Sarri al potere, il colpo è gobbo

Angelo Forgione per Vesuvio Live – E venne il gran giorno: Maurizio Sarri ha fatto ingresso a “palazzo”, entrandovi senza ariete, senza sfondare portoni o finestre ma calcando sorridente il tappeto rosso srotolatogli sotto i piedi. Doveva fare il colpo di stato e ora sarà egli stesso lo stato. Rischiò di essere la rivoluzione napoletana del calcio italiano e ora sarà la rivoluzione interna alla Juventus.
Benservito e cordiali saluti di facciata al pluriscudettato Allegri per virare sull’opposta filosofia, proprio quella che aveva provocato una crisi di nervi al licenziato. «Lo spettacolo, al circo», ammonì il defenestrato, ed ecco spuntare proprio il tendone a strisce bianconere, in attesa di capire se spettacolo sarà e se Champions finalmente arriverà.

Sarri al posto di Allegri è un guanto completamente rivoltato, e che lo si rovesci ora, a distanze dal Napoli aumentate, è ammissione implicita di uno scudetto immeritato, quello del 2018, anno di una rivoluzione azzurra riuscita sul campo e sventata fuori.

Ora che Sarri è alla corte di Andrea Agnelli sarebbe inelegante parlarne in termini diversi, quantunque ci abbia già pensato lui stesso a farlo, mostrandosi controfigura di quel che fu sulle pagine di Vanity Fair: «Il “sarrismo” è un modo di giocare a calcio e basta». E basta?

Così il tecnico di Figline Valdarno, nonostante le dediche europee ai napoletani, ne ha preso le distanze e recintato la fecondazione del “sarrismo” a una vicenda del tutto personale, attribuendone la nascita esclusivamente alle sconfitte e agli schiaffi presi, a prescindere dall’ambiente in cui è stata sublimata la sua idea di calcio. Vero è che Sarri si è fatto caparbiamente da sé, ma nessun suffisso era mai stato agganciato al nome di un allenatore italiano, neanche di quelli più vincenti della nostra storia. Se è accaduto con Sarri è perché Sarri, che nulla aveva vinto, ha esaltato il Napoli e Napoli ha esaltato Sarri. “Sarrismo” e “sarristi” sono sbocciati a Napoli, dopo una lunga e impervia gavetta dell’allenatore in giro per l’Italia.

Il fatto è che il mister ha preso le distanze anche dai linguisti della Treccani, che il neologismo l’hanno sdoganato sul loro dizionario di lingua italiana. Non lo avrebbero fatto se l’accezione non fosse ampiamente condivisa da Bolzano a Pantelleria. Lungo lo Stivale, tutti hanno ammirato e lodato la fantastica storia di Sarri a Napoli, quella di un pifferaio che scacciò i topi al suono del suo strumento magico mentre la folla lo portava in trionfo. Là, dove l’estetica concessa anche nella provincia empolese beneficiò dell’afflato partenopeo, del sostegno di un popolo che creò il personaggio. I napoletani gli infilarono i panni del condottiero, e a lui piacquero tantissimo.

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Sarri e le sue idee esistevano prima del loro travaso in quel fecondo bacile che è Napoli, dove fiorì il “sarrismo”, e perciò quelli della Treccani l’hanno sintetizzato per estensione ne “l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo“. Tanto vale pure per l’aggettivo “sarrista”, ovvero “chi vede nella figura di Sarri l’espressione sanguigna della passione dei tifosi napoletani”.

Anche se Sarri minimizza il neologismo per non estenderne il significato al mondo al di fuori di sé, il “sarrismo” è nato in quanto sintesi di una personalità calzata alla napoletanità, in quanto filosofia di un genio consacrata da un ambiente a lui congeniale. E i “sarristi” si sono moltiplicati perché esiste la smisurata passione calcistica napoletana, totalmente riflessa nella squadra della città più identitaria d’Italia.

Non Sarri ma la sua emanazione in un luogo preciso ha conquistato un posticino nella terminologia della lingua italiana. Nella Treccani è entrato un sostantivo, non un nome. Vi è entrato Sarri a braccetto con la gente di Napoli, non da solo. È accaduto nel settembre 2018, ad avventura finita, consegnata alla storia del calcio italiano, quando Maurizio era ormai a Londra, e nessun linguista, in questi nove mesi inglesi, è tornato sul significato dei due nuovi lemmi, perché il Sarri-ball londinese non era in antitesi e conflitto con il “sarrismo”. Il Sarri juventino sì, e depaupera automaticamente l’essenza semantica del neologismo, esattamente come ha fatto lo stesso Sarri riducendolo a solo gioco, così privandolo della sua grande forza: l’identità.

