––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Torna la festa di San Gennaro accanto alle cerimonie religiose della liquefazione del Sangue che si terranno a via Duomo. Tre giorni di moda, musica, arte e spettacolo, sostenuti e promossi dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo e dall’Assessorato al Lavoro e alle Attività Produttive del Comune di Napoli, organizzati dall’associazione culturale Jesce Sole, fortemente voluti dai commercianti della zona di via Duomo e dal Comitato Civico di via Duomo che hanno istituito un comitato promotore della festa che è interamente autofinanziata.
“Il ritorno della Festa di San Gennaro”, con la direzione artistica di Gianni Simioli, inizierà il 19 settembre alle ore 21 con la musica della Banda della N.A.T.O., simbolicamente voluta per sancire un gemellaggio virtuale con la festa americana di New York. Il 20 settembre alle ore 18 spazio gli artisti di strada, tra i tanti anche le esibizioni di capoeira del “Balanço do Mar”, e poi dalle 21 una sfilata di moda presentata da Rosanna Iannaccone, con spettacoli di tango e break-dance. Il 21 settembre, dalle 18, via Duomo sarà animata da artisti di strada e, alle ore 19, sul palco si esibirà Sal Da Vinci che presenterà in anteprima il Musical Carosone – l’americano di Napoli”. Alle 21.30, un Gran Galà con ospiti come Clementino, Liliana De Curtis, Maria Mazza, Tony Tammaro, Serena Rossi, Mario Trevi, Enzo Fischetti e Nando Mormone di Made in Sud, Pietro Treccagnoli, Federico Vacalebre, Salvatore Misticone, Gigi Savoia, Donatella Vergara e gli Spaghetti Style. Saranno premiati anche gli autori del film di animazione l’Arte della Felicità e Angelo Forgione per il libro Made in Naples – come Napoli ha civilizzato l’Europa (e come continua a farlo), tutti con un’opera di Lello Esposito, l’artista che ha realizzato Gli occhi di San Gennaro, il busto gigante in bronzo alto più di 4 metri è stato collocato sul sagrato del Duomo di Napoli proprio stamane.
Nei giorni della kermesse i musei della zona saranno eccezionalmente aperti fino alle ore 22, con promozioni ed eventi speciali. Un’occasione imperdibile per visitare alcune perle del patrimonio artistico della città come il museo del tesoro di San Gennaro, Il museo Madre, il Pio Monte della Misericordia, il Monumento Nazionale dei Girolamini, il museo Diocesano, il museo Filangieri e la chiesa di San Severo al Pendino. E poi, gioia per i bambini, con torroni e caramelle fino alla Galleria Principe di Napoli.
Pollice verso, o quasi, per lo “Speciale Tg1” dedicato al colera del 1973 a Napoli. C’era da essere preoccupati a ragione. Napoli è stata dipinta ancora come una Calcutta italiana, nelle stesse condizioni igieniche di quarant’anni fa. Nonostante la crisi dei rifiuti degli anni scorsi, è francamente troppo! Questa è stata la conclusione tratta da Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1 e curatore dello speciale terminato con la notizia del sequestro di due coltivazioni di cozze in acque prossime a scarichi fognari nel Golfo di Napoli. Casi che dimostrano evidentemente il buon monitoraggio dalla Guardia di Finanza, impegnata in una rassicurante opera di prevenzione.
Il taglio del reportage si è rivelato ben diverso dallo speciale “Napoli al tempo del colera” di Sergio Lambiase e Aldo Zappalà realizzato per “La storia siamo noi” in collaborazione con il master in giornalismo dell’Università Suor Orsola Benincasa. Quello si che descrive i fatti in maniera più equilibrata e veritiera, scagionando le cozze napoletane seppur coltivate con disinvoltura allo sbocco di cloache e collettori. Nella cozza partenopea c’era magari di tutto, eccetto il vibrione del colera che arrivò da molto lontano nel Pacifico. E senza la partita di mitili tunisini, Napoli e le città mediterranee non sarebbero state contagiate. Lo “Speciale Tg1” ha gettato ancora una volta la croce addosso alla città del Vesuvio, facendo solo qualche piccolo riferimento al coinvolgimento di altre città del Mediterraneo nella pandemia, come se queste fossero state contagiate dal focolaio napoletano. I 6 morti di Bari equivalgono ai 23 di Napoli, se si rapporta la popolazione delle due città, e neanche si è accennato al lungo perdurare dell’emergenza altrove, mentre a Napoli tutto fu risolto in circa due mesi con la più grande profilassi d’Europa favorita dalla compostezza del popolo partenopeo.
