Angelo Forgione – La vera storia dell’orgine della pizza “margherita” si fa sempre più largo e approda anche a New York, dove il napoletanissimo Rosario Procino, comproprietario insieme a Pasquale Cozzolino della pizzeria napoletana “Ribalta” nel moderno Greenwich Village, facente parte degli unici tre locali newyorchesi con certificazione dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, ha raccontato la pizza napoletana ai lettori del magazine i-Italy, attingendo da quanto divulgato in questo blog e in Made in Naples (Magenes, 2013). Nel suo scritto si legge testualmente che “ciò che noi conosciamo oggi come Pizza (pomodoro e mozzarella, per essere chiari), molto probabilmente nasce 300 anni fa a Napoli, ma anche se le origini geografiche sono ben definite, non possiamo essere sicuri circa la sua data di nascita. La storia ci dice che la Pizza Margherita è stata inventata nel 1889 in occasione della visita della regina Margherita di Savoia a Napoli. Negando questa narrazione, molti pensano che questa sia stata la più grande campagna promozionale del secolo per la commercializzazione di una pietanza. L’Italia, allora, era stata da poco unificata e i Savoia cercavano consensi in tutta una popolazione che non accettava l’unificazione d’Italia, percepita come un’invasione più di ogni altra cosa. Servire un piatto della tradizione napoletana con i colori della nuova nata bandiera d’Italia (il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella e il verde del basilico) fu un modo geniale per portare la Regina più vicina al cuore dei napoletani. Alcuni libri storici testimoniano la presenza di una pizza Margherita già all’inizio del 1800, cento anni prima della visita della regina piemontese, e attribuiscono il nome al fiore margherita per via della somiglianza tra i suoi petali e le fette di mozzarella.
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A New York, la cucina napoletana è “cool”
Pasquale Cozzolino, Executive Chef napoletano negli States:
«La pizza Napoletana alla conquista di New York»
di Angelo Forgione per napoli.com – Pasquale Cozzolino, figlio di Napoli, fa onore alla sua città e a sé stesso all’estero. Fino a un paio di anni fa viveva nella centralissima Via Toledo, poi ha fatto la valigia ed è volato a New York per deliziare gli americani con l’arte culinaria della sua terra. Oggi è Executive Chef nel cuore di Brooklyn, dove prepara anche la vera pizza napoletana con enorme successo. Tutto come a Napoli, perché non potrebbe fare diversamente un cuoco che ha ricevuto il diploma di “Ambasciatore della pizza napoletana” dall’Associazione Verace Pizza Napoletana. «Arrivano tutti gli ingredienti da Napoli, l’unica cosa di New York è l’acqua», dice Cozzolino.
La stampa specializzata di New York si interessa ai suoi paccheri col baccalà e alla sua pizza verace. Per lui, la qualità del cibo è fondamentale e nei suoi piatti ci mette la napoletanità. La storia della cucina napoletana la conosce benissimo ed è orgoglioso delle sue origini. Si dichiara “un meridionalista”, fiero della storia del Regno di Napoli. «In troppi non hanno cognizione di quella storia, e io tento di educare le persone alle vicende che si nascondono dietro i piatti che preparo». Dalla sua amata città e dal suo amato Napoli non intende staccarsi neanche d’oltreoceano. E da quello che racconta, la sua è una vera missione identitaria applicata al lavoro.
Chef, come ve la passate voi napoletani a New York?
Bene. A New York, essere napoletani è motivo di vanto. Napoli è una città conosciutissima, il New York Times le dedica ogni anno un dossier e nell’ultimo ha evidenziato come la stampa italiana ne parli prevalentemente per evidenziarne i fatti brutti, senza dare molto spazio alle tante cose positive. Gli americani ci difendono a ragion veduta, senza i pregiudizi tipici della stampa snob italiana.
Del resto, di cuochi napoletani ce ne sono tanti lì…
Si, ma non siamo tutti di Napoli. Se vogliamo fare una distinzione, il numero di campani in generale è nettamente superiore… di napoletani della città ne siamo pochissimi. Io sono l’unico chef “pizza e cucina” di Napoli a New York. Lo sottolineo semplicemente perché, per quanto riguarda la pizza, quella napoletana ha le sue migliori espressioni sul territorio cittadino partenopeo. Ma, da Roma in giù, per loro, siamo tutti napoletani. Bisogna solo “combattere” per spiegare bene cos’è il cibo e la pizza napoletana, che per troppi anni sono stati comunicati male.