Il “sarrismo” puro è legato a una tifoseria omogenea che parla un solo dialetto ed è in cerca di una rivincita sportiva contro il Nord egemone e predone, e non può rifiorire con una tifoseria eterogenea che non ha polis e non è popolo, che non deve ribaltare nulla (in Italia) ma ha solo da mantenere lostatus quo. Il “sarrismo” che fu si annacqua e qui finisce, restando parola svuotata del suo intrinseco significato.

Sarri è pronto anche a spogliarsi della tuta, se dovessero vietargliela a corte, e a passare dal sarto a farsi prendere le misure per un nobile vestito. È il proletario che diventa dirigente. È il sindacalista che passa dalla difesa dei diritti dei lavoratori alla protezione degli interessi degli imprenditori. È l’anima popolare che lascia il posto all’aristocrazia del “palazzo”.

Sbaglia chi pensa che Sarri abbia tradito oggi. L’infedeltà è d’altri tempi, quelli in cui al Napoli era sposato e flirtava con il Chelsea nel bel mezzo del tentativo di golpe. Proclamò l’intenzione legittima di arricchirsi, ma attese l’abbraccio inglese perché in fondo il matrimonio non funzionava più come al principio. Mise il Napoli a bagnomaria, nascondendosi dietro l’amore dei tifosi e usandolo contro De Laurentiis. La voglia di separarsi chiara nelle dichiarazioni all’insegna del “ti lascio perché ti amo troppo“, cavalcando e acuendo il malcontento di parte della tifoseria verso un presidente spazientito che finì per lasciarlo per non rischiare di essere lasciato.

Oggi Sarri si appella alla sua professionalità, e non fa una piega per uno che ha imparato a fare egregiamente il suo lavoro e pure i suoi interessi. Perché mai avrebbe dovuto dire no alla Juventus? Quella è roba forte da veri revolucionari con gli attributi per dire «mai nessuno in Italia dopo il Napoli». Ma qui non si tratta di discutere il professionista quanto la persona, quella cui piacque prendere il comando di un popolo contro il potere d’Italia e ora ha preso il potere con l’alibi dell’umana nostalgia per l’Italia; non riesce più a stare lontano dagli affetti, e se gli si crede non si può pretendere che si autocondanni all’esilio.

È il professionismo ultraflessibile del dorato calcio a tirare strani scherzi al destino e al cuore dei più romantici appassionati. Difficile accettare di trovarsi contro chi ha ammiccato in modo spinto, quantunque credibile, alle lusinghe di una città storicamente mal abituata ad aggrapparsi a capipopolo e comandanti. Difficile digerire di vedere nella trincea nemica chi si schierò per la causa del popolo azzurro, chi evidenziò l’ipocrisia di un mondo del calcio sensibile al razzismo contro i neri e sordo alle violenze verbali contro i napoletani. Chissà come si comporterà quando, dall’altra parte della barricata, si leveranno le più classiche esortazioni al Vesuvio.

Che Sarri fosse un professionista bisognava capirlo quando strizzò l’occhio ad Abramovich. Bisognava capirlo quando fu l’unico ad abbracciare «come un figlio che ti ha fatto incazzare ferocemente per una scelta inaspettata e discutibile» l’inviso Higuain, mentre l’argentino neanche andava a salutare gli ex-compagni negli spogliatoi. Bisognava capire che Sarri era un professionista maniacale quando, concentratissimo su una partita ininfluente, non concesse a Maggio la dovuta passerella d’addio, lasciando che il suo commiato si consumasse mestamente fuori dal campo di gioco, a bocce ferme.

Ora che ha finalmente vinto qualcosa d’importante, Sarri piace ai vertici juventini, ma non a molti tifosi juventini, che hanno intercettato la dedica della vittoria ai tifosi napoletani. L’ex Comandante ha strizzato l’occhio al popolo azzurro persino a Baku, che poi è città gemellata con Napoli. Dal Tirreno al Caspio, l’onda lunga delle parole al miele fino al confine d’Europa, sgradite a chi vuole arrivare fino alla fine della Champions e ha messo nel conto le troppe frasi contro il potere bianconero, a strisce come le maglie che Sarri suggeriva ironicamente di cambiare al Napoli pur di ottenere un qualche rigore. Quel dito medio alzato a chi sputò al torpedone azzurro in arrivo allo Stadium, con tanto di volontà di scendere a menare le mani, se solo avesse potuto farlo. Gli striscioni d’amore azzurro intenso che fecero del Sarri fin qui quel che solo Maradona per sempre sarà.

Non hanno gradito, gli appassionati bianconeri, neanche le distanze prese dal concetto di vittoria ad ogni costo. “Dove pensa di essere questo filosofo del bel gioco?“, si chiedono ora gli adepti dell’avido pragmatismo juventino.

Sarri alla Juventus mette miracolosamente d’accordo tutti, napoletani e juventini con le rispettive delusioni, almeno al principio di questo nuovo matrimonio che impone alla nuova sposa di difenderlo dai nuovi parenti, come fatto con Allegri al principio. Sarri alla Juventus, via Londra, dopo il viaggio diretto di Giuda Higuain, con tutte le reazioni suscitate, è de facto la consacrazione di una rivalità reciproca, non unilaterale, come fa intendere il proverbiale snobbismo di parte bianconera.

