––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Angelo Forgione – Antonella Cilento, scrittrice napoletana, a TG1 Billy del 18 maggio: «Napoli nel 1600 è la più grande città d’Europa… È già la metropoli di oggi, è già corrotta, sporca, puzzolente…»
C’è qualche “già” di troppo, e troppo pesante, nelle parole ascoltate in tivù, simili a quelle pronunciate in passato da un antimeridionale come Giorgio Bocca. In quell’Europa problematica, funestata da sporicizia ed epidemie, Napoli non era certo peggio di Parigi e Londra, tra le città più sporche e fetide del Continente, afflitte dal sudiciume maleodorante degli abitanti, molti dei quali non praticavano alcun tipo di abluzione.
Nel 1615 un grande napoletano, Giovan Battista Marino, fu severissimo nel descrivere Parigi dopo esservisi recato: “quando piove è il miglior tempo che faccia, perché allora si lavano le strade: in altri tempi la broda e la mostarda vi baciano le mani”.
Epidemie colpivano tutti a quei tempi, ed è nota la grande peste seicentesca di Napoli, le cui condizioni, nel Settecento e Ottocento, migliorarono (Goethe ne apprezzò la pulizia e detestò la sporcizia del Triveneto e non solo, mentre Restif de la Bretonne denunciò in Les Nuits de Paris il lerciume della capitale francese, dei cui miasmi narrano numerosi racconti dell’epoca) mentre quelle di Parigi e Londra restarono pessime. Si ricorda nel 1858 la drammatica “Grande puzza“, the Great Stink della capitale inglese, causata dal Tamigi, dove venivano gettati i rifiuti solidi e gli escrementi umani (e più o meno lo stesso accadeva nella Senna). Colera e febbre tifoide dilagarono drammaticamente.
Angelo Forgione – Mentre tutti erano distratti da Genny ‘a carogna e dai fiumi di parole sulla sua maglietta e sulla trattativa per svolgere o meno la finale di Coppa Italia, una silenziosa circolare del Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, azzerava il pool di Palermo, che non ha eguali per competenza, le cui indagini nel quadro delle trattative Stato-Mafia hanno delineato nuovi misteri legati a figure appartenenti ad ambienti di potere decisamente più alti di quelli toccati dalle precedenti attività investigative. La direttiva ordina che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbano essere affidati esclusivamente a chi fa parte della Dda, la direzione distrettuale. Striscioni contro lo Stato e a sostegno del pool antimafia di Palermo sono apparsi sui cavalcavia di viale Regione siciliana, nel capoluogo isolano. In uno degli striscioni è scritto: “Lo Stato carogna blocca il pool antimafia”.
Vale la pena ricordare che nel gennaio 2013 la Corte costituzionale accolse il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo per conflitto di attribuzione e dispose la distruzione delle intercettazioni tra il presidente Napolitano e l’ex presidente del Senato Mancino.
Angelo Forgione – Fa indubbiamente piacere sepere che Made in Naples abbia donato nuove emozioni e conoscenze anche a Carlo di Borbone, Duca di Castro. Ricevo dal Commendatore A. Santaniello la lettera dello scorso dicembre di ringraziamento e apprezzamento per il dono ricevuto.
Angelo Forgione – Nel corso della trasmissione radiofonica Si gonfia la rete di Raffaele Auriemma, ho espresso il mio parere sui fatti dell’Olimpico e motivato i fischi all’inno nazionale, che nulla o quasi hanno a che vedere coi tumulti avvenuti dentro e fuori lo stadio. Quei fischi hanno un significato che il Paese bolla come manifestazione di ignoranza, ostinandosi a non volerli comprendere. Eppure già due anni fa si erano verificati in occasione della finale della stessa competizione contro la Juventus. Nessuno si è preoccupato di capire il malessere e la disaffezione di Napoli verso i simboli della Nazione, concentrandosi sulla più deleteria e volgare gogna mediatica a danno dei napoletani.