Napoli non può continuare ad essere dipinta come una dannata città del Seicento. Questo esercizio non fa altro che alimentare i luoghi comuni, gli stessi che allontanarono i turisti nel 1973, tornati in città solo con la buona vetrina del G7 del 1994. Produrre un reportage con certi messaggi sdoganati dalla rete ammiraglia della RAI in un momento in cui il turismo in Italia è in calo causa danni all’immagine di una città che, dopo lo scandalo rifiuti, di viaggiatori internazionali ne sta intercettando molti e sta reggendo alla flessione del dato nazionale. Chi scopre Napoli resta spesso sorpreso in positivo da ciò che vede, scrollandosi l’immagine distorta della vigilia che prende una forma più fedele al contatto con la realtà osservata coi propri occhi (vedi servizio del TgR Campania del 25 agosto ’13 in basso). Marcello Mastroianni raccontò che negli anni Ottanta, in occasione delle riprese del film “Maccheroni”, Jack Lemmon portò una valigia piena di medicinali: “Chissà cosa gli avevano detto a Hollywood. Colera… vai a sapere cosa poteva prendere a Napoli. E invece rimase sbalordito e si rese conto che non era così… che era una città amorevole, piena di simpatia per lo straniero” (guarda il video).
Il vicedirettore Sangiuliano, serio e preparato professionista napoletano, avrebbe potuto sfruttare l’occasione per parlare di rifiuti tossici delle aziende del Centro-Nord seppelliti nelle campagne tra Napoli e Caserta con la complicità di camorra e colletti bianchi, quello sì un problema tragicamente attuale, invece di ricalcare un pernicioso canovaccio ai danni di Napoli e mettere in guardia da un vibrione che sembrerebbe in agguato.
Domenica 25 agosto andrà in onda una puntata di “Speciale Tg1” che rivisiterà i drammatici eventi del colera a Napoli del 1973, a quarant’anni dall’epidemia che colpì non solo la città partenopea ma anche altre città del bacino del Mediterraneo. «Dopo quarant’anni Napoli si ritrova nelle medesime condizioni di allora, se non peggio». Il giudizio tranchant sarà espresso del regista napoletano Francesco Rosi nel documentario curato dal vicedirettore della testata, il napoletano Gennaro Sangiuliano. E in effetti le condizioni igieniche di Napoli sono ancora oggi al di sotto degli standard europei e indegne di una città di grandissima storia e cultura. Nessuno lo neghi e lo nasconda, ma c’è da chiedersi quali siano gli intenti nel “celebrare” quegli eventi a otto lustri di distanza, riproponendo presumibilmente le inchieste realizzate all’epoca dei fatti che non furono certamente obiettive ed equilibrate. Quell’epidemia, infatti, non fu causata dalle pur precarie condizioni igieniche della Napoli degli anni Settanta, non dalle cozze coltivate nel mare napoletano cui furono attribuite le colpe, ma da una partita di mitili provenienti dalla Tunisia, da cui transitò la pandemia proveniente dalla Turchia via Senegal, cozze che furono sdoganate anche a Palermo, Bari, Cagliari e Barcellona, colpite anch’esse dal vibrione del colera. A questo proposito, si legge dalle pagine online dell’Espresso che lo speciale del Tg1 racconterà “una pagina cupa della storia di Napoli, troppo presto dimenticata, decine di morti e migliaia di contagiati, con casi che si estesero a Bari e ad altre località del Mezzogiorno”. Scritto così, sembra che le altre città furono contagiate dal focolaio di Napoli. E del resto, in quei giorni, fu proprio L’Espresso a titolare in copertina “Bandiera gialla”, schiaffeggiando la città insieme a tutta la stampa, nazionale e internazionale, che perse il senso della misura, speculando sulla città partenopea con racconti di fantasia sui napoletani e diffondendo notizie non verificate. Una biologa inglese, ricoverata al Cotugno per altri motivi, scrisse un reportage per il Times ricco di ricami sulle condizioni igieniche dell’ospedale, in cui parlò di un’esperienza da incubo. Poi ritrattò.
