Dal Sole a San Paolo fino a Maradona

Angelo Forgione Domenica 6 dicembre saranno trascorsi esattamente 61 anni dall’inaugurazione dello stadio di Fuorigrotta, in occasione di uno storico Napoli-Juventus (2-1). Era stato chiamato “Stadio del Sole”, ma proprio nella primavera del ’61, in occasione del diciannovesimo centenario dell’approdo a Puteoli, attuale Pozzuoli, di san Paolo di Tarso nel suo viaggio da Oriente verso Roma, fu firmata la delibera dell’intitolazione all’apostolo che aveva percorso la via che dalla zona flegrea portava alla Città Eterna, compiendo i suoi passi nelle vicinanze del luogo dove era stato costruito lo stadio, ovvero l’attuale via Terracina, in cui ancora oggi sono visibili dei significativi scavi archeologici. A san Paolo sarebbero stati poi dedicati nelle vicinanze anche un parco residenziale e l’ospedale.

Il numero 61 ricorre continuamente in questa storia. Anno 61, anno 1961, i 61 anni dello stadio e pure il 61esimo anno di vita appena iniziato in cui è spirato Maradona, cui venerdì sarà ufficialmente intitolato lo stadio dalla Giunta Comunale e dal sindaco De Magistris. Un atto doveroso perché in quello stadio sono state scritte pagine importantissime della storia del calciatore più grande di sempre fattosi mito con la sua scomparsa.

Don Tonino Palmese, docente di Teologia e di Pedagogia, chiede al Prefetto di Napoli di conservare la vecchia denominazione dello stadio e sposarla alla nuova (“San Paolo – Maradona”), mentre la diocesi di Pozzuoli, competente per il quartiere di Fuorigrotta, ha invece già “abdicato”:

La memoria di un popolo, il nostro, aperto per sua natura alla cultura dell’incontro, si è mantenuta viva per molto tempo prima che lo stadio venisse costruito, e si manterrà viva ancora dopo. È nel cuore, nella coscienza, di ogni abitante di questa terra che essa vive. Ci sembra invece che intitolare lo stadio a Diego Armando Maradona possa oggi essere un segno di richiamo ai valori fondanti lo sport, facendo riferimento a uno dei suoi più grandi rappresentanti, e a una passione che dall’ambito puramente sportivo deve diffondersi in tutto il tessuto sociale, politico, economico della nostra terra flegrea, con particolare attenzione ai più bisognosi secondo quella generosità che fu anche del giocatore argentino.Ben venga, dunque, l’intitolazione a Diego Armando Maradona del principale impianto sportivo della nostra città, se questo aiuterà la crescita umana e sociale della nostra terra purché non si perda la memoria delle nostre radici e ci siano iniziative culturali significative che mettano in evidenza i fondamenti greco-romani e cristiani della storia del nostro territorio. Senza radici profonde dove andiamo?”

San Paolo portò l’evangelizzazione in Occidente e dalle sponde flegree iniziò la sua diffusione. Il problema, dunque, è studiarla la storia, e chissà quante persone, fino ad oggi, abbiano approfondito il perché lo stadio di Fuorigrotta fosse stato intitolato a san Paolo.

Ne abbiamo chiacchierato a La Radiazza di Gianni Simioli (Radio Marte) con monsignor Gennaro Matino, docente di Teologia pastorale e scrittore.

Addio a Giuseppe Galasso, grande storico ma non acuto meridionalista

Scompare Giuseppe Galasso. Napoli e l’Italia perdono un grande storico, figura d’alto profilo del mondo intellettuale nazionale. Tuttavia, della sua lezione non tutto è da promuovere. La sua visione della Questione meridionale, poco moderna, soffriva di una visione liberale di retaggio risorgimentale. Del resto, da Presidente della Società di Storia Patria, non poteva che essere uno schierato risorgimentalista.

Il ricordo a La Radiazza (Radio Marte).

