––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
12-13 Febbraio: a Gaeta! Vi aspetto con Eddy Napoli per un “toccante” momento
Numerose le presenze segnalate a Gaeta per il prossimo Convegno Nazionale in ricordo dell’assedio del 1861. Molti amici e tantissimi rappresentanti dei più attivi movimenti meridionalisti giungeranno con auto e autobus. Saranno rappresentati i Siciliani, i Calabresi, i Pugliesi, i Lucani, gli Abruzzesi e i Molisani e, naturalmente, i Campani. Alcuni sono stati costretti a prenotare fuori sede per il “tutto esaurito.
Una partecipazione corale che infonde a questo momento storico-politico molto particolare il giusto significato e la giusta autorevolezza.
Ci ritroveremo tutti accomunati da un ideale di verità, ricordando e onorando i Simboli della nostra identità che Francesco II lasciò sotto le rovine di Gaeta e di tutto il nostro antico Stato.
Io vi aspetto li, per le strade della città a commemorare la nostra storia e a ricordare i tanti morti del nostro popolo di allora. E vi do appuntamento all’Hotel Serapo nella giornata di Sabato quando, alle 18:00, durante una conversazione a più voci nella sala convegni con Pino Aprile, Lino Patruno e Lorenzo Del Boca, presenterò con Eddy Napoli il “toccante” videoclip della nuova canzone “Suonno ‘e libertà” dedicata dall’artista Napoletano alla memoria delle vittime dell’invasione piemontese.
E Sabato sera, tutti insieme a tifare Napoli contro la Roma… mangiando nel borgo di Gaeta con menu storici del 1860.
SILVIO BALDINI E I TIFOSI DEL NAPOLI DISOCCUPATI
Angelo Forgione a radio CRC risponde al “sociologo”
A “Zona Mista”, su Radio CRC targato Italia, Angelo Forgione risponde al “trattato di sociologia” dell’allenatore senza laurea e senza panchina Silvio Baldini, pronunciato alla trasmissione “Che Domenica” su Sportitalia del 6 Febbraio 2011.
“La Giunta della Regione Campania ha deciso di cancellare il Grande Programma Integrato Urbano per il Centro Storico di Napoli Patrimonio Unesco, probabilmente i 220 milioni di euro che dovevano essere impegnati per riqualificare il cuore di Napoli, scompariranno a vantaggio delle Regioni del Nord Italia, così come avvenuto per i fondi FAS”.
La denuncia arriva da Alberto Patruno e Gianfranco Wurzburger, rispettivamente presidente e assessore alla vivibilità della II Municipalità di Napoli che comprende gran parte del centro storico in cui si legge anche che “un protocollo d’intesa tra Comune di Napoli, Regione Campania, Soprintendenza e Curia Arcivescovile, totalmente ignorato dal presidente Caldoro, è stato cestinato senza alcun rispetto per chi vive il centro storico!”.
“Tanti monumenti, più di 40 chiese, molte strade e piazze del centro storico – proseguono gli esponenti della Municipalità – dovevano essere riqualificate e restaurate, ma purtroppo con questa scelta della Giunta Regionale tutto viene azzerato, e siamo sicuri che questa scelta è stata dettata dalla capitale!”
“Facciamo appello – concludono Patruno e Wurzburger – a tutti i parlamentari napoletani, ai consiglieri regionali ed ai segretari di partito affinché si organizzi una mobilitazione generale per evitare questo “scippo”, per fermare questo furto che sta per subire la nostra città e soprattutto il popolo napoletano”.
La bufera è arrivata con la delibera regionale, pubblicata la scorsa settimana proprio mentre il Comune presentava il Piano di Gestione che faceva affidamento sui 220 milioni già approvati dalla precedente giunta Bassolino. La giunta Caldoro ha invece revocato con un colpo di spugna la vecchia delibera del 5 Marzo 2010 motivandola con l’esigenza di riaggiornare il tutto alla luce del “Piano Sud” del Governo e delle delibere CIPE sui criteri per la spesa dei fondi strutturali. Gli assessori comunali all’edilizia e alla cultura Pasquale Belfiore e Nicola Oddati fanno sapere che si sta dialogando con la Regione per non far perdere un solo euro e per ottenere la revoca della delibera regionale in modo da sbloccare almeno i fondi necessari per il restauro del Museo Filangieri, il recupero di Villa Ebe e nuovi lotti di lavori per l’Albergo dei Poveri.
