Angelo Forgione – E così Aurelio De Laurentiis e i suoi collaboratori hanno portato la bozza progettuale del nuovo stadio San Paolo in visione al Comune di Napoli. Tra il progettare e il fare, a Napoli, c’è di mezzo il mare, ed è storia nota, anche perché il progetto è ancora alla fase embrionale. Ma almeno ora se ne sa di più sulle intenzioni del club azzurro. E qualcuno storce il naso per la capienza prevista nell’ordine dei 45mila posti, cioè 15mila in meno della capienza attuale (60mila) già compromessa dallo scempio di Italia ’90 (76mila posti durante i mondiali italiani).
Gino Zavanella, maestro dell’architettura specializzato nella progettazione di impianti sportivi (lo Juventus Stadium è una delle sue creature) a cui Aurelio De Laurentiis ha affidato il compito di realizzare il San Paolo del futuro, ha illustrato il progetto a Radio Kiss Kiss, dichiarando che la capienza di 45mila spettatori viene fuori dalla verifica dei dati statistici: «Vogliamo vedere un San Paolo sempre pieno e la capienza studiata e suggerita dal marketing dopo aver visto gli ultimi dieci anni è appunto di circa 45mila spettatori». L’intenzione è proprio quella di ricalcare l’effetto “tutto esaurito” dello Juventus Stadium, rivelatosi un fortino quasi inespugnabile per la Juventus. Certo, Napoli ha dimostrato di poter gremire capienze ben maggiori in passato, ma sono ormai lontani i tempi del record assoluto della Serie A: 89.992 spettatori paganti per Napoli-Perugia del 20 ottobre 1979, quando i napoletani riempirono, fischietti alla bocca, il San Paolo senza sediolini per lo sfizio di contestare Paolo Rossi, autore del gran rifiuto di indossare la maglia azzurra.
La direzione, nel calcio moderno, è quella giusta, perché aumentano i fruitori delle partite in tivù – principale fonte di introiti nel campionato italiano – e diminuiscono le presenze allo stadio. Dunque, la scelta del Napoli appare quella di garantirsi 19 partite con influente effetto “sold out” a ridosso del campo, evitando visibili spazi vuoti, piuttosto che sole 2-3 con più presenze lontane dal terreno di gioco.
Analizzando i dati di presenze allo stadio San Paolo negli ultimi 10 anni (fonte: stadiapostcards.com), di cui 8 in Serie A, 1 in Serie B e 1 in Serie C, ne viene fuori una media di 38.054 spettatori, mentre quelli delle ultime 8 in Serie A fanno salire il dato medio a 40.205. Il picco massimo (45.608) si è registrato nell’annata 2010/11, quella del terzo posto e della prima storica qualificazione diretta in Champions League firmata da Mazzarri, con i partenopei in lotta per lo scudetto sino alle ultime giornate col trio Cavani-Hamsik-Lavezzi. Nell’arco di quel campionato si oltrepassò la soglia dei 49.000 spettatori solo 6 volte, evento verificatosi 1 volta nell’ultimo campionato (Napoli-Juventus) e 2 volte nel precedente (Sampdoria e Sassuolo, con prezzi popolari).
Insomma, i 45mila spettatori previsti per il prossimo San Paolo sono frutto di un certo ragionamento che è tutto nelle statististiche e nei numeri.
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Parte il restauro della Cassa Armonica di Napoli
Angelo Forgione –
Amputata della sua pensilina perimetrale in occasione delle World Series dell’America’s Cup 2012, ha finalmente preso il via l’intervento di restauro della Cassa Armonica della villa comunale di Napoli, che sarà restituita alla città – sottolinea una nota del Comune – “nel suo originario splendore”.