 

Trivellazioni ai Campi Flegrei, riaperto il confronto

Torna d’attualità un delicatissimo argomento di cui il Movimento V.A.N.T.O. si è occupato tre anni fa, ovvero le trivellazioni nei Campi Flegrei, finalizzate alla realizzazione di un impianto pilota di sfruttamento di energia geotermica nella zona di via Pisciarelli ad Agnano. Si tratta del cuore della caldera flegrea, un supervulcano quiescente ma attivo, tra quelli a più alto rischio al mondo, anche più pericoloso e distruttivo del Vesuvio (con cui condivide la stessa camera magmatica), a causa del suo stile eruttivo che comporterebbe una imponente portata di magma, materiale vulcanico e gas. Un’eruzione dei Campi Flegrei basterebbe a distruggere il territorio tra Pozzuoli e Napoli e provocherebbe un danno ambientale in tutt’Europa (clicca qui per vedere una simulazione).
Intanto, il 23 dicembre 2014, una delibera del Dipartimento di Protezione Civile ha approvato la proposta della nuova “Zona Rossa”, cioè l’area ad elevata probabilità di invasione di flussi piroclastici da sottoporre ad immediata evacuazione in caso di una ripresa dell’attiviità eruttiva, estesa a Bacoli, Giugliano, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Marano e le municipalità di Soccavo-Pianura, Bagnoli-Fuorigrotta, Vomero-Arenella e Chiaia-Posillipo. Per questi comuni, Napoli compreso quindi, è necessario elaborare i necessari piani emergenza, che il professor Giuseppe Mastolorenzo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sollecita da diversi anni (in basso l’intervista di Angelo Forgione del luglio 2012), trattandosi di una zona ad altissima densità popolativa.
Ciò che è mancata sin qui è stata l’informazione al cittadino, sostanzialmente ignaro non solo delle problematiche di un’eventuale azione umana nel sottosuolo vulcanico dei Campi Flegrei ma addirittura dell’esistenza del progetto in cantiere. Il geologo Franco Ortolani ha chiesto garanzie di sicurezza e ha denuncia un conflitto di interesse tra controllori e controllati intorno ai progetti commerciali, negato però dal direttore dell’Osservatorio Vesuviano Giuseppe De Natale, che ha precisato che non tocca all’Istituto informare la collettività. Gli interessi sono però stati denunciati da Pino Mosca, attivista del Movimento V.A.N.T.O. e residente nella zona designata per le trivellazioni, impegnato in prima linea nella battaglia per scongiurare l’intervento nell’area vulcanica flegrea, che, nel corso di un convegno al Maschio Angioino (guarda l’intero evento) organizzato dal periodico Il Fiore Uomosolidale e da Radio Radicale, ha denunciato l’omissione di informazione e gli appetiti di soggetti opachi su simili operazioni di sfruttamento del territorio.

Campania Felix culla degli anfiteatri romani in pietra

Pompei e Capua ispirarono il Colosseo di Roma

Angelo Forgione per napoli.com Il più famoso nel mondo è il Flavio, più noto come “Colosseo”. Si tratta del modello costruttivo dell’anfiteatro in pietra, edificio del mondo romano per i giochi dei gladiatori che, contrariamente a quanto si possa supporre, si diffuse con una certa tardività a Roma. Inizialmente, in tutto l’Impero se ne approntavano di provvisori in legno. L’evoluzione in struttura stabile monumentale avvenne proprio nella Campania Felix, vera e propria “università” dei gladiatori. I primi anfiteatri in travertino furono costruiti a Capua antica e a Pompei. Non è ancora ben chiaro quale sia il primissimo dei due, poiché l’Anfiteatro Capuano, ubicato nella zona dell’attuale Santa Maria C.V., secondo alcuni studiosi, fu costruito sulle rovine di un precedente anfiteatro, poi rivelatosi insufficiente con la crescita demografica della ricca Capua. L’Anfiteatro di Pompei risale al 70 a.C., e all’epoca accolse un massimo di 20.000 spettatori per evento. Nel 59 d.C. fu squalificato per dieci anni a causa di una violenta rissa tre pompeiani e nocerini (Nocera era divenuta da poco colonia e aveva assorbito parte del territorio di Pompei), provvedimento annullato dopo il sisma del 62.
A Roma, mentre in Campania esistevano già anfiteatri stabili in pietra, si costruivano strutture lignee. Solo nel 29 a.C. fu costruito un anfiteatro per metà in pietra nel Campo Marzio, a spese di Statilio Tauro. L’edificio bruciò durante l’incendio voluto da Nerone, il quale ricorse ancora al legno per la costruzione del suo anfiteatro nello stesso sito.
Lo “stadio” di Capua, costruito o ampliato a cavallo tra il I e il II secolo d.C., stupì il mondo antico per dimensioni, ancor più imponenti di quello pompeiano: 50.000 spettatori potevano assieparsi sulle gradinate e godersi il gladiatorio spettacolo. La fama che raggiunse nelle province dell’Impero lo rese modello costruttivo dell’Anfiteatro Flavio, detto Colosseo, il gigantesco anfiteatro di cui fu dotata la capitale per volontà di Vespasiano, inaugurato nell’80 d.C. da Tito, con una capienza di circa 60.000 spettatori. Dopo la sua costruzione, il suo riferimento costruttivo a Capua fu chiamato “Colossus”, e gli stessi architetti che avevano operato a Roma ne costruirono uno moto simile a Pozzuoli, di capienza pari ad almeno 30.000 persone e dallo stesso nome.
L’Anfiteatro Capuano di oggi è una rovina antica, priva della monumentalità dei suoi tempi, devastato dalle varie invasioni e sventrato in epoca normanna per edificare il Castello delle Pietre della città di Capua. Inoltre, alcuni dei busti ornamentali sulle arcate furono trasferiti sulla facciata del Palazzo del Governatore di Capua, attuale Municipio. Altri marmi furono riciclati per la costruzione del Duomo e della chiesa dell’Annunziata. Solo con la riscoperta del mondo classico e con la stagione degli scavi di epoca borbonica l’anfiteatro smise di essere depredato, dopo essere stato dichiarato monumento nazionale per volontà sovrana. L’archeologo Giacomo Rucca, nel 1828, si rivolse così a Francesco I di Borbone: “Sire, l’Anfiteatro Campano declinava di giorno in giorno. Le ingiurie degli uomini, più che del tempo, pareano minacciare ormai la ruine delle sue ruine”.
Un modello al laser dell’Anfiteatro Capuano nelle sembianze originali è stato realizzato per scopi didattitici da Franco Gizdulich, e fa ben cogliere la somiglianza col più noto Colosseo di Roma.
(vedi anche il modello al laser dell’anfiteatro Flavio di Pozzuoli)

