La Reggia di Carditello a “Che tempo che fa”

La Reggia di Carditello a “Che tempo che fa”

Ecco a cosa è servito lo sciopero della fame del sindaco di San Tammaro Emiddio Cimmino: summit in prefettura di Caserta col governatore Caldoro e col ministro Ornaghi, incontro di una delegazione pro-Carditello con Godart (Consigliere culturale della Presidenza della Repubblica), tg nazionali e stampa internazionale che cominciano a parlare dello scempio, e Fabio Fazio che, su chiaro suggerimento della presidente del FAI Ilaria Borletti Buitoni, ha mostrato all’Italia le condizioni della reggia borbonica a “Che tempo che fa”.

Camilleri contro i Savoia: “Caselli risarcimento al Sud”

Camilleri contro i Savoia: “Caselli risarcimento al Sud”

Durante la puntata di “Che tempo che fa” del 17 Marzo, eloquente esternazione del Procuratore Gian Carlo Caselli da Torino circa una ripetuta “confidenza” dello scrittore siciliano Andrea Camilleri.

Fiorella Mannoia e il meridionalismo in musica

Fiorella Mannoia e il meridionalismo in musica

“Io non ho paura”, primo passo di un viaggio verso “Sud”

Angelo Forgione – Anche la bravissima artista romana Fiorella Mannoia s’annoia con la retorica risorgimentale. L’ha scoperto leggendo “Terroni” dell’amico Pino Aprile, capendo che la storia non corrisponde al racconto di chi la festeggia estromettendo verità e, soprattutto, dimenticando le migliaia di morti meridionali periti per la conquista del Sud.
E da li è nata l’ispirazione artistica che mancava, la scintilla per il nuovo lavoro discografico dal titolo “SUD“. Partendo dal Mezzogiorno d’Italia per arrivare in America Latina e in Africa.
Lo ha confessato a “Che tempo che fa“, dove l’onda lunga del meridionalismo ha toccato ancora una volta milioni di telespettatori e ha emozionato con l’esegesi dell’album ma anche con l’esecuzione del brano “Io non ho paura” scritto per lei dal cantautore Bungaro, al secolo Antonio Caiò da Brindisi; una ballata pianistica dalla forte carica emotiva e passionale le cui parole, al primo ascolto, hanno fatto salire un brivido lungo la schiena a tutti coloro che, come il sottoscritto, fanno della verità storica il cardine di un’estenuante missione identitaria.
Sarà un caso, ma il prossimo tour della Mannoia partirà il 21 Marzo proprio da Napoli per concludersi il 4 Aprile a Torino.

Vecchioni: «Napoli occasione per la cultura italiana»

Vecchioni: «Napoli occasione per la cultura italiana»

qualcuno aveva detto che era decomposta da migliaia di anni

Angelo Forgione – Parole colte di Roberto Vecchioni per Napoli nel salotto di “Che tempo che fa“.
Sabato 9 Dicembre, il cantautore ha spiegato la sua posizione rispetto alle voci diffuse sul suo compenso per il Forum delle Culture 2013 e ha identificato la città partenopea come uno dei più importanti patrimoni della cultura italiana.

Era lo stesso proscenio e lo stesso scranno dal quale Giorgio Bocca aveva detto tutto il contrario qualche anno prima, gettando fango sulla città partenopea definendola “città decomposta da migliaia di anni”. E anche li applausi, quella volta disgustosi come le sue parole e come il silenzio di Fazio.
Vecchioni Presidente del Forum delle Culture. Appunto! 

