Rapporto Svimez 2015: Sud-Italia peggio della Grecia

Angelo Forgione – Qualche settimana fa, in piena “Questione greca”, ebbi a scrivere che i meridionali d’Italia stavano anche peggio degli ellenici, e del resto bastava analizzare le annuali statistiche Eurostat circa il PIL pro-capite espresso in potere d’acquisto di più di 270 regioni degli stati membri dell’Unione Europea per capire che nel Sud-Italia vivono gli abitanti più poveri d’Europa. Ora arriva anche la Svimez ad allarmare sull’aggravarsi della “Questione meridionale” e a sottolineare che 1 cittadino meridionale su 3 è a rischio povertà (1 su 10 al Nord). “Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13%, la metà della Grecia che ha segnato +24%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%)”. Lo si legge nelle anticipazioni del Rapporto 2015 dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che sottolinea anche come, nel periodo, l’Italia nel suo complesso sia stato il Paese con minore crescita dell’area euro con il +20,6% a fronte di una media del 37,3%.
Il rapporto, qualora ve ne fosse il bisogno, evidenzia anche che l’Italia è “un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è la deriva e scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, con il 53,7%”. Nel rapporto si rileva il crollo dei consumi, la caduta degli investimenti e il taglio della spesa in conto capitale a danno del Sud. Allarmante il dato delle nascite in quello che una volta era il territorio serbatoio del ricambio generazionale.
Nel 2014 il numero dei nati nel Mezzogiorno, così come nell’Italia nel suo complesso, ha toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia: 174 mila”.
Le catastrofiche previsioni avanzate, dalla desertificazione umana a quella industriale, sono semplicemente una reiterazione di quanto già prefigurato nelle precedenti edizioni del Rapporto. Il Sud continua a funzionare da colonia per le industrie del Nord. Lo disse già nel 1911 Gaetano Salvemini, interrogandosi sul senso dell’Unità. Un quesito che continua a non avere risposta.

‘Dov’è la Vittoria’ a “Si Gonfia la Rete”

Dalla trasmissione Si Gonfia la Rete su Radio CRC del 13 luglio, due chiacchiere sul libro Dov’è la Vittoria e sul nuovo Napoli di Sarri che inizia a prendere forma.

La Serie A gioca in casa da Roma in su, ma Tavecchio non lo sa

Angelo ForgioneCarlo Tavecchio, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio dallo scorso Agosto, eletto tra mille polemiche per le sue incaute dichiarazioni a sfondo razzista, continua a ribadire la sua inadeguatezza al ruolo. In un’intervista rilasciata per È Azzurro, mensile dedicato ai tifosi del Napoli in edicola il 17 giugno, ha motivato la ridottissima presenza di squadre meridionali (3) nel campionato di Serie A riconducendola esclusivamente alla crisi economica in atto. Risposta che palesa la mancanza di conoscenza del movimento che lo stesso Tavecchio è chiamato a guidare. Come scrivo nel mio libro Dov’è la Vittoria, infatti, il Calcio italiano riflette il divario unitario Nord-Sud e rappresenta un’anomalia europea. La presenza del Sud nella storia della Serie A non supera il 20%, e il problema non è affatto legato a un fenomeno economico transitorio ma è una costante dalla stagione 1926-27, la prima con squadre del Nord e del Sud in competizione mista, dopo 26 campionati “nazionali” a carattere settentrionale. Tra l’altro, pur con l’acuirsi della crisi degli ultimi anni, nei campionati tra il 2010/11 a quello 2015/16 la percentuale risulta la più alta di sempre, seppure al ribasso nelle ultime 3 stagioni.

squdre_sud_serieA-decenniNumeri e dati – scrivo sempre in Dov’è la Vittoria – sembrano dire che il campionato italiano si giochi a Nord e che i competitors del Sud siano degli invitati a una competizione sovranazionale che va da Roma in su. La Serie A assomiglia alla Major League Soccer americana, torneo che vede una manciata di squadre canadesi iscritte al campionato statunitense. Con la differenza che Nord e Sud italiani sventolano la stessa bandiera.
Riccardo Giammarino, direttore responsabile della rivista del gruppo editoriale Giammarino, intervistandomi per il Brigantiggì (in onda sull’emittente Julie Italia), ha colto l’occasione per chiedermi un parere sulla dichiarazione del presidente della FIGC… una sconcertante dichiarazione.