Il progetto, finanziato dal Comune per un importo di 450mila euro, è della società RTU restauri di Montella, in provincia di Avellino, che si è aggiudicata la gara per la riqualificazione completa della struttura. I lavori di ripristino interessano non soltanto la corona, smontata durante la prima edizione delle World Series di Coppa America, ma anche il basamento e le parti marmoree. Una parte consistente delle opere, come il restauro di tutte le parti in ferro e degli elementi decorativi in ghisa, viene effettuata presso la sede della RTU.
In Villa Comunale poi si provvederà alla sostituzione dei vetri, alla deumidificazione della cassa di risonanza ed al restauro di marmi, bronzi e del tavolato di legno. Nella Cassa Armonica, progettata da Enrico Alvino nel 1862, e realizzata 15 anni dopo, si esibiva, in passato, la Banda della Città di Napoli. Dopo un restauro superficiale avvenuto negli anni ’80, la struttura necessitava di interventi importanti che oggi si stanno realizzando e si concluderanno entro marzo 2016. Il cantiere in Villa Comunale sarà aperto, ogni quindici giorni, a partire dalla fine di questa estate, a cittadini e studiosi che potranno prenotare una visita all’impianto e seguire da vicino le varie fasi del restauro.
Littizzetto, D’Amico e la civil Torino all’olandese
Angelo Forgione –
L’induismo lo chiama karma, cioè “azione”, a cui corrisponde una conseguenza, nel bene e nel male. I napoletani, che tutto traducono in massime di grande saggezza popolare dai tempi di Giambattista Basile, traducono il karma negativo così: Nun sputà ‘ncielo ca ‘nfaccia te torna! (non sputare verso l’alto perché la saliva ti torna in faccia). Effetto boomerang. Per chi ci crede, ciò che parte dalle azioni individuali impiega un certo lasso di tempo, più o meno lungo, per tornare alla fonte, in modo diretto oppure indiretto. Possono volerci anche anni, ma per Luciana Littizzetto è bastata una sola settimana. Era stata lei a tirare in ballo i napoletani come esempio italiano di massima inciviltà per dimostrare che gli olandesi di Rotterdam avevano fatto anche peggio, e pertanto gli italiani tutti potevano ritenersi alleggeriti, tutto sommato, del loro autolesionismo.
«Vogliamo parlare di quelli che hanno distrutto piazza di Spagna, i tifosi? Cos’erano, napoletani? Erano olandesi, dei civilissimi olandesi». Dopo una settimana è subito da aggiornare quella frase che tanto ha fatto parlare, e che pure ha diviso gli stessi napoletani in una discussione sul presunto vittimismo partenopeo (chissà perché). Derby della mole: agguato al pullman della Juventus per le vie di Torino e bombe carta sui supporters granata. Un padre prende a calci il torpedone juventino tenendo per mano il figlioletto. Una giornata di ordinaria follia nel capoluogo sabaudo, una delle tante. Ieri a Torino, la prossima volta chissà dove. Cos’erano, olandesi? Erano torinesi, dei civilissimi torinesi. Avrebbe dovuto dirlo la Littizzetto in Rai, ma ha finito col farlo dal pulpito di Sky la bella Ilaria D’Amico da Roma, stupita dell’inaudita gravità dei fatti in una una città – per lei – civile ed abitata a una tifoseria composta. Stupisce semmai che una persona preparata come la compagna di Buffon inciampi in un simile convincimento, evidentemente persuasa che Torino fosse diversa dalla sua Roma (ultimamente nell’occhio del ciclone), da Napoli e da Palermo.
Così funziona, Signori, perché per chi ha il responsabile e delicatissimo ruolo di parlare alla Nazione insegue ostinatamente la certezza che Torino e il Nord progredito siano la culla della civiltà, lontana dal degrado sociale del retrivo Sud napoletanizzato. E se il Nord sgarra è perché é meridionalizzato. Non mi perdo nel tanto caro approfondimento storico alle radici della civilizzazione, non capirebbero quelli che hanno certezze e mai qualche dubbio.
