La quarta edizione del Vittorio Veneto Film Festival, kermesse del cinema per ragazzi in programma dal 17 al 20 Aprile prossimi, sarà dedicata a Massimo Troisi. «L’omaggio a uno dei nostri più grandi attori – spiega il direttore Elisa Marchesini – è quello di far conoscere alle nuove generazioni la figura di un artista completo, capace di portare il cinema italiano a livelli mondiali. A sessant’anni dalla nascita, un festival come il nostro, che si rivolge ai giovani, non poteva esimersi da omaggiare un artista che ha saputo spaziare dalla recitazione alla regia, passando per la sceneggiatura».
Per l’occasione, sarà lanciato uno speciale gemellaggio con la Città di San Giorgio a Cremano e sarà allestita una mostra dal nome “Buon Compleanno Massimo”, nella quale saranno esposte video-installazioni e la famosa bicicletta utilizzata durante le riprese del film “Il Postino”, messa a disposizione dall’Amministrazione Comunale sangiorgese.
Intanto, Lunedì 25 marzo, alle 20.30, ci sarà una proiezione speciale di “Scusate il ritardo” al cinema Martos di via Chiaia, a 30 anni dalla prima uscita in sala del film.
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In ricordo del Maestro Murolo, a dieci anni dalla scomparsa
Angelo Forgione – Roberto Murolo ci manca (tanto) dal 13 Marzo 2003, quando la notizia della sua morte mi tenne incollato al televisore per tutta una notte di canzoni che la RAI propose per ricordarlo. Lo scorso anno, In occasione dei cento anni dalla sua nascita, il Comune di Napoli dedicò una lapide commemorativa all’esterno della sua dimora vomerese dove lo vedevo spesso affacciato alla finestra.
Oggi, a dieci anni da quel triste giorno, saluto il compleanno del Maestro con le parole scritte quella notte e pubblicate allora da Il Mattino.
(video da NapoliUrbanBlog)
Plebiscito occupato… dal degrado. Tutti in piazza!
Angelo Forgione – “Il Mattino” di oggi, 22 Gennaio ’13, torna sullo sfascio del colonnato di Piazza del Plebiscito. Ennesimo grido di dolore, sollecitato per la verità dall’amico Francesco Emilio Borrelli, commissario regionale dei Verdi Ecologisti, col quale ci ritroveremo sul posto Sabato 26 alle ore 11 per affrontare la vicenda della libreria Treves in funzione di tutto il recupero dello slargo. In quell’occasione si terrà un’assemblea-dibattito con vari protagonisti del mondo culturale e della società civile in difesa della storica libreria, con l’obiettivo di richiamare con forza l’attenzione delle istituzioni sulle gravi difficoltà in cui versano la maggior parte delle realtà culturali napoletane. È auspicabile che partecipino tutti i cittadini sensibili alle problematiche specifiche della piazza e dell’intera città in generale. Perchè il lamento non basta più!
Radio Marte, nello spazio delle “news regionali” di Peppe Varriale, inserito nel pragramma “La Radiazza” di Gianni Simioli, ha voluto ospitare il mio parere sulla triste vicenda. E nel frattempo, è previsto per domani un mio incontro con Maarten van Aalderen, corrispondente da Roma del principale quotidiano olandese “De Telegraaf”, che sarà a Napoli per raccogliere l’allarme lanciato da alcuni comitati civici, V.A.N.T.O. e Portosalvo in testa, e realizzare un reportage sulle gravi condizioni del centro storico.
Napoli scaccia i Maya. Quando i sabaudi?
Angelo Forgione – I sacrosanti strali di Jean-Noël Schifano contro il busto di Cialdini alla presentazione del “Corno Show” (guarda il video) sono da benedire perché aprono un prezioso dibattito identitario e non revanscista nelle sedi istituzionali. “Il Mattino” di oggi commenta con un articolo di Enrica Procaccini la sua scritta “Che crepi Cialdini il cialtrone” apposta col pennarello argento sul corno di Lello Esposito. E si legge così: “Ma con Maddaloni, Schifano sfonda una porta aperta. «Fosse per me – spiega Maddaloni – avrei già incappucciato anche chi nel nostro salone sta a fianco di Cialdini» (Cavour, n.d.r.) perché sono figure che con il popolo napoletano hanno ben poco a che fare».