(video) Pastore: «’Dov’è la Vittoria’ sarà materia di studio»

dlv_feltrinelliÈ stato presentato mercoledì 10 giugno a la Feltrinelli di Napoli Chiaia il saggio Dov’è la Vittoria di Angelo Forgione. Con l’autore sono intervenuti Rosario Pastore, storica firma della Gazzetta dello Sport, e Luigi Necco, altrettanto storico volto della Rai.
Proprio Rosario Pastore, concluso l’appuntamento ricco di belle parole, ha affidato alla sua pagina facebook un convinto invito alla lettura del libro (di seguito riportato).

Da un po’ di tempo, fra me e Angelo Forgione è in atto un simpatico duetto: io lo chiamo Maestro e lui, del tutto indebitamente, chiama maestro me. In realtà, da parte mia è un po’ più che un giochetto: perché quando chiamo maestro Angelo, lo faccio del tutto seriamente. Ho sempre seguito questa linea: chi merita di essere chiamato Maestro è uno che, almeno nel suo campo, ne sa molto più del suo prossimo. E Forgione ha ampiamente dimostrato che ben pochi, o forse nessuno, è in grado di competere con lui negli argomenti che lo appassionano. Un’altra cosa ho imparato nella mia, ahimè, lunga vita. Ed è che è abbastanza facile scrivere la prima opera, molto più difficile scrivere la seconda. Una legge che vale un po’ in tutti i campi. Si può dipingere un bel quadro, si può scattare una attraente fotografia, si può recitare con successo in una “piece” teatrale, si può scrivere un buon libro, alla prima botta. Perché quando ti accingi ad una cosa del tutto nuova, dai fondo a quanto sai, gratti il barile della tua esperienza, ti affidi alla tua incosciente faccia tosta e magari riesci ad avere successo. Quando devi fare il bis, però, cominciano le difficoltà. Perché non è più il tuo istinto ad aiutarti ma quello che hai veramente dentro, il tuo talento naturale. Ebbene, quando ho letto la prima opera di Forgione, Made in Naples, mi tuffai con molto godimento nelle pagine di uno che dimostrava di conoscere a fondo la materia che presentava. E infatti, ci troviamo di fronte non ad un improvvisatore ma ad un vero, approfondito studioso di uno Stato, di una città che purtroppo non esistono più e che sono state offese, calpestate, mortificate nelle loro stessa essenza. Chi vi parla non è un borbonico e quindi non accetta di prendere per oro colato tutto quello che gli viene propinato. E infatti Forgione col suo libro non voleva convincere ma raccontare, illustrare, dimostrare. Made in Naples ha avuto il successo che meritava e continuerà ad averlo. Ma ora eccoci davanti alla seconda opera, questo Dov’è la Vittoria. Non un trattato, non un raccontino, non un “excursus”, ma una vera e propria denuncia, proprio come una vera e propria denuncia era stato Made in Naples. Angelo Forgione, nell’accingersi a scrivere la sua seconda opera, quella della verità, non ha inanellato una serie di fattarielli, ha studiato la materia, si è tuffato in questo mondo prendendolo di petto, ne ha studiato gli aspetti più sconcertanti. Ne è venuto fuori un prodotto che sarà materia di studio e un libro praticamente obbligatorio sia per gli addetti ai lavori sia per quanti si pongono domande alla quali, fino ad oggi, non sono state date risposte esaurienti. Alcune di queste domande le troviamo nella controcopertina del libro. Ma sono solo alcune. A tante altre, a tutte, Forgione dà le sue risposte e lo fa in maniera del tutto esauriente. Non è un caso che quanto sta accadendo nel Napoli in questi giorni rispecchia quanto Angelo anticipa nella sua opera. Dopo anni di illusioni di grandezza, gli obiettivi della squadra sono ridimensionati. Non più sogni europeisti, con un allenatore con fama, a torto o a ragione, internazionale come Rafa Benitez ma un bravo tecnico, per di più napoletano, i cui meriti sono di aver dato un gioco decente ad un Empoli appena arrivato in serie A, guidandolo ad una tranquilla salvezza. E dando alla squadra un gioco piacevole ed a tratti spettacolare. In ogni caso, un allenatore i cui meriti sono da verificare in un ambiente difficile come il nostro. Perché questo ridimensionamento? E perché, mentre il Napoli, agli inizi del XXI secolo, veniva mandato in serie C senza pietà, altre squadre, come la Roma e specialmente la Lazio di un certo Lotito, venivano risparmiate ed i loro debiti venivano spalmati in comodi pagamenti, anche con scadenza venticinquennale e senza interessi? E come mai la Juve, coinvolta pesantemente in Calciopoli, veniva punita solo alla serie B e gli venivano tolti solo due scudetti mentre, stando alle indagini, sarebbero molti di più quelli conquistati più o meno legittimamente? Il calcio meridionale raccoglie solo le briciole di quanto gli lascia, con tanta magnanimità, il calcio del Nord. Squadre che rappresentano realtà importanti, come il Palermo, non hanno mai vinto uno scudetto. Il Napoli ne ha conquistati due, ma solo grazie al fatto di poter contare sul giocatore più forte del mondo, un lusso che, negli anni seguenti, fu pagato amaramente. Di tutto questo e di moltissimo altro parla e discute Forgione in Dov’è la Vittoria, una pubblicazione, che ripeto, deve trovare posto nelle vostre librerie. Dopo averla letta, naturalmente.
R. P.