Il presidente dell’Ente Porto e l’Ufficiale Sanitario vennero indiziati di epidemia colposa dalla magistratura, per poi essere scagionati proprio dalla cozza tunisina. L’epidemia, a Napoli, fu debellata velocemente, e l’emergenza fu ufficialmente dichiarata chiusa in meno di due mesi dall’OMS, a tempo di record grazie alla più imponente profilassi della storia europea e ad un’ammirevole compostezza della popolazione nelle operazioni di vaccino, mentre le altre città, Barcellona compresa, ci misero due anni per liberarsene completamente. Tutto questo è raccontato con grande precisione ed equilibrio da uno speciale de “La storia siamo noi” del 2011 (guarda il video), a cura di “Village Doc&Films” di Sergio Lambiase e Aldo Zappalà, in cui anche Paolo Mieli dichiara che “la criminalizzazione di Napoli fu davvero sproporzionata”. I media dell’epoca alterarono la realtà, consegnandola al pregiudizio, rompendo le ossa all’immagine della città. Solo quando dopo trenta giorni a Napoli tutto finì fu reso noto che il vibrione era nelle cozze tunisine. Nessuno però descrisse più l’epidemia che perdurava altrove, mentre Napoli si ritrovò orfana di turisti, ormai convinti che fosse una Calcutta italiana. Negli stadi d’Italia, luogo di crescente calciocentrismo nazionale, il Napoli di Vinicio fu da allora accolto al grido di “colera”, e fu proprio in quel momento storico che nacque quel coro/slogan razzista ancora ben radicato e mai contrastato dagli ipocriti organi preposti al contrasto dei fenomeni razziali negli impianti sportivi. Baresi, palermitani, cagliaritani e catalani non sono apostrofati come “colerosi”, e neanche i tifosi delle squadre di Milano, Genova, Torino, Verona, Treviso, Venezia, Trieste, Parma, Modena, Como, Bergamo, Brescia e altre città del Nord non bagnato dal mare ma colpite nell’Ottocento da diverse pandemie di colera per le scarse condizioni igieniche e non per delle cozze importate.
Bisogna augurarsi che “Speciale Tg1” sia equilibrato e corretto quanto “La storia siamo noi”, evitando di calcare la mano sulla cassa di risonanza che da sempre Napoli offre ai romanzieri dell’informazione ma, al contrario, cogliendo l’occasione per ricostruire la realtà dei fatti del settembre 1973 e riattribuire a Napoli quanto in quel periodo fu tolto sotto il profilo dell’immagine. In caso contrario, il documentario produrrebbe il solo risultato di alimentare stereotipi e pregiudizi, danneggiando nuovamente l’immagine di una città che faticosamente sta di nuovo intercettando il turismo internazionale, dando tra l’altro ulteriore fiato al volgare razzismo anti-Napoli negli stadi. Che poi la Napoli di oggi abbia più o meno gli stessi gravi e irrisolti problemi, come sostiene Rosi, non c’è alcun dubbio; ma questa è un’altra storia, che anche all’epoca dei fatti del colera fu strumentalizzata per vendere giornali, quotidiani e inchieste televisive.