Il presidente della Camera di Commercio sarà pure d’accordo con Schifano e con coloro che la storia la conoscono, ma anche lui dimostra con quel “fosse per me” che la porta è tutt’altro che aperta. Anzi, è sbarrata a 152 mandate perchè se non può rimuovere Cialdini vuol dire che qualcuno quella porta l’ha blindata anni fa e qualcun altro oggi la sorveglia evitando che venga sfondata.
Il busto di Cialdini all’interno del palazzo della borsa di Napoli (clicca sulla foto per ingrandire) parla da sè con la sua espressione sprezzante e autoritaria. Ma se qualcuno non si spaventa a vederlo forse può trasalire pensando ai circa 9.000 fucilati (anche esponenti del clero), ai circa 10.000 feriti, ai circa 7.000 prigionieri, alle circa 1.000 case incendiate, alle circa 3.000 famiglie violate, ai circa 14.000 deportati in Piemonte, ai 6 paesi interamente messi a ferro e fuoco, ai circa 1.400 comuni assediati, alle circa 160.000 bombe scaricate su Gaeta che fecero circa 5.000 vittime tra napoletani (in grande maggioranza) colpiti anche da tifo e piemontesi, alle chiese e le regge saccheggiate. Tutto sommato basta per descrivere il generale vanaglorioso e spietato che “liberò” Napoli e il Sud per conto di Vittorio Emanuele II. A proposito, il monumento equestre al re è proprio fuori il palazzo camerale, al centro della nuova piazza, e qualcuno ne ha già imbrattato il basamento posteriore con la scritta “Sud libero”.
Vuoi vedere che invece di scacciare la fine del mondo dei Maya è iniziata l’epurazione dei falsi eroi risorgimentali? Chissà cosa è più probabile.
Splendida stazione Toledo, il più bel metrò d’Europa dove l’inglese è un optional !
struttura invidiabile, ma i turisti stranieri non possono “capirla”
Angelo Forgione per napoli.com – La nuova fermata Toledo della Linea 1 Metropolitana inaugurata il 17 Novembre entra nel circuito delle Stazioni dell’Arte ed è già considerata la più bella d’Europa dalla testata britannica “The Thelegraph”. Firmata dall’architetto catalano Oscar Tusquets, si ispira ai temi della luce e del mare, realizzando giochi cromatici che vanno dai colori del tufo giallo napoletano al blu delle profondità del mare. All’interno della stazione sono presenti le installazioni di William Kentrige, i pannelli di Bob Wilson, i reperti del Paleolitico e i resti delle mura di epoca aragonese riemersi durante i lavori di scavo.
Insomma, un vero vanto per la città. Ma una pecca c’è: la mancanza di pannelli informativi in inglese. La descrizione storica dei luoghi, dell’intervento e dello scavo è esclusivamente in lingua italiana (vedi foto).
La mancanza di vocazione internazionale e la disattenzione per il turista straniero continuano ad essere i punti deboli della proposta turistica di una città tra le più europee di tutte per storia ma troppo spesso provinciale nel modo di offrirsi.
Per una visita guidata gratuita clicca qui.
Napoli prima nella classifica della “qualità della morte”
le statistiche 2012 de “Il Sole 24 Ore” veritiere sui servizi ma non sull’esistenza
Angelo Forgione per napoli.com – Ci risiamo! Anche quest’anno la rituale classifica della qualità della vita stilata da “Il Sole 24 Ore” vede Napoli in fondo, penultima per la precisione, meglio della sola Taranto. Già lo scorso anno affrontai la questione partendo dal presupposto che a Napoli i servizi sono scarsissimi e che sono davvero poche le cose che funzionano. Come si fa ad assolvere una città in cui il lavoro è una conquista e non un diritto, dove il verde e gli spazi pubblici sono pressoché inesistenti e dove l’ordine pubblico non è assicurato?
