––– scrittore e giornalista, opinionista, storicista, meridionalista, culturalmente unitarista ––– "Baciata da Dio, stuprata dall'uomo. È Napoli, sulla cui vita indago per parlare del mondo."
Napoli tra i primi e gli ultimi martiri del lavoro
1 Maggio 2012 particolarmente significativo per i napoletani. La città vantava le primissime vittime del mondo operaio d’Italia, a Portici nel 1863, e anche l’ultima, il portinaio del Corso Garibaldi che si è tolto la vita dopo che gli avevano tolto impiego e casa. Non c’era città-simbolo migliore per sensibilizzare sulla drammatica situazione del mondo del lavoro in Italia, e invece i sindacati hanno preferito Rieti laddove è in corso una competizione elettorale. Poi, in serata, il “concertone” di Roma, in tono minore, con lo strascico di polemiche per i circa 250mila euro richiesti da Alemanno. Forse sarebbe stato più giusto restare in silenzio, evitare simbolicamente la festa a Piazza San Giovanni e dare seguito alle parole di Angeletti: «C’é poco da festeggiare. Siamo di fronte ad un preoccupante aumento dei disoccupati. Ma questo sarà il 1 Maggio di tutti coloro che non si rassegnano».
A Pietrarsa, laddove fino al momento dell’unificazione italiana era il più grande stabilimento meccanico d’Italia poi schiacciato dalle politiche filo-sabaude che privilegiarono la nascente Ansaldo, in quel posto in cui il 6 Agosto 1863 Bersaglieri e Guarda Nazionale spararono sugli operai che protestavano per la forte riduzione del personale e per l’aumento dell’orario di lavoro, i vertici delle organizzazioni sindacali non sono mai andati a portare un fiore al monumento che ricorda quella vergognosa strage ancora oggi coperta dal silenzio “risorgimentalista”.
A ricordare le morti di ieri e di oggi c’eravamo noi, proprio li, alle grandiose officine di Pietrarsa oggi declassate a museo ferroviario (aperto solo nei giorni feriali). Una toccante ricordo coordinato dal Partito del Sud al quale hanno aderito anche il Comune di Napoli con la presenza dell’assessore a Lavoro e Sviluppo Marco Esposito, il Comune di Portici e diverse associazioni meridionaliste. Nel piazzale delle Officine è stata deposta una corona di fiori ai piedi dell’opera commemorativa dello scultore Bruno Galbiati, apposta dal Comune di Portici il 25 settembre 1996. Diversi gli interventi accorati conclusi con quello interessantissimo dell’assessore Esposito che ha ribadito un concetto già qui dimostrato: la palla al piede d’Italia è il Nord. Discorso preceduto da quello di chi scrive incentrato sulle vicende attuali della discarica di Terzigno, in pieno parco nazionale del Vesuvio, che non chiuderà (nel video della commemorazione di Tony Quattrone a 2:34). A chiudere la manifestazione, un emozionante minuto si silenzio.
Appuntamento al 6 Agosto quando un nuova commemorazione ricorderà il 149° anniversario dall’avvenimento. Nella speranza che un giorno non lontano i segretari nazionali delle organizzazioni sindacali si possano degnare di onorare con la loro presenza la memoria dei martiri di Pietrarsa, luogo simbolo della lotta operaia in Italia… e di ciò che l’unificazione ha significato per il Sud.
si ringrazia Tony Quattrone per il contributo video della commemorazione
«“Noapolis” è un omaggio alla vostra bellissima cultura musicale»
La serata di gala del Festival di Sanremo era battezzata col nome di “Viva l’Italia nel mondo”. E non poteva mancare la tradizione napoletana, portata sul palco del teatro Ariston prima da Lucio Dalla che ha accompagnato per mano i giovani Carone e Mads Langer sulle note di “Anema e Core”; veramente trionfante però con Noa che, su “Torna a Surriento”, ha prima duettato con Eugenio Finardi per poi dedicare un ricordo a Roberto Murolo con una toccante “Era de Maggio”. Emozionante la cantante israeliana quando, rivolgendosi a Gianni Morandi e a tutta la platea nazionale, ha detto: «“Noapolis” è un omaggio alla vostra bellissima cultura musicale». In conferenza stampa, l’artista aveva detto: «la musica Napoletana abbatte tutte le barriere del mondo, è un tesoro della cultura italiana». Sottoscritto da Finardi.