E giù dibattiti, i soliti, con conduttori e opinionisti ad affannarsi per denunciare che tutto resta sempre uguale, e che la violenza non va via dal nostro Calcio. È una routine stucchevole perché il Calcio attira violenza dalla sua prima ora, soprattutto nell’Italia dei campanili. Già nel 1914 i sostenitori di Livorno e Pisa, un po’ come guelfi e ghibellini, si scambiarono sassate e colpi di pistola. Idem nel 1925 tra bolognesi e genoani, nella stazione di Porta Nuova a Torino. Come riporto nel mio prossimo libro in uscita a maggio (Dov’è la Vittoria, Magenes editore), nel 1928 fu Lando Ferretti, il presidente del CONI, a denunciare con facile lungimiranza nel suo Il libro dello sport (Libreria del Littorio, 1928) cosa sarebbe diventato il gioco del pallone per gli italiani:
“Le fortune travolgenti del Calcio fra noi, per il suo meraviglioso adattarsi al temperamento della stirpe, sono uno dei fatti salienti della ripresa sportiva italiana. Certo il Football ha potentemente contribuito a questa ripresa, ma oggi col suo incipiente professionismo e con le sue aspre contese campanilistiche cui dà luogo, ne compromette i successivi sviluppi.”
Se non ci scappò il morto a inizio Novecento fu solo per una lunga serie di fortunati esiti o per volontà superiore, se vi pare. Ma 27 vittime negli ultimi 51 anni, dentro e fuori gli stadi italiani, parlano chiaro. Ci hanno rimesso la pelle troppe persone, tra tante aggressioni, scazzottate, coltellate e qualche conflitto con le forze dell’ordine. Al Nord come al Sud.
Questione stadio ‘San Paolo’: la montagna sta per partorire il topolino
Angelo Forgione – Accordo in vista per il restyling dello stadio ‘San Paolo’. Secondo le indiscrezioni, Comune di Napoli e Società Sportiva Calcio Napoli sembrerebbero essere già d’accordo su quello che dovrà essere lo studio di fattibilità da presentare nei prossimi mesi, per poi dare il via ai lavori. Non ci sarebbe troppo da giore se non fosse che il dibattito va avanti da almeno quindici anni, e verte più o meno sempre sugli stessi punti: rimozione dell’indegna copertura in ferro realizzata per i mondiali del 1990, del terzo anello pure in ferro, installazione di un maxischermo, apertura dei parcheggi sotterranei, rifacimento della tribuna stampa, creazione di aree vip, realizzazione di attività commerciali e rifacimento dell’area urbana esterna. Il fatto è che, mentre negli ultimi tre lustri Napoli ha discusso di stadio nuovo o rifatto, entusiasmandosi per i vari disegni di questo e quel progetto (inutile), l’Europa e il suo Calcio sono cambiati, e la prospettata conclusione della vicenda napoletana non può che essere inadeguata.
L’operazione prevista è all’insegna del “meglio di niente”. Si tratta di una ristrutturazione di uno stadio vecchio, inaugurato nel 1959 (la delibera di costruzione fu siglata nel 1949), e con evidenti limiti incancellabili. È solo un necessario passo avanti, pur costoso, per restituire decenza ad una struttura indecente di cui ci si vergogna nelle notti europee, ma non quello di cui necessitano Napoli e il Napoli per avvicinarsi agli standard moderni. È come ristrutturare un palazzo condominiale in pessime condizioni per renderlo degno dal punto di vista urbanistico quando c’è bisogno di costruire un albergo con servizi e attrazioni. Occorrerebbe costruire un impianto nuovo, altrove o sulle “macerie” del ‘San Paolo’, di proprietà, con gli spalti a ridosso del terreno di gioco, con tutte le strutture interne ed esterne necessarie per l’accoglienza delle famiglie e per l’attrazione degli sponsor. Altrove, dove gli stadi li pagano proprio i privati, è così che si sta ragionando da tempo, e anche in Italia, seppur a fatica, si sta inaugurando la stagione degli stadi “privati”, a partire dal caso limite della Juventus, proseguendo per l’Udinese, e poi per la Roma, con Milan, Inter, Lazio e Fiorentina che ragionano in questo senso. A Napoli ci si dovrà purtroppo accontentare di una ristrutturazione di uno stadio comunale, che tale resterà, con tanto di pista di atletica e altri grossi vincoli architettonici e urbanistici impossibili da aggirare.