L’allarme lanciato dalla II Municipalità è comunque concreto e nasconde l’ennesimo rischio per Napoli che lascerebbe così scappare altri finanziamenti verso il nord del paese.
Quello della guglia dell’Immacolata di Piazza del Gesù è un nuovo paradosso napoletano. Da quando dal settecentesco monumento si sono staccati dei frammenti di marmo, era Novembre, l’obelisco è stato transennato per una mera questione di sicurezza dei passanti. Per il restauro il Comune non dispone di alcuna cifra e per questo confida nelle sponsorizzazioni.
Eppure all’esterno del cantiere si legge che i lavori hanno un termine: 13 Febbraio. Impossibile rispettare la scadenza, anche perché quella data è stata apposta con leggerezza. La II Municipalità ha infatti presentato un esposto al Sindaco a firma del consigliere Pino De Stasio e da Palazzo San
Giacomo hanno fatto sapere che i lavori si sono fermati quando, arrivati a 18 metri di altezza, ci si è resi conto che la situazione era più grave del previsto. E così il cantiere è rimasto li a futura memoria, senza alcun restauratore all’opera, come a simboleggiare proprio all’ingresso dei decumani il degrado che attanaglia il centro storico patrimonio Unesco.
Dunque, un’altra pagina nera scritta da chi dovrebbe sovraintendere alla manutenzione dello splendido patrimonio monumentale e culturale partenopeo. È bene ricordare che la barocca guglia dell’Immacolata è il più noto obelisco di Napoli; un tempo stampata sulle banconote da 10mila delle vecchie lire, fu eretta dall’ordine dei Gesuiti con fondi raccolti tra i fedeli e fu pensata ispirandosi alle macchine da festa che proprio nel settecento erano protagoniste delle tante feste religiose.
Gaffe di Baldini sui Napoletani (e Mutti lo sostiene) “disoccupazione alla base del tifo partenopeo”
L’ex allenatore di Empoli, Catania e Lecce Silvio Baldini, noto soprattutto per aver rifilato un calcione al collega Mimmo Di Carlo nel match di Serie A Parma-Catania del 2007 e per la sue sterili accuse al conterraneo Mazzarri, si è reso protagonista di un’uscita poco delicata nei confronti dei Napoletani. In occasione della trasmissione “Che domenica” in onda il 6 Febbraio su Sportitalia, si è inserito nel dibattito tra Massimiliano Allegri e Michele Criscitiello riguardo all’esigenza dei tifosi napoletani affermando: “A Napoli c’è molta più pressione rispetto a Milano perchè il calcio è una risorsa della città mentre a Milano i tifosi vanno a lavorare”. Il conduttore Michele Criscitiello ha prontamente redarguito Baldini che si è poi arrampicato sugli specchi per dare una motivazione sociologica al fenomeno della passione calcistica dei napoletani.
Di seguito la protesta di V.A.N.T.O. inviata alla redazione di Sportitalia:
Gentile redazione e stimabile Michele Criscitiello,
prendiamo atto delle dichiarazioni del Signor Silvio Baldini alla trasmissione “Che Domenica” del 6 Febbraio secondo cui a Napoli si vivrebbe di più il calcio perchè i napoletani non vanno a lavorare a differenza di quanto accade a Milano.
Il pensiero di Baldini non è passato inosservato e riceviamo numerose segnalazioni del fatto da parte di tanti napoletani indignati. Le parole dell’allenatore toscano sono oltremodo offensive della dignità della laboriosissima comunità partenopea. Non si capisce come una persona di esperienza, o presunta tale, possa esternare dei pensieri simili.
Pertanto chiediamo al Sig. Silvio Baldini pubbliche scuse nelle prossime trasmissioni per quanto affermato con la solita superficialità figlia di luoghi comuni che hanno francamente tediato.