La carente igiene di Napoli e del Sud-Italia esposto al mare di certo non aiutò a respingere il colera, che partì nel 1961 dall’isola indonesiana di Sulawesi e travolse un po’ tutto il Globo (vedi immagine in basso tratta da “Principi di Microbiologia Medica” – La Placa XII edizione). Si auspica che il vicedirettore Sangiuliano, napoletano, vorrà descriverlo.
Breve reportage di Marco Rossano sulla commemorazione dell’eccidio di Pietrarsa del 6 agosto 1863, a 150 anni esatti dai sanguinosi fatti che segnarono per sempre la storia del Sud. Interventi di Marco Esposito, Angelo Forgione e Gennaro De Crescenzo.
Intervento di Sergio Puglia (Movimento 5 stelle) al Senato
“A sud di nessuno”, evento culturale nella cittadina aversana
Le Associazioni Arcadia e CamUrrà hanno organizzato una serata evento a carattere identitario con ospiti d’eccezione del panorama meridionalista. “A sud di nessuno”, questo il nome dato dai giovani dei due sodalizi gricignanesi all’evento, che si svolgera Sabato 13 luglio, nella caratteristica location del cortile Santagata-Di Luise di via Aversa (Gricignano). L’evento sarà strutturato in due momenti: alle ore 19 sarà presentato il libro Made in Naples – Come Napoli ha civilizzato l’Europa (e come continua a farlo) di Angelo Forgione. Assieme all’autore, presenzierà anche il professor Gennaro De Crescenzo, scrittore e storico archivista. La presentazione del libro darà spazio a un dibattito a cui il pubblico è invitato a partecipare con domande e riflessioni sulla cosiddetta “questione meridionale”. A moderare il dibattito Vincenzo Viglione, giornalista del quotidiano on line CampaniaNotizie.com.
La seconda fase dell’evento sarà scandita dalle note dei NapoliNcanto, dell’eclettico e impegnato musicista, nonché attore, Gianni Aversano, che delizierà con brani di musica dal repertorio classico e popolare partenopeo di un gruppo che ha portato la musica classica napoletana sui gradini più alti dei palcoscenici Europei e Mondiali.
Nel corso della serata sarà possibile degustare piatti tipici della cucina tradizionale. L’ingresso è gratuito e aperto al pubblico.
Al XXII Convegno tradizionalista di Gaeta del 16 Febbraio, circa cinquecento persone hanno gremito la sala-convegni dell’hotel Serapo. Attenzione alta per tutti gli interventi sul tema “Napoli capitale”, coordinati da Marina Campanile e introdotti da Sevi Scafetta, regista della manifestazione. Messaggi di saluto, tra gli altri, del sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano e dell’assessore al commercio e alle attività produttive del Comune di Napoli Marco Esposito. Grande pathos per la performance grafico-musicale in omaggio alla verità storica di Al Valenti ed Eliana Esposito da Siena, già apprezzati nei teatri e sul palcoscenico di Zelig. Applausi per gli sconcertanti dati del prof. Giuseppe Fioravanti sulla Scuola delle Due Sicilie che sconfessano i luoghi comuni della storiografia ufficiale. Per Gennaro De Crescenzo e i suoi collegamenti tra passato, presente e futuro, sempre ricchi di ritmo avvincente. Per Pino Aprile e le sue prospettive future. L’autore di Terroni è tornato a parlare del suo proposito, in corso di realizzazione, di dirigere un giornale del Sud, motivandolo con la necessità di vigilare. A tal proposito, Aprile ha ancora una volta riconosciuto l’esempio di V.A.N.T.O., primo vero strumento di controllo e vigilanza rispetto agli atteggiamenti di un certo Nord, capace di generare senso di vergogna. «Bisogna fare la politica – ha detto lo scrittore – e per fare la politica serve un giornale. E per fare un giornale servono delle domande. Un giornale serve ad evitare che i fatti passino sotto silenzio. La civiltà nasce dalla vergogna che è il controllore dei popoli, ed è fondamentale la capacità di far vergognare. Viviamo in tempi in cui, per l’affermazione dell’egocentrismo, il giudice delle nostre vergogne coincide con noi stessi, e questo sfascia la società. Per far vergognare qualcuno devi pubblicamente sottolineare quello che sta facendo, ma servono degli strumenti. Qualcuno esiste già…». Commozione e folla anche sugli spalti di Gaeta, dove l’annuale cerimonia del lancio della corona di fiori a mare in memoria dei caduti dell’assedio ha rinnovato l’impegno della ricostruzione della verità storica e dell’identità meridionale (guarda il Brigantiggì di Gino Giammarino e Mary D’Onofrio)
Si è svolta Venerdì 21 Dicembre al Batis di Baia (Bacoli – NA) la prima tappa de “Le Eccellenze dei Sensi”, un’iniziativa nata da un’idea di Sarah Ancarola (in arte Shara) e resa possibile dalla collaborazione dell’Associazione “Terronian” con “Slowtour Campi Flegrei” che ha come intento la valorizzazione delle terre meridionali e delle personalità da esse provenienti insieme ai prodotti tipici e d’eccellenza dei nostri territori.