Ma queste graduatorie vanno prese per quelle che sono e non per quelle che vogliono essere. La classifica in oggetto non dovrebbe chiamarsi “della qualità della vita” ma “della qualità dei servizi”, che è cosa ben diversa. E per smontarne l’accezione assegnata che tende a proiettare del Nord un’immagine di serenità e del Sud di estremo disagio esistenziale basta tener conto della classifica della “qualità della morte”, quella che dice che i suicidi in Italia sono maggiori al Nord-est e al Nord-ovest, in media al centro e nelle isole e nettamente sotto la media al Meridione. Sono statistiche tratte dal sito dell’ISTAT e dalle quali si evince che la Campania è la regione meno colpita da questa specifica mortalità così come dagli stati d’ansia, seguita da altre del Mezzogiorno ben distanti dai valori critici della Liguria e di altre settentrionali. Le città del Sud hanno i più bassi coefficienti per 100.000 abitanti, Lecce, Messina e Napoli in testa con tutti i loro problemi, mentre schizzano a livelli veramente allarmanti centri come Vercelli, Asti e Cuneo, posti dove paradossalmente la “qualità della vita” è buona quando non ottima. Napoletani e meridionali masochisti? Ma no. Semmai consapevoli del loro handicap civile, del loro disagio sociale e della loro sofferenza. E la sofferenza è vita più che morte, nel senso che se si è allenati alle difficoltà le si affrontano con più preparazione. Tradotto in soldoni, se un meridionale non trova lavoro sa che deve emigrare e arrangiarsi.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) monitora costantemente questi dati perché la prevenzione del suicidio è una delle priorità di sanità pubblica da perseguire, e mette a confronto i vari paesi OCSE. Ne viene fuori che l’area del Mediterraneo compresa tra Portogallo, Spagna, Italia (più Sud che Nord) e Grecia ha tassi di suicidio nettamente inferiori a paesi come Germania, Austria, Finlandia, Islanda, Irlanda, Estonia, Ungheria e Slovenia. Inferiori persino alle decantatissime Australia e Canada che sono notoriamente i paesi in cui la “qualità della vità” raggiunge i più alti livelli. Per non parlare poi di Stati Uniti e, soprattutto, Giappone.
E allora, vogliamo continuare a dare ascolto al “Sole 24 Ore”? Si, se prendiamo quelle statistiche per fotografia dei servizi. Perché tali sono, altrimenti ci metterebbero la classifica della concentrazione di monumenti, della qualità e della varietà del cibo e tutto quanto attiene alla cultura dei luoghi. A proposito, nello scorporo dei coefficienti che le compongono, è il caso di sottolineare che nella specifica classifica dell’ordine pubblico Napoli si attesta al posto 90. Male, certo, ma meglio di Prato, Milano, Roma, Torino, Pisa, Novara, Forlì Cesena, Bologna, Brescia, Bergamo, Rimini, Pescara, Imperia, Foggia, Sassari e la peggiore Latina. Fate un po’ voi.
Alex Zanardi: «Ho imparato a Napoli la civiltà del sorriso»
Alex Zanardi, 46enne bolognese (come Lucio Dalla), ex-pilota di Formula 1 e Indycar e campione paralimpico di Handbike, ha dichiarato tutto lo stupore suscitato da Napoli in occasione della presentazione della partenza del Giro d’Italia 2013. Ecco i passaggi salienti dell’intervista rilasciata al quotidiano “Il Mattino”.
Un’emozione ancora, per lei, Zanardi, ieri mattina, a Napoli…
«Vi dico subito, un’emozione grandissima e vi spiego il perché. Voi non ci crederete, ma io non ero mai venuto, nella mia vita, a Napoli. Ho girato il mondo, di pista in pista e corsa in corsa, ma Napoli mi mancava. Succede di non conoscere il meglio, giusto? Ieri, è stata per me e mia moglie Daniela, la prima volta. Ed è stata una scoperta, una commozione indicibile».
Lo spettacolo naturale, fra l’altro, in una giornata di sole incredibile.