Di seguito il comunicato stampa ripreso dai siti di informazione sportiva
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“Invece di fare il sociologo, Baldini pensi a trovare una panchina e a restarci”
Le dichiarazioni dell’allenatore senza panchina Silvio Baldini alla trasmissione “Che Domenica” del 6 Febbraio, secondo cui a Napoli si vivrebbe di più il calcio perchè i napoletani non vanno a lavorare a differenza di quanto accade a Milano, sono l’ennesima dimostrazione di come fastidiosi luoghi comuni contagino taluni addetti ai lavori che si trovano ad analizzare la realtà napoletana non solo dal punto di vista calcistico. Il pensiero di Baldini non è passato inosservato e ho ricevuto numerose segnalazioni del fatto da parte di tanti napoletani indignati. Le parole dell’allenatore toscano sono oltremodo offensive della dignità della laboriosissima comunità partenopea, a prescindere dalla disoccupazione che non è certamente un fenomeno figlio di scelte personali. Non si capisce, tra l’altro, come una persona di esperienza, o presunta tale, possa esternare dei pensieri di una simile fragilità intellettuale. È forse Cagliari città calcisticamente passionale quanto Napoli nonostante il suo tasso di disoccupazione? Suvvia! Alla redazione di Sportitalia è stata inviata una richiesta di pubbliche scuse da parte del diretto interessato per quanto affermato con la solita disgustosa presunzione verso i napoletani.
È giunto poi il commento di Michele Criscitiello al portale tuttonapoli.net che ha affermato: “Domenica prossima sarà ospite nuovamente Silvio Baldini che, sono convinto, farà chiarezza sulle sue parole durante una nuova puntata di Che Domenica”.
A rincarare la dose si è poi aggiunti anche Bortolo Mutti che, in fuori onda della puntata di “Notti magiche” del giorno seguente, tende a scagionare il collega Baldini durante un dibattito a telecamere spente in cui si vede un Criscitiello molto infastidito. Mutti, non inquadrato, dice “Beh, io son stato a Napoli e la verità non è poi tanto lontana da quello che ha detto Baldini”. Prima, Criscitiello aveva dato in diretta la notizia delle 1.000 email di protesta ricevute.
videoclip: L’UNITA’ D’ITALIA NEL PALLONE Napoli dà un CALCIO a ipocrosia e retorica
La nazione italiana compie 150 anni e prova a festeggiare nell’indifferenza generale il suo terzo giubileo.
Perchè allora a Napoli (e Palermo), prima delle partite della Coppa Italia 2011, è stato fischiato l’inno nazionale? E perchè allo stadio “San Paolo” spuntano sempre più numerose le bandiere dell’antico stato meridionale? Proviamo a capirlo nel videoclip. Tra crisi dei rifiuti, trasferimento di stanziamenti dal sud al nord e spaccature politico-sociali di un paese falsamente unito, Napoli dissente dal racconto della falsa storia del risorgimento e prende le distanze dalla retorica patriottica. E lo fa capire al paese proprio nelle manifestazioni sportive di massa, strumentalizzate dal Governo per distribuire i falsi racconti che durano da 150 anni.
Come e perché l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie
Angelo Forgione –La storica spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica, quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito ben più numeroso, per poi risalire la Penisola fino a a Napoli, capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su, per dare agli italiani la nazione unita.
Troppo hollywoodiano per essere vero. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti con i quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi, che agli inglesi, in seguito, non mancò mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.
I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino, Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie, non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.
Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una ragione per promuovere la fine di quello napoletano e liberarsi di un soggetto politico divenuto scomodo.
Furono gli idilliaci rapporti tra Ferdinando di Borbone e papa Pio IX a generare l’astio di Londra. La massoneria inglese aveva come priorità politica la cancellazione delle monarchie cattoliche, e la cattolicissima Napoli era ormai invisa a chi, a Londra e dintorni, mirava alla cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale ostacolo a tale obiettivo, che coincideva con quello dei Savoia e dei liberali massoni d’Italia. Massoni erano i politici britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone, gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Camilla Benso di Cavour.
In questo conflittuale scenario di potentati, la nazione napolitana percorreva un suo percorso dettato della politica di Ferdinando II, che condusse una politica di sviluppo autonomo finalizzata a spezzare le catene delle dipendenze straniere.