Durante la serata sono stati assegnati i premi “Eccellenza del Sud” ad alcuni personaggi che, ciascuno nel proprio settore, si sono distinti per l’incessante opera di promozione dei territori meridionali rendendo così lustro alle nostre Terre. Tra questi, Eddy Napoli per la musica (anche al servizio della questione meridionale), Angelo Forgione (Presidente del Movimento V.A.N.T.O.) per il giornalismo e Gennaro De Crescenzo (Presidente del Movimento Neoborbonico) per la saggistica.
al Batis di Baia, serata dedicata al Suono e al Gusto del Sud
Si terrà Venerdì 21 Dicembre al Batis, struttura collocata sulle terrazze del Parco Monumentale di Baia a pochi passi dal porto della cittadina, la prima tappa de “Le Eccellenze dei Sensi”, un’iniziativa nata da un’idea di Sarah Ancarola (in arte Shara) e resa possibile dalla collaborazione dell’Associazione “Terronian” con “Slowtour Campi Flegrei” che ha come intento la valorizzazione delle terre meridionali e delle personalità da esse provenienti insieme ai prodotti tipici e d’eccellenza dei nostri territori.
Sulla scia del Vento del Sud, un vento che insieme ai profumi ed ai sapori della nostra terra porta con sé anche i suoni e le sonorità di un territorio in fermento che spera in un cambiamento e nel nuovo che verrà, sarà premitato l’impegno di coloro che si battono per la valorizzazione del Mezzogiorno. Durante la serata presentata da Valentina Elia saranno consegnati i premi “Eccellenza del Sud” ad alcuni personaggi che, ciascuno nel proprio settore, si sono distinti per l’incessante opera di promozione dei territori meridionali rendendo così lustro alle nostre Terre. I premiati saranno la Special Guest della serata Eddy Napoli per la sua musica (anche messa al servizio della annosa questione meridionale), Angelo Forgione (Presidente del Movimento V.A.N.T.O.) per il giornalismo, Gennaro De Crescenzo (Presidente del Movimento Neoborbonico) per la cultura, Francesco Franzese (Responsabile dell’azienda “La Fiammante”) per l’imprenditoria e Rosario Mattera (Presidente dell’Associazione Malazè).
Quella di “Eccellenze dei Sensi” è un’iniziativa mirata a valorizzare e mettere in risalto le eccellenze legate ai sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto … e perchè no, anche l’intuito. Nasce sulla scia del marchio “Eccellenze del Sud” e vuole ancor più segnalare tutte le realtà presenti nei territori meridionali che operano a favore dello sviluppo del Mezzogiorno d’Italia e delle terre poste a Sud del mondo. Risorse naturali, doni, talenti e personalità divenuti tutti emblemi delle Eccellenze del nostro Meridione non possono esser tenuti all’ombra perché fin quando questo avverrà i territori del Mezzogiorno italiano continueranno a versare in una condizione di disagio rispetto al resto del paese.