Dovrebbe essere il Napoli, con l’ausilio di eventuali sponsor (sperando che arrivino), a farsi carico delle spese di ristrutturazione, utili a riattare la Curva A, a sistemare l’impiantistica elettrica e idraulica, i servizi igienici, gli spogliatoi, il fossato, per sostituire i sediolini (forse azzurri e non più rossi; ndr), creare aree vip e attività commerciali. Il resto è tutto ancora da definire. Il Comune conserverebbe l’uso di uffici e palestre, ma anche della pista di atletica, così come del diritto di organizzare concerti con esclusione del prato, che il Napoli ha rigenerato qualche anno fa rendendolo il migliore d’Italia. L’opzione concerti indicherebbe anche la rimozione di tutte le strutture in ferro riversate sullo stadio per i Mondiali del 1990, responsabili della propagazione al suolo delle vibrazioni strutturali e causa dell’intervento nel 2005 della Commissione Provinciale di Vigilanza, che dichiarò chiusa la stagione dei concerti e inibì l’accesso al terzo anello durante le partite di Calcio.
Più di questo il patron De Laurentiis non può fare, e se ha deciso di farlo è perché ha compreso che non è possibile andare oltre in una piazza che mostra evidenti gli svantaggi di localizzazione geografica, dove un’operazione stile ‘Juventus Stadium’ è impossibile da compiere, e dove è difficile far confluire capitali privati esterni per dotarsi di uno stadio polifunzionale di proprietà che incida sensibilmente sul fatturato del club. Gli altri corrono, e qualche passo avanti pur va fatto. Meglio di niente.
Stadio ‘San Paolo’: il Napoli non cresce e Napoli non canta
Angelo Forgione –
Mentre Napoli e Cagliari giocavano a chi sbagliava e segnava di più, il presidente De Laurentiis e il sindaco De Magistris assistevano allo spettacolo lontani l’uno dall’altro. La tregua tra il Comune di Napoli e la SSC Napoli, dopo la ventilata fuga in direzione Palermo, si è nuovamente interrotta in un’accesa discussione a Palazzo San Giacomo di venerdì scorso, e tra le parti è di nuovo gelo per la volontà del sindaco di aprire i cancelli dello stadio ai concerti di Vasco Rossi e Jovanotti del prossimo luglio. Il patron azzurro non ci sta, perché ha speso soldi per rifare il prato, e non ci stanno neanche i residenti attorno all’impianto sportivo, rappresentati dal comitato civico ‘Fuorigrotta vivibile’, che ha chiesto una convocazione urgente al Comune e ha inviato una diffida al Prefetto per segnalare l’esistenza di un fascicolo in Procura per inquinamento acustico. Furono proprio Mariano Attanasio e Teofilo Migliaccio, presidente e legale del comitato, a sollevare anni fa il problema delle strutture in acciaio montate per i Mondiali del 1990, che scaricavano al suolo le forti vibrazioni attraverso i sostegni della copertura e raggiungevano i palazzi circostanti. Risultato: veri e propri micro-terremoti che aprirono anche piccole lesioni nei fabbricati attorno. L’allarme fu lanciato proprio durante un concerto di Vasco Rossi nel luglio del 2004: in coincidenza dell’orario d’inizio il segnale monocromatico dell’Osservatorio Vesuviano cominciò a registrare un “fenomeno di rilievo”, che si protrasse per l’intera durata dell’esibizione musicale. Ballarono i fans del ‘Blasco’ ma anche i residenti di Fuorigrotta, che abbandonarono le abitazioni per timore di un sisma. Nel 2005 intervenne la Commissione Provinciale di Vigilanza, inibendo l’accesso al terzo anello in ferro durante le partite di Calcio. E finì anche l’epoca dei concerti nell’impianto flegreo.