«Ma no, non solo questo, che è importante certo con lo scenario del golfo e del Vesuvio, e però in fondo secondario. Io ho imparato a Napoli la civiltà del sorriso, incredibile. Ieri, dovunque, sui visi della gente ho visto dipinto il sorriso. La gente che attraversava in un punto sbagliato e ti chiedeva scusa con un sorriso. Nei bar, dinanzi al piatto di spaghetti preparato, le persone che sfioravi, tutte indossavano un sorriso, non sai se di gentilezza o già di amicizia. Sì, mi sbaglierò forse, però di vita e gente ne ho viste, lo sapete, ma a Napoli ho ritrovato dominante la cultura del sorriso».
Forse è solo lei, Zanardi, che ha un gran cuore.
«No, è che ieri a Napoli e fra le biciclette ho compreso un’altra volta che in auto correvo da solo, forse solo accompagnato dall’attenzione del mio team e dalla apprensione dei miei cari. E in handbike, invece, ho davvero mezz’Italia che mi accompagna».
Lei ha vinto l’oro olimpico, ha vinto la Maratona di New York, ma forse l’Italia intera la ama appunto per la profonda sensibilità verso gli altri, non crede?
«Ma vincere credete che sia davvero così importante, che cambi la vita? È fondamentale regalare un aiuto, una speranza alle persone. ”Inspire a generation”, come dice il nostro movimento, questo sì. Regalare un sorriso, come fa questa città».
Napoli, ieri, per la prima volta. E domani?
«Guardi, io mi auguro davvero, con il sindaco De Magistris, Gianni Bugno e gli amici della Gazzetta, di essere a Napoli anche alla partenza vera del Giro, a maggio dell’anno prossimo. Anzi, ve lo richiedo quasi. Le emozioni che lasciano senza fiato, come quelle di via Caracciolo, ieri, vanno raddoppiate. Arricchiscono infinitamente».
Nino D’Angelo e la storia di Napoli, da ignorante a consapevole!
“La Juventus non può non essere odiata dai napoletani, è questione storica”.
Storia di un percorso di conoscenza, vittoria della diffusione culturale vigile
Angelo Forgione – E alla fine Nino D’Angelo studiò e divenne consapevole della storia di Napoli! E la cosa felicita perchè dimostra quanto sia efficace il lavoro di chi non accetta le falsità storiche e cerca di riattivare un senso di orgoglio in un popolo che è l’unico artefice del cambiamento o dell’immobilismo.
Nino D’Angelo è tornato a parlare attraverso le pagine de “Il Mattino” e ha spiegato perchè, secondo lui, i tifosi napoletani detestano la Juventus. Alla domanda “Perchè la Juve è antipatica ai tifosi del Napoli?”, il cantante ha così risposto: “Un vero sostenitore azzurro non può non odiarla, sportivamente. Fa parte del nostro dna, forse dipende anche dai retaggi derivanti dalla storia, con i piemontesi che vennero a saccheggiare il Sud”.
Dichiarazione frutto di una conoscenza da poco approfondita e sollecitata da tutti noi divulgatori delle verità storiche. Tutto comincia nel Febbraio di due anni fa, quando D’Angelo partecipa a Sanremo e sempre a “Il Mattino”, alla vigilia della kermesse, rilascia un’intervista-denuncia sulla condizione sociale di Napoli e del Sud che il quotidiano titola “D’Angelo, la camorra e i sottotitoli”. Tanti i temi toccati dibattendo il testo della sua canzone “Jammo jà”, compresa la questione meridionale, e D’Angelo scivola così: «Quella cartolina (Napoli) l’abbiamo inventata noi, a partire dalle canzoni. Le bandiere bianche, la resa evocata nei versi, sono colpa nostra quanto degli altri. Della destra come della sinistra. Di chi ci tratta con razzismo e di chi ha fatto tanto perché questo accadesse. Dei Borbone come dei Savoia». Insomma, chi aveva avviato un progresso di Napoli accomunato nelle colpe a chi gliel’aveva rubato. Tante le proteste dal fronte meridionalista, da diversi movimenti e associazioni, compresa quella di chi scrive: “Mi rammarico del fatto che siano stati accomunati i Borbone di Napoli ai Savoia, quest’ultimi capaci di invadere una terra ricca di monete d’oro e risorse per renderla schiava, costringendo i meridionali ad emigrare e facendo si che la camorra proliferasse. Esprimersi senza conoscenza delle vicende storiche rischia di far ancora più male alla città e fare il gioco di chi, 150 anni fa, ci ha rubato tutto”.