«Il tifo è una cosa e la professione un’altra». Lo dice opportunamente Sarri, ora che, da tifoso di Napoli e Fiorentina, visceralmente antijuventino al quadrato, va ad allenare la squadra più detestata. A Napoli gli riuscì naturale coniugare tifo e professione ma a Torino dovrà prodursi in grandi equilibrismi. Pazienza, è la carriera, e lui ha tutto il diritto di scegliersi il posto di lavoro che crede, di arricchirsi sempre più. Dice che i napoletani sanno benissimo quanto amore prova per loro, ma saprà altrettanto bene che l’amore, autentico o no che sia, si fa in due, e che questo finisce evidentemente qui, perché i tifosi fanno tifo, non carriera.

Arrivederci in campo e niente drammi, l’abitudine agli sgarbi e all’imponderabile è fatta. Del resto, in un’Italia che ha visto la Lega Lombarda, poi Lega Nord, ora Lega e basta imporsi al Sud, non c’è da sorprendersi per un golpista che il colpo l’ha fatto davvero, sì, ma gobbo.

De Laurentiis: «Gli Agnelli hanno costruito un impero»

Angelo Forgione Chiarissime le dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis rilasciate a Sky dopo la vittoria del Milan ai rigori sulla Juventus nella finale di Supercoppa.

«Il gap con la Juventus esiste solo societariamente, loro hanno una storia immensa perchè immensa è la storia della loro famiglia. Il vero re d’Italia è stato Agnelli, e prima Valletta. La Juve è una goccia nell’oceano di una famiglia immensa. È roba da far paura, ma di cosa stiamo parlando? Dal punto di vista del potere economico non ce n’è per nessuno, nemmeno per gli arabi, i cinesi, i club inglesi, spagnoli o tedeschi.
Quando la mattina apro i giornali e leggo che il PIL può aumentare, mi cascano le braccia. Non si può parlare di calcio e stadi quando la situazione generale è questa. Il Sud, leggevo su un quotidiano, sta prendendo coscienza di se stesso. Dico da tempo che Napoli è una testa di serie di tutto il Meridione, sino a Palermo».

Il presidente del Napoli, circa gli Agnelli, parla di “Regno d’Italia”, e poi di economia meridionale e di rappresentanza calcistica del Sud in Europa, riferendosi chiaramente al fatto che l’unica squadra competitiva dei territori più poveri del Continente (Sud-Italia e Grecia) è il Napoli.
Parole in perfetta sintonia con il mio Dov’è la Vittoria, soprattutto nello specifico del capitolo “Il Regno d’Italia“.

Il Sud al potere in Serie A? Mai accaduto nella storia.

Angelo ForgioneLunedì senza Calcio, giornata di chiacchiere per l’Italia del pallone. Da Nord a Sud, tutti a indicare Roma e Napoli per la lotta scudetto, ma nove giornate sono davvero poche per preconizzare come si metteranno le cose in primavera. Neanche un quarto di percorso è stato compiuto dalle 19 squadre della Massima Serie, appena uscite dai blocchi di partenza, ma il fiume di parole dei talk-show sportivi si ciba da sempre dell’attualità contingente e non tira mai fuori il chiacchiericcio di qualche settimana prima, quando magari la situazione si presentava con connotati diversi. Solo il 22 settembre scorso erano 9 i punti che dividevano il Napoli dall’Inter, margine annullato in un mese e quattro partite. Oggi non sono tanti quelli che vedono la Juventus in grado di rientrare nella lotta per il titolo, nonostante i punti di ritardo dalla vetta siano “solo” 8; ma si tratta di percezione falsata dalla presenza di undici squadre davanti ai bianconeri, esattamente la stessa quantità di club che erano davanti al Napoli il 22 settembre.
Roma e Napoli sono ora, indubbiamente, sotto i riflettori per risultati, classifica e gioco espresso, e i quotidiani di giornata, così come le trasmissioni televisive, si riempiono di titoloni d’elogio per giallorossi e azzurri. Ma è davvero difficile ipotizzare un campionato conteso tra due squadre del “sud” del nostro Calcio. Storicamente non è mai accaduto. Quelle poche volte (8 su 111) in cui le squadre “meridionali” sono riuscite a sovvertire la geopolitica sportiva della Serie A hanno comunque fatto a pugni contro i club del Nord: la Roma sul Torino nel ’42; il Cagliari sull’Inter e sulla Juve nel ’70; la Lazio sulla Juve nel ’74; la Roma sulla Juve e sull’Inter nel ’83; il Napoli sull’Inter e sulla Juve nel ’87; il Napoli sul Milan nel ’90; la Lazio sulla Juve nel 2000; la Roma sulla Juve nel ’01.
Le statistiche e la storia parlano chiaro: un duello Roma-Napoli farebbe la storia della Serie A, non tanto perché attribuirebbe il nono scudetto al Sud ma perché per la prima volta vedrebbe il Nord “spettatore”. Certo, esiste l’ineludibile legge dei grandi numeri, che scatta sempre nel gioco, prima o poi, ma è davvero difficile pensare che l’asse Torino-Milano resti a guardare il “gioco”. Ne riparliamo al prossimo equinozio.