La flotta navale delle Due Sicilie costituiva inoltre un fastidio per la grande potenza navale inglese anche e soprattutto in funzione dell’apertura dei traffici con l’Oriente nel Canale di Suez, i cui scavi cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina.
L’integrazione del sistema marittimo con quello ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo grazie ai quali la flotta dello Zar aveva navigato serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i porti delle Due Sicilie.
Proprio il controllo del Mediterraneo era una priorità per la “Perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia quale punto più strategico per gli accadimenti nel Mediterraneo e in Oriente. L’isola costituiva la sicurezza per l’indipendenza napolitana e in mano agli stranieri ne avrebbe decretata certamente la fine, come fece notare Giovanni Aceto nel suo scritto De la Sicilie et de ses rapports avec l’Angleterre.
La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante e imponeva coi cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di cui l’isola era ricca per i quattro quinti della produzione mondiale; con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei governi imperialisti.
I Borbone, in questo scenario, ebbero la colpa di considerarsi insovvertibili in Italia e di non capire che il pericolo non era da individuare nella Penisola ma più in là. Il Regno di Napoli e quello d’Inghilterra erano infatti alleati solo mezzo secolo prima, ma in condizione di sfruttamento a favore del secondo per via dei considerevoli vantaggi commerciali che ne traeva in territorio duosiciliano. Fu l’opera di affrancamento e di progressiva riduzione di tali vantaggi da parte di Ferdinando II a rompere l’equilibrio e a suscitare le cospirazioni della Gran Bretagna, che riteneva Napoli obbligata a servire Londra per gli aiuti contro i francesi del 1799 e del 1815 e perciò si rivelò un vero e proprio cavallo di Troia. Per questo fu più conveniente per gli inglesi “convertire” l’ormai inimicizia dello stato borbonico con l’aiuto a un nuovo stato alleato.
Questi furono i motivi principali che portarono l’Inghilterra a stravolgere gli equilibri della penisola italiana, propagandando idee sul nazionalismo dei popoli e denigrando i governi di Russia, Due Sicilie e Austria. La mente britannica armò il braccio piemontese per il quale il problema urgente era quello di evitare la bancarotta di raccogliendo l’opportunità offertagli di invadere le Due Sicilie e portarne a casa il tesoro.
Un titolo sul Times dell’epoca, pubblicato già prima della morte di Ferdinando II, fu foriero di ciò che stava per accadere e spiegava l’interesse imperialistico inglese nelle vicende italiane. “Austria e Francia hanno un piede in Italia, e l’Inghilterra vuole entrarvi essa pure”.
Lo sbarco a Marsala e l’invasione del Regno delle Due Sicilie sono a tutti gli effetti un gravissimo atto di pirateria internazionale, compiuto ignorando tutte le norme di Diritto Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Il fatto che nessuna nazione straniera abbia mosso un dito mentre avveniva e si sviluppava la dice lunga su quale sia stata la predeterminazione di un atto così grave e sulle volontà della potente Inghilterra.
Garibaldi fu un burattino in mano a Vittorio Emanuele II Cavour, l’unico che avrebbe potuto compiere l’invasione senza dichiarazione, non essendo né un sovrano né un politico. E venne manovrato a dovere dal conte piemontese, dal Re di Sardegna e anche dai cospiratori inglesi, fin quando non giunse il momento di costringerlo a farsi da parte.
Di soldi, nel 1860, ne circolarono davvero parecchi per l’operazione. Qualcuno parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra, denaro investito per comprare il tradimento di chi serviva allo scopo, ma anche armi, munizioni e navi. A Londra nacque il “Garibaldi Italian Fund Committee”, un fondo utile ad ingaggiare i mercenari che dovevano formare la “Legione Britannica”, uomini feroci che poi aiutarono il Generale italiano.
Garibaldi divenne un eroe in terra d’Albione, e la sua popolarità arrivò alle stelle. Nacquero i “Garibaldi’s gadgets”: ritratti, composizioni musicali, spille, profumi, cioccolatini, caramelle e biscotti, tutto utile a reperire fondi utili all’impresa in Italia.