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Dov’è la vittoria, a “San Paolo Show” anteprima con dibattito

Dov’è la vittoria, in uscita il 13 maggio in libreria, presentato in anteprima a San Paolo Show, la trasmissione di Tv Luna condotta da Paola Mercurio. Coinvolti nel dibattito che ne è nato anche Beppe Bruscolotti, Patrizio Oliva, Rino Cesarano, Massimo D’Alessandro e Angelo Pompameo.

Chi ritira l’Alta Onorificenza consegnata al dopato e razzista Schwazer?

Angelo Forgione Alex Schwazer ci sta provando a rientrare in tempo per i Giochi olimpici di Rio de Janeiro. Nuovo interrogatorio alla procura antidoping del Coni per sostenere la sua richiesta di sconto sulla squalifica che scadrà il 29 aprile 2016.
Prendano la decisione che ritengono più corretta i giudici del Tribunale nazionale antidoping. C’è ben altra questione morale a procurar danno ai valori della lealtà sportiva e, soprattutto, a quelli della tanto sbandierata Unità nazionale. il fatto è che, dopo essere stato abbandonato dall’Arma dei Carabinieri, dagli sponsor e dalla (ormai ex) fidanzata Carolina Kostner (anch’essa coinvolta e sanzionata per aver fornito copertura), l’unico a non stigamtizzare il comportamento di Schwazer è stato Giorgio Napolitano, che all’epoca della squalifica, aprile 2013, era il presidente della Repubblica. Fu lui a conferirgli spontaneamente il titolo di Commendatore d’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, la più alta onorificenza dell’ordinamento, consegnata al Quirinale il 1 settembre 2008, dopo la vittoria fasulla alle Olimpiadi di Pechino. Napolitano ha lasciato la residenza al colle a gennaio 2015, facendo scorrere nove mesi senza ritornare sui suoi passi. L’onorificenza è ancora al collo di Schwazer.
Grave il fatto che il marciatore altoatesino non sia neanche messaggero di unità nazionale, quella tanto cara a Giorgio Napolitano, napoletano di nascita, che ha fatto finta di non leggere – e non ha mai stigmatizzato – ciò che l’atleta scrisse nella famosa email inviata a Pierluigi Fiorella, medico della Federazione Italiana di Atletica Leggera, due giorni prima di risultare positivo all’eritropoietina ricombinante a un controllo antidoping a sorpresa dell’estate 2012. Tutti i napoletani, eccetto Napolitano, ben ricordano con quali parole il dopato cercò di convincere il medico federale della pulizia morale ed ematica che ben sapeva di non avere:

“Posso giurare che non ho fatto niente di proibito. Ti ho dato la mia parola e non ti deluderò. Sono altoatesino, non sono napoletano”.

Come se nascere a Vipiteno fosse garanzia di serietà e venire al mondo a Napoli, al contrario, di inaffidabilità. Mentiva sapendo di mentire lo spergiuro, e finì a versar lacreme altoatesine, non napulitane in conferenza stampa, proprio mentre un calciatore napoletano dei quartieri spagnoli, Fabio Pisacane, dava esempio di lealtà smascherando le corruzioni del calcioscommesse.
Altro che lustro all’Italia! Sarebbe il caso che qualcuno segnali al successore del napoletano Napolitano [Mattarella] l’opportunità di riparare a un errore intollerabile.

DOV’È LA VITTORIA – le due Italie nel pallone

Dov’è la Vittoria – Le due Italie nel pallone (Aspetti sportivi della malaunità politico-economica) è un saggio di indagine sulle cause delle differenti performance sportive dei movimenti calcistici del Nord e del Sud d’Italia, inquadrate nell’ottica del divario interno italiano su cui convergono da sempre la politica e la finanza nazionale, e approfondisce le dinamiche oscure che – da sempre – regolano il “dietro le quinte” del Calcio italiano.