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Nel Sud-Italia gli abitanti più poveri d’Europa. E il divario col Nord si allarga.

Angelo Forgione – Le annuali statistiche Eurostat circa il PIL pro-capite espresso in potere d’acquisto di più di 270 regioni degli stati membri dell’Unione Europea indicano che Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata e Sardegna sono le più povere d’Italia ma anche tra le ultime d’Europa, meglio solo di alcune aree di Bulgaria, Romania, Ungheria e Polonia. Nei dati pubblicati a maggio 2015 (relativi al dato specifico del 2013) la Calabria, fanalino di coda nei confini nazionali, presenta un coefficiente di PIL pari al 57% della media degli stati membri, rispetto al 134% della Lombardia e al 99% dell’intera Italia.

pil_ue_ultimeIl Mezzogiorno si conferma la più arretrata delle macroaree nell’ambito dell’Eurozona, considerando la sua estensione e la sua popolosità, e i suoi abitanti sono i più poveri d’Europa, di un terzo al di sotto della media Ue, mentre i più ricchi sono i londinesi, tre volte più ricchi di un qualsiasi altro cittadino comunitario. L’area di Londra conferma un Pil pro capite espresso in parità di potere di acquisto pari al 325% della media Ue (26.600 euro all’anno nel 2013). La City è di fatto il più importante centro finanziario del mondo ed è tra le città-faro dell’economia internazionale. Alle spalle dell’area centrale di Londra figurano quelle di Lussemburgo, Bruxelles, Amburgo e Groningen, mentre non ci sono regioni italiane tra le prime 20. Tra le ultime 20, invece, figurano la Mayotte (dipartimento francese d’oltremare al largo del Madagascar) e, appunto, diverse regioni della Bulgaria, della Romania, dell’Ungheria e della Polonia.
divario_coloreI nuovi dati Eurostat confermano l’allargamento del divario tra il Nord e il Sud dell’Italia. Tra il 2012 e il 2013, il Pil pro-capite delle regioni del Nord Italia è rimasto sostanzialmente stabile (di circa un quarto superiore alla media Ue), mentre è calato significativamente nel Sud e nelle Isole (dove si attesta intorno al 63-64% della media Ue). La Calabria presenta un reddito medio pro-capite di 15.100 euro a fronte di una media del Nord-Ovest d’Italia di 33.000 euro, e di 31.000 nel Nord-Est. Le regioni del Nord, viaggiano a un PIL pressoché doppio, con Lombardia, Trentino Alto Adige (province autonome di Bolzano e Trento), Valle d’Aosta ed Emilia Romagna in testa. Significativo il dato del Lazio, immediatamente dietro alle capofila settentrionali e più avanti di Liguria, Veneto, Friuli e Piemonte.
Il grafico complessivo che riassume i divari interni in relazione alla soglia media di ricchezza evidenzia l’anomalia italiana nello scenario continentale, con una metà del Paese al di sopra e una metà al di sotto: sono il Nord e il Sud. Solo la Spagna si avvicina, ma con un range decisamente più ridotto. Non inganni il picco minimo della Francia: si tratta delle regioni d’oltremare: colonie… appunto. Come il Sud-Italia, zona in cui si estraggono e si raffinano grandi percentuali del fabbisogno nazionale di petrolio, benzina, gasolio e gas, ma con royalties assolutamente inique e senza una sensibile ricaduta virtuosa sul territorio di sfruttamento.

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Intervista a 360 gradi per “Settimo Potere”

Intervista a 360 gradi per “Settimo Potere”

La testata giornalistica online “Settimo Potere“, che analizza e monitora i fenomeni dei new media, ha richiesto delle mie risposte per un intervista a tutto tondo sulla Napoletanità e sul meridionalismo. L’intervista integrale è indirizzata a chi sente di appartenere a Napoli e al Sud ma non trova le coordinate per comprenderne il presente.

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Angelo, abbiamo seguito la tua attività e siamo rimasti decisamente colpiti dal modo pacifico e intelligente di mostrare la cosiddetta “altra faccia della medaglia” che spesso i media nazionali e filosettentrionali tendono a nascondere. Parlaci del Movimento V.A.N.T.O. Perchè è nato?