il Napoli smentisce tutti e approda tra le 16 big d’Europa
Angelo Forgione – Ad Agosto l’avevano dato per spacciato; il Napoli era praticamente già fuori dalla Champions League ancor prima di giocare nemmeno una partita. Le cassandre della vigilia lo definirono “la Cenerentola” del girone più duro che l’urna dell’UEFA abbia mai formulato nella storia della competizione. Il meglio del ranking europeo: Spagna, Inghilterra, Germania e Italia, con due favorite quantomeno per le semifinali. Tutti a dire che gli azzurri sarebbero usciti con zero punti, senza neanche la consolazione dell’Europa League. E invece a zero c’è rimasto il Villarreal e il Napoli di punti ne è ha fatti ben 11, più del ricco Manchester City ma anche più dell’Inter (10) e del Milan (9) negli loro gironi meno impegnativi. E senza dimenticare anche la difficoltà del calendario, col Bayern Monaco incrociato alla terza e quarta giornata, nel cuore del percorso, quando anche i bavaresi dovevano ancora sudarsi il passaggio del turno e mentre il City se la vedeva col quasi rassegnato Villarreal. A Villarreal è sceso in campo Gianluca Grava, omaggiato idealmente per essere la memoria storica dell’inferno della Serie C, e non era poi tantissimo tempo fa. Incredibile Napoli! Chiamatela pure “Cenerentola” ma chi ha occhi e cuore per guardare e attendere sa, e sapeva all’epoca, che la squadra di Napoli rispecchia l’anima di una nobile città scippata della sua corona, ma sempre consapevole del suo sangue blu che è la forza di un popolo capace di rialzarsi ogni volta.
video: «DECEEEEMPION»… il San Paolo ruggisce il Sud ha già lasciato una traccia nell’Europa calcistica che conta
Dopo l’esordio casalingo col Villarreal, anche prima del match col Bayern Monaco i 65.000 del “San Paolo” hanno urlato “THE CHAMPIOOOOOONS”… ancora più forte.
È ormai un rito, un marchio di fabbrica, un “made in Naples” atteso anche dagli stessi calciatori del Napoli. Basti vedere lo sguardo compiaciuto di Lavezzi e Gargano che danno sfogo ad un sorriso più eloquente di mille parole.
videoclip: UNA SETTIMANA DA DIO il Napoli abbatte Villarreal e Inter… in 5 giorni!
20 anni per ascoltare l’inno della Champions League al San Paolo culminano nel grido “the champions” dei 65.000 del San Paolo. 17 anni senza vittoria a San Siro contro l’Inter trovano fine col roboante 0-3, sacrosanto nonostante gli errori arbitrali. Tutto in cinque giorni! Il videoclip pone l’accento sul potere taumaturgico della squadra del cuore di Napoli.
Il “focus” dedicato al ruggito del San Paolo e al fascino esercitato su Giuseppe Rossi che ha “catturato” il catino di Fuorigrotta è venuto fuori più spontaneo che doveroso.