Vedi Napoli e poi muori

Magnifica Italia è un programma televisivo in onda sulle reti Mediaset dal 2007. Si tratta di un ciclo di documentari tematici dedicati a regioni, province e principali città della Penisola viste dal cielo e non solo. Particolarmente interessante la produzione dedicata a Napoli e i suoi dintorni. La linea guida narrativa si dipana da alcune bellissime riprese effettuate dall’elicottero, staccando su tradizionali inquadrature da terra. La voce fuori campo di Mario Scarabelli racconta la storia e il costume locale, con l’ausilio delle testimonianze di alcuni protagonisti del luogo. Il racconto condensa in sintesi la grande tradizione culturale di Napoli, omettendo inevitabilmente molto ma descrivendo una Napoli più aderente alla sua vera identità. Unici veri nei, l’assenza del primario Museo Archeologico Nazionale e della Cappella Sansevero.

Biocidio: Napolitano contestato. Don Patriciello al bivio.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano era alla presentazione della nuova sede dell’Istituto di Genetica e Medicina nell’area ex Olivetti di Pozzuoli, realizzato grazie agli sforzi di Telethon, che potenzia la ricerca scientifica napoletana guidata dal  direttore del Tigem Andrea Ballabio. All’esterno dell’Accademia aeronautica, per lui, striscioni e slogan di contestazione per i suoi silenzi sull’avvelenamento delle campagne campane. Su uno striscione si leggeva “Lui si è pentito, e tu?”, chiaro raffronto con Schiavone. La polizia è intervenuta a sequestrarlo.
Napolitano si è poi recato a Palazzo Reale, dove ha preso parte a un convegno sui Beni culturali e Terzo settore, e anche lì è stato fatto oggetto di protesta con cori e cartelli.
Nella notte, alcuni attivisti del Movimento “#fiumeinpiena” si erano recati davanti Villa Rosebery a Posillipo con degli striscioni che recitavano “Zitt a chi sape ‘o juoco” (chi conosce la verità non suggerisca) e poi l’accusa “20 anni di silenzio”. Il tutto è stato rivendicato sui social network, dove il Movimento ha scritto: “Il presidente Giorgio Napolitano, Ministro degli Interni nel 1997, anno in cui le dichiarazioni di Schiavone vennero segregate, è solo l’ennesimo esempio di una politica che ha evitato di parlare con le persone e che le ha convinte che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi”.
Dopo i fischi in piazza Plebiscito dello scorso 16 novembre al nome di Napolitano invocato da Don Maurizio Patriciello, che già in precedenza aveva ringraziato il presidente per la solidarietà alle mamme “orfane” di figli deceduti per neoplasie varie, si apre a questo punto un conflitto col prete di Caivano, propenso a dialogare con gli uomini della politica ma ormai in posizione non più corrispondente con quella della gente dei movimenti fin qui rappresentati e con le accuse di coloro che, pentiti di camorra a parte, inchiodano lo Stato alle sue responsabilità.