Qual è il riscontro della nostra cucina a New York?
Per i newyorchesi, cucinare a casa è come per un italiano andare a cena fuori, è un evento sporadico o quantomeno non usuale. Per loro, avere a disposizione una moltitudine di ristoranti di cucine provenienti da tutte le latitudini è di vitale importanza, perché hanno preferenze e gusti a seconda dei quartieri e delle etnie. L’unica cucina che riesce a mettere d’accordo tutti è quella italoamericana, che è totalmente diversa dalla cucina italiana, sia per qualità che per esecuzione. Ma la vera cucina napoletana, che si sta facendo strada da pochissimo insieme ad altre cucine del Nord-Italia, si sta avviando a soppiantarla. Ovviamente, per avere una cucina di qualità si alzano i prezzi e anche una pizza verace napoletana diventa un piatto gourmet di fascia alta. Ma i newyorchesi adorano la pizza napoletana, la trovano salutare, leggera e fresca. La pizza napoletana è la rivoluzione… è una pizza a lunghissima lievitazione, con prodotti campani come il pomodoro San Marzano, la mozzarella di bufala, l’olio extravergine e la cottura in forni a legna o a gas ad altissime temperature. È un prodotto per loro impossibile da realizzare. Ecco perché sta diventando la regina della pizza gourmet in America, ed il fatto che sia di moda a New York sta facendo fiorire pizzerie napoletane in molte altre città. Attenzione però, perché si sta correndo il rischio di abbassare la qualità, perché molti improvvisati si buttano in questo business con immaginabili risultati. Il mio compito e quello di altri chef italiani è quello di tenere la guardia alta e segnalare eventuali “abusi” o travisazioni.
Quindi i newyorchesi sono ormai in grado di riconoscere una vera pizza napoletana, dal tipo più croccante alla romana?
In linea di massima, si. Riescono a riconoscere le differenze. Hanno capito che, mangiando una vera pizza napoletana, consumano un prodotto artigianale unico nel suo genere, antico come le mura di napoli e di una qualità e di una digeribilità impareggiabili. Anche qui, come a Napoli, è ormai costume locale disquisire sulla pizza più buona tra le napoletane di New York. La pizza napoletana è una realtà consolidata e vincente negli ultimi cinque anni, ma ovviamente c’è tanto ancora da fare; il vero boom ci sarà quando si riuscirà a far mangiare la pizza napoletana anche là dove non se la possono permettere, riducendo il prezzo al piatto e mantenendo la qualità. Bisogna aprire pizzerie dove i costi di gestione dei ristoranti sono decisamente più bassi. A Brooklyn per esempio, dove io ho aperto un ristorante insieme a due soci newyorchesi e dove possiamo offrire la vera pizza napoletana a un costo decisamente alla portata di tutti: 11 dollari per una Margherita, circa 8,50 euro. Il riscontro é positivissimo!
E la pizza all’italiana è richiesta come la napoletana?
No. La pizza “New York style” è molto simile alla pizza settentrionale, un prodotto di basso costo con prodotti di media qualità. Chiariamoci, le pizze “italiane” croccanti piacciono ai newyorchesi come piacciono anche le “slice pizzas” locali. Ma perché dovrebbero spendere molto di più per mangiare una pizza all’italiana che, in buona sostanza, nella loro cucina già esiste? Molte pizzerie che propongono pizze non napoletane sono costrette, per vendere quel prodotto, a giustificarne il costo, e pubblicizzano il forno a legna, il San Marzano e la mozzarella di bufala, finendo per diventare una brutta imitazione della vera pizza napoletana che tanto entusiasma i newyorchesi.
Ancora molti americani, ma in generale nel mondo, non sanno che la pizza è napoletana. Ma mi pare di capire che il “made in Naples” non finisce di trionfare all’estero, e che l’associazione pizza-Napoli-cucina continui a marciare spedita.