Inter-Napoli. Proteste interiste, ma espulsione giusta! ecco l’ammonizione risparmiata ad Obi di cui nessuno parla
Non ci interessa entrar nel merito degli arbitraggi, anche se quando si lamentano i Napoletani sono vittimisti e quando lo fanno i milanesi sono vittime. Però stavolta qualcosa la dobbiamo dire, perchè le proteste degli interisti sono quanto mai capziose. Arbitraggio indecente quello di Rocchi, che ha semplicemente sporcato la meritatissima vittoria del Napoli. Perchè meritata? Semplice: il rigore è ingiusto, ma l’espulsione di Obi è sacrosanta! È vero che la prima ammonizione ricevuta dal giocatore dell’Inter per inesistente fallo da dietro su Lavezzi è inventata ma qualche minuto prima un fallo da dietro ai danni di Maggio (nel video) che l’aveva sverniciato per poi essere tirato a terra da dietro, di cui nessuna tv ha parlato, meritava il giallo a termini di regolamento. E Rocchi ha sorvolato. Ammonizione per fallo su Lavezzi di compensazione? Va ricordato che il Regolamento arbitrale dice che il cartellino giallo scatta per comportamento antisportivo da fallo tattico che interrompe una ripartenza (ed è il caso del fallo in questione) e che un fallo da dietro è meritevole di rosso, anche se nella fattispecie non si tratta di brutalità o violenza. Insomma, un giallo risparmiato. Quest’Inter in 10 uomini, contro questo Napoli in 11, avrebbe perso tutta la vita.
videoclip: UN CAVALLO DI RAZZA CORRE IN EUROPA la fantastica galoppata verso la Champions League
Il ciuccio torna alle origini e si riscopre un cavallo di razza (leggi la storia del simbolo) che corre spedito verso l’Europa dei grandi. 15 minuti per rivivere la fantastica galoppata della prima squadra del Sud-Italia verso la Champions League. I momenti salienti della stagione 2010/11 del Napoli aperti del consiglio di Roberto Saviano raccolto da Walter Mazzarri e chiusi da un imperdibile finale per non dimenticare le sofferenze dell’inferno recente eppure così apparentemente lontanissimo.
In qualsiasi serie, in qualsiasi condizione sociale… sempre e solo Napoli!
Anche i Sindacati dei lavoratori strumento
di propaganda risorgimentale
Cari Bonanni, Angeletti e Camusso, Voi che eravate a Marsala a fare propaganda risorgimentale (ci mancavate solo Voi), perchè non avete ricordato le prime vittime operaie fatte dai piemontesi a Portici nel 1863? Non possiamo credere che, visto il ruolo che ricoprite, non conosciate quel luttuoso avvenimento che fu il primo della storia d’Italia e vi allineiate ai politici italiani che fuori Montecitorio vengono incastrati da “Le Iene” con la loro completa ignoranza sul contesto storico del 17 Marzo 1861.
Del resto, ricordiamo Bonanni a “Ballarò” qualche anno fa esprimere una certa conoscenza della verità storica dei fatti risorgimentali. Avete “scelto” proprio il luogo simbolo dell’invasione senza dichiarazione di guerra di chi arrivò a togliere il lavoro al sud, e non solo quello, per “denunciarne” la mancanza e parlare di unità nazionale. A testimonianza del lavaggio del cervello di questo umiliato meridione, il fatto che nessuno vi abbia fischiato. E intanto a Torino bruciavano le bandiere dei Vostri sindacati. Mai 1° Maggio fu più triste e più utile per riflettere. Ma bisogna avere una coscienza per capirlo. Cordiali saluti.