Il lavoro costante di persone comuni che operano nel loro piccolo può rendere sempre più grande questo nostro Sud e può in questo modo concretamente portare ad una vera e propria inversione di marcia.
La serata prevede anche un parco-pizza (15€ degustazione, pizza, birra artigianale/vino a bicchiere) e una cartassaggi (15€ due piatti, due vini in abbinamento).
Il 5 Dicembre si è svolto alla libreria Laterza di Bari il confronto tra il Professor Alessandro Barbero, autore del discusso libro “I prigionieri dei Savoia, la vera storia della congiura di Fenestrelle” e il Professor Gennaro De Crescenzo, archivista e presidente del movimento Neoborbonico. Un duro faccia a faccia utile a sviluppare il dibattito su una delle pagine più oscure del Risorgimento.
Barbero esperto di storia medievale, ha iniziato improvvisamente a indagare qualche tempo fa sulle vicende del forte piemontese, prima parlandone in RAI a Superquark, suscitando le prime forti reazioni, e poi scrivendo un libro col quale ha inteso minimizzare i fatti che la stessa RAI aveva invece approfondito con un documentario dai toni drammatici, col solo risultato di far divampare ancor più le polemiche. Nel video (riprese Mimmo Marazia) è condensato il cuore del confronto, introdotto dall’editore Giuseppe Laterza e moderato dal giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Lino Patruno di cui è allegata una cronaca del giorno dopo.
Il dibattito su Fenestrelle alla libreria Laterza di Bari.
di Lino Patruno
Che non fosse un dibattito qualsiasi, lo si era capito prima e se ne è avuta conferma dopo. Anzitutto in territorio ostile, in casa di un editore che sul Risorgimento italiano non ha mai pubblicato nulla che non sposasse la storia raccontata dalle università e dall’accademia. E poi con uno storico come il torinese Alessandro Barbero, che appunto per Laterza ha scritto “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”: non solo una conferma delle tesi fin qui ascoltate, ma anche un meditato florilegio verso le tesi dei Movimenti meridionali, a cominciare dai Neoborbonici.
Barbero non voleva solo contrapporsi alla mala pianta (a suo parere) del revisionismo storico, ma voleva irriderla e umiliarla. Sul piano scientifico, ovvio, non potendo sospettare in lui rancori personali che invece hanno rischiato di fare subito capolino. Alla partenza, con un risolino verso il pubblico che gli è stato immediatamente rinfacciato e che egli ha dovuto altrettanto immediatamente ritirare. Il risolino verso interlocutori dalle tesi e dall’ardire non meritevoli di un rispetto né scientifico né democratico.
Insieme all’accusa di storia mistificata col “fine immondo” di accendere gli animi del Sud e spaccare l’Italia. Non meraviglia, anzi meraviglia, in uno studioso che è parso aver dimenticato cosa volesse spaccare la Lega Nord (e che da una regione governata dalla Lega Nord proviene). Lega verso la quale ha però usato senza perifrasi un solo aggettivo: “ignoranti”. Eppure Barbero ha voluto il dibattito, in un certo modo legittimando l’interlocutore. Frutto forse di una sapiente scelta di marketing dell’editore. Ma frutto anche dello tsunami di reazioni (alcune, per la verità, abbastanza scomposte) che hanno investito soprattutto in Internet l’uscita del libro. Reazioni in buona parte inevitabili, e non solo per gli argomenti ma perché già da un anno Barbero aveva fatto grancassa televisiva su ciò che stava scrivendo, diciamo una provocazione. Di cosa poteva lamentarsi? Aveva avuto ciò che in fondo voleva.
Chi scrive e ha fatto da moderatore al dibattito, aveva colto le dichiarate preoccupazioni dell’editore perché la serata fosse civile e costruttiva. Quale è stata, in una libreria Laterza mai così colma di pubblico (soprattutto appartenenti a Movimenti meridionali) che non ha mai dato conferma della virulenza che col consueto pregiudizio gli si voleva attribuire, non ha mai sventolato bandiere o urlato come una Curva Sud. Così la serata è stata una vittoria per tutti. Ma anzitutto grazie a chi era sospettato di poter essere brutto, sporco e cattivo.