In realtà, alla vigilia della spedizione dei mille, tutti sapevano cosa stesse per accadere, tranne la Corte e il Governo di Napoli, ai quali “stranamente” non giunsero mai quei telegrammi e quelle segnalazioni che venivano inviate dalle ambasciate internazionali. In Sicilia invece, ogni unità navale riceveva le coordinate di posizionamento nelle acque duosiciliane.
La traversata partì da Quarto il 5 Maggio 1860 a bordo della “Lombardo” e della “Piemonte”, due navi ufficialmente rubate alla società Rubattino ma in realtà fornite favorevolmente dall’interessato armatore genovese, amico di Cavour. Garibaldi non sapeva neanche quanta gente aveva a bordo, non era una priorità far numero; se ne contarono 1.089 e il Generale restò stupito per il numero oltre le sue stime. Erano persone in buona parte col pedigree dei malavitosi e ne feve una raccapricciante descrizione lo stesso Garibaldi. Provenivano da Milano, Brescia, Pavia, Venezia e più corposamente da Bergamo, perciò poi detta “Città dei Mille”. Vi erano anche alcuni napoletani, calabresi e siciliani, 89 per la precisione, molto dei quali immortalati nella toponomastica delle città italiane.
La rotta non fu casuale ma già stabilita, come il luogo dello sbarco. Marsala non era la terra scorta all’orizzonte ma il luogo designato perché li vi era una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi affari, tra cui la viticoltura.
La rotta non fu casuale ma già stabilita, come il luogo dello sbarco. Marsala non era la terra scorta all’orizzonte ma il luogo designato perché li vi era una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi affari, tra cui la viticoltura.
Il 10 Maggio, alla vigilia dello sbarco, l’ammiragliato inglese a Londra diede l’ordine ai piroscafi bellici “Argus” e “Intrepid”, ancorati a Palermo, di portarsi a Marsala; ufficialmente per proteggere i sudditi inglesi ma in realtà con altri scopi. Ci arrivarono infatti all’alba del giorno dopo e gettarono l’ancora fuori la città col preciso compito di favorire l’entrata in rada delle navi piemontesi. Navi che arrivarono alle 14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza avessero i rivoltosi che altrimenti avrebbero più verosimilmente scelto di sbarcare di notte.
L’approdo avvenne proprio dirimpetto al Consolato inglese e alle fabbriche inglesi di vini “Ingham” e “Whoodhouse” con le spalle coperte dai piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle fabbriche, ostacolarono i colpi di granate dell’incrociatore napoletano “Stromboli”, giunto sul posto insieme al piroscafo “Capri” e la fregata a vela “Partenope”.
Le trattative che si intavolarono fecero prendere ulteriore tempo ai garibaldini e sortirono l’effetto sperato: I “Mille” sbarcarono sul molo. Ma erano in 776 perché i veri repubblicani, dopo aver saputo che si era andati a liberare la Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, si erano fatti sbarcare a Talamone, in terra toscana. Contemporaneamente sbarcarono dall’Intrepid dei marinai inglesi anch’essi di rosso vestiti che si mischiarono alle “camicie rosse”, in modo da impedire ai napoletani di sparare.
Napoli inviò proteste ufficiali a Londra per la condotta dei due bastimenti inglesi ma a poco servì. Garibaldi e i suoi sbarcarono nell’indifferenza dei marsalesi e la prima cosa che fecero fu saccheggiare tutto ciò che fosse possibile. Il 13 Maggio Garibaldi occupò Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unì a lui con una banda di “picciotti”. Da qui il Generale si proclamò “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 15 Maggio fu il giorno della storica battaglia di Calatafimi. I Mille erano ormai il doppio; vi si erano uniti “picciotti” siciliani, inglesi e marmaglie insorte, e sfidarono i soldati borbonici al comando del Generale Landi. La storiografia ufficiale racconta di questo conflitto come di un miracolo dei garibaldini ma in realtà si trattò del risultato pilotato dallo stesso Generale borbonico.