Angelo Forgione
a 2:11, Raffele Bonanni a Ballarò snocciola nozioni di vera storia d’Italia
1° Maggio, festa dei diritti dei lavoratori conquistati dopo sacrosante battaglie operaie. Una ricorrenza nata negli Stati Uniti nel 1886 dopo i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di quel Maggio a Chicago, quando la polizia locale sparò su degli operai manifestanti facendo numerose vittime. Ma le prime vittime della storia operaia per mano governativa in realtà furono napoletane. Se scaviamo nella storia, già qualche anno prima, nell’estate del 1863, si era registrato il triste episodio di Portici, nel cortile delle officine di Pietrarsa. Una vicenda storica poco conosciuta data la copertura poliziesca della monarchia sabauda, subentrante a quella borbonica, che da poco aveva invaso il Regno delle Due Sicilie dando vita all’Italia piemontese. I documenti del “Fondo Questura” dell’Archivio di Stato di Napoli riportano ciò che accadde quel giorno. Fascio 16, inventario 78: è tutto scritto lì. Il “Real Opificio Borbonico di Pietrarsa”, prima dell’invasione piemontese, era il più grande polo siderurgico della penisola italiana, il più prestigioso coi suoi circa 1000 operai. Voluto da Ferdinando II di Borbone per affrancare il Regno di Napoli dalle dipendenze industriali straniere, contava circa 700 operai già mezzo secolo prima della nascita della Fiat e della Breda. Un gioiello ricalcato in Russia nelle officine di Kronštadt, nei pressi di San Pietroburgo, senza dubbio un vanto tra i tanti primati dello stato napoletano. Gli operai vi lavoravano otto ore al giorno guadagnando abbastanza per sostentare le loro famiglie e, primi in Italia, godevano di una pensione statale con una minima ritenuta sugli stipendi. Con l’annessione al Piemonte, anche la florida realtà industriale napoletana subì le strategie di strozzamento a favore dell’economia settentrionale portate avanti da quel Carlo Bombrini, uomo vicino al Conte di Cavour e Governatore della Banca Nazionale, che presentando a Torino il suo piano economico-finanziario teso ad alienare tutti i beni dalle Due Sicilie, riferendosi ai meridionali, si sarebbe lasciato sfuggire la frase «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere». Bombrini era uno dei fondatori dell’Ansaldo di Genova, società alla quale furono indirizzate tutte le commesse fino a quel momento appannaggio di Pietrarsa. Prima del 1860, nata per volontà di Cavour di dar vita ad un’industria siderurgica piemontese che ammortizzasse le spese per le importazioni dalle Due Sicilie e dall’Inghilterra, l’Ansaldo contava la metà degli operai di Pietrarsa che raddoppiarono già nel 1862. Dopo l’Unità d’Italia l’opificio partenopeo passò alla proprietà di Jacopo Bozza, un uomo con la fama dello sfruttatore. Costui, artificiosamente, prima dilatò l’orario di lavoro abbassando nello stesso tempo gli stipendi, poi tagliò in maniera progressiva il personale mettendo in ginocchio la produzione. Il 23 Giugno 1863, a seguito delle proteste del personale, promise di reimpiegare centinai di operai licenziati tra i 1050 impiegati al 1860. La tensione era palpabile come testimonia il fitto scambio di corrispondenza tra la direzione di Pietrarsa e la Questura. Sui muri dello stabilimento comparve questa scritta: “muovetevi artefici, che questa società di ingannatori e di ladri con la sua astuzia vi porterà alla miseria”. Sulle pareti prossime ai bagni furono segnate col carbone queste parole: “Morte a Vittorio Emanuele, il suo Regno è infame, la dinastia Savoja muoja per ora e per sempre”. Gli operai avevano ormai capito da quali cattive mani erano manovrati i loro fili. La promessa di Bozza fu uno dei tanti bluff che l’impresario nascondeva continuando a rassicurare i lavoratori e rallentando la loro ira elargendo metà della paga concessa dal nuovo Governo, una prima forma di cassa-integrazione sulla quale si è retta la distruzione dell’economia meridionale nel corso degli anni a venire, sino a qui. Il 31 Luglio 1863 gli