La napoletanità, appena metti piede fuori dall’Italia, è una carta vincente. Abbiamo una storia impareggiabile, e tutti i napoletani dovrebbero riscoprirla. Perchè la nostra marcia in più lontano da Napoli, un giorno, non sia più un freno a mano tirato a Napoli. Ma dirlo ad Angelo Forgione mi sembra un’ovvietà, e quindi mi fermo qui.
Quel SILENZIO sui campi italiani che non c’è
Angelo Forgione – Mi sarebbe piaciuto che il minuto di SILENZIO chiesto dalla SSC Napoli per onorare la memoria di Pasquale Romano, il trentenne di Cardito vittima innocente della guerra tra clan prima di Napoli-Chievo, oltre a quella del Caporale Tiziano Chierotti, fosse durato un minuto e non 30 secondi. Mi sarebbe piaciuto che il minuto di SILENZIO fosse di raccoglimento, cioè SILENZIO assoluto, introspezione, concentrazione spirituale, e non di applausi che vanno benissimo se alla fine del SILENZIO. Mi sarebbe piaciuto che l’arbitro Celi avesse atteso che l’annuncio del minuto di SILENZIO fosse diffuso, invece di decretarne frettolosamente l’inizio (e la fine) e costringere lo speaker a parlaci su. Mi sarebbe piaciuto che, almeno per una volta, i telecronisti l’avessero chiamato minuto di ovazione e non di SILENZIO. Perchè il minuto di SILENZIO, in Italia, dovrebbe chiamarsi per come viene interpretato. È una questione di cultura, quella che ci manca in tante, troppe occasioni.
Ieri c’è cascata anche Napoli che avrebbe potuto dare migliore dimostrazione di coscienza e dolore rispetto ad una delle tante tristi vicende che colpiscono nel profondo la sua parte sana e vitale. Occasione sprecata. Ma chiariamoci, è un malcostume diffuso; in Italia non siamo capaci di onorare le vittime come in altri paesi dove il rispetto del tempo e del SILENZIO è vero raccoglimento (video).
Il Generale dei Briganti? Non tutto è da buttare.
“Il Generale dei Briganti”? Non tutto è da buttare.
Angelo Forgione – “Il Generale dei Briganti” è stato già ben commentato dall’amico Lorenzo Del Boca e valga per me quello che ha scritto sul suo blog, che condivido appieno. La produzione della Rai è uno sceneggiato romanzato, edulcorato con intrecci amorosi e qualche luogo comune di troppo, ma voglio trovarci qualcosa di positivo.
Gli sceneggiatori Rai hanno realizzato un’avvincente trama amorosa, e se avessero chiamato quei personaggi con altri nomi di fantasia avrebbero fatto completamente centro. È tutto grasso che cola perchè gli ascolti sono stati alti: 5.931.000 telespettatori (share 21,37%) per la prima parte e 6.498.000 per la seconda parte (share 21,94%) nonostante le partite concomitanti del Napoli e delle Roma sulle paytv. Magari una parte di questi sarà rimasta incuriosito dalle vicende unitarie e post-unitarie, e approfondirà.
La storia de “Il Generale dei Briganti” è lontana parente della realtà dei fatti accaduti, comprime il sentimento popolare del Sud (ancora vivo) vissuto durante l’invasione piemontese e umilia la figura coraggiosa della regina Maria Sofia. Non contempla quella del Generale Cialdini (gravissimo!) che perseguitò le popolazioni del Sud con poteri speciali conferitigli da Vittorio Emanuele II dopo aver raso al suolo Gaeta incurante della resa borbonica. Dimentica la figura del Generale Borjés con cui lo stesso Crocco avrebbe potuto forse scacciare i piemontesi, quindi dimenticando anche i veri errori del personaggio. E trasforma il dramma di una vera e propria pulizia etnica (circa un milioni di morti meridionali stanno troppo stretti nella sola frase “ll’unità d’Italia l’avita fatta co’ ‘o sanghe nuosto”) in un intrigo amoroso. Ma almeno lo sceneggiato Rai un merito ce l’ha ed è quello di comunicare il tradimento pur senza ben spiegarlo: quello ai danni del protagonista; quello ai danni delle popolazioni del Sud; quello ai danni dei liberali che sognavano una Repubblica e si ritrovarono con una monarchia sostituita ad un’altra; quello ai danni di una delle monarchie per mano di un’altra cospiratrice e meschina che di quei tradimenti fu responsabile.