Quanto a Fenestrelle, inutile ripeterne i dettagli. Secondo Barbero, una caserma nella quale dal 1860 al 1863 furono condotti soldati borbonici resistenti all’arruolamento nell’esercito italiano, e con qualche morto fra loro. Secondo il ferratissimo presidente dei Neoborbonici, il professor Gennaro De Crescenzo, un campo di concentramento nel quale i soldati borbonici furono deportati in massa e fatti morire di fame e di freddo. Una normale operazione militare secondo l’uno, una operazione stile Auschwitz secondo l’altro.
Quale la verità? Ciascuno ha dato fondo ai suoi documenti. Con Barbero che ha rivendicato i suoi. E con De Crescenzo (un Maradona in materia grazie ai suoi studi di archivistica) che gli ha platealmente dimostrato come la documentazione utilizzata per il libro sia una minima parte di quella che comincia a essere finalmente disponibile.
Barbero, ad esempio, non è mai passato da Napoli alla ricerca di fonti. Accusa cui ha reagito dicendo che lo storico scrive quando ritiene che la verità accertata sia sufficiente, altrimenti finora non si sarebbe ancora scritto niente del nazismo e dello sterminio degli ebrei. E con De Crescenzo che gli ha fatto notare come la verità possa essere non solo insufficiente ma del tutto distorta quando a essere trascurati sono addirittura decine di migliaia di documenti, quelli cui i Neoborbonici hanno accesso e continuano ad avere accesso, e non solo su Fenestrelle. Bisogna invece continuare a scavare. Non limitandosi agli archivi ufficiali, ma andando anche nelle parrocchie e negli ospedali.
Barbero ha assicurato che se si accorgerà che c’è altro, ritornerà sull’argomento. De Crescenzo ha obiettato che se c’è un dubbio, non bisogna sparare teorie, specie quando si offende la memoria di un Sud che non ha visto mai citati da nessuna parte i suoi morti, insomma è stato cancellato dalla storia anche con le sue vittime di un’Italia che si aveva da fare. Non importa se a danno del Sud. Inevitabile anche lo scontro sulla lapide apposta dai Movimenti meridionali a Fenestrelle in ricordo delle vittime del Regno delle Due Sicilie. Secondo Barbero, un’autorizzazione concessa indebitamente, vista la sua versione di ciò che lì accadde. Secondo De Crescenzo, un atto che sarebbe stato dovuto anche se ci fosse stato un solo soldato meridionale morto. Morto per quella che, secondo la stessa copertina del libro dello storico torinese, fu una “guerra non dichiarata”.
Conclusione: bisognerà continuare a studiare in onestà per far rimarginare la ferita con la quale l’Italia unita nacque. Come anche Barbero ha ammesso, ancorché la sua verità (o presunta verità) sia già stata scodellata in 362 pagine. E quando dal compostissimo pubblico gli è stato chiesto cosa pensa del Museo Lombroso di Torino, ha risposto che la scientificità e le teorie del criminologo veneto-piemontese abbisognano perlomeno di un supplemento di indagini. Ma intanto le scolaresche continuano a passare davanti a teche coi teschi di meridionali “criminali nati” a detta di Lombroso. E intanto il veleno contro il Sud continua a essere iniettato anche negli italiani di domani.
Chissà perché il risolino iniziale del professor Barbero, peraltro studioso e persona di tutto rispetto, si è poi stemperato nel fitto colloquio finale con molti del pubblico. Forse non sapeva che erano discendenti di briganti, se briganti sono tutti i meridionali a caccia ancora di giustizia e verità 150 anni dopo.