operai scendono ad appena 458 mentre a salire è la tensione. Bozza da una parte promette pagamenti che non rispetterà, dall’altra minaccia nuovi licenziamenti che decreterà. La provocazione supera il limite della pazienza e al primo pomeriggio del 6 Agosto 1863, il Capo Contabile dell’opificio di Pietrarsa, Sig. Zimmermann, chiede alla pubblica sicurezza sei uomini con immediatezza perché gli operai che avevano chiesto un aumento di stipendio incassano invece il licenziamento di altri 60 unità. Poi implora addirittura l’intervento di un Battaglione di truppa regolare dopo che gli operai si sono portati compatti nello spiazzo dell’opificio in atteggiamento minaccioso. Convergono la Guardia Nazionale, i Bersaglieri e i Carabinieri, forze armate italiane da poco ma piemontesi da sempre, che circondano il nucleo industriale. Al cancello d’ingresso trovano l’opposizione dei lavoratori e calano le baionette. Al segnale di trombe al fuoco, sparano sulla folla, sui tanti feriti e sulle vittime. La copertura del regime poliziesco dell’epoca parlò di sole due vittime, tali Fabbricini e Marino, e sei feriti trasportati all’Ospedale dei Pellegrini. Ma sul foglio 24 del fascio citato è trascritto l’elenco completo dei morti e dei feriti: oltre a Luigi Fabbricini e Aniello Marino, decedono successivamente anche Domenico Del Grosso e Aniello Olivieri. Sono questi i nomi accertati dei primi martiri della storia operaia italiana. I giornali ufficiali ignorano o minimizzano vergognosamente il fatto a differenza di quelli minori. Su “Il Pensiero” si racconta tutto con dovizia di particolari, rivelando che in realtà le vittime sarebbero nove. “La Campana del Popolo” rivela quanto visto ai “Pelligrini” e parla di palle di fucile, di strage definita inumana. Tra i feriti ne decrive 7 in pericolo di vita e anche un ragazzino di 14 anni colpito, come molti altri, alle spalle, probabilmente in fuga dal fuoco delle baionette. Nelle carte, dai fogli 31 a 37, si legge anche di un personaggio oggi onorato nella toponomastica di una piazza napoletana, quel Nicola Amore, Questore durante i fatti descritti, solerte nell’inviare il drappello di forze armate, che definisce “fatali e irresistibili circostanze” quegli accadimenti. Lo fa in una relazione al Prefetto mentre cerca di corrompere inutilmente il funzionario Antonino Campanile, testimone loquace e scomodo, sottoposto a procedimento disciplinare e poi destituito dopo le sue dichiarazioni ai giornali. Nicola Amore, dopo i misfatti di Pietrarsa, fece carriera diventando Sindaco di Napoli. Il 13 ottobre vengono licenziati altri 262 operai. Il personale viene ridotto lentamente a circa 100 elementi finché, dopo finti interventi, il governo riduce al lumicino le commesse di Pietrarsa, decretando la fine di un gioiello produttivo d’eccellenza mondiale. Pietrarsa viene declassata prima ad officina di riparazione per poi essere chiusa definitivamente nel 1975. Dal 1989, quella che era stata la più grande fabbrica metalmeccanica italiana, simbolo di produttività fino al 1860, è diventata un museo ferroviario che è straordinario luogo di riflessione sull’Unità d’Italia e sulla cosiddetta “questione meridionale”. Alla memoria di Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Aniello Olivieri e Domenico Del Grosso, napoletani, morti per difendere il proprio lavoro, ogni napoletano dedichi un pensiero oggi e in ogni festa dei lavoratori che verrà. Uomini che non sono più tornati alle loro famiglie per difendere il proprio lavoro, dimenticati da un’Italia che non dedica loro un pensiero, una piazza o un monumento, come accade invece per i loro carnefici.
Da buon “cantore” delle gesta del Napoli, non potevo non dedicare un piccolo “componimento” all’esplosione del San Paolo giunta al culmine del derby delle Due Sicilie contro il Palermo.
Il cronometro di Mazzarri colpisce ancora. Napoli infinito che all’ultimo assalto innesca con Maggio il boato del San Paolo nel derby delle Due Sicilie contro il Palermo. E tutto trema.