Cazzullo tra limiti e contraddizioni

Cazzullo tra limiti e contraddizioni
a “Che tempo che fa” dell’8 Ottobre

Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore piemontese risorgimentalista, tra i più forti oppositori delle istanze revisioniste, nel corso di “Che tempo che fa” dello scorso 8 Ottobre, ha espresso due concetti da evidenziare.
Nel primo ha ammesso candidamente la maggiore difficoltà da parte dei piemontesi di farsi rapire dai profondi sentimenti che rendono più umani e vulnerabili, rispetto ai napoletani. Cosa riscontrabile nelle espressioni dialettali piemontesi che non contemplano l’espressione “ti amo”.
Nel secondo concetto, ha invece espresso freudianamente una visione degli avvenimenti storici della sua terra, la Langa, «dove nel ’45 si è molto sofferto, si è sparato, torturato, ucciso. Quelli che adesso si chiamano i vinti – ha detto Cazzullo – avevano il coltello dalla parte del manico e lo usarono; i vincitori venivano braccati, torturati, fucilati senza processo, appesi, esposti come trofei per terrorizzare la popolazione civile. E questo in Langa non lo si è dimenticato». Praticamente quello che le truppe piemontesi da lui tanto osannate fecero 85 anni prima ai meridionali.
E questo al Sud non lo si è dimenticato, caro Cazzullo.

video / divertente Riccardo Muti, Napoletano a Milano

video / divertente Riccardo Muti, Napoletano a Milano
ancora un messaggio identitario del grande Maestro

Esattamente un anno fa, il 14 Novembre 2010, il grande Maestro Riccardo Muti era ospite alla trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio per parlare della sua autobiografia. Dopo il messaggio identitario pescato sul sito dell’emittente nazionale spagnola in occasione del premio “Principe de Asturias” a Oviedo di Ottobre, pongo ora in evidenza il “cuore” di una chiacchierata in cui Muti si mette a nudo e mostra il suo lato autenticamente Napoletano, insospettabilmente ironico e divertente.
Un racconto della sua gioventù di uomo del Sud che si trasferisce al Nord per studiare musica. Dalla calda e artistica Napoli alla gelida e “squadrata” Milano, a cui pure è affezionato, dove incontra un vecchio amico napoletano poi non più rivisto ma capace di lasciare un segno indelebile nella sua vita.
Con grande verve tutta partenopea, Muti riesce a far ridere con la Napoletanità senza umiliarla ma esaltandola come non riesce neanche ad alcuni comici, evidenziando le differenze tra Napoli e Milano, il calore-colore meridionale diverso da quello settentrionale, e comunicando un ulteriore messaggio identitario: mai perdere la propria identità ovunque ci si trovi!

A margine, riporto un’intervista di Muti rilasciata al Corriere della Sera nel 1999.
«I luoghi della mia infanzia (Napoli e Molfetta) rappresentano il mio ideale paradiso soprattutto per il senso della storia che ti mettono dentro e che, vivendoci, hai immagazzinato. Napoli ha in se’ la storia. E’ stata violentata, ma questo suo fascino resiste. In alcune prospettive della citta’ convivono il mondo greco, il mondo romano, il Rinascimento, il Barocco.
Ringrazio Dio di essere nato a Napoli. Ci ho pensato, un giorno in cui, quando dirigevo l’ orchestra di Filadelfia ed ero in tournee negli Stati Uniti, mi hanno fatto visitare l’ Universita’ dell’ Indiana, una fra le maggiori istituzioni musicali americane. Siamo entrati in un’ aula: due lussuosissimi pianoforti a coda su tappeti, impianti stereo, televisioni per i video musicali, il bar. Ho ricordato le nostre aule: un pianoforte, qualche sedia monacale, niente alle pareti, una luce fioca dal soffitto, ma quanta polvere di cultura, di conoscenza, quante memorie di grandi da Thalberg, il rivale di Liszt, il fondatore della scuola pianistica napoletana, a Cilea, a Martucci. Ho ricordato le chiese di Napoli dove, fanciullo, Pergolesi “cantava” quel canto che oggi sembra sia appannaggio quasi esclusivo di olandesi, inglesi e tedeschi. Si avvicinano a questo mondo con strumenti cosiddetti originali, con una pratica esecutiva cosiddetta originale: molta teoria, ma poco di quell’ humus che si respira nei vicoli, nelle strade dove sostavano Bellini, Donizetti e Rossini, in via Toledo che Leopardi scendeva ogni giorno verso piazza Carita’ dove vendevano un gelato di cui era ghiotto.