Nino D’Angelo fu cortese a rispondere, ammettendo la sua falla: “Non volevo dare giudizi, né prendere posizione, perchè la mia “ignoranza in materia” non me lo permette, quindi lascio a Voi, che conoscete bene la storia, la riflessione su chi abbia fatto più o meno meglio per il nostro amato Meridione. Credetemi, Nino D’Angelo è e resterà sempre uno del popolo, un “suddito”, a cui non piacciono a priori i Re….”.
Gli fu precisato che non si trattava di amare la monarchia ma di rispettare la storia di Napoli, ieri come oggi; che si trattava di guardarsi dal pericolo di vedere la sua pur bella canzone meridionalista sacrificata al cospetto di una canzone di chiaro stampo “fintopatriottico” di Emanuele Filiberto di Savoia (Italia amore mio) che faceva molto comodo alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Ci mise poco l’artista napoletano a scontrarsi con la realtà. Lui e Maria Nazionale eliminati al festival, il principe promosso fino alla finale. Ci mise poco anche a scoprire la verità e dopo soli pochi giorni, in una nuova intervista a “Il Mattino”, si scagliò contro Emanuele Filiberto e la sua canzone definita “molto più che una chiavica” che era arrivata fino in fondo. Eloquente lo sfogo: “È un altro schiaffo dei Savoia a Napoli. Mi sento un Masaniello bastonato. In questi giorni ho studiato, mi sono documentato, ora so meglio quello che hanno combinato a Napoli e all’Italia. Ma, a parte il fatto che uno venuto dal popolo come me non ha simpatia per nessun re, il problema è musicale. Ed è grave”.
A distanza di due anni arrivò Aldo Cazzullo a sondare l’identità meridionalista napoletana per il Corriere.it e nel suo reportage fu tirato in mezzo anche Nino D’Angelo che raccontò la sua conoscenza con il mondo meridionalista dichiarandosi ignorante in storia del Risorgimento e fecendo riferimento all’episodio sanremese che lo aveva visto oggetto di un “richiamo generale” per alcune affermazioni superficiali (guarda a -02:16). Ma nelle sue parole ancora un po’ di timidezza mista ad una ritrovata consapevolezza, con molta cautela nel parlare di monarchia. Oggi Nino D’Angelo spiega il motivo per cui i tifosi napoletani diventano sempre più insofferenti alla Juventus, e in chiave contemporanea ci prende in parte. Finalmente parlando di dinamiche di popolo, a prescindere dai re. “I piemontesi che vennero a saccheggiare il Sud”, prima non sapeva, ora sa. Se non è maturazione culturale questa?!
Caruso e quei fischi al “San Carlo” mai ricevuti
Angelo Forgione – Portò la musica napoletana in giro per il mondo, decretandone il successo. Fu un pioniere dell’industria discografica, superando per primo al mondo la soglia del milione di dischi venduti. Si tratta di Enrico Caruso, il più grande tenore del Novecento, figlio illustre di Napoli. Eppur si narra che proprio la sua Napoli sia stata inclemente con lui, riservandogli fischi al San Carlo quando aveva soli 28 anni e spingendolo a non tornarvi più a cantare. Andò davvero così?
All’Emeroteca Tucci di Napoli sono conservate le cronache del 31 Dicembre 1901 e del 5 Gennaio 1902 tratte da Il Pungolo, il quotidiano che monitorava attentamente la vita teatrale della città, in cui si legge dell’emozione che irretì il tenore al principio della sua performance al San Carlo, rotta dagli applausi sempre crescenti.