Nel corso della trasmissione è intervenuto anche il direttore del Corriere del Mezzogiorno Antonio Polito, il quale ha invitato a non individuare nella questione sociale e storica la matrice dei fischi, trovando il disaccordo di Raffaele Auriemma.
chi ha sparato non è napoletano e non ha un soprannome spendibile
Angelo Forgione – L’analisi dei problemi del calcio italiano non può non passare anche attraverso quella delle brutte vicende di sabato sera all’Olimpico, prima della finale di Coppa Italia, che hanno aperto l’ennesima pagina nera dell’informazione italiana. Ancora una volta è stato sminuito l’unico vero fatto saliente della serata, che è di cronaca nera: un folle squilibrato, appartenente alla tifoseria estrema di destra della Roma, ha inizialmente inveito e lanciato petardi e fumogeni all’indirizzo dei napoletani a piedi, alcuni dei quali hanno deviato il tragitto e si sono avvicinati minacciosi al disturbatore, che ha sparato con una pistola beretta 7×65 con matricola abrasa all’indirizzo degli odiati napoletani gridando «vi ammazzo tutti»: cinque colpi di pistola andati a segno quattro volte, con tre persone finite a terra. Uno di questi ha trafitto Ciro Esposito al torace perforando il polmone e conficcandosi nelle vertebre. Qualcuno che spalleggiava il pistolero ha poi provveduto a nascondere la pistola in un vivaio. Evento premeditato, un terremoto che avrebbe potuto essere devastante per l’ordine pubblico. Con 4 persone ferite a terra (tutte arrestate per rissa), sono cominciati gli scontri con la polizia, ultimo anello di una reazione a catena innescata dalla provocazione dell’ultrà romanista. Dopo i colpi di arma da fuoco si è creata una situazione di ordine pubblico gravissima, con le forze dell’ordine attaccate perché accusate di non fare arrivare in tempo i soccorsi e con l’intera curva colpita da una prima notizia che parlava di decesso di Ciro Esposito. La tensione è salita alle stelle e bisognava rassicurare i tifosi. Hamsik, Formisano e Bigon sono andati a parlare coi capiultrà per questo.
La famigerata “carogna” napoletana è stata sbattuta in prima pagina come il mostro colpevole, per colpa della sua vergognosissima t-shirt, per il ruolo che gli è stato dato e per il suo “folcloristico” soprannome napoletano, che fa meno sensazione di “Gastone” ed è molto più spendibile. Nella vicenda, ‘a carogna è indifendibile per quella maglietta che offende milioni di cittadini e infanga tutta la gente che aveva alle spalle, e su ciò non si discute. Ma quella maglietta non è il big-bang degli eventi ed è stata strumentalizzata, troppo attraente, soprattutto se abbinata al suo soprannome e alla sua provenienza. Un mix allettante che l’ha reso colpevole dei tumulti, anche se non aveva alcuna pistola in mano, anche se non ha sparato alcun colpo di pistola, anche se ha soccorso l’agonizzante Ciro Esposito dopo la rissa e se, proprio perché sapeva del fattaccio, è divenuto il riferimento dei napoletani che volevano notizie e soggetto importante attraverso il quale calmare un’intera curva imbufalita. Per l’Italia è ‘a carogna il colpevole, non Gastone. E sono colpevoli i napoletani che sono tutte carogne, sempre e comunque, perché dopo quello che è successo erano agitati e hanno avuto la sfortuna di essere inquadrati dalle telecamere quando hanno lanciato fumogeni in campo, non i fiorentini che hanno esposto lo striscione “Coppa Italia voi che ci fate?” e cantato “Napoli colera” senza uno straccio di sdegno. Benedetta norma sulla discriminazione territoriale maltollerata da dirigenti e certa stampa, che con la loro opposizione hanno aggravato la caccia al napoletano.
Quando i telecronisti hanno annunciato che i fiorentini non avevano alcuna colpa è passato un messaggio pericoloso: la colpa è solo dei napoletani, e non di un folle romano. Il questore di Roma, Massimo Mazza, durante 90° Minuto sulla RAI, ha precisato che nella vicenda non può esserci polemica con Napoli, perché il problema l’ha creato Gastone. E invece il dito di gran parte dei media è stato puntato su Napoli, la città della camorra, della delinquenza e della carogna da sbattere in prima pagina. Pensiamo se Gennaro, invece di calmare i suoi, avesse dato l’ordine di scatenare la vendetta. Cosa sarebbe successo? Agli ultras del Napoli era stato fornito un pretesto su un piatto d’argento, e invece non è successo sostanzialmente nulla. E poi ci sono i risibili interventi fuoriluogo, uno su tutti quello di Tuttosport, quotidiano sportivo di Torino: “i tifosi del Napoli ci hanno messo appena 11’ a dimenticare i fratelli feriti e l’orgoglio di gruppo. È bastato un gol di Insigne. Il raddoppio dello stesso attaccante, ne siamo certi, avrà convinto qualcuno che la doppietta di uno scugnizzo è il segno della benevolenza di San Gennaro per la sofferenza patita dai tifosi partenopei. Evidente, comunque, come la Fiorentina sia stata la squadra più danneggiata dalla sceneggiata partenopea. Il Napoli ha portato a casa una partita francamente imbarazzante, che però ha fatto talmente agli addolorati tifosi del Napoli che si sono messi a cantare o’surdato ‘nnammurato e tutto passa in cavalleria”. Non stavano parlando dell’Heysel.