V.A.N.T.O. è nato con l’intento di valorizzare le luci di una città straordinaria che è più brava a vendere le proprie ombre ad un sistema mediatico affamato di sensazionalismo. Tutto è fiorito dall’amore per la città che nutro da quando ero bambino e ho cominciato a rendermi conto che questa città era trattata diversamente. Crescendo mi sono chiesto perchè ci fosse così tanta bellezza paesaggistica e ricchezza monumentale ma anche problemi enormi apparentemente incomprensibili. In quell’età ho cominciato a leggere, studiare, approfondire, capire per cercare delle risposte che sono arrivate quando mi sono imbattuto nella “questione meridionale” che sembrava così complessa, per poi presentarsi nella sua logica semplicità. Così ho capito la storia di Napoli, i suoi problemi, i comportamenti singolari dei Napoletani e anche la nostra classe politica e dirigenziale.

A quel punto, con la maturità, ho dovuto scegliere se restare o emigrare. Sono rimasto, ma chi resta per amore non può starsene con le mani in mano. E allora ho creato quella “filosofia meridionalista attiva” che è V.A.N.T.O. con cui voglio da una parte difendere la nostra città dalle ostilità esterne e interne e dall’altra trasmettere ai miei concittadini che lo vogliano ciò che ho studiato, capito e scoperto. Ma, come dovrebbe sempre fare ogni buon giornalista, analizzando sempre le cause, gli effetti e le possibili contromisure, senza scadere nello sterile vittimismo di chi si lamenta di una condizione infelice senza alcuna riflessione e proposta.

In cosa consiste?

V.A.N.T.O. ha vari campi d’azione. C’è la denuncia del degrado urbano e, soprattutto, monumentale. Statue, palazzi e chiese di Napoli sono un tesoro sotto attacco quotidiano e ne perdiamo pezzi lentamente e silenziosamente. Poi c’è la denuncia degli stereotipi e dei luoghi comuni che colpiscono incessantemente l’immagine della città tramite quell’accanimento mediatico che ho ribattezzato “Ammazziamo Pulcinella”. C’è la comunicazione meridionalista con la quale si intende comunicare come è stato fatto il Paese e, soprattutto, il perchè Napoli e il Sud non possono uscire dal sottosviluppo a cui sono condannati da centocinquant’anni. E ancora, la valorizzazione delle bellezze di Napoli di cui vantarsi.

Tutto poi passa attraverso il web: articoli, denunce, interviste televisive e radiofoniche, videoclip di mia creazione… è ogni cosa sul blog, sul canale youtube, sui social network. Così lascio ogni traccia e prima o poi la gente le trova. Poi ci sono le conferenze grazie alle quale ho il piacere di parlare alla gente, e anche qualche sponsorizzazione sportiva come quella fresca con la U.S.C.A. Atellana Handball, la squadra di Serie A2 che annovera nella rosa femminile la moglie di Hamsik.

Poi c’è il lavoro oscuro, le segnalazioni a Comune, Regione, Sovrintendenze, redazioni varie. Insomma, un’attività complessa basata su una tenace strategia ben precisa. Il risultato non è solo quello tangibile di un lampione storico riparato, di un monumento ripulito, o le scuse di chi gratuitamente offende Napoli da fuori, ma è anche quello della sensibilizzazione al significato intrinseco della parola Napoletanità che, vi assicuro, è tanta roba! E così spero di contribuire all’ottenimento di un risultato più arduo, un maggiore amore dei Napoletani verso la propria città. Se non scatta questo, sarà sempre sterile lottare contro gli stereotipi e le aggressioni che pure ci sono.

Perché, nel tuo blog, scrivi, parlando della città di Napoli, “Baciata da Dio, stuprata dall’uomo”?

Perchè la città è sorta più di 2500 anni fa in un luogo unico come pochi altri al mondo, un vero e proprio paradiso terrestre. È la natura che ha decretato la bellezza di Napoli prima ancora che l’uomo, diversamente da Roma, Parigi o Londra. Goethe, al cospetto della “grande apertura di cielo” di Napoli, paragonava “la bassura del Tevere” romana ad “un vecchio convento in posizione sfavorevole”. Cercate nel mondo un vulcano adagiato sulla splendida baia che culmina nelle insenature di Posillipo, i magnifici Campi Flegrei coi laghi vulcanici, le isole al largo, la collina del Vomero, il clima temperato, la terra fertile. Ci sono poche città la cui bellezza è naturale prima che artificiale. Istanbul, Rio e Napoli su tutte. Ecco perchè è stata scelta da greci, romani, bizantini, longobardi, saraceni, normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli e austriaci le cui tracce rappresentano parte dell’immenso patrimonio monumentale partenopeo. Tutti hanno voluto possedere questo paradiso, chi l’ha amata più e chi meno, ma nessuno ha mai sentito di appartenervi. Poi è stato finalmente il turno di una dinastia Napoletana che, diversamente dalle altre, ha sentito di appartenere alla città e non viceversa, e l’ha resa una vera Capitale europea. Con l’arrivo dei piemontesi la città è stata messa al guinzaglio, e con essa tutto il Sud. Li è cominciata la decadenza e 150 anni di minorità indotta hanno esercitato un lavaggio del cervello ai tantissimi Napoletani che non hanno fierezza, cultura, speranza e accoltellano la città con i loro comportamenti quotidiani. Ecco perchè parlo di stupro della mano umana, quella di chi ha traumatizzato la città Capitale riducendola a capoluogo di provincia di un Sud arretrato, la mano di chi ci ha portato via le risorse e il futuro, la mano di quei politici locali asserviti alla politica nazionale che hanno devastato la città con speculazioni edilizie e clientelismi, la mano di quelli che hanno scelto la strada della camorra che ha divorato il territorio, la mano di quei Napoletani che non hanno rispettato e non rispettano la città, la mano di quegli italiani che puntano continuamente il dito e parlando male di una terra di cui non conoscono la storia e la cultura.