Voglio considerarlo però un punto di partenza non per la TV di Stato ma per i suoi telespettatori che magari da questa produzione arriveranno da soli a vedere “Li chiamarono briganti” di Squitieri (film intero sotto) che fece nel 1999 una brevissima apparizione nelle sale cinematografiche nonostante un cast di prim’ordine (Enrico Lo Verso, Claudia Cardinale, Giorgio Albertazzi, Franco Nero, Remo Girone, Carlo Croccolo, Lina Sastri). Quel film, pur nel suo scarso spessore recitativo, fotografa Crocco, Ninco Nanco e i briganti come partigiani dell’epoca per scelta mentre le truppe piemontesi come invasori; dipinge i connotati di Enrico Cialdini e racconta i fatti con forte carica emotiva; contestualizza tutto al periodo post-unitario; racconta la verità e per questo, dopo forti critiche, fu mandato repentinamente a “censura”. Perchè mai ora, in tempi di festeggiamenti appena conclusi, si sarebbe dovuto/potuto raccontare il brigantaggio per quello che è stato? E pensare che qualcuno da Casa Savoia ha avuto anche da ridire. Figurarsi cosa succederebbe se la verità fosse raccontata senza timori.
Carmine Crocco, come ha detto anche Michele Placido, era una personaggio complesso, certamente selvaggio e di indole aggressiva, ma le sue memorie (che custodisco nella mia biblioteca) dimostrano quanto fosse intelligente, istruito per la sua epoca, e ben conscio della realtà che lo circondava. Realtà che proprio quegli scritti sanno farci comprendere… meglio di tanti storici di professione.
http://altrorisorgimento.wordpress.com/2012/02/14/la-patacca-di-rai-uno-con-limprobabile-brigante/
Caldoro: «Basta offese, fermeremo i rifiuti del Nord!»
Caldoro: «Basta offese, fermeremo i rifiuti del Nord!»
ma gli industriali del settentrione paghino i danni!
Angelo Forgione – Come De Magistris, anche Caldoro è sempre più insofferente agli attacchi di Bossi & C., alleati ingombranti per il PDL meridionale. Il proclama del Senatùr “i rifiuti di Napoli glieli abbiamo messi in quel posto” col quale ha esultato all’inaccoglienza delle regioni del Nord della spazzatura campana, ha urtato ancora di più il Presidente della Regione Campania che ha dichiarato di essere al lavoro per bloccare i rifiuti industriali che dal Nord continuano ad arrivare al Sud come prima risposta alla mancanza di reciprocità.
Gli strali di Bossi sono di fatto un’ammissione di responsabilità e fanno per questo ancor più rabbia: sono anni che al Sud ce lo mettono a quel posto. Come dimostrato dalla Magistratura, la Campania, grazie agli accordi illeciti tra l’imprenditoria settentrionale e la malavita meridionale, ha ingoiato vagonate di rifiuti velenosi che hanno compromesso intere aree agricole ma anche il nostro mare, causando una spaventosa impennata di tumori nella popolazione campana. Gli imprenditori del Nord, invece di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti speciali con tecnologie appropriate e in piena legalità, hanno pensato bene di inquinare i territori, ma non quelli loro bensì quelli sufficientemente lontani, consapevoli del crimine che stavano compiendo. Il prezzo pagato dal nostro territorio è incalcolabile, e l’andazzo continua silenzioso.
Mi viene in mente l’interessantissimo libro “And so , what…? (Tornano i bastimenti da terre più o meno lontane)” di Pasquale Russiello, fondatore dell’onlus “Arrivano i nostri”, nel quale vengono presentate molte questioni attuali che riguardano Napoli e la Campania e viene proiettata una Napoli in cui, tutto sommato, si vive meglio che altrove (clicca qui per richiederne una copia). Nel testo che l’autore mi donò con estrema cortesia due anni fa, già lessi di una condivisibile proposta di “class action” contro gli industriali del Nord che hanno contribuito scientemente a devastare l’equilibrio ambientale delle nostre zone. Secondo Russiello, la liquidità prodotta dal traffico illecito di rifiuti è difficilmente recuperabile perchè investita chissà dove e reintestata a chissà quale trust. Più facile quindi colpire le aziende complici, molte delle quali ubicate nella parte industrializzata del paese e quindi più vulnerabili ad azioni legali, per poi investire i risarcimenti a favore della ripresa.