Spostare i problemi dai riflettori significa non volerli risolvere e non volerci liberare dalle carogne e dai gastoni, significa non volor togliere potere a chi, nelle curve, può continuare a comandare perché fa comodo a chi comanda. Ecco perché, da tempo, siamo arrivati allo sfascio. Ma per l’opinione pubblica cosa importa? Tanto c’è sempre un napoletano di Scampia coinvolto in una sparatoria e un camorrista dietro i quali nascondere i tumori della Nazione, che si scandalizza dei significativissimi fischi all’inno come ha fatto Andrea Della Valle, presidente della Fiorentina, inquadrato dalle telecamere mentre scuoteva sdegnato la testa come a dire “che schifo, non ci siamo proprio”, lui che per salvare la sua squadra dalla retrocessione, insieme al fratello, ha truffato altri club e milioni di scommettitori scendendo a patti con la cupola di Luciano Moggi, etichettata come associazione a delinquere dal Tribunale di Napoli. Col fratello è uscito dal processo per prescrizione e senza opporsi alla scorciatoia del colpo di spugna sulla condanna a un anno e 3 mesi ricevuta in primo grado. Il suo sdegno fa vomitare quanto la maglietta e tutte le brutte immagini viste; ma mai quanto la pistola. Cercasi disperatamente foto di Gastone da sbattere su tutti i telegiornali, i quotidiani e i siti del mondo. Uno che spara, ricatta il presidente della sua squadra, ferma un derby capitolino con diffusione di false notizie e tenta l’avventura politica alle comunali di Roma con una lista civica di nome “Il Popolo della Vita” merita un po’ di notorietà.
entrambe le tifoserie pronte a coprire l’inno cantato da Alessandra Amoroso
Angelo Forgione – Discriminazione territoriale, dirigenti che pretendono che i propri tifosi possano continuare a gridare “Napoli colera”, telecronisti con tesserino di giornalista che, anziché condannare la pericolosità di certe manifestazioni, stimolano in diretta le istituzioni del calcio ad accontentare i tifosi che non gradiscono la norma e giornalisti Rai che invitano a riconoscere i napoletani dalla puzza. E poi verità storica, dilagante come il fiume in piena che riempie le strade di Napoli per chiedere le bonifiche nella “Terra dei fuochi”, lavoro al Sud in erosione come una roccia nel mare, grandi città meridionali che continuano a svuotarsi del miglior materiale umano, travasandolo nell’altra parte del Paese. E ancora, politica che ha cancellato completamente dal dibattito nazionale la “questione meridionale”, come se ormai faccia parte del nostro percorso comune – e lo fa, perché l’Italia l’ha creata e non ci pensa proprio a risolverla – e perciò dobbiamo tenercela insieme alle mafie, che di fatto se le tiene la politica per scopi elettorali, mentre al Sud sofferente lascia i picchi tumorali di Caserta e Taranto, e fermiamoci qui che è meglio. Napoli se la passa sempre peggio, il Sud continua a non passarsela meglio di Napoli, il Nord non se la passa più bene come prima. Hai voglia a dire che mischiare il calcio con la politica è sbagliato. Andateglielo a dire ai napoletani, quelli che non ci stanno a vedere la gente morire di tumore per i rifiuti tossici. Andateglielo a dire a quelli per cui il calcio è una passione e che non hanno nulla a che vedere con coloro che espongono lo striscione “Napoli colera, ora chiudeteci la curva” per rivendicare il diritto ad essere offesi, perché quelli l’offesa la vogliono ricevere, altrimenti che gusto c’è a reagire? Andateglielo a dire a quelli che domani, prima della finale di Coppa Italia, fischieranno l’inno nazionale, come due anni fa e come il 15 ottobre scorso in occasione di Italia-Armenia al San Paolo, quando furono esposti striscioni del tipo “Col sorriso sulla faccia, col veleno nei polmoni, i bambini della terra dei fuochi non vogliono morire”. Andateglielo a dire a quelli che prima non ci pensavano proprio a manifestare dissenso in modo così violento, mentre ora gli riesce spontaneo.