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copertina Edizione 2015

Il Calcio italiano fa i conti con la sua credibilità. È influenzato, in modo fin troppo evidente, dalle pulsioni che attraversano la nostra società: le crisi economiche, i giochi della finanza, la corruzione politica, la sfiducia nelle istituzioni, le polemiche sui giudici (arbitri), le strutture inadeguate, l’insicurezza, i localismi, l’intolleranza. E poi, il divario Nord-Sud. L’Italia continua a non perseguire una vera unità e il suo divario interno, che è un unicum nel panorama dei paesi economicamente avanzati, continua a squilibrare anche il movimento calcistico nazionale. Insomma, il Calcio italiano, di fatto, riflette perfettamente la condizione del Paese, il suo regresso, che è anche, e soprattutto, causato dalla sua divisione interna che lo indebolisce.

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copertina Edizione 2017

La centocinquantennale “Questione meridionale” è un aspetto latente e mai analizzato a fondo – eppure assai decisivo – del Pallone italiano, dominato storicamente da tre squadre del Nord, espresse dal “triangolo industriale”, che sfruttano i vantaggi di localizzazione e attingono dal serbatoio di passione del Centro-Sud, un’altra forma di emigrazione meridionale, diversa da quella fisica di studenti e lavoratori. Sull’altro fronte, solo il Napoli e le squadre di Roma riescono a competere, a cicli alterni e diradati nel tempo.
Perché il Nord ha vinto più di 100 scudetti mentre il Sud non è arrivato neanche in doppia cifra? Perché le squadre del Sud faticano ad affacciarsi alla Serie A? Come hanno fatto le squadre settentrionali a prendere il pallino del gioco? E come l’hanno mantenuto? Cosa ha consentito a Cagliari, Napoli, Roma e Lazio di raccogliere le briciole lasciate dalle squadre del Nord? Perché Juventus, Milan e Inter sono squadre “nazionali”? E perché sono le più amate ma anche la più odiate? Perché il Napoli gode di una passione smisurata ed è considerata la vera nazionale dal suo popolo? Quando e come nasce la discriminazione territoriale? Chi ha manipolato la passione degli italiani? Tutti quesiti cui dare adeguate risposte, individuabili con una macrovisione dello show-business, fondamentale per comprendere il significato del fenomeno calcistico nella vita della Nazione unita e nel contesto storico, politico ed economico d’Italia.
La squadra più vincente d’Italia è legata a una famiglia piemontese che ha fatto la storia dell’industrializzazione italiana del Novecento. È una delle squadre di Torino, prima capitale del Regno e città dei Savoia, la dinastia che forzò un più corretto percorso di Unità nazionale e “piemontesizzò” la Penisola nel secondo Ottocento. Mentre si realizzava l’Unità geografica, in Inghilterra nasceva il Foot-ball, lo sport che, come tutti i costumi britannici, sarebbe divenuto uno strumento di affermazione egomonica della “Perfida Albione” nel mondo. Il Regno Unito, che esercitò la sua forte influenza nel piano sabaudo di unificazione monarchica della Penisola, avrebbe caricato i palloni da calcio a bordo delle proprie navi piene di merci e li avrebbe portati nei porti di mezzo mondo, compresi quelli italiani, importanti nella rotta verso il nuovo Canale di Suez, realizzato per accorciare le distanze con l’Oriente. Non a caso il Foot-ball di casa nostra vide la luce a Torino e in quella Genova che ne era il principale sbocco sul mare, per poi abbracciare Milano. Il “loro” campionato fu precluso alle squadre del Sud per circa trent’anni e l’Albo d’Oro contempla scudetti esclusivamente settentrionali, siglati prima che il Ventennio fascista aprisse la contesa anche al resto del Paese, procurando fastidio al movimento di quel Settentrione che nel frattempo riceveva massici favori nell’industrializzazione. Il dopoguerra consacrò il Calcio industriale. E oggi cosa accade?
Dov’è la Vittoria è un’indagine a carattere storico-sociologico-antropologico supportata da studi di economisti, docenti universitari e istituti di ricerca, per individuare le cause delle differenti performance sportive dei movimenti calcistici del Nord e del Sud d’Italia, inquadrate nello scenario del divario interno italiano. Anche attraverso la ricostruzione dei maneggi oscuri nel “dietro le quinte” della grande passione degli italiani – su cui convergono la politica e la finanza nazionale – ne viene fuori una fotografia del Calcio tricolore che illustra con completezza un aspetto poco dibattuto dell’annosa “Questione meridionale”. I veri protagonisti sono l’Italia e gli italiani, che in realtà non esistono, e trovano anche nel Football un linguaggio comune per dimostrarselo.