A Napoli, forse, ci invecchierei volentieri. Ero alla reggia di Caserta per ricevere il Premio Vanvitelli. Mi hanno fatto entrare in quella meraviglia che è il Teatro di Corte e mi hanno detto: “Se un giorno vorrà insegnare ai giovani quel che lei ha imparato, questo teatro può essere la sua casa».

videoclip by XG1: UN CAVALLO DI RAZZA CORRE IN EUROPA

videoclip: UN CAVALLO DI RAZZA CORRE IN EUROPA
la fantastica galoppata verso la Champions League

Il ciuccio torna alle origini e si riscopre un cavallo di razza (leggi la storia del simbolo) che corre spedito verso l’Europa dei grandi.
15 minuti per rivivere la fantastica galoppata della prima squadra del Sud-Italia verso la Champions League.
I momenti salienti della stagione 2010/11 del Napoli aperti del consiglio di Roberto Saviano raccolto da Walter Mazzarri e chiusi da un imperdibile finale per non dimenticare le sofferenze dell’inferno recente eppure così apparentemente lontanissimo.
In qualsiasi serie, in qualsiasi condizione sociale… sempre e solo Napoli! 

Buona visione!

Clicca qui per vedere il videoclip

Saviano e la “malaunità” che uccide Napoli e il sud

Saviano e la “malaunità” che uccide Napoli e il sud

Rifiuti e crollo dei monumenti stanno decretando la fine di Napoli, a due mesi dall’ultimatum dell’Unesco che, in assenza di un piano di gestione del centro storico, potrebbe cancellare la città dalla lista dei siti patrimonio dell’umanità.

Roberto Saviano è stato l’indiscusso protagonista del programma RAI “Vieni via con me” dal quale a diffuso messaggi alla nazione su un’Italia sbagliata, nata male e cresciuta peggio. Un’unità mai reale perchè realizzata con presupposti e metodi sbagliati che hanno previsto la sottomissione del meridione e la cancellazione della potenza economica e culturale di quella che era l’unica vera Capitale non solo d’Italia ma, insieme a Parigi e Londra, anche d’Europa.

Nei suoi monologhi, Saviano ha espresso cose esplicite ed altre da interpretare tra le righe. Nel nuovo videoclip della serie “Ammazziamo Pulcinella”, è decodificato per intero il suo messaggio filo-meridionalista rivolto da una parte all’Italia intera che spesso spara a zero su Napoli e il sud, e dall’altra agli stessi Napoletani ormai assuefatti, devitalizzati e privati della propria identità.

Giorgio Bocca, nuove falsità storiche sul meridione

Il ritorno di Giorgio Bocca

nuove falsità storiche sul meridione

di Angelo Forgione per napoli.com
http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=36246

Giorgio Bocca torna ad occuparsi della questione meridionale e lo fa alla sua maniera, ovvero mistificando la storia. Del suo ostracismo nei confronti del sud ne abbiamo già avuta ampia dimostrazione. Ormai famosi i suoi attacchi verbali a Napoli e al sud dal pulpito di “Che tempo che fa” e il vilipendio della storia della città partenopea in una puntata di “Passepartout” di Philippe Daverio incentrata sui meriti della dinastia borbonica tra settecento e ottocento preunitario.

In quelle occasioni aveva invocato l’Etna e il Vesuvio, indicando Napoli, che solo 150 anni fa fu la Capitale d’Europa insieme a Parigi, come “una città decomposta da migliaia di anni”, definendo la Reggia di Caserta “una reggia da Re Sole in un paese di Re merda”. Bocca aveva dato ai Borbone di Napoli l’appellativo di megalomani perché invece di realizzare il magnifico Museo Archelogico Nazionale di Napoli avrebbero dovuto dedicarsi alle poste e telegrafi. Un fuoco di fila che aveva sdegnato gli ospiti di Philippe Daverio in “Passpartout” ma non Fazio e il suo divertito pubblico a “Che tempo che fa”.