La celebrazione dell’8 Dicembre riporta alla memoria storica della Festa Nazionale dell’antico Regno delle Due Sicilie in cui la devozione mariana era fortissima nel clero, nel popolo e nelle istituzioni. L’Immacolata Concezione era infatti la Patrona speciale della Patria Napolitana, Terra dedicata alla Madre del Signore la cui festività era molto sentita nell’antico stato meridionale pre-unitario fondato su forti valori cattolici. Si può dire che era, ed è ancora oggi, uno dei perni principali sui quali ruotava tutta la religiosità del popolo del Sud.
Fu proprio l’8 Dicembre del 1816 la data in cui, dopo il periodo napoleonico della città, i due regni di Napoli e di Sicilia furono riuniti come Regno unito con quella che fu detta “legge fondamentale del Regno”. Ferdinando non fu più il re di Napoli e di Sicilia ma il Re delle Due Sicilie.
Passarono quaranta anni esatti e l’8 Dicembre del 1856 fu un’altra data storica per le sorti del Regno. Nel giorno della festività nazionale della patrona, il Re Ferdinando II, dopo la messa a cui la famiglia reale si recava comunque quotidianamente, si recò alla festosa sfilata delle truppe nazionali a quello che all’epoca era il Campo di Marte, l’attuale Capodichino. Fu li che subì l’attentato di Agesilao Milano, un soldato che uscì dalle righe e gli si scagliò contro colpendolo due volte con la lama della baionetta. Il Re fu ferito ma rimase stoicamente al suo posto e, dopo essere tornato a Palazzo Reale, fu visitato dai medici con esito tranquillizzante. Per ringraziare la patrona del “miracolo”, fu decisa l’edificazione di un tempio all’Immacolata al Campo di Marte la cui prima pietra fu posta dopo otto mesi di raccolta di offerte volontarie. La chiesa dell’Immacolata Concezione è ancora oggi molto nota e si trova in Piazza Giuseppe Di Vittorio, all’imbocco del Corso Secondigliano.
Nel saggio del professor Gennaro De Crescenzo “Ferdinando II di Borbone – la patria delle Due Sicilie” si fanno ipotesi sull’agonia lenta e oscura del Re morto nella primavera del 1859, qualche anno dopo l’attentato di Agesilao Milano. Secondo il parere del professor Gino Fornaciari, ordinario di Storia della Medicina e Direttore della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, l’attentato ebbe la sua importanza postuma poiché il decesso sarebbe sopraggiunto a causa delle ferite trascurate. Un attentato riuscito dunque, anche se differito di un paio d’anni, che ebbe il suo peso nell’attuazione del progetto sabaudo di “piemontesizzare” il sud.
Il regicida venne processato in circostanze sospette, velocemente condannato e giustiziato prima che potesse confessare istigatori e complici del suo atto scellerato. Lo stesso sovrano, il giorno dell’esecuzione, avrebbe ipotizzato una grazia ma sarebbe stato dissuaso dal generale Nunziante che giustificò quell’intransigenza con il rispetto per la corona. Il generale Nunziante, unica persona ammessa a parlare con l’attentatore la notte prima del processo, qualche mese dopo tradì quella corona e passò al servizio di Vittorio Emanuele II dopo aver avuto frequenti contatti con Cavour che, come pare da documenti d’archivio, lo ripagò con quattro milioni di lire dell’epoca.
Il Regno restò scoperto e indebolito, privo di un uomo di forte decisionismo. All’erede Francesco II toccò l’impossibile compito di fronteggiare le cospirazioni e l’accerchiamento degli uomini che si erano già venduti al nemico. La spedizione dei mille garibaldini e l’assedio di Gaeta completarono il piano piemontese, finchè proprio l’8 Dicembre del 1860, sempre nel giorno fatale dell’Immacolata Concezione, il giovane re firmò un toccante e accorato “proclama reale ai popoli delle Due Sicilie” col quale comunicò ai “Napolitani” la resa all’invasore e la sparizione del più antico regno d’Europa di Ruggiero il Normanno e dell’antica monarchia di Carlo III.
Il lungo documento finiva appellandosi alla fede e all’ora della giustizia. Le ultime righe recitavano così: «Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice speciale del nostro paese, onde si degnino sostener la nostra causa».