Non solo Goethe, le bellezze paesaggistiche di Napoli, oltre che quelle monumentali, sono state decantate da Stendhal, Shelley e tanti altri letterati che, come i viaggiatori del “Grand Tour”, avevano questi luoghi come meta. Così nacque il detto “vedi Napoli e poi muori”. Io continuo a guardarla, ad apprezzarne gli scorci e i panorami dalle varie prospettive e ad apprezzare il miracolo della natura che l’uomo ha delittuosamente profanato. Ecco cosa vuol dire “baciata da Dio, stuprata dall’uomo”.

Esiste davvero questo “snobbismo” da parte del Nord o sono i meridionali ad essere troppo allarmisti e sospettosi?

Diciamo tranquillamente che un certo Nord è sicuramente prevenuto. Come i Napoletani hanno assorbito 150 anni di minorità indotta, così i non Napoletani hanno assorbito i pregiudizi inculcati da chi all’epoca volle inginocchiarli. La dinamica è correlata e le esasperazioni sono da ambo i versanti. All’accanimento spesso ingiustificato contro Napoli corrisponde una sorta di vittimismo a prescindere. Spesso ricevo segnalazioni e risentimenti condivisibili ma qualche volta anche lamentele prive di fondamento. Le cose vanno messe a fuoco con obiettività e non è sempre facile. Ma è certo che lo snobbismo settentrionale ci sia e sia anche forte. Napoli è temuta, all’estero l’Italia è vista come un’immensa Napoli, nel bene e nel male. E gli italiani cercano di enfatizzarne i mali per sotterrarne il bene. Studiando, ho individuato le cause dell’accanimento anti-napoletano, e le denuncia anche un maestro come Paolo Mieli quando dice che è dal Risorgimento che Napoli è vittima di un fortissimo pregiudizio, come se fosse un città del demonio, e ogni volta che ai piedi del Vesuvio accade qualche fattaccio comune a tutta la penisola lo si cerca di far passare per misfatto napoletano al cubo. Purtroppo in questo paese c’è una mentalità chiusa che non analizza i fatti, e non esiste neanche cultura diffusa. Alla mia analisi che è anche quella di un giornalista serio come Mieli, ma anche dell’intellettuale francese Jean-Noël Schifano e del critico d’arte Philippe Daverio, si contrappone la sottocultura sociologica d’estrazione piemontese della sentenza sommaria di Giorgio Bocca secondo il quale Napoli è un cimiciaio senza salvezza. Questo deve far capire che allora come oggi la musica non è cambiata e che chi come me guarda alla storia non guarda al passato ma lo analizza per capire il presente e migliorare il futuro. Dal 1973, negli stadi, ai Napoletani gridano “colerosi”, ma in pochi si indignano o ricordano che quell’epidemia fu causata da dei mitili importati dalla Tunisia e che durò un mese, mentre la stessa epidemia perdurò per due anni a Barcellona. Eppure Napoli fu massacrata in quei giorni, e il marchio è rimasto.

Nei tuoi video, parli spesso del calcio, vedendolo come una sorta di rivalsa nel Sud nei confronti del Nord. E’ così secondo te?

No che non lo è. Non possiamo illudere la gente che basti un grande Napoli a pareggiare le condizioni sociali rispetto alle città del Nord. Io parlo del Napoli da tifoso di Napoli, facendovi passare talvolta alcuni messaggi sociali. Il calcio non è più uno sport ma un fenomeno sociale, ovvero specchio della realtà. Sport sono il basket, la pallanuoto, etc., ma quando si parla di calcio non lo si può considerare solo uno sport vista l’immensa marea di danari e appassionati che vi si catapultano, e perchè sport non è più dal dopoguerra, quando finalmente Nord e Sud poterono confrontarsi anche sportivamente nella stessa categoria (ma non sullo stesso piano) e non come prima quando Torino, Genova e Milano si divertivano a chiamare campionato italiano una lega calcistica del nord. Il calcio è divenuto uno strumento del sistema per distrarre la gente dai problemi del paese, per far discutere al bar di rigore e fuorigioco anziché di signoraggio bancario e massoneria deviata. Così l’attenzione cala a beneficio dell’attesa dell’evento sportivo che tanto è più grande quanto è più forte la rivalità tra le fazioni rivali. E così nascono gli scontri, il razzismo, le offese.