Fischiare un inno è irrispettoso, che sia il proprio o quello altrui. Ed è irrispettoso nei confronti di chi in quell’inno crede e per quello si emoziona. Ma il perbenismo non abita negli stadi, dove razzismo e offese eclissano totalmente ogni valore educativo dello sport. Come si fa a chiedere ai tifosi l’educazione in un Paese maleducato che non rispetta la dignità umana, che segue un corso politico privo di rispetto del voto dei cittadini, che viola in ogni modo la propria Costituzione e spreme il popolo invece di servirlo? Ormai è chiaro, leggendo qua e la, che i fischietti sono già pronti, e chi non ce li ha si prepara a inumidire pollice e indice tra le labbra. Fischieranno anche i fiorentini, da sempre nemici storici della Nazionale e ancor più ostili dopo il fallimento viola del 2002 imputato alla FIGC. Lega, Federcalcio, Ministero degli Interni e Rai temono, e pensano a misure per evitare la figuraccia in eurovisione come in passato si provò a fare in Spagna per zittire (inutilmente) catalani e baschi. Alessandra Amoroso, la cantante che non sta nella pelle per l’onore e l’onere, sarà costretta a imbroccare le giuste note tra i sibili, ma forse non ci resterà male come Arisa, che fu colta di sorpresa e pensò che i napoletani ce l’avessero con lei. Ne scaturiranno le solite immancabili polemiche, il premier Renzi stigamtizzerà con sdegno insieme a tutte le altre alte cariche dello Stato. I benpensanti non si sforzeranno di comprendere la causa e si eserciteranno a condannare l’effetto. Ma stavolta, rispetto a quanto accadde in occasione della finale 2012, nessuno potrà cadere dalle nuvole. Basta, per restare al mondo del calcio, la sola opposizione dei dirigenti di Juventus, Milan e Inter e di altri addetti ai lavori al tentativo, già tardivo, di punire il vilipendio di Napoli che negli stadi dura dal 1973, con la già ventilata modifica delle norme sulla discriminazione territoriale a fine stagione.
C’era un tempo in cui la Nazionale italiana correva al San Paolo per trovare entusiasmo e calore. Quel tempo non c’è più. L’Italia trova difficoltà pure a giocare a Napoli e si nasconde, come Napolitano a Capodanno. Nulla accade mai per caso.
Angelo Forgione e Gennaro Iezzo sui fischi del 2012
Angelo Forgione – L’EXPO di Milano ci parla di pizza con un un video e una descrizione davvero interessanti sul sito ufficiale della manifestazione, raccontandoci che il disco condito, in origine, non fu capito dagli italiani, considerato un cibo da lazzaroni che lo portavano alla bocca con le mani. Collodi lo definì un “sudiciume complicato”. Ma i napoletani, con la pizza, dimostravano indirettamente di essere decisamente avanti, anticipando di due secoli la pizzamania esplosa nel dopoguerra. Oggi la pizza è il simbolo della cucina italiana, mangiata in tutto il mondo con le mani, con buona pace dei lazzaroni golosi di sudiciume.
Interessante leggere nella descrizione dell’EXPO di kilt, tartan e cornamusa in quanto antiche tradizioni inventate “per conferire una patina di nobiltà a una regione particolarmente arretrata e desiderosa di rifarsi un’immagine dopo il suo ingresso nel Regno Unito”. Il “grande inganno” diventa ancora più significativo proseguendo nella lettura: “La pizza così come noi italiani la intendiamo è nata infatti all’inizio dell’Ottocento a Napoli, […] con la nascita delle prime pizzerie e l’invenzione della pizza Margherita in occasione della visita dei Savoia a Napoli nel 1886”.