Lo scrittore piemontese è tornato a scontrarsi ideologicamente col meridione definendo “luoghi comuni” quelli che tendono a rivalutare proprio quel sud preunitario depredato dal nord. Lo ha fatto stavolta nella rubrica “L’antitaliano” de “L’espresso” del 26 Novembre su cui ha scritto che il sud è pieno di luoghi comuni contro il nord.
 «Il lamento meridionalista si rinnova (…). Ritorna la vecchia storia del Nord ricco e industriale che sfrutta il Sud povero agricolo e lo depreda dal poco di benessere che aveva raggiunto (…). Il Sud e la Sicilia del regno borbonico, liberati o conquistati da Garibaldi, ricchi e progrediti certamente non lo erano. Il Sud è povero da secoli e lo è ancora».

Scorrendo la lettura dello scritto ci si scontra col tipico esercizio scorretto di chi sostiene a spada tratta la retorica risorgimentale e vede il meridionalismo come un male da sconfiggere. Bocca ripropone, come prova dell’arretratezza del sud, il tipico esempio del chilometraggio delle strade al 1860: al nord erano 67mila e al sud solo 15mila. Un dato strumentale, fuorviante e propagandistico poiché il raffronto è improponibile tra regioni come il Piemonte e la Lombardia che non avevano sbocco sul mare e le regioni del sud che concentravano lo sviluppo sulla fascia costiera. Il Regno delle Due Sicilie attuò una scelta politica puntando sui trasporti marittimi e fu vera lungimiranza poiché la flotta commerciale dello stato duosiciliano divenne per questo la seconda in Europa e quella militare la terza. Con l’imminente apertura del Canale di Suez e lo sviluppo delle ferrovie al sud, il primato assoluto era all’orizzonte grazie ai traffici con l’oriente rispetto ai quali Napoli si avviava ad avere posizione di privilegio nel Mediterraneo rispetto per esempio a Londra, e questo fu uno dei motivi per i quali si pianificò il soffocamento di una grande potenza meridionale che i detrattori di oggi continuano a non voler riconoscere come tale.
Oggi l’Unione Europea spinge per le autostrade del mare col progetto TEN-T, cercando di ripercorrere quel che a metà dell’ottocento era già realtà nel Regno delle Due Sicilie.
Nonostante questa scelta, i collegamenti interni non furono abbandonati, anzi erano anch’essi in buona espansione per precisa volontà di Ferdinando II che fece realizzare strade importanti come l’Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, l’Adriatica, la Sora-Roma, la Appulo-Sannitica, l’Aquilonia e la Sannitica. In soli quattro anni, dal 1852 al 1856, furono approntate ben 76 strade nuove e si studiò per la prima volta la fattibilità del Ponte di Messina che Ferdinando II mise da parte perché troppo costoso per il popolo. In questa ottica si inseriscono, con grande risalto dal punto di vista tecnologico, le realizzazioni dei ponti come quello sul Garigliano che fu il primo sospeso a catene di ferro in Italia. E non di minore importanza fu la realizzazione delle prime ferrovie d’Italia e delle prime gallerie ferroviarie al mondo. Un’espansione dei collegamenti anche su terra troncata dall’arrivo a Napoli di Garibaldi… a bordo del primo treno d’Italia.

«Le industrie tessili del Sud – dice Bocca – non vendevano una pezza sul mercato europeo».
 Per smentire una simile affermazione basterebbe l’esempio delle seterie di San Leucio che già allora interessavano le maggiori corti del continente e ancora oggi arredano Buckingam Palace e la Casa Bianca, o anche i tanti opifici di lavorazione delle pelli che sfornavano i pregiatissimi guanti napoletani che erano i più richiesti d’Europa. A Porta Capuana era il lanificio Sava che forniva pantaloni all’esercito francese oltre che a quello napoletano. Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, il Regno delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia, e tutto questo grazie ai principali settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra in quella occasione.