Capitoli

  1. Un affare da “screanzati” – prefazione di Oliviero Beha
  2. Divide et impera – introduzione dell’autore
  3. Una Questione nazionale – il divario Nord-Sud
  4. Prima il Nord – la Federazione con la palla al piede
  5. Fatta l’Italia, facciamo i tifosi – il tifo nel Paese dei campanile
  6. Sudditi di Sua Maestà – impronte anglosassoni sul pallone
  7. Stringiamci a Coorte – il triangolo Genova-Torino-Milano
  8. Il Regno d’Italia – il matrimonio Juventus-Fiat
  9. Fratelli d’Italia – la discriminazione territoriale
  10. Libera frode in libero Calcio – un secolo di scandali italiani del pallone
  11. L’Italia chiamò – il maxiflop nazionale dei Mondiali ‘90
  12. Siam pronti alla morte – conclusioni dell’autore

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► Intervista su iogiocopulito.it de Il Fatto Quotidiano

Jean-Noël Schifano: «Napoli città di libertà, ma deve liberarsi di Garibaldi»

Venerdì 23 gennaio, al “Real Teatro di San Carlo”, si è svolta la serata di solidarietà “il San Carlo contro la violenza che minaccia tutte le libertà”, in relazione ai dolorosissimi fatti di sangue che hanno sconvolto la Francia, con una versione ridotta del dramma storico ‘Andrea Chénier’ in scena.
Lo spettacolo è stato introdotto dagli i
nterventi di Christian Thimonier (console generale di Francia a Napoli), Jean-Noël Schifano (scrittore ed intellettuale francese) e Philippe Vilain (scrittore francese). Significative le parole di Schifano, sul palco con un “je suis Naples” in una mano e il Trattato sulla tolleranza di Voltaire nell’altra, incisivo nel sottolineare che Napoli, unica città in Europa, in nome della libertà, ha accolto le diversità per trarne i vantaggi dell’integrazione, ha rifiutato l’Inquisizione e non ha mai creato ghetti nazisti; ma ora, in una nuova stagione di reidentificazione, deve rifiutare i simboli dell’invasione piemontese, a cominciare dalla piazza Garibaldi (messaggio espressamente indirizzato al sindaco De Magistris, assente; ndr). «L’aquila romana si inchina alla sirena Parthenope!». Applausi della magnifica sala.

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foto: Il mondo di Suk

Daverio: «di Napoli e del Sud non importa niente a nessuno»

Philippe Daverio è tornato a parlare di Napoli e del Sud in un’intervista concessa a Enzo Ciaccio di Retenews24.it. Interessanti alcuni passaggi di seguito riportati.

“Napoli è una città troppo poderosa rispetto al compito che oggi non le si chiede di svolgere. Vienna è stata la capitale di un impero e, pur essendo cambiato il mondo, ha mantenuto la sua originaria fisionomia aristocratica. Anche Napoli è ex capitale di un impero dissolto. Ma non si comprende più quale ruolo dovrebbe svolgere.
La perdita di identità risale all’unità d’Italia. A Napoli è stata affibbiata una mutazione di funzione e destino di cui non si è mai compresa la connotazione: da ex capitale, che cosa è diventata? Non si sa. E quel che è peggio: non se ne discute.
Palermo soffre di mali ben più gravi e complicati di Napoli. Il centro storico di Cosenza è in condizioni penose. Ma di Napoli e del Sud non importa niente a nessuno. Ci si sente voce nel deserto della distrazione, della semplificazione, della banalità.
Non ho mai visto i nostri parlamentari europei impegnarsi tutti insieme nell’elaborazione di qualche progetto che riguardasse la qualità della vita nel Meridione D’Italia, cioè in uno dei luoghi più affascinanti d’Europa. L’Unione europea dovrebbe prendere atto che senza la cultura di Napoli e Palermo i tedeschi camminerebbero ancora con le corna in testa.”

Eugenio Scalfari: «Altro che Unità! Fu occupazione piemontese»

Tratto da Repubblica TV, un’osservazione di Eugenio Scalfari, fondatore dell’omonimo quotidiano, stralciata da una chiacchierata sul nuovo libro di Umberto Eco Numero Zero (Bompiani). Sollecitato da Antonio Gnoli sul perché gli italiani non siano mai cambiati e restino sempre “diversi”, Scalfari ha sottolineato che il popolo italiano detesta lo Stato sin dalla sua nascita, e per via dell’occupazione piemontese.
«Non fu Unità! Fu occupazione piemontese, e se l’avesse fatta il Regno di Napoli, che era molto più ricco e potente, sarebbe andata diversamente. La mentalità savoiarda non era italiana. Cavour parlava francese. E gli italiani quel nuovo Stato l’hanno detestato.»