In realtà, la pizza, come la conosciamo, è nata a Napoli nel primo 700, non nell’800 come erroneamente riportato, e la Margherita è stata partorita tra il 1796 e il 1810, ben prima del parziale falso storico dell’omaggio alla regina piemontese da parte di Raffaele Esposito, il quale a Margherita di Savoia portò in dono una pizza già esistente in città da decenni. A proposito di costruzione di immagine e grande inganno…
Mastroberardino in “Fior di margherita” all’antica pizzeria Lombardi di via Foria
Angelo Forgione – Addio a Roberto Mancini, il poliziotto 53enne che si ammalò per combattere i veleni nella “Terra dei fuochi”. Per anni in trincea contro inquinatori e trafficanti dei rifiuti, ha svolto per la Commissione di inchiesta della Camera diversi sopralluoghi in discariche piene di veleni e in siti radioattivi, scoprendo tutta la verità su un torbido intreccio. Come raccontò a SkyTG24 e a Le Iene, la sua informativa, consegnata nel 1996 alla DDA di Napoli, è rimasta ignorata per anni, chiusa in un cassetto e occultata. Nel 2002 scoprì di avere un cancro al sangue, riconosciuto come malattia per causa di servizio, ma risarcito con soli 5mila euro da parte del Viminale. È morto lottando anche contro lo Stato «che non mi ha messo – disse a Repubblica TV – in condizioni di tutelare la mia salute». “Spero che le sofferenze che Roberto ha dovuto sopportare per aver servito lo Stato contro le ecomafie in Campania non cadano nell’indifferenza delle istituzioni e dell’opinione pubblica – ha dichiarato la moglie a Mediterraneo News – e mi auguro che il suo ricordo possa servire da esempio per tutti coloro che non vogliono arrendersi a chi vuole avvelenare le nostre terre, le nostre vite […]”.
alimentazione sana nata a Napoli e codificata al Sud, dove ora cresce l’obesità
Angelo Forgione– Anche l’Expo di Milano, con uno spot istituzionale, apre una triste riflessione sulla tradizione alimentare meridionale: La dieta mediterranea, che nasce a Napoli e viene codificata nel Mezzogiorno negli anni Cinquanta, non abita più a casa sua (nel video). Nel mio Made in Naples ho espresso una riflessione sull’argomento, che riporto in sintesi di seguito con qualche passaggio del libro.
Ancel Keys, in un convegno mondiale sull’alimentazione svoltosi a Roma nel 1951, apprese dal collega napoletano Gino Bergami della ridottissima incidenza delle patologie cardiache in Campania. E così studiò l’alimentazione dei napoletani, ricca di carboidrati, verdure, olio di oliva, pane, legumi e pesce, convincendosi con le sue ricerche nei laboratori del Vecchio Policlinico di Napoli che la riduzione dei grassi animali era alla base della buona salute della popolazione locale.
“A Napoli la dieta comune era scarsa di carne e prodotti caseari, la pasta generalmente sostituiva la carne a cena. Nei mercati alimentari scoprii montagne di verdura e le buste della spesa delle donne erano cariche di verdura frondosa. Nello stesso tempo, i campioni di sangue degli uomini sotto controllo medico che noi stavamo visitando presentavano un basso livello di colesterolo. I pazienti con disturbi cardiaci alle coronarie erano rari negli ospedali e i medici locali ci dissero che gli attacchi di cuore alle coronarie non erano molto frequenti. I disturbi cardiaci alle coronarie erano ritenuti essere più comuni nelle classi benestanti dove la dieta era più ricca di carne e prodotti caseari. Mi convinsi che la dieta salutare era un motivo dell’assenza di disturbi cardiaci.”
Keys girò per il Meridione, trovando ulteriori spunti di ricerca nella località calabrese di Nicotera e in quella cilentana di Pioppi, e giunse alla codifica delle diete di vari Paesi con culture e stili di vita differenti, codificando il modello nutrizionale della dieta mediterranea quale misura alimentare per prevenire l’infarto, ispirata alle usanze di Italia, Grecia, Spagna e Marocco, riconosciuta patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO nel 2010.
Tutto questo, descritto in maniera più chiara e completa in Made in Naples, mi ha condotto ad una riflessione nella trattazione della “denapoletanizzazione” da arginare.