«L’arsenale dei Borboni – secondo Bocca – era certamente per l’epoca un grande complesso industriale, con più di mille operai che producevano navi, locomotive, cannoni e macchine, ma fuori mercato, destinato a fallire già nel 1870». 
Gli stabilimenti siderurgici di Pietrarsa e Mongiana in Calabria, a cui fa riferimento Bocca, non erano affatto fuori mercato e per nulla destinati a fallire. Se ciò accadde fu perché boicottati a favore dell’economia settentrionale ed è essenziale l’operato di Carlo Bombrini, uomo vicino al Conte di Cavour e Governatore della Banca Nazionale che, presentando a Torino il suo piano economico-finanziario atto ad alienare tutti i beni dalle Due Sicilie, pronunciò una frase riferita ai Napoletani: «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere». Bombrini fu tra i fondatori dell’Ansaldo di Genova, società alla quale furono indirizzate tutte le commesse fino a quel momento appannaggio di Pietrarsa e Mongiana. 
Dopo corposi licenziamenti, le lotte sindacali e gli spari di Carabinieri e Bersaglieri che lasciarono a terra senza vita alcuni operai in sciopero, Pietrarsa fu lentamente declassata da officina di produzione a officina di riparazione, per chiudere definitivamente nel 1975 non perché fosse “fuori mercato” come scrive Bocca. Stessa sorte per Mongiana.

Bocca parla anche di analfabetismo nel meridione: «il 90 percento di analfabeti in Sardegna, l’89 in Sicilia, l’86 in Calabria e in Campania». In primis va precisato che la Sardegna era terra sabauda legata al Piemonte in quello che era il Regno di Sardegna che niente aveva a che vedere col Regno delle Due Sicilie, e lo scrittore questo non può non saperlo. Inoltre va detto che non esistono statistiche attendibili sull’alfabetizzazione al 1860 mentre quelli che sono stati spacciati per preunitari sono i dati al 1870, rilevati dopo dieci anni di chiusura delle “scuole normali” borboniche imposta dal governo sabaudo che si apprestava a scrivere i libri di storia ancora oggi sui banchi delle scuole italiane.

L’articolo di Bocca si scontra non solo con i meridionalisti più accesi ma anche con le tante analisi autorevoli che piovono da più fronti e che negli ultimi anni stanno dando chiarezza all’origine della questione meridionale. Tra queste, quella autorevole della Banca d’Italia firmata dagli studiosi Stefano Fenoaltea e Carlo Ciccarelli che in un loro saggio dello scorso Luglio affermano con chiarezza che «l’arretratezza industriale del Sud, evidente già all’inizio della prima guerra mondiale ,non è un’eredità dell’Italia pre-unitaria».
Uno studio basato su tabelle statistiche che prendono in esame i censimenti ufficiali del neonato Stato italiano negli anni 1871, 1881, 1901 e 1911 e che consentono agli studiosi di affermare che: «il loro esame disaggregato rafforza le principali ipotesi revisioniste suggerite dai dati regionali».

Già un altro saggio, quello di Paolo Malanima, direttore dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo del CNR e di Vittorio Daniele dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro, aveva fornito la prova di un inesistente divario tra il p.i.l. del nord e quello del sud preunitario, scarto che inizia invece a prendere corpo proprio nel 1861 con l’unità d’Italia.

A 150 anni dall’Unità d’Italia, il dibattito sul Risorgimento e sull’origine della questione meridionale impazza e rinvigorisce sempre più con i dati i sostenitori della toeria di un Sud depredato e sfruttato a cui si oppongono strenuamente uomini come Giorgio Bocca che sembrano non starci affatto e argomentano ideologicamente e senza dati oggettivi. Non è raccontando falsità storiche che si fa cultura e si costruisce una nuova identità unitaria che appartenga a tutta la nazione. La verità nascosta è un mostro che alberga in ogni italiano; in tanti l’hanno riconosciuto e lo guardano dritto negli occhi ma chi si ostina a dipingerlo come un cigno continua ad allontanare la realtà storica che è un bisogno insopprimibile. I luoghi comuni che lo scrittore attribuisce ai meridionalisti cercando di delegittimarne la ricerca di verità vanno sempre più nella direzione di quell’antico adagio che recita così: la miglior difesa è l’attacco. E questa non è volontà di unire ma semmai di mantenere le divisioni.

leggi l’articolo di Giorgio Bocca su “L’Espresso”

Giorgio Bocca attacca Napoli a “Che tempo che fa”

Giorgio Bocca infanga la storia di Napoli a “Passpartout”