Autodenigrazione tra “napoletanizzazione” e “piemontesizzazione”

Angelo Forgione – “Napoli is not Italy”, così recitava uno degli striscioni allo “Juventus Stadium”. Si scriverebbe Naples, ma è un dettaglio. E già questa scritta basterebbe per sanzionare la Juventus dopo che nessuno si è preoccupato di minacciare la sospensione della partita per i continui cori razzisti, le invocazioni al Vesuvio e le etichette di “terremotati” ancora di moda a certe latitudini dove la tragedia si è manifestata vicina solo qualche mese fa. Che pochezza!
Sotto, lo striscione di Pozzuoli bianconera, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Nessuno sospende le gare, nessuno chiede rispetto (Kawashima e Zoro restano gli unici esempi di dignità), nessuno dall’alto prende provvedimenti e poi tutti finiscono per scandalizzarsi dei fischi napoletani all’inno nazionale o di qualche tafferuglio che ne sono la diretta conseguenza.
Gli juventini che intonano la Canzone napoletana (e gli riesce non male visto che sono in tanti meridionali, Pozzuoli bianconera docet) a mo’ di sfottò evidenziando la l’EGEMONIA CULTURALE NAPOLETANA DEL BELLO. Loro hanno imparato le canzoni di Napoli, i napoletani non ne hanno mai sentita una di piemontese. E i loro cori razzisti evidenziano l’EGEMONIA MILITARE PIEMONTESE DEL BRUTTO che è storicamente sempre la stessa. I napoletani hanno esportato cultura e poi si sono infilati le loro divise per trovare lavoro e servire quella patria fatta a Torino. Chi le porta oggi con grande onore, al Sud come al Nord, non si ritenga offeso perchè, prima dell’unità d’Italia, Carabinieri e Bersaglieri erano esclusivamente piemontesi (e li erano stati fondati i corpi), un popolo di cultura militare dedita alla conquista riuscita solo al Sud con la denigrazione e i sotterfugi, un popolo che per fare regge e cultura ha dovuto chiamare i meridionali a corte. Ed è per questo che a loro il razzismo riesce facile.
In una manifestazione retrograda e eticamente diseducativa della nostra società qual è una partita di calcio allo stadio, abbiamo assistito ai due fenomeni che hanno costruito la moderna società italiana: la napoletanizzazione e la piemontesizzazione. Con una grave anomalia ben più grave, e cioè che il meridione, dopo aver infilato le divise piemontesi, ha “infilato” anche il loro razzismo che è diventato autodenigrazione.
E non veniteci a dire che si tratta di calcio e niente di più. Qui c’entra la prevenzione e la repressione che attiene ai palazzi istituzionali. E scusate se è poco.

Sciame sismico ai Campi Flegrei. Subito il Piano di Emergenza!

Comitato Civico “Salviamo i Campi Flegrei – Terra Nostra”
Comunicato Stampa del 07/09/12
Lo sciame sismico di più di cento scosse registrate nella zona di Pozzuoli, il più grande degli ultimi anni, riaccende i riflettori sulla zona della complessa caldera vulcanica dei Campi Flegrei. L’evento rafforza ancora di più i presupposti che hanno portato alla costituzione del nostro comitato per il “no alle trivellazioni” e cioè la necessita di un “Piano di Emergenza Nazionale di Protezione Civile” per l’area. È giusto sottolineare che in questa occasione non è in discussione la relazione tra il fenomeno e le trivellazioni che non hanno ancora raggiunto profondità allarmanti ma il panico della popolazione dimostra che siamo di fronte ad una condizione di mancanza di sicurezza assoluta per un’area di densità popolativa altissima che comprende diversi comuni dell’area flegrea che in casi di terremoti importanti o addirittura eruzioni non saprebbero ovviamente come comportarsi. Pertanto ribadiamo con forza la nostra richiesta di un piano nazionale che coinvolga tutti i sindaci della zona e la protezione civile e senza del quale è da cancellare ogni proposito di future trivellazioni a profondità maggiori che si inserirebbero nello scenario di un rischio sottovalutato.
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Garibaldi voleva trasferirsi a Baia

Garibaldi voleva trasferirsi a Baia
il Generale scoprì il paradiso dei Campi Flegrei e se ne innamorò