[…] Così Napoli si è fatta, più di ogni altro luogo, cuore di una riflessione che riguarda le metropoli più antiche del mondo che hanno smarrito il loro orientamento. Il suo limite, il più devastante, autentico dramma sociale della miseria, è identico a quello del 1750, quando Antonio Genovesi e Bartolomeo Intieri individuarono nella carente formazione intellettuale il freno di un popolo dalle grandi potenzialità. È l’ignoranza diffusa la vera inibizione della Napoli del Duemila, figlia della dispersione scolastica che tocca percentuali inaccettabili. A questa si associa l’influenza negativa del mondo esterno globalizzato che, inquinando il pensiero individuale, omologa e sconvolge la specificità.Il popolo che nel 1951 stupì Ancel Keys per la sua alimentazione, presa a modello per la formulazione della dieta mediterranea, è oggi il più affetto da obesità d’Italia.
Purtroppo la dieta mediterranea, globalizzata dall’Unesco, è sempre meno seguita in Italia, dove i potentati del cibo spazzatura impongono i propri stili, soprattutto tra i giovani e le fasce con un basso livello socio-economico. Numerose indagini hanno infatti mostrato un aumento di sovrappeso e obesità e il fenomeno è più diffuso al Sud, particolarmente in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata, ovvero lì dove è nata la dieta mediterranea.
Angelo Forgione – Fino al 13 luglio, al Museo delle Arti sanitarie di Napoli, sito nel complesso di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, è visitabile la mostra “La sanità al tempo dei Borbone”, organizzata dall’associazione culturale “Il Faro di Ippocrate” e dedicata alla storia della Scuola Medica Napoletana, allla rete assistenzialistica partenopea e alla formazione della professione del medico negli anni del Regno borbonico.
L’evento rende omaggio alla tradizione medica che diede lustro al Sud tra il 1734 e il 1860, ricostruendo l’intera pagina sanitaria nel Mezzogiorno, all’avanguardia nell’Europa dell’epoca. La prima assistenza sanitaria gratuita italiana (promossa da Ferdinando IV), la percentuale di medici per numero di abitanti più alta di tutto il resto d’Italia (9.500 tra medici e chirurghi per 9 milioni di abitanti, rispetto ai circa 7.000 professionisti della sanità per i 13 milioni di cittadini della restante Italia) e la più bassa mortalità infantile del territorio italiano la dicono lunga sul sistema sanitario borbonico. Due esempi storici di eccellenza: nel 1777 il Regno delle Due Sicilie sostenne una campagna vaccini contro il vaiolo per due milioni di persone; nel 1813 Aversa fu sede del primo ospedale psichiatrico italiano. Nonostante questa grande tradizione meridionale, peraltro risalente alla Scuola Medica Salernitana del XII secolo, con l’avvento dei Savoia e l’unificazione italiana i medici dell’ex Regno delle Due Sicilie furono obbligati a ripetere l’esame di idoneità alla professione medica. Gli atti che testimoniano questa pagina nera dell’Unità sono riuniti nella “bacheca della vergogna”.
Il campionario di curiosità è enorme: strumenti medici del tempo (apparati per lavande gastriche e clisteri, cassette chirurgiche militari, armadietti con boccette di farmaci del tempo, ecc.), busti dei medici illustri (Cirillo e Cotugno su tutti) e diverse curiosità, come il kit di pronto soccorso da passeggio per fronteggiare le emergenze in strada, il bastone corredato di siringhe, medicazioni e bisturi. In mostra anche alcuni modelli anatomici usati dagli studenti di medicina dell’epoca, e poi documenti, testimonianze e trattati di ogni genere. Sei le tappe tematiche: dai luoghi della sanità napoletana alla formazione professionale nelle province del Regno, dai singolarissimi cimiteri antichi ai tanti reclusori, per concludere con le prime “Case dei pazzi”, L’Ostretricia e la Medicina sociale. Una sezione a parte è dedicata al capitolo della peste.
Non va dimenticato che la buona tradizione sanitaria napoletana è proseguita anche dopo l’Unità d’Italia. Emblematici i casi di Vincenzo Tiberio e Arnaldo Cantani, veri padri dell’antibiosi nella Napoli post-unitaria ben prima di Fleming, i primi a condurre validissimi studi che condussero alla scoperta della penicillina (maggiori informazioni su Made in Naples – Magenes 2013).