Il nord vacilla di fronte alla divulgazione delle verità sotterrate

Il nord vacilla di fronte alla divulgazione delle verità

Come il Presidente della Repubblica a Capodanno, quelli che Saviano fa a “Vieni via con me” sono veri e propri discorsi alla nazione senza contraddittorio o interruzioni e con i necessari tempi per poter argomentare. Con la differenza che li propone ogni settimana. Questo è il potere di un personaggio che pure qualche aspetto da decifrare ce l’ha, effettivamente consapevole di poter ormai indirizzare i discorsi nella direzione voluta.
Quello che si è ascoltato sulla questione rifiuti nella puntata del 22 Novembre è un Saviano meridionalista, pur non essendolo affatto. Mai prima l’autore di “Gomorra” aveva preso una posizione così decisa in difesa della sua stessa comunità, comunicando alla platea ciò che noi meridionalisti e filoborbonici diciamo da anni, spesso però snobbati da quella denigrazione filorisorgimentale che non ammette la teoria di un nord invasore e di un sud invaso. L’ha detto Saviano e la stampa lo segue in scia, e va bene così. Tutto ciò finisce per rinforzarci e legittimarci.

Saviano ha avuto il coraggio e l’autorità di dire ciò che nessuno sin qui si è azzardato a dire, e cioè che non sono i Napoletani ad essere sporchi e sudici per tradizione ma semmai sono stati sporcati, finendo per diventarlo auto-convincendosene, col risultato che loro stessi si definiscono sporchi e spesso si comportano da tali. Senza peli sulla lingua, è arrivato agli italiani che sono i rifiuti del nord e di parte dell’Europa a colmare le discariche della Campania e che non c’è possibilità immediata, ne tantomeno intenzione, di risolvere un problema che non è un problema, se non per i Napoletani, ma una precisa volontà superiore.

Alla faccia della denigrazione settentrionale, in barba alla propaganda sabauda e alla voce “borbonico” dei vocabolari italiani, in prima serata sulla Rai è finito a 151 anni dalla sua morte Ferdinando II di Borbone. Saviano lo ha tirato in causa perché si è accorto anch’egli di una delle tante cose che i neoborbonici dicono da anni: i Borbone di Napoli erano dinastia di primati.
«Sembrerà strano ma la prima città in Italia ad aver inventato la raccolta differenziata è Napoli. 1832, Ferdinando II di Borbone fa una legge sulla differenziata».
Mi piace pensare, e un po’ ne sono convinto, che Saviano abbia letto un mio apprezzato articolo scritto un mese fa sull’argomento e che contiene quella legge presente nella “Collezione delle Leggi e dei Decreti del Regno delle Due Sicilie”, legge ora diffusa dalla Rai alla nazione ( http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=35975 ). Lo deduco da come ha introdotto l’argomento e da come l’ha commentato, proprio come in quel passo del mio articolo che snocciola la legge borbonica. Cose che anche io ho appreso attraverso l’opera di grandi archivisti come il mio grande amico Prof. Gennaro De Crescenzo: è questa la catena della diffusione delle verità sepolte da riportare alla luce.

A sentire il discorso di Saviano mi sono sentito gratificato dal mio lavoro intensissimo e sudato, fatto di letture di testi, scrittura di articoli, montaggio di videoclip su youtube e interviste. Tutto finalizzato alla comunicazione ai Napoletani della nostra vera cultura che non è quella negata con la quale facciamo i conti da ormai troppo tempo.
Un discorso che non ha fatto una piega in chiave di riscatto del nostro orgoglio; l’autore di “Gomorra” ha parlato proprio come avrei parlato io, dicendo ciò che avrei detto io. Persino tirando in ballo il grande Eduardo e mostrando l’ormai noto “é cosa ‘e niente”.
Tutto perfetto, perchè con la mia opera sto cercando di far capire alla nostra gente (e quelli che mi seguono l’hanno capito), che noi siamo diventati quello che “loro” volevano che fossimo, a furia di non ribellarci alla denigrazione e alle falsità perpetrate dai tempi dei britannici Lord Palmerston e William Gladstone, veri iniziatori delle calunnie anti-napoletane di ottocentesca memoria.

