattedrale gotica nel Nord è identica a una del Sud. È un limite che non siamo riusciti a superare”.

L’assenza di un’unità culturale ha pesato in maniera negativa sulla nascita dello Stato Italiano?

“Sono certo che gli italiani dell’Ottocento volevano un paese unito ma su basi diverse. Il miglior modello di riferimento, secondo me, era quello federale messo a punto da Carlo Cattaneo, ovvero uno Stato capace di rispettare e di esaltare l’oggetività diversa delle popolazioni e la loro storia. Penso che i napoletani si sarebbero mostrati più leali nei confronti dell’Italia dopo il 1861, se fosse stato consentito loro di mantenere il sistema di regole messo a punto dai Borbone, decisamente superiore a quello dei piemontesi”.

Come giudica l’Italia di oggi?

“E’ senza dubbio un paese alle prese con grossi problemi. Tuttavia non vedo rischi d’una crisi irreversibile sotto il profilo della dinamicità culturale. Mi sembra piuttosto che la classe dirigente non sia all’altezza delle sfide da affrontare, delle emergenze che frenano il vostro sviluppo: un’eccessiva corruzione, il dilagare della criminalità e il dissesto del territorio causato da una colpevole assenza d’interventi a tutela dell’ambiente. Mi domando se uno Stato su base federale sarebbe migliore. Forse, ma non è assolutamente detto”.


 

dal Piemonte agli americani: «venite da noi, non andate a Napoli!»

Da Asti: «Americani, venite da noi, non a Napoli!»
un quotidiano online di Asti lancia lo sprezzante spot

ATnews.it è un piccolo quotidiano online della provincia di Asti dalle cui pagine è partito lo scorso mese uno stomachevole appello ai turisti americani: «Venite da noi, non andate a Napoli! C’è lo zabaione».
Un esempio di cattivo giornalismo connotato di razzismo e denigrazione che il codice deontologico della professione non prevede ma anzi condanna. «Cosa andate a fare a Napoli? Qui manca solo il mare, ma per il resto c’è proprio tutto. Nessuno farà caso all’orologio che portate e non ve lo ruberà – prosegue lo scritto – a costo di farvi fuori».
E vai con l’elenco dell’offerta astigiana fatta di colline, “accoglienza” e… aziende. Come se i turisti, da 300 anni, siano così folli da preferire il patrimonio paesaggistico, monumentale e gastronomico di quella gran Capitale di cultura che è Napoli alle aziende piemontesi. E infatti l’offerta, in quanto non convincente, termina con un consiglio di chi deve necessariamente infangare chi riesce ad attrarre nonostante i propri difetti: «Se proprio volete fare un giro a Napoli… togliete l’orologio!!».
Ma a conti fatti, perchè mai un turista americano dovrebbe preferire la sconosciuta Asti alla mondiale Napoli? Per lo zabaione! Si, proprio così… lo zabaione.
Individuare l’autore dell’articolo, inserito nella rubrica “eventi & turismo”, è tempo perso. Il buontempone di turno ha lanciato la pietra e ha nascosto la mano dietro lo pseudonimo “Bacco”. Ulteriore infrazione al codice deontologico.
Complimenti al direttore della testata che ha pubblicato un pezzo del genere, peraltro privo di firma. E complimenti, ancora una volta, ai piemontesi che per colpa dei ripetuti attacchi di simili personaggi fanno sempre la stessa brutta figura. E poi dicono che i “terroni” fanno le vittime.
I Napoletani saranno anche carichi di problemi da risolvere, ma quando ci saranno riusciti resteranno quelli più difficili da estirpare: il razzismo e la gelosia dei “fratelli d’Italia” verso quel territorio di conquista che furono le Due Sicilie.

clicca e leggi l’articolo su ATnews.it 

Per inviare protesta al direttore di ATnews:
direttore@atnews.it 

video: IL SUD CHIEDE IL GIORNO DELLA MEMORIA

videoclip: IL SUD CHIEDE IL GIORNO DELLA MEMORIA
festeggiamenti 150° dell’unità d’Italia,
Napolitano spreca occasione per vera unità!

Angelo Forgione – Il mio nuovo video di istruzione storica e denuncia scaturisce dall’attento monitoraggio da un anno a questa parte (ovvero da quando si sono aperte le celebrazioni dell’unità d’Italia) dell’atteggiamento del Presidente della Repubblica nei confronti di un sud, il suo sud, che non ha chiesto nient’altro che verità e memoria per i suoi morti, unica via per fare davvero un’Italia unita diversamente da quella che in realtà è. Tutto ciò che è gravitato attorno in questo periodo  fa giungere alla conclusione che l’occasione dei festeggiamenti è stata ampiamente sprecata e, a furia di affermare in ogni occasione il concetto di unità senza dargli anima e emotività, gli italiani escano ancor meno coscienti e più disorientati su cosa significhi davvero la nazione unita, come si sia realizzata, e quale sia la differenza tra la prima Italia monarchica e la seconda repubblicana.

1861-1871, l’eccidio del Sud: migliaia di morti al sud che rifiutarono l’invasione del Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II di Savoia per “piemontesizzare” l’Italia.
La nazione unita ha cancellato dalla storia quei morti e continua a cancellarne la memoria negandogli un minimo ricordo. Al contrario, le istituzioni festeggiano l’unità d’Italia celebrando i 150 anni dall’incoronazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia, quindi celebrando di fatto la monarchia sabauda e non la vera unità che venne più tardi, e rendendo onore all’aguzzino dei popoli del meridione alla cui tomba rende onore il Presidente della Repubblica Napolitano dopo aver puntato il dito contro quel sud che non dimentica. Un Presidente che sovrappone consapevolmente la celebrazione della monarchia con la festa della Repubblica.
Ecco perchè l’occasione delle celebrazioni dell’unità è stata sprecata, con una verità sotterrata che invece, se affermata, avrebbe rafforzato lo spirito unitario. E invece il tenerla nascosta significa continuare a imbavagliare e strozzare il grido del meridione cosciente; e questo ne alimenta la rabbia e il risentimento. Possibile che non lo si capisca?