Lo stadio continua ad essere un problema per la Città, che non ha altri spazi idonei per i grandi eventi musicali, ed è un gran problema anche per il Calcio Napoli, che perde potenzialmente 15 milioni di euro all’anno a causa delle carenze dell’impianto di casa. A certificarlo è la relazione del Coni Servizi, firmata da Michele Uva, direttore generale del Coni Servizi, nella relazione consegnata al Comune di Napoli lo scorso luglio per stimare il valore d’uso dell’impianto in funzione del rinnovo della convenzione con la SSC Napoli. Il club azzurro, nelle sue voci di bilancio 2012-2013, ha introitato 15 milioni dallo stadio, che, se adeguatamente sfruttato, potrebbe produrne invece oltre 31. Considerando i 41 milioni a bilancio della Juventus, i 34 del Milan, i 21 della Roma e i 20 dell’Inter, è evidente il limite rappresentato al momento dall’impianto di Fuorigrotta. “Lo stadio San Paolo – sottolinea Michele Uva – non può essere ad oggi considerato uno stadio moderno che permette lo sfruttamento delle potenzialità proprie della SSC Napoli».
I 15 milioni di euro annuali “non spremuti” frenano il passo in avanti che il virtuoso Napoli, giustamente refrattario al ricorso al credito delle banche, potrebbe e dovrebbe compiere al limite del suo percorso di costante crescita. Risorse che avrebbero consentito di trattenere qualche ‘top player’, o comprarne qualcuno in più per sostituirlo. Un vuoto che non può consentire ulteriori ritardi alla ristrutturazione dell’impianto da parte della società e del Comune. Il progetto doveva essere despositato in Comune entro marzo 2015, ma una nuova proroga ha portato il limite al 31 maggio. Non sono più tollerabili altri rinvii.
Il corso Ferdinandeo di Caserta ritrova la sua storia. Addio a Trieste?
Angelo Forgione – Il consiglio comunale di Caserta ha deliberato l’approvazione della mozione “ripristino odonimo originario Ferdinando II per il corso Trieste”, la principale strada cittadina. Da un’idea del capogruppo consiliare di FLI Luigi Cobianchi, la molto significativa mozione (leggi) riallaccia i nodi della storia di Caserta, legata ai Borbone, e ricorda che “l’arteria, in onore del Monarca che l’aveva fortemente voluta, assunse il nome di corso Ferdinando II”. Così torna a chiamarsi. “Un omaggio ai Borbone da parte della Città di Caserta e del Consiglio Comunale che vota – ha spiegato il sindaco Pio Del Gaudio dandone notizia da facebook – al fine di avviare le procedure per cambiare il nome alla strada simbolo della Città”.
Il corso Ferdinandeo, lungo 1130 metri (e largo 18) a partire dalla piazza Carlo III (la più grande d’Italia, ai piedi della reggia vanvitelliana), fu una delle numerose opere di abbellimento volute dal penultimo sovrano di Napoli in un’epoca di grandi realizzazioni civili e militari, con attenta spesa attivata dal risamento delle casse statali. Fu realizzato in attuazione del progetto urbanistico di Luigi Vanvitelli, disponendo la creazione della “strada che dalla Reggia menava al Campo di Falciano”, e inaugurato il 30 maggio 1851, con spesa di 34.000 ducati, come riportato negli Annali Civili del Regno (1852). Fu subito ritenuto uno dei più bei corsi d’Italia, con botteghe importanti e una bella illuminazione assicurata da ottanta fanali a gambe. Venne poi rinominato corso Umberto I, poi corso Trieste e Trento, e in ultimo il più abbreviato corso Trieste. Prima della sua sistemazione, nel tratto prossimo ai Giardini della Flora, esisteva già sul suo antico percorso (corso Campano) il ‘palazzo delle quattro colonne’, l’abitazione casertana di Luigi Vanvitelli, che oggi versa in condizioni di indecoroso degrado.