Saviano ha parlato al resto d’Italia ma ha anche parlato ai Napoletani, invitandoli a non sedersi e a reagire riscoprendo la propria cultura e ribellandosi a chi l’ha cancellata approfittando del nostro lasciar fare a base di “è cosa ‘e niente” che ci ha portato ad accettare e cronicizzare camorra, malamministrazione e degrado che gli altri ci imposero e che noi accettammo supinamente; non avremmo dovuto! Qualcuno non ha capito il senso del discorso, qualcuno si.
Si è aperto così un fronte nuovo per il resto del paese sempre pronto a cavalcare i luoghi comuni contro i Napoletani e i più feroci accusatori di Napoli hanno maldigerito il messaggio. Lo deduco dalle tante email che ho cominciato a ricevere da quel momento in posta e i tanti messaggi inviati alla casella di messaggi del mio canale youtube, laddove notoriamente si possono trovare tutti i miei spunti audiovisivi riguardanti la nostra storia e il nostro riscatto.
Non solo messaggi di felicitazioni da parte di chi ha rivisto me nel messaggio di Saviano, di chi mi ringraziava, di chi dimostrava gioia per quel che aveva sentito, ma anche tante stupidaggini piovute da anonimi settentrionali o comunque anti-napoletani. Un aumento esponenziale da quella sera, e questo significa che “loro” temono le nostre verità.

Ne riporto qui solo un esempio, non a caso una delle poche email a cui ho risposto, che è eloquente per come i “fratelli” d’Italia comincino a vacillare e a sconcertarsi nel conoscere le verità storiche nascoste che corrispondono a quelle contemporanee che ne sono dirette discendenti.
Un “buontempone” ha visto i miei video sul primo bidet d’Italia alla Reggia di Caserta, quello che i Savoia, non sapendo cosa fosse, definirono “oggetto sconosciuto a forma di chitarra”, e ha pensato bene di creare un nuovo account stesso oggi, 25 Novembre 2010, per mascherare la sua vera identità su youtube. E come ha pensato di chiamare il suo nuovo canale vuoto per attaccarmi? Guarda caso… “FBourbonsBorboni”. Ora capirete perchè.

messaggio di FBourbonsBorboni:

Ma poveretti (i napolitani) eccoli crearsi un mito (quello del bidet) da sotto le loro tonnelate di rifiuti!
I Borboni non erano napoletani ma Francesi (Bourbons) e comandavano. Sono loro ad avere introdotto il bidet francese in Italia. A l’epoca in tutta Italia ed ancora fino a poche decenni di anni fa tutti in italia (salvo gli aristocratici) si lavavano nelle tinozzze nei cortili delle cascine dove lavoravano come braccianti (non avevano neanche le proprie cascine cone in Francia o altro in Europa perché qui c’erano solo i ricchi latifundisti. Quindi fa proprio ridere questo mito del bidet che gli Italiani si sono creati per sentirsi (immaginarsi di sentirsi) forse piu’ puliti nel sedere degli altri -visto che i loro comportamenti cafoncelli sono derisi in tutto il mondo. Il bidet in Francia dopo essere stato li crato è stato usato per decenni ma ora li negli appartamenti sono più piccoli e c’e’ spesso solo la doccia.
Ridicoli siete e patetici!! Il principe Emanuele Filiberto è stato di grande ironia e l’intervistatrice si è dimostrato una piccola provincialotta meschina (che si è dimenticata delle tinozze dei suoi nonni!!).

risposta di Angelo Forgione:

Penso che Lei debba studiare la storia ancora molto, tanto più quella di Napoli semmai voglia conoscere l’origine 700-800esca della moderna civiltà europea.

1) I Borbone di Napoli erano, appunto, di Napoli, non di Francia come i loro antenati di estrazione capetingia. Ci sono anche rami diversi, come quelli di Spagna o di Parma. Il primo Borbone di Napoli fu Carlo VII, mezzo italiano (Farnese di Parma) e mezzo spagnolo, ma volle imparare lingua, usi e costumi dei Napoletani che si portò anche in Spagna insieme al sangue di San Gennaro (!) quando divenne Carlo III.
Ferdinando, Francesco, Ferdinando II e Francesco II erano napoletanissimi, e insieme al capostipite non primeggiarono certo solo per il bidet.