Angelo Forgione – Alle bellezze paesaggistiche di Napoli e dintorni in pochi resistono. Un’importante testimonianza ce l’ha data nel 1933 Raimondo Annecchino, storico flegreo e poi sindaco di Pozzuoli, che portò a conoscenza degli italiani un eccezionale documento retrospettivo della vita di Giuseppe Garibaldi (Memorie garibaldine Flegree, con due lettere inedite di Garibaldi, Tip.Unione, Napoli 1933, p.8).
Con una lettera del 5 Aprile 1876 oggi conservata nel Museo del Risorgimento Italiano di Roma, Garibaldi espresse al Sindaco di Pozzuoli Giovanni De Fraja il desiderio di abitare a Baia, in una casa per sé e la sua famiglia. Si era innamorato di un sito che aveva sempre negli occhi e nella mente da quando nell’autunno del 1866 si era affacciato sbalordito dagli spalti del Castello per ammirare l’incanto del golfo cumano.

Illustrissimo Signor Sindaco di Pozzuoli,
Vorrei abitare una casetta sulla sponda del mare nella vostra baja – casetta capace per 5 individui e 3 bambini – da abitarla per 3 o 5 mesi – con orticello – e preferibilmente nella parte occidentale della baja – isolata da altre abitazioni.
Vi sarei riconoscente se voleste occuparvene ed avvisarmi dell’affitto da pagarsi ogni mese.
Di Vs dev.mo
G. Garibaldi

Il desiderio del “dittatore delle Due Sicilie” non venne però esaudito per motivi ignoti ma è facile presumere che i Savoia che ne temevano ogni mossa, incamerate le ricchezze di Napoli, preferirono per qualche motivo che chi glielo consentì non godesse di un paradiso conquistato.

Furto in casa Cavani, ma quanto clamore!

Furto in casa Cavani, ma quanto clamore!
indignarsi si, ma per chi davvero rovina l’immagine di Napoli

Angelo Forgione – Furto in casa Cavani. Portati via dalla residenza del campione, tra Bacoli e Pozzuoli, monili d’oro e magliette da calcio. E mentre la vittima, furibonda, annuncia di cambiare di nuovo casa, c’è chi grida alla vergogna di essere Napoletani.
L’atto amareggia certamente ed è da condannare, a prescindere dal fatto che sia ai danni di un idolo piuttosto che dell’ultimo degli indigenti cittadini per i quali non c’è la ribalta. Ma quanto clamore! Mica scopriamo oggi che i esistono i “topi da appartamento”?! A Cavani l’amarezza passerà e non cambierà certamente la sua idea di Napoli avendo già dimostrato intelligenza a chi lo provocava sulla sua vita in una città in cui c’è la camorra (“la mia idea verso Napoli e il suo popolo non è mai stato influenzato dal fatto che in città è presente il fenomeno della Camorra”). I furti nelle ville degli idoli sportivi sono un classico, in ogni parte del mondo, non una vergogna solo Napoletana. I ladri di professione non guardano in faccia, anzi, puntano proprio al bottino assicurato. L’elenco è lungo: Seedorf, Ronaldinho, Eto’o, Snejider e Kaldze a Milano, NedvedDel PieroBuffon e Motta a Torino, MenezPanucciEmerson e Konsel a Roma, ZuculiniCurci e lo stesso Maggio a Genova, Asamoah e Armero a Udine, MontolivoKroldrup a Firenze, Miccoli a Palermo, Mancini in Costa Smeralda, Mourinho sul Lago di Como, Cosmi a Perugia… solo per citare i casi italiani più eclatanti.
Indignati perchè si tratta di un idolo profanato? C’è da vergognarsi di essere Napoletani per colpa di chi imbratta e devasta i monumenti, per l’inciviltà di chi sporca le strade. C’è da indignarsi per chi non si idigna di fronte a chi rovina l’immagine della città con ben altri atti indegni che non sono riscontrabili dappertutto, come invece lo è un furto con scasso d’appartamento. Fenomeno questo che, come testimonia il rapporto sulla criminalità del Ministero degli Interni, è in forte aumento in tutta Italia e Napoli è per statistica città dove ne accadono di meno in rapporto alla popolazione. E poi, chi ha detto che si tratta di ladri napoletani e non di extra-comunitari che sono soliti agire furtivamente nella zona dell’abitazione di Cavani?
Attenti a vendere e reclamizzare Napoli solo per le sue ombre dimenticando le sue luci. Chi parla della fantastica mostra de “Il giovane Ribera tra Roma, Parma e Napoli” in corso al Museo di Capodimonte? Poi hai voglia a risollevare l’immagine della città e l’indotto turistico.
Dunque, grossa amarezza, ma non c’è da deprimersi e fare il gioco di chi vuole sparare a tutti i costi su Napoli come se fosse un inferno a parte.