Io, da grande tifoso del Napoli e di Napoli prima di tutto, cerco di “fregare” il sistema trattando di calcio non solo per passione autentica ma anche per sfruttare il grande seguito che il sistema vi ha conferito, in modo da recuperare maggiore attenzione e comunicare a quanta più gente possibile che tifare Napoli deve significare anche tifare per Napoli. I miei video sportivi non devono essere mai banali e devono contenere piccoli segnali, a volte espliciti e altre più subliminali, ma sempre all’insegna della Napoletanità migliore. Nessuna rivalsa sociale, dunque, ma il calcio può essere un grande veicolo di diffusione della nostra storia e della nostra cultura. Del resto, ascoltate i monologhi di meridionalismo applicato al calcio di De Laurentiis e vi accorgerete che non sono il solo a pensarla così. Poi ognuno può recepire o rifiutare pensando che sia sociologia spicciola.

Che riscontri di pubblico ha avuto la tua attività?

Molto confortanti. Ci sono tanti giovani che si sono avvicinati al Movimento che gode anche di una discreta attenzione dei media. In linea di massima ci sono tante persone che ne condividono la filosofia e me lo testimoniano le tante email di ringraziamento che ricevo, le tante segnalazioni partecipative, le migliaia di persone iscritte alle pagine di Facebook e Youtube. Certo, sono anche consapevole di avere degli avversari in chi non vuole che si affermino certe idee, ma non vivo nell’incubo di voler piacere per forza a tutti. La collaborazione con altri movimenti, la condivisione delle idee che è più ampia di quanto mi aspettassi e l’energia di alcuni ragazzi con i quali ho il piacere di avere a che fare rendono al momento il bilancio decisamente positivo.

Pensi che il Sud avrà la meglio sul Nord o auspichi che un giorno l’Italia diventi davvero un paese unito?

L’italia è un paese unito solo geograficamente. Che senso ha avuto crearla senza rispettare il Sud ma denigrandolo, invadendolo e depredandolo? Si è generata la questione meridionale in un Paese conflittuale che chissà per quanto ancora continuerà ad essere tale. Francamente non credo che si possa mai trovare una vera unità, è nella nostra storia il culto del “campanile”. Siamo un popolo di guelfi e ghibellini e non valorizziamo le differenze per un confronto di culture ma le trasformiamo in pretesto di scontro. Del resto allo stadio passiamo più tempo ad offendere gli avversari che a sostenere i nostri. Quello italiano è un popolo scontroso.

Ma qualcosa cambierebbe se si avviasse un vero processo unitario, come quello posto in essere in Germania dove i più ricchi sono stati tassati a beneficio dei più poveri. Così Est ed Ovest sono diventate la Germania unita, e le differenze sociali sono sparite, insieme a quell’area di sottosviluppo ad oriente che avrebbe zavorrato l’occidente. Il nostro Nord è a forte trazione della Lega Nord che sta trascinando anche il settentrione nel baratro. Fingono di non sapere che senza investimenti nel Sud sottosviluppato anche il Nord industrializzato non avanza ma viene risucchiato a fondo. Danno in pasto ai loro elettori una deleteria propaganda elettorale secondo cui il Sud assorbirebbe risorse dal Nord, e il popolo leghista ci casca. In realtà la Lega fa gli interessi dei soli industriali del Nord perchè sa bene che dal Sud sale una marea di soldi derivanti dalla spesa per prodotti e servizi “made in Nord”. Ecco perchè il vero obiettivo è il federalismo in salsa leghista. Ma così andremo a fondo insieme, e sta già succedendo, perchè se il potere di acquisto al Sud cala, calano le vendite dei prodotti industriali che sono del Nord. È il cane che si morde la coda.

L’unica maniera per salvarci è una vera unità federale sul modello teutonico. Ma se continuiamo a farci le guerre, nessuno vincerà e perderemo tutti; soprattutto il Nord perchè noi all’emergenza siamo abituati. Per far questo bisognerà rivedere anche il processo unitario, riconoscerne le ombre e restituire al Sud la sua dignità. Non è più possibile raccontare che il Sud è stato sempre inferiore, che i meridionali sono sempre stati degli “scamiciati”, e che i Borbone di Napoli erano dei tiranni. Ecco perchè è importante parlare del passato, a costo di essere tacciati per nostalgici da chi vuole che tutto questo non accada. Ultimamente abbiamo chiesto all’UNESCO di rivedere la descrizione della storia di Napoli nella pagina ufficiale del nostro centro storico patrimonio dell’umanità, in cui si parlava di regime e tirannia borbonica. Hanno accolto l’istanza e, dopo una riunione interna, hanno cancellato la denigrazione figlia di una bugia risorgimentale, ringraziandoci per avergli sottoposto la questione. Questo in Italia non è possibile perchè le cose non devono cambiare. Il Sud deve restare al minimo, convinto di essere inferiore storicamente, privato di alcun vero investimento. Ciò che viene immesso arriva da fondi europei, talvolta dirottati altrove, e da fondi straordinari ma di misure ordinarie neanche a parlarne. Se poi la classe politica meridionale ci mette del suo sprecando, allora il quadro è completo.

