
Angelo Forgione – Matera, Venezia e mezza Italia allagata. Due gemme che l’Italia non ha saputo difendere, entrambe sommerse dall’acqua, sì, ma una merita attenzione mediatica, stanziamenti d’urgenza e raccolte fondi solidali, e chi se ne frega se gli italiani tutti hanno già fatto una colletta da sette miliardi di euro per far sì che non finisse più a mollo. Il MoSE degli scandali, delle ruberie e delle manette, un’opera non terminata e già vecchia. Roba all’italiana che fa rabbrividire. Uno spreco che rischia di rivelarsi totale e pure inutile al completamento dei lavori. Del resto, MoSE sta per “Modulo Sperimentale” perché non c’è alcuna certezza che funzioni, visto che è progettato male, malissimo, come peggio non si sarebbe potuto, con un errore capitale: i meccanismi che alzano le paratoie sono immersi nell’acqua, soggetti a corrosione e aggressione di sedimenti e vegetazione marina, e allora ogni mese bisogna estrarre a turno le paratoie dal fondo, ripulirle e rimetterla giù. Per sempre!
Una manutenzione senza soluzione di continuità e dai costi enormi. Insomma, un’assicurazione sul lucro per chi sulla costosissima manutenzione del MoSE ci guadagnerà.
Intanto la necessaria solidarietà si è messa in moto immediatamente, sì, ma solo per la fragile Venezia dalle uova d’oro. Il Governo ha elargito ai lagunari 5mila euro a ogni singolo e 20mila a ogni esercizio. SMS solidali piovono, pardon, arrivano anche dalla RAI, la tivù di Stato che così ignora le devastazioni di Matera e costa ionica sotto al fango, con danni anche assai maggiori che in Veneto, la regione che ha cementificato e disboscato più che altrove.
Perché se perdiamo Venezia ci siamo giocati una delle nostre città-simbolo e tutto il turismo/soldi che attrae. Di Matera, invece, ci siamo ricordati che esiste solo quando è stata proclamata Capitale europea della Cultura, in nome delle trivelle che il Governo Renzi garantiva alle compagnie estrattive di petrolio lucano.
Matera sembra non interessare a nessuno e può anche affondare nel silenzio, come le località pugliesi, calabresi e siciliane in ginocchio. Meglio non darle troppa attenzione, altrimenti finisce che se ne viene l’impomatato governatore Luca Zaia con un prosecchino in mano a contestare gli stanziamenti per quei quattro sassi di Matera. Pardon, quelli erano di Pompei.
L’immagine della Basilica di San Marco sotto l’acqua ha fatto il giro del mondo. Non è la prima volta che accade, certo, ma le statistiche parlano da sole: 6 inondazioni straordinarie negli ultimi 8 secoli, di cui 3 negli ultimi 20 anni, e ben 2 negli ultimi dodici mesi.
E così, mentre qualche illuminato giornalista nostrano (Feltri) pensa ai fatti suoi e sostiene che se ci sono due gradi in più a casa sua (Bergamo) in fondo si sta meglio, assistiamo passivamente agli ormai puntuali eventi straordinari d’autunno (dopo il caldo di ottobre) che mettono a rischio la vita delle persone e l’integrità dei luoghi della cultura.
Certo, ora il problema sono i chiacchierati “cambiamenti climatici”, che sono evidenti e sempre più incisivi. Però poi finiamo per dimenticare la vera causa dei disastri, cioè il dissesto idrogeologico, cui il paese non mette mano e per il quale, dice la Corte dei Conti, l’Italia spende solo il 20% dei già insufficienti fondi disponibili. Il CNR stima che dal 2000 a oggi, solo per frane e inondazioni, hanno perso la vita in totale 438 persone. Dunque, stiamo attenti a non sotterrare atavici problemi irrisolti con nuove problematiche globali che li acuiscono.