2) Il bidet è si francese, noi Napoletani lo sappiamo benissimo, ma in pochissimi anni i 100 presenti a Versailles furono TUTTI rimossi: un fallimento! Qui non si discute su chi l’ha inventato ma su chi l’ha usato (per prima). E Napoli non l’ha “adottato” dalla Francia, ma dall’Austria grazie a Maria Carolina d’Asburgo Lorena, regina delle Due Sicilie, sorella di Maria Antonietta (d’Asburgo Lorena). Era la corte austriaca ad avere delle usanze superiori che la corte di Napoli seppe adottare e elevare maggiormente a crismi di civilizzazione per tutto il continente, non quella francese. Quello è l’aggancio. Così come per il caffè che viaggiò dalla Turchia a Vienna e arrivò a Napoli sempre attraverso la sovrana austriaca, e Napoli l’ha offerto al mondo a modo suo, cioè alla grande. Lo sa che il babà non è un dolce napoletano ma polacco, inventato alla corte di Stanislao Leszczynsky? Eppure i polacchi l’hanno dimenticato, mentre i Borbone lo trovarono buono e così Napoli l’ha offerto al mondo. Non c’è nessuna certezza che la prima pizza sia Napoletana, ma con i Borbone si attuò nel 700 attorno a Caserta una incredibile rivoluzione agricola che ha codificato la vera pizza con il condimento del pomodoro e della mozzarella, e Napoli l’ha offerta al mondo. Le ho fatto il palato buono, ma potrei parlare di mille altre cose che in parte può apprendere dai miei scritti e dai miei video come quello che le inoltro in calce.
La cultura, amico mio, non è necessariamente frutto di invenzioni ma anche di intuizioni pionieristiche. E le potrei citare tanti esempi in ogni campo con cui Napoli, tramite invenzioni e intuizioni, ha plasmato l’attuale civiltà europea, riecheggiando nel mondo intero. Perchè, se non l’ha ancora capito o studiato, la cultura passava per Napoli all’epoca, e Napoli sapeva filtrare il meglio e rioffrirlo al mondo.

Ho la sensazione netta che il discorso di Saviano dell’altra sera vi sta facendo tremare nelle vostre convinzioni ignoranti. Ritornate a scuola, riscrivete il Risorgimento italiano per come è andato veramente, e poi venite a riprendervi il letame culturale unitamente a quello industriale che avete riversato nelle nostre discariche approfittando della malavita di garibaldino sdoganamento, che da un bel po’ vi ritrovate in casa vostra a far soldi coi vostri imprenditori truffatori e “bondeggiatori”, molto più ladri dei disperati borseggiatori che ci sono al sud. Vero Sig. Calisto Tanzi?
Del resto, perchè secondo Lei Vittorio Emanuele II e Cavour (lui si mezzo francese, mica italiano) vennero da queste parti se non per unire alle loro misere casse le nostre grandi riserve auree?

E ora, dopo tutto questo, gridate Padania libera? Ma libera da che? Ma chi vi ha cercati?

Glielo dico con franchezza e senza pregiudizio: gli alluvionati veneti, poveri loro, in televisione non perdono occasione per dire che noi (inventori dell’arte di arrangiarsi) ci piangiamo addosso e loro si rimboccano le maniche mentre in realtà si capisce bene che stanno piangendo davanti alle telecamere.
Sa il problema dov’è? Qui a Napoli abbiamo organizzato raccolte di fondi anche tra private associazioni per gli stessi alluvionati del Veneto oltre ai tantissimi sms solidali del valore di 2 euro inviati dalla Campania per lo stesso scopo. Noi siamo un popolo solidale per tradizione. E il nord come risponde? Proprio il Veneto e il Piemonte negano l’aiuto per la nostra tragedia causata anche da loro. Con le dovute eccezioni, questo siete voi: gente vuota, ignorante e priva di ogni solidarietà di popolo.

Buono studio, “fratello” d’Italia
(Le allego video culturale)
http://www.youtube.com/watch?v=xui3llF32l0