Al di là di qualche polemica che l’approvazione pure solleverà, saranno ora da superare le difficoltà amministrative per il cambio di toponimo, certamente non meno grandi di quelle che incontrerebbero i casertani ad abituarsi al nuovo-antico toponimo. Ancora oggi molti napoletani si ostinano a chiamare via Roma l’antica strada di Toledo, tornata al suo vero nome negli anni Ottanta. Ma la delibera del Comune di Caserta è un atto di lealtà e di identità che sfida con orgoglio taluni mugugni irriverenti. Di strade, a Caserta e nell’intero Sud, da restituire alla loro storia sono tante, a iniziare dal corso Vittorio Emanuele a Napoli, prima tangenziale d’Europa, il cui odonimo originale era ‘Maria Teresa’, seconda moglie del determinato Ferdinando II, sempre lui, che fece realizzare quello che le cronache dell’epoca definirono “il più bel loggiato del mondo”.
Paolo Villaggio: «napoletani “monnezza”»
Angelo Forgione – Quando Paolo Villaggio disse che i disastri alluvianali di Genova del novembre 2011 erano colpa della cultura sudista borbonica (“piaga di tutta l’Italia”) mi “toccò” riprenderlo (con una telefonata in diretta radiofonica) per rinfacciargli l’ignoranza storica dimostrata. Ma l’irriverente personaggio continuò a distribuire perle di ignoranza storica, ficcandosi spesso in polemiche da discriminazione territoriale (c’è ancora chi dice che il Calcio è un mondo a parte), trascinato persino davanti al giudice dalla Società Filologica Friulana per aver scritto su un suo libro in cui offendeva un po’ tutti gli italiani che “i friulani, per motivi alcolici, non sono mai riusciti a esprimersi in italiano, parlano ancora una lingua fossile impressionante, hanno un alito come se al mattino avessero bevuto una tazza di m… e l’abitudine di ruttare violentemente” (assolto perché la sua fu dichiarata “una mediocre opera comica” incapace di nuocere).
Navigando online, càpito sul canale youtube di Villaggio, contenitore in cui lui stesso carica video rimediati in rete e interagisce con chi li commenta, e vedo un video non recente ma neanche troppo datato. Caricato il 9 luglio scorso, si tratta di un’intervista del 18 gennaio 2013 realizzata da un’emittente genovese durante la festa per i suoi 80 anni, organizzata a Palazzo Tursi di Genova, sede del Comune. Nel contributo audiovisivo, Villaggio decanta la sua città, la bellezza riscoperta – dopo quarant’anni di vita a Roma – dei suoi palazzi e la sua aristocrazia; e poi si compiace dei genovesi e del loro rapporto con la gente. E come lo fa? Disprezzando tout court Napoli:
«Mentre Roma (senza aggettivo) e la “monnezza” di Napoli (traduzione: “quei cafoni napoletani”) mi dice “uh, uè, che piacere…”, a Genova tutti sono affettuosi ed educati, e dicono “scusi se la disturbo… tanti auguri.»
Frase da interpretare? La generalizzazione, con un microfono alla bocca, non è un’attenuante ma un’aggravante.
Attenti, napoletani (e pure romani), a salutare Villaggio; lui che è di una cultura anglosassone diversa da quella sudista potrebbe non gradire il calore dei “terroni”. Con buona pace del Maestro Marcello Mastroianni e il suo amore per “il garbo e la gentilezza d’animo dei napoletani”.
Una strada per Ferdinando II
Angelo Forgione – Nel 2009, battendo Eduardo De Filippo e Federico II, Ferdinando II di Borbone fu “eletto” superpersonaggio storico di Napoli in un lungo divertissement online del Corriere del Mezzogiorno. Ora la Fondazione “Il Giglio” e il Movimento Culturale Neooborbonico chiedono al Comune di Napoli di intitolargli una strada, dopo la delibera di intitolazione toponomastica di uno slargo ad Enrico Berlinguer (intersezione pedonale tra Via Toledo e via Diaz) e la proposta del sindaco De Magistris di intitolare una strada, una piazza o un giardino di Napoli a John Lennon.
I promotori dell’iniziativa chedono di inviare una email al Sindaco, all’indirizzo sindaco@comune.napoli.it, chiedendo “che sia intitolata una piazza importante o una strada principale della città a Ferdinando II di Borbone, il Re che fece grandi Napoli capitale e il Regno delle Due Sicilie”. Lo stesso Corriere del Mezzogiorno sta proponendo un sondaggio (clicca qui) per verificare l’eventuale gradimento della proposta.
L’operato politico di Ferdinando II, di cui ho parlato in Made in Naples e che ho focalizzato sotto il profilo economico nel Cenno Storico sulle opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli, è riassunto nell’intervento di Gennaro De Crescenzo, tra i promotori dell’iniziativa, nell’intervento alla trasmissione Baobab di Radio Rai (minuto 8:00).
Il calciomercato deve abitare al Sud
il Mezzogiorno non ha una sede istituzionale nel calcio

Angelo Forgione – Lo scompenso tra Nord e Sud del Paese è forte ed evidente anche nel mondo del calcio, che è un’economia d’impresa. È violenta la sproporzione, non solo nel numero di scudetti vinti dal movimento settentrionale rispetto a quello meridionale, e non sono secondari nell’analisi il coinvolgimento e l’esposizione mediatica di un calcio che “legge” un quotidiano sportivo nazionale a Milano e uno a Torino, a fronte di uno a Roma che cerca di estendersi all’utenza di una Napoli già priva di network televisivi, altrove capaci di influenzare l’opinione nazionale. Mettiamoci poi che la Lega calcio ha sede a Milano, che la Nazionale abita a Firenze e che la FIGC è di casa a Roma, dopo essere nata a Torino e transitata a Bologna. Il calcio che conta, più giù della capitale non scende.
Il governo del pallone avrebbe dovuto dare già da tempo un segnale di attenzione alla parte più depressa del Paese, e questo segnale può essere l’assegnazione della sede del calciomercato a Napoli, o a qualche località del Sud, riequilibrando territorialmente la propria presenza. Del resto, l’inventore del calciomercato, inteso come sessione di incontri, è stato un palermitano, stravagante nobile di nome Raimondo Lanza di Trabia, proprietario del Palermo. Negli anni Cinquanta frequentava l’hotel Excelsior Gallia di Milano, nella piazza della stazione, gettonato da molti uomini di affari, e lì iniziò a ricevere i presidenti delle altre squadre, spesso immerso nella vasca da bagno e con un bicchiere di whisky in mano. Era “l’uomo in frac” che ispirò Domenico Modugno, alcolizzato e morto suicida (ufficialmente) nel 1954 per essersi lanciato dalla finestra dell’hotel “Eden” di Roma. Fu lui a inventarsi la riunione dei dirigenti a fine campionato per intavolare trattative. Nel lussuoso albergo milanese, col tempo, iniziarono ad affluire sempre più operatori di mercato, con la stampa sportiva – a riprova della tendenza che ha sempre esercitato – che iniziò ad assegnare “lo scudetto del Gallia” alla squadra che metteva a segno il colpo più importante. L’affollamento e la denegerazione manageriale aumentarono sempre più, finché la direzione dell’hotel milanese non prese la decisione di non consentire, durante il calciomercato, l’accesso alle persone che non vi soggiornavano. Il Gallia sfrattò e il vicino Hilton, nel 1970, accolse tutti, allestendo una sala stampa con servizio di segreteria, telex, cabine telefoniche. Poi, nel ’76, venne il tempo del Leonardo da Vinci di Bruzzano, periferia milanese, dove, due anni dopo, apparvero i carabinieri per apporvi i sigilli. Si passò a Milanofiori, e poi all’Atahotel Executive, negli ultimi anni, sempre a Milano, ma ormai considerata sede caotica e inadeguata. Il contratto con la Lega è scaduto, quindi stop!
Il calciomercato “rischia” di abbandonare il capoluogo meneghino, c’è bisogno di strutture fieristiche più adeguate, ma c’è bisogno – aggiungo – di portare via da Milano il carrozzone del mercato del pallone e trasferirlo al Sud. Napoli sembra interessata, ed è bene che non lasci passare questo treno e si inserisca in questo momento propizio, perché una fiera del mercato calcistico significa vantaggi in ogni senso; ma intanto una candidatura ufficiale del Sud è già stata presentata ai vertici del calcio italiano, con un progetto che punta a portare gli operatori del settore nella regione di Raimondo Lanza di Trabia. È il Comune di Taormina a volerli da subito. Il sindaco Eligio Giardina, il responsabile del Servizio Turistico Regionale Salvo Giuffrida, il presidente di Confindustria Turismo e Alberghi Sebastiano De Luca hanno già incassato il gradimento di Claudio Pasqualin, noto procuratore sportivo. Il coordinatore del progetto, il giornalista Emanuele Cammaroto, si è espresso proprio per una maggiore attenzione al Mezzogiorno: «l’auspicio principale è che venga dato spazio al Sud in un contesto non solo sportivo ma di sistema-impresa che per tanti anni ha guardato solo a Nord. Abbiamo letto di recente che anche Napoli potrebbe essere interessata a questo evento e magari proprio un asse strategico Taormina-Napoli tra le due città simbolo del Meridione può essere la chiave giusta per aprire in Italia la strada a una nuova stagione di reale e doveroso equilibrio territoriale».
San Giorgio a Cremano, una via intitolata ai Martiri di Pietrarsa
Angelo Forgione – La Giunta Comunale di San Giorgio a Cremano ha deliberato nei giorni scorsi all’unanimità il cambio di nome di via Ferrovia in via Martiri di Pietrarsa. La nuova denominazione, proposta dall’assessore Pietro De Martino, è in attesa del via libera della Prefettura di Napoli. Dopo le numerose manifestazioni nel Museo ferroviario di Pietrarsa svoltesi negli ultimi anni con lo scopo di divulgare la storia dimenticata dell’eccidio di Pietrarsa, giungono finalmente i primi onori per le vittime di uno degli episodi più significativi dell’unificazione italiana.
I Martiri di Pietrarsa sono Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Aniello Olivieri e Domenico Del Grosso, quattro operai (ma forse furono di più, NdR) che il 6 agosto 1863 furono uccisi da Bersaglieri, Carabinieri e Guardia Nazionale alle spalle durante uno sciopero di protesta contro i licenziamenti e le condizioni disumane di lavoro a cui erano stati costretti dai nuovi proprietari della fabbrica. Il Real Opificio di Pietrarsa, uno dei vanti dello Stato borbonico, che su un’area adiacente alla prima tratta ferrata, la Napoli-Portici, aveva sfornato le prime locomotive italiane, fu destinato allo smantellamento e al declino per decisione delle nuove classi dirigenti dell’Italia appena unita.
La delibera giunge proprio a pochi giorni dal 1 maggio, festa del lavoro, che il mondo del meridionalismo dedica ogni anno alla memoria dei Martiri di Pietrarsa.