I primi a far fuoco furono i “picciotti”, che vennero decimati dai fucili dei soldati Napoletani.Il Comandante borbonico Sforza, con i suoi circa 600 uomini, assaltò i garibaldini rischiando la sua stessa vita e, mentre il Generale Nino Bixio chiedeva a Garibaldi di ordinare la ritirata, il Generale Landi, che già aveva rifiutato rinforzi e munizioni a Sforza scongiurando lo sterminio delle “camicie rosse”, fece suonare le trombe in segno di ritirata. Garibaldi capì che era il momento di colpire i borbonici in fuga e alle spalle, compiendo così il “miracolo” di Calatafimi. Una battaglia che avrebbe potuto chiudere sul nascere l’avanzata garibaldina se non fosse stato per la condotta di Landi, che fu accusato di tradimento dallo stesso Re Francesco II e confinato sull’isola d’Ischia; non a torto, perché poi un anno più tardi l’ex generale di brigata dell’esercito borbonico e poi generale di corpo d’armata dell’esercito sabaudo in pensione si presentò al Banco di Napoli per incassare una polizza di 14.000 ducati d’oro datagli dallo stesso Garibaldi ma scoprì che sulla sua copia, palesemente falsificata, erano scritti tre zeri di troppo. Landi, per questa delusione, fu colpito da ictus e morì.
Garibaldi, ringalluzzito per l’insperata vittoria di Calatafimi, s’inoltrò nel cuore della Sicilia mentre le navi inglesi, sempre più numerose, ne controllavano le coste con movimenti frenetici. In realtà la flotta inglese seguiva in parallelo per mare l’avanzata delle camicie rosse su terra per garantire un’uscita di sicurezza.
Intanto sempre gli inglesi fecero arrivare in Sicilia corposi rinforzi, armi e danari per i rivoltosi e preziose informazioni da parte di altri traditori vendutisi all’invasore per fare del Sud una colonia. Le banche di Londra sono piene di depositi di cifre pagate come prezzo per ragguagli sulla dislocazione delle truppe borboniche e di suggerimenti dei generali corruttibili, così come di tante altre importantissime informazioni segrete.
Garibaldi entrò a Palermo e poi arrivò a Milazzo ormai rafforzato da uomini e armi moderne, e l’esito della battaglia che li si combattè, a lui favorevole, fu prevalentemente dovuto all’equipaggiamento individuale dei rivoltosi, che avevano ricevuto in dotazione persino le carabine-revolver americane “Colt” e il fucile rigato inglese modello “Enfield ‘53”.
Quando l’eroe dei due mondi passò sul territorio peninsulare, le navi inglesi continuarono a scortarlo dal mare, e anche quando entrò a Napoli da Re sulla prima ferrovia italiana ebbe le spalle coperte dall’Intrepid – chi si rivede? – che dal 24 Agosto, insieme ad altre navi britanniche, si mosse nelle acque napoletane.
Il 6 Settembre, giorno della partenza di Francesco II e del concomitante arrivo di Garibaldi a Napoli in treno, il legno britannico sostò vicino alla costa, davanti al litorale di Santa Lucia, da dove poteva tenere sotto tiro il Palazzo Reale. Una presenza costante e incombente, sempre minacciosa per i borbonici e rassicurante per Garibaldi, una garanzia per la riuscita dell’impresa dei “più di mille”. l’Intrepid lasciò Napoli il 18 Ottobre 1860 per tornare definitivamente in Inghilterra dando però il cambio ad altre navi inglesi, proprio mentre Garibaldi, “dittatore di Napoli”, donava agli amici inglesi un suolo a piacere che venne designato in via San Pasquale a Chiaia, su cui fu poi eretta quella cappella protestante che Londra aveva sempre voluto costruire per gli inglesi di Napoli ma che i Borbone non avevano mai consentito di realizzare. Lo stesso accadrà a Palermo nel 1872.