Il giovane ed evidentemente ancora ingenuo Enrico non aveva reso omaggio ai loggionisti in prima fila che decretavano promozione e bocciatura degli artisti, i quali silenziarono i fragorosi applausi in piccionaia quando il sipario si aprì. Il tenore s’innervosì e la sua voce restò inizialmente ingabbiata. Dalle cronache non risulta però che qualcuno si sia permesso di fischiare, quella sera, e anzi gli applausi montarono fino alla richiesta del bis.
Il giorno seguente, Caruso non gradì quanto scritto su Il Pungolo dal barone Saverio Procida, rispettato e temuto critico dell’epoca che lo giudicò con competenza, rimproverandogli la scelta di un repertorio al di sotto delle sue possibilità e l’incertezza con cui aveva affrontato “L’elisir d’amore” di Donizetti, opera adatta a un tenore di grazia:
“1 gennaio 1902: Diciamo la verità serena se non vogliamo togliere serietà al successo finale d’iersera. Tanto più che questa verità ridonda a beneficio dello stesso Caruso. Il giovane e fortunato Divo mi parve ieri sera, nel primo atto, atterrito dalla sua stessa fama, se ne risentì persino il buon metallo della sua voce; (…). Più tardi, gli applausi amabili rinfrancarono l’artista e noi potemmo, dopo che venne richiesto il bis del duetto finale del primo atto, e dopo che il cordiale saluto al proscenio rassicurò il tenore sulle intenzioni favorevolissime del pubblico, giudicarlo equamente. Ecco la mia impressione schiettissima: il Caruso ha una voce di valido timbro baritonale, di bel volume eguale, abbastanza estesa, gagliarda in certi suoni che costituiscono il segreto del suo successo teatrale, con note di una potenza rara. Ma pari alle qualità naturali di un organo privilegiato, a me non risulta il possesso di una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni e renda più pastosa la voce, più eguale la successione dei suoni, più elastiche le agilità d’un canto leggero e fiorito come quello dell’Elisir, più impeccabili i passaggi, più precisa l’intonazione, che ieri, e mi auguro per la commozione del debutto, fu talvolta incerta: insomma, io non scorgo ancora nel Caruso l’artista che stia all’altezza cui lo colloca la fama e lo destinerebbe un organo singolarmente dotato. E c’è di più. lo non so perché il Caruso si ostini a cantare la musica di mezzo carattere come l’Elisir. So bene: alla Scala di Milano ebbe un successo strepitoso proprio in quest’opera frivola e leggiadra del sommo bergamasco. E che conta? Un artista deve studiare le proprie facoltà e non esaltarsi a un giudizio, mettiamo errato, di pubblico. Ora il Caruso dà colore e fiamma alla sua voce, non ancora levigata e domata, con un accento profondo, impetuoso di una stupenda passionalità. Accento che ieri sera gli valse un gran successo soltanto in fondo all’opera, dopo cioè la celeberrima “Furtiva lagrima” bissata da Caruso a furor di popolo. E con qualità così passionali, elementi di un temperamento drammatico così esplicito, egli s’illude di poter coltivare anche un tipo di musica che richiede una disciplina paziente, quasi glaciale, inesorabile della sua voce? (…) Occorrerebbe possedere la magistralità di uno Stagno, avere avvezzata la propria gola a tale elasticità, averla resa così duttile da non temere le insidie del doppio repertorio. Ma il Caruso, non si dolga della mia franchezza affettuosa, è ben lontano da quest’arte prodigiosa che ci dette i Duprez e i Tiberini e i Gayarre e gli Stagno e, per ora, deve optare per uno dei due generi. lo non gli consiglio certo il virtuosismo. Mi pare che lo stile adatto gli manchi, che non senta più quel modo di fraseggiare, tanto che a volte Nemorino ha il gesto, il fragore vocale e l’accento eroico di Raul o di Enzo Grimaldo. lo credo che il Caruso debba fissarsi in un genere drammatico che, senza levarsi all’eroico, spazi fra l’ardore della passione moderna. Accento caldo, vibrazione intensa, suono poderoso, costituiscono il bel patrimonio della sua voce, e ieri, nella romanza, l’accento di dolore fu così caldo, così schietto e l’innestò in certi ardui passaggi così bene, che non fece più dubitare della meta cui deve tendere il Caruso”.