da settimopotere.it

Mazzarri allenatore a Sud

«Napoli-Juventus è confronto sociale del Sud contro il Nord»

Angelo Forgione

L’allenatore del Napoli Walter Mazzarri è intervenuto ieri alla libreria Feltrinelli di Piazza dei Martiri per la presentazione del libro “Napoli otto e mezzo” di Enrico Varriale e ha colto l’occasione per andare oltre i temi tecnici.
A proposito di competizione sportiva con le tre grandi del Nord, il mister ha focalizzato l’attenzione sulla Juventus, dimostrando di essersi calato nella realtà Napoletana e aver compreso i risvolti sociali della sfida ai bianconeri di Torino che è anche questione meridionale applicata allo sport.
«La Juve è il Nord, il potere. Il Napoli rappresenta il Sud e la voglia di mostrare qualcosa di positivo. Chi viene a lavorare qui, per questa squadra, riceve qualcosa in più da questo confronto che è calcistico ma anche sociale. La rivalità con i bianconeri è la rivalsa della città, il Sud contro il Nord. Questo mi dà la carica emotiva per combatterla, mi fa battere il cuore. Mi trovo talmente bene in questa città che quasi mi sento napoletano»
Queste le parole di Mazzarri per descrivere un confronto sportivo-sociale che avrebbe potuto condurre dall’altra parte della barricata, su una panchina nuova di zecca in uno stadio nuovo di zecca, nella città in cui sono venuti su due stadi nuovi in sei anni, di cui uno a sostituirne un altro di soli 20. Praticamente tre in 20 anni, mentre a Napoli il San Paolo è un vecchio elefante di 52 anni e non c’è neanche un palasport degno di tale nome. Ma il progetto sportivo del Napoli di De Laurentiis vale quello dalla Juventus e Mazzarri dimostra di non sentirsi penalizzato, anzi. Mentre il divario tra le città aumenta a favore di Torino, quello tra le squadre gira a favore del Napoli. Ecco perchè per lui sarebbe più bello vincere sui bianconeri quest’anno, più degli anni scorsi. In fondo ha da dimostrare a se stesso che gli è andata bene a restare sulla panca del Napoli, squadra di una città di cui ha ormai capito lo spirito.
Il presidente del Napoli De Laurentiis è solito lanciare messaggi identitari che esulano dalla semplice questione sportiva, e sulla sua strada c’è anche Mazzarri che l’anno scorso aveva dichiarato «i I fucili del nord sono puntati da tutte le parti e io sono soddisfatto, sperando che la squadra capisca questo spirito». Forse è questo uno dei segreti di questo Napoli: l’anima. Come dare torto all’allenatore che ha ricordato di aver fatto una promessa alla gente due anni fa: «il mio Napoli avrà un’anima. Sono stato di parola. E la cosa che più mi piace è che la squadra ha lo spirito dei napoletani».

 

Saviano e la “malaunità” che uccide Napoli e il sud

Saviano e la “malaunità” che uccide Napoli e il sud

Rifiuti e crollo dei monumenti stanno decretando la fine di Napoli, a due mesi dall’ultimatum dell’Unesco che, in assenza di un piano di gestione del centro storico, potrebbe cancellare la città dalla lista dei siti patrimonio dell’umanità.

Roberto Saviano è stato l’indiscusso protagonista del programma RAI “Vieni via con me” dal quale a diffuso messaggi alla nazione su un’Italia sbagliata, nata male e cresciuta peggio. Un’unità mai reale perchè realizzata con presupposti e metodi sbagliati che hanno previsto la sottomissione del meridione e la cancellazione della potenza economica e culturale di quella che era l’unica vera Capitale non solo d’Italia ma, insieme a Parigi e Londra, anche d’Europa.

Nei suoi monologhi, Saviano ha espresso cose esplicite ed altre da interpretare tra le righe. Nel nuovo videoclip della serie “Ammazziamo Pulcinella”, è decodificato per intero il suo messaggio filo-meridionalista rivolto da una parte all’Italia intera che spesso spara a zero su Napoli e il sud, e dall’altra agli stessi Napoletani ormai assuefatti, devitalizzati e privati della propria identità.