Il 6 Settembre, giorno della partenza di Francesco II e del concomitante arrivo di Garibaldi a Napoli in treno, il legno britannico sostò vicino alla costa, davanti al litorale di Santa Lucia, da dove poteva tenere sotto tiro il Palazzo Reale. Una presenza costante e incombente, sempre minacciosa per i borbonici e rassicurante per Garibaldi, una garanzia per la riuscita dell’impresa dei “più di mille”. l’Intrepid lasciò Napoli il 18 Ottobre 1860 per tornare definitivamente in Inghilterra dando però il cambio ad altre navi inglesi, proprio mentre Garibaldi, “dittatore di Napoli”, donava agli amici inglesi un suolo a piacere che venne designato in via San Pasquale a Chiaia, su cui fu poi eretta quella cappella protestante che Londra aveva sempre voluto costruire per gli inglesi di Napoli ma che i Borbone non avevano mai consentito di realizzare. Lo stesso accadrà a Palermo nel 1872.
Qualche mese dopo, la città di Gaeta, che ospitava Francesco II nella strenua difesa del Regno, fu letteralmente rasa al suolo dal Generale piemontese Cialdini, pagando non solo il suo ruolo di ultimo baluardo borbonico ma anche e soprattutto l’essere stato nel 1848 il luogo del rifugio di Papa Pio IX, ospite dei Borbone, in fuga da Roma in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini, periodo in cui la città aveva assunto la denominazione di “Secondo Stato Pontificio”.
Sparì così l’antico regno inaugurato da Ruggero il Normanno e sopravvissuto per quasi otto secoli. Dieci anni dopo, nel Settembre 1870, la breccia di Porta Pia e l’annessione di Roma al Regno d’Italia decretarono la fine anche dello Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, portando a compimento il grande progetto delle massonerie internazionali nato almeno quindici anni prima, volto a cancellare la grande potenza economico-industriale del Regno delle Due Sicilie e il potere cattolico dello Stato Pontificio.
Garibaldi, pochi anni dopo la sua impresa, fu ospite a Londra, dove venne accolto come un imperatore. I suoi rapporti con l’Inghilterra continuarono per decenni e si manifestarono nuovamente quando, intorno alla metà del 1870, il Generale si impegnò nell’utopia della realizzazione di un progetto faraonico per stravolgere l’aspetto di Roma: il corso del Tevere entro la città completamente colmato con un’arteria ferroviaria contornata da aree fabbricabili. Da Londra si tessero contatti con società finanziarie per avviare il progetto ed arrivarono nella Capitale gli ingegneri Wilkinson e Fowler per i rilievi e i sondaggi. Si preparò a realizzare la remunerativa follia la società britannica Brunless & McKerrow, che tuttavia non vi riuscì mai per il boicottaggio del Governo italiano.
L’ideologia nazionale da allora venera i “padri della patria” che operarono il piano internazionale, dimenticando tutto quanto di nefasto si raccontasse di Garibaldi, un avventuriero dal passato poco edificante. L’Italia di oggi festeggia un uomo condannato persino a “morte ignominiosa in contumacia” nel 1834 per sentenza del Consiglio di Guerra Divisionale di Genova perché nemico della Patria e dello Stato, motivo per il quale fuggì latitante in Sud America dove diede sfogo a tutta la sua natura selvaggia.
In quanto a Cavour, al Conte interessava esclusivamente ripianare le finanze dello Stato piemontese, non certo l’unità di un paese di cui non conosceva neanche la lingua, così come Vittorio Emanuele II primo Re d’Italia, benché non a caso secondo di nome nel solco di una continuazione della dinastia sabauda e non italiana. Non a caso il 21 Febbraio 1861, nel Senato del Regno riunito a Torino, il nuovo Re d’Italia fu proclamato da Cavour «Victor-Emmanuel II, Roi d’Italie», non Re d’Italia.
Sulla falsa riga dell’esperienza di restauro in corso in Piazza Mazzini con la statua di Paolo Emilio Imbriani, il Comune di Napoli è alla ricerca di sponsor per il ripristino estetico del monumento a Dante Alighieri nell’omonima Piazza Dante, anch’esso da anni imbrattato da scritte di ogni tipo. Come si apprende dal sito del Comune di Napoli, la Seconda Municipalità, ha infatti indetto un bando di ricerca sponsor per reperire la preventiva spesa di circa 90.000 euro.