Una strada percorribile e necessaria che consigliamo a Caldoro e a De Magistris perchè oltre ad arrestare il traffico di rifiuti velenosi è anche il caso che chi ha sbagliato paghi.
La facciata del Gesù Nuovo come un pentagramma?
La facciata del Gesù Nuovo come un pentagramma?
ipotesi plausibile sul significato dei segni sul bugnato
Lo storico dell’arte e musicofilo Vincenzo De Pasquale ha svelato che i simboli incisi sulla facciata del Gesù Nuovo sarebbero lettere in aramaico, lingua parlata da Gesù, la cui combinazione formulerebbe lo spartito musicale di una sinfonia denominata “Enigma”.
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La Regione cancella 220 milioni per il centro storico. Al nord?
La Regione cancella 220 milioni per il centro storico.
Roma detta il dirottamento al nord?
di Angelo Forgione
per napoli.com
“La Giunta della Regione Campania ha deciso di cancellare il Grande Programma Integrato Urbano per il Centro Storico di Napoli Patrimonio Unesco, probabilmente i 220 milioni di euro che dovevano essere impegnati per riqualificare il cuore di Napoli, scompariranno a vantaggio delle Regioni del Nord Italia, così come avvenuto per i fondi FAS”.
La denuncia arriva da Alberto Patruno e Gianfranco Wurzburger, rispettivamente presidente e assessore alla vivibilità della II Municipalità di Napoli che comprende gran parte del centro storico in cui si legge anche che “un protocollo d’intesa tra Comune di Napoli, Regione Campania, Soprintendenza e Curia Arcivescovile, totalmente ignorato dal presidente Caldoro, è stato cestinato senza alcun rispetto per chi vive il centro storico!”.
“Tanti monumenti, più di 40 chiese, molte strade e piazze del centro storico – proseguono gli esponenti della Municipalità – dovevano essere riqualificate e restaurate, ma purtroppo con questa scelta della Giunta Regionale tutto viene azzerato, e siamo sicuri che questa scelta è stata dettata dalla capitale!”
“Facciamo appello – concludono Patruno e Wurzburger – a tutti i parlamentari napoletani, ai consiglieri regionali ed ai segretari di partito affinché si organizzi una mobilitazione generale per evitare questo “scippo”, per fermare questo furto che sta per subire la nostra città e soprattutto il popolo napoletano”.
La bufera è arrivata con la delibera regionale, pubblicata la scorsa settimana proprio mentre il Comune presentava il Piano di Gestione che faceva affidamento sui 220 milioni già approvati dalla precedente giunta Bassolino. La giunta Caldoro ha invece revocato con un colpo di spugna la vecchia delibera del 5 Marzo 2010 motivandola con l’esigenza di riaggiornare il tutto alla luce del “Piano Sud” del Governo e delle delibere CIPE sui criteri per la spesa dei fondi strutturali. Gli assessori comunali all’edilizia e alla cultura Pasquale Belfiore e Nicola Oddati fanno sapere che si sta dialogando con la Regione per non far perdere un solo euro e per ottenere la revoca della delibera regionale in modo da sbloccare almeno i fondi necessari per il restauro del Museo Filangieri, il recupero di Villa Ebe e nuovi lotti di lavori per l’Albergo dei Poveri.
L’allarme lanciato dalla II Municipalità è comunque concreto e nasconde l’ennesimo rischio per Napoli che lascerebbe così scappare altri finanziamenti verso il nord del paese.
“Malaunità” di Eddy Napoli – in arrivo il videoclip ufficiale
“Malaunità” di Eddy Napoli – il videoclip ufficiale in anteprima
RISCRIVIAMO LA STORIA IN MUSICA
Martedì 29 giugno, in anteprima sul web, il videoclip ufficiale di Eddy Napoli in “Malaunità”.
Frutto della collaborazione tra il grande artista partenopeo e Angelo Forgione, in esclusiva sul canale youtube del Movimento VANTO “angeloxg1”.
DA NON PERDERE !!!