Meglio ancora pare sia andata alle repliche: «Ieri sera Caruso cantò meravigliosamente quella patetica melodia. La progressione di voce onde compie il passaggio dalla prima alla seconda parte della romanza è davvero degna di un grande cantante, di un grande artista. Il pubblico ne restò entusiasta».
Fu questa competente critica, prodotta del severo ma non prevenuto Procida, a infastidire fortemente un Caruso fiero dei suoi recenti successi alla Scala di Milano, cui il critico napoletano rimproverò la scelta di un repertorio al di sotto delle sue possibilità. Il tenore, risentito anche per la spocchia dei nobiluomini in teatro, giurò in seguito che sarebbe tornato a Napoli soltanto per mangiare spaghetti. Fu di parola e non cantò più al San Carlo, ma in realtà non più in Italia perché andò incontro al suo straordinario successo negli Stati Uniti, dove la sua incredibile carriera si concretizzò proprio abbracciando il genere che il Procida gli aveva suggerito.
Vent’anni più tardi fu sempre il Procida a scrivere un’epigrafe per l’appena defunto Caruso su Il Mattino, sottolineando il ruolo avuto nella più spinosa vicenda artistica del tenore:
“Dotato di una voce di stupenda robustezza (e per averne tecnicamente fissato il carattere, vent’anni fa, il grande artista mi votò un inestinguibile rancore, fino a non voler più cantare in Napoli e a non voler comprendere che nel mio rilievo c’era il maggiore elogio alla intensità della sua espressione drammatica), guidato da un sentimento che amplificava sempre il contenuto lirico del personaggio, sicuro dell’elasticità incomparabile dei suoni, che vibravano nella gola, perché erano temprati sulla sensibilità quasi morbosa del suo temperamento artistico, scevro di pregiudizi stilistici, che non arrestavano mai la fiamma di cui il napoletano autentico a dispetto della vernice transatlantica aspersa più sulle sue scarpe che sulla sua fantasia bruciava, tutto istinto e intuito, tutto estemporaneità di senzazione, il tenore che non ebbe emuli nel suo tempo e potè per antonomasia accettare per lui soltanto la lettera maiuscola della chiave in cui cantò, fu il prototipo del tenore moderno. Egli incarnò il realismo musicale, fu il vocabolario della nuova lingua».
Caruso tornò a Napoli per l’ultima volta nell’estate del 1921, non per mangiare spaghetti ma per morire e per esservi seppellito, portando con sé il suo mito e quello dei fischi al San Carlo mai davvero ricevuti.

“Tutti Pazzi per il Calcio”, parte il nuovo show del Martedì
I campionati di calcio di Serie A, Serie B e Lega Pro da Martedì 18 settembre 2012, saranno raccontati dalla conduttrice televisiva Virginia Casillo e dal suo staff di giornalisti ed esperti di calcio sui tre canali della piattaforma TELE A (Sky 901) con professionalità, leggerezza ed eleganza. Virginia sarà affiancata da un parterre degno di nota: l’ex portiere del Napoli Gennaro Iezzo, il caporedattore di Resport e capo dei servizi sportivi del quotidiano “Metropolis” Gigi Capasso, il Direttore di TuttoNapoli Francesco Molaro, il giornalista meridionalista Angelo Forgione, i giornalisti Giuseppe Libertino (Azzurrissimo.it), Alberto Cuomo (esperto di Serie B e Lega Pro) e Pietro Magri (direttore Dubito.it).
Non solo calcio, in programma anche momenti di intrattenimento con musicisti, attori e soubrette per 110 minuti di passione calcistica e divertimento ogni Martedì in diretta locale e nazionale. Faranno parte della squadra di “Tutti pazzi per il calcio” anche la cantante Simona Coppola, il musicista show-man Massimo Cannizzaro, Aniello Misto e la Sud Band, l’attore Davide Marotta ed il corpo di ballo “Totò e le Pazzarelle”.
email: tuttipazzitelea@libero.it
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