È purtroppo nota l’impossibilità delle istituzioni locali, sempre meno supportate dal Ministero dei Beni Culturali, a far fronte alla necessità di salvaguardare il patrimonio monumentale e architettonico. E allora ben vengano i privati a dar man forte, ma non si può non sottolineare che simili operazioni rischiano fortemente di rivelarsi vane in mancanza di una incisiva campagna di prevenzione che possa educare i tanti grafomani sempre pronti a rovinare e deturpare statue, palazzi, monumenti o anche semplici palazzi pur di apporre la propria insignificante firma ovunque.
Prevenire, si sa, è meglio che curare, e non solo non c’è traccia di campagne di sensibilizzazione in tal senso ma spesso sono proprio i protagonisti della vita politica del paese a dare il cattivo esempio in campagna elettorale con lo scientifico, indisciplinato e deturpante accavallamento in ogni dove di manifesti selvaggi la cui sanatoria è prevista dall’articolo 42-bis del decreto “Milleproroghe” con la sanzione di soli 1.000 euro. Manifesti che restano talvolta affissi per anni nei posti più impensabili. Con simili esempi andateglielo a dire ad un ragazzino di quindici anni che la città merita rispetto e ordine.
Il produttore cinematografico e patron del Napoli incontra il Presidente della Regione Caldoro e immagina una sorta di grande set cinematografico. Il progetto prevede anche il Gran Premio di F1 a Napoli e stabilimenti balneari a Mergellina.Anche De Laurentiis intuisce l’importanza degli scavi per il turismo di Napoli. Del resto Carlo III di Borbone partì proprio con gli scavi per attrarre i turisti del “grand tour” e fare di Napoli la meta più ambita del ‘700.
Consiglio di ascoltare questa mia intervista alla radio australiana SBS Network, precisamente al minuto 6:06, che focalizza il problema evidenziato anche da De Laurentiis: attorno agli scavi, il nulla. Oro buttato!
A Gaeta per non dimenticare. Convegno Nazionale, 12-13 Febbraio 2011
Appuntamento al Convegno Nazionale della “Fedelissima” che si terrà nel secondo fine settimana di Febbraio a Gaeta, un luogo a tutti noi caro, importante, significativo per la nostra identità, campo di battaglia dove un Esercito mortificato e infangato dai tradimenti riscattò, con coraggio e determinazione, il proprio onore scrivendo le più belle e gloriose pagine di quello che fu l’ultimo assedio dell’era cavalleresca. Gaeta è la città “fedelissima a Napoli e al suo Regno” dove un Re Napoletano, dal cuore Napoletano, assediato da terra e da mare dalla congiura atea-massonica internazionale che bombardò ad oltranza senza pietà di persone e cose, sacrificando il suo trono e mortificando la sua persona, lasciò al popolo “Napolitano” un forte messaggio di speranza, di pace e di giustizia che abbiamo il dovere e l’onore di raccogliere e diffondere a tutti coloro che si riconoscono nella propria antica ed immortale storia. Per ognuno di noi che lottiamo per affermare le verità taciute, nel vivo delle retoriche celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, è un “richiamo” che ci porta a raggiungere Gaeta in questa significativa ricorrenza, un atto d’amore per ricordare e rinvigorire quegli stessi alti ideali che unirono i nostri eroi sugli spalti della gloriosa Fortezza fino all’estremo sacrificio della vita. Tra sfilate borboniche e percorsi rievocativi, toccanti cerimonie e messe solenni, alzabandiera e spari di cannone, commemorazioni, mostre, convegni e dibattiti, menù storici nel borgo medioevale, musica e canti, ci ritroveremo a Gaeta per sentirci parte integrante dell’amata Patria Napolitana che, dopo 150 anni di sventure e di menzogne, continua a vivere nelle menti e nei cuori dei suoi figli fedeli.
L’evento, nato con lo spirito “istituzionale” di riportare alla luce il patrimonio di verità storica che appartiene a tutti i Meridionali, si svolgerà, come ogni anno, con il patrocinio e la collaborazione della Regione Lazio, del Comune di Gaeta, della Camera di Commercio di Latina, del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, dell’Associazione Naz. Ex Allievi della Nunziatella, della Confcommercio di Latina, dell’Ascom Gaeta, della Pro Loco Gaeta, e di numerosi altri Enti ed Associazioni aderenti all’iniziativa.