E nel frattempo il forse insufficiente MoSE di Venezia, dal 2003, è ancora fermo al palo per costosa costruzione e manutenzione, tra tangenti e ritardi nell’efficiente Veneto leghista, regione tra le più trascurate e a più alto rischio idrogeologico. E allora a Zaia non resta che disperarsi e puntare il dito contro il Governo: “Tutta colpa dello Stato”, dice colui che in tempi di cielo sereno si spende invece per reclamare l’autonomia fiscale di una regione che da povera si è fatta ricca, ed è diventata tale anche perché in quei territori si è costruito cementificando selvaggiamente 70mila ettari di superficie proprio dove i fiumi diventano pensili e dove il territorio è sotto il livello del mare.
Si sappia che per anni la sicurezza idrogeologica del Nord-est è stata sacrificata allo sviluppo urbanistico ed industriale. Lo scrisse qualche anno fa Legambiente Veneto in una relazione, chiedendo un patto per il territorio in cui nel 54% dei comuni coinvolti sono presenti fabbricati e insediamenti industriali.
Così i veneti hanno iniziato a produrre merci e hanno guadagnato benessere, e poi hanno deforestato montagne e colline per farvi Prosecco ad alto reddito e a bassa tenuta del terreno, ma hanno perso la memoria storica e si sono dimenticati dell’alluvione del 1966. Se lo ricordano ora, con il disastroso cambiamento climatico degli ultimi anni, e fanno anche loro i conti con tragedie e danni da risarcire. Prima di Luca Zaia, il Veneto delle mancate bonifiche ha avuto cinque governatori su cinque condannati, tra crolli di cavalcavia e realizzazioni di superstrade inutili.
Ora tocca al leghista che ritiene i resti di Pompei dei calcinacci, colui che, quando il sole splende, rafforza sempre più la richiesta di autonomia affinché le tasse del produttivo Veneto non vadano a Roma, e chissà se poi vorrebbe usarle per mettere in sicurezza il territorio, per il monitoraggio dei fiumi e per la manutenzione dei boschi. Tutto condito da una certa prosopopea e supponenza su certe capacità imprenditoriali e sui livelli di benessere raggiunti, anche grazie alle spese merceologiche dei meridionali ai quali il Governatore non vorrebbe più elargire trasferimenti statali, e grazie pure al supporto delle famigerate banche venete (Venetobanca e Popolare di Vicenza), prima cresciute a dismisura e poi collassate a tal punto da costringere lo Stato a salvarle pur di evitare il tracollo dell’economia territoriale, con aggravio dei conti pubblici italiani.
Insomma, almeno sotto l’acqua e il fango (purtroppo), ricchi e poveri, siamo un po’ tutti nella stessa barca, e non è l’arca di Noé.



Angelo Forgione – Ne avevo parlato
Dopo l’
Angelo Forgione – Per un napoletano che ha studiato (
Angelo Forgione – Paolo Villaggio, all’indomani dell’alluvione di Genova, aveva declassato la cultura ligure definendola inferiore a quella anglosassone cui si ispira. E pensando di affossarla del tutto, l’aveva accostata alla «cultura sudista borbonica che è il male di tutta l’Italia». Inutile tornarci su dopo aver sufficientemente
di Angelo Forgione – Insistete pure, voi di tuttojuve.net. Siete anche un po’ prevedibili perchè stamane, alla vista grigia dello splendido golfo di cui noi possiamo godere nelle giornate di cielo AZZURRO, ho pensato subito a qualche grigio BIANCONERO (le due tinte insieme producono grigiore) pronto a fare sarcasmo sulla partita di Champions sotto la pioggia… ma a Napoli, non a Torino. Francamente, dopo la bacchettata a Rampulla e Gullo, avrei sperato che da quel versante avessero tutti capito la lezione e imparato a rispettare soprattutto la morte di 7 persone ma anche la decisione superiore di un Prefetto.
Quasi 100mila visite al solo blog nel week-end delle calunnie. Gullo, Rampulla e soprattutto Villaggio hanno destato l’indignazione generale. Al comico genovese, ovviamente, erano state già dedicate due parole a caldo. E per smontare definitivamente le sue parole, ecco il videoclip. Chissà se in questi giorni in cui è stato tempestato di proteste avrà avuto il tempo di riflettere